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Pilastri o colonne

Nella doppia veste di interprete e regista, Gabriele Lavia alza il sipario dell’Argentina sul teatro di Henrik Ibsen, mettendone in scena il malessere, i tormenti, le debolezze della società borghese del suo tempo per denunciare la corruzione e l’ipocrisia del potere e per far emergere la verità e la libertà individuale. Con I pilastri della società, la nuova produzione del Teatro di Roma in coproduzione con la Pergola di Firenze e lo Stabile di Torino, Lavia affronta temi di scottante attualità come la menzogna sociale e la mancanza di moralità declinate attraverso i personaggi ibseniani del testo del 1877 con cui l’autore norvegese, tra i più importanti dell’Ottocento, riformò i criteri della sua produzione teatrale segnando una svolta verso il dramma sociale.

Prigioniero di un passato che lo esclude dalla vita del presente, il Console Bernick mette in discussione la sua credibilità, il ruolo sociale e il successo personale per confessare le proprie colpe pubbliche e private. “Pilastro morale della società”, Bernick vive in realtà da oltre quindici anni una vita di inganni.

Ha infatti sedotto e abbandonato una giovane che per il dolore ne è morta, e ne ha lasciato ricadere la colpa sul fratello minore di sua moglie Betty, Johan Tonnesen, emigrato subito dopo in America con la sorellastra Lona. Nel piccolo ambiente borghese in cui vive, il Console è un uomo corretto, potente e rispettabile fino a quando il rientro improvviso di Johan e Lona, lo costringeranno a confessare gli errori commessi tanti anni prima. Spinto da Lona, forse l’unica donna che lo abbia amato, confessa i suoi errori e riscatta dal tormento e dal peccato la lunga parentesi in cui è vissuto.

Nella sua ansia di verità e di libertà, Bernick esalta il ruolo purificatore dell’onestà e della fedeltà del singolo contro una società codarda ed ipocrita, dominata dai pregiudizi e dalle disuguaglianze sociali e culturali. Il valore artistico e il carattere simbolico espresso nel titolo, rendono il dramma efficace ancora oggi, nonostante le differenze e le specificità politiche della nostra epoca.

“Cosa sono o chi sono questi pilastri? Qual è il fondamento su cui poggia un consorzio umano? Su cosa fonda una società di uomini? Questa è la domanda che pone il testo di Ibsen. E Ibsen risponde con molta chiarezza, alla fine dell’opera. I fondamenti sono due: la libertà e la verità – commenta Gabriele Lavia – Del trinomio rivoluzionario francese ‘Liberté, Egalité, Fraternité’ è rimasta solo la libertà. Cui si aggiunge la verità. Solo la libertà di ‘essere’ è il dovere fondamentale che fa essere ‘liberamente’ veri.

Libertà e verità congiunte nello stesso concetto. Nessuna verità senza libertà. Nessuna libertà senza verità. Libertà lo stesso della verità. La società fondata sull’ipocrisia, sulla falsità, cioè su fondamenta sbagliate, è una società ‘schiava’ e non ‘libera’ dall’imbroglio, dalla corruzione. Il desiderio di ricchezza, l’ambizione sfrenata, il potere corrotto, tolgono alla società l’appoggio su cui sostenersi e non ‘cadere in pezzi’. C’è però un terzo pilastro della società: le donne. La sommessa speranza. Forse ‘le donne’ sono il cambiamento mite che può aiutare il mondo a ‘rimettersi in sesto’?”.

 

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06 Palco Teatro Gabriele-LaviaI PILASTRI DELLA SOCIETÀ

di Henrik Ibsen

REGIA Gabriele Lavia

con Gabriele Lavia

e attori in via di definizione

coproduzione

Teatro di Roma

Fondazione Teatro della Pergola E Teatro Stabile di Torino

Dal 20 novembre al 22 dicembre 2013

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Largo di Torre Argentina, 52

00186 – Roma

Tel. 06/684000311 – 14

http://www.teatrodiroma.net/

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Maggio dei Conciatori

Programma:

Teatro dei Conciatori 05 RISATE IN PARADISO03 – 19 maggio 2013

RISATE IN PARADISO

Là dove nascono gli angeli

scritto e diretto da Romano Talevi

collaborazione ai brani Emanuela Dessy

con Gianna Paola Scaffidi – Antonio Serrano – Anna Teresa Eugeni – Rita Pasqualoni

Questo vuole essere un tributo ad un genere sempre più dimenticato: il varietà. Inserendolo in un contesto di rock comedy ispiratosi a comme…

Una leggenda metropolitana racconta che all’Alhambra, un vecchio teatro abbandonato nel cuore della città, avvenga qualcosa di strano. Pare infatti che alcuni malcapitati che si erano avventurati al suo interno non fossero più usciti. Svaniti nel nulla, come inghiottiti. Tutte vane le ricerche; fu trovato solo qualche indumento e alcuni oggetti personali, ma di loro nessuna traccia. Dopo diverse scomparse, le autorità decisero di sigillare il vecchio edificio.

Ma si vocifera che al suo interno avvenga ancora qualcosa.

Qualcuno ha giurato di aver sentito musica e applausi, come se ancora l’Alhambra volesse rivivere i fasti di un tempo,  quando era il più importante teatro di varietà della città della sua epoca.

Chiuso improvvisamente alla straordinaria prima di “Risate in Paradiso”, si dice il più grande spettacolo di varietà di tutti i tempi. All’apice del suo splendore. Ed è qui che una sera… ma questa è un’altra storia.

Questo vuole essere un tributo ad un genere sempre più dimenticato: il varietà. Inserendolo in un contesto di rock comedy ispiratosi a commedie come “Rocky Horror Picture Show” e “Il fantasma del palcoscenico”. Un divertente thriller che ci fa rivivere a suo modo un tempo perduto.

Con la sua magia e le sue luci, le sue illusioni e le sue solitudini, le sue parole e la sua gioia di vivere e le sue musiche.

Un gioco, dove tutto è possibile.

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Teatro dei Conciatori 05 INCANTEVOLE di Neil LaBute con Urbano Barberini21 maggio – 02 giugno 20130

INCANTEVOLE

Lovely Head

di Neil LaBute

regia di Marco Calvani

con Urbano Barberini e Elisa Alessandro

Una Lolita appena sbocciata. Un uomo, la cui identità rimane fino all’ultimo un mistero. Una manciata di minuti di tempo da passare insieme. Tre elementi che si fondono per dare vita ad una pièce che sffida, senza timori, quello che definiremmo cliché, per approdare in un’isola dove il linguaggio è dietro le parole, dove ciò che è non è ciò che sembra. Dove il sesso sta all’amore, come i soldi alla vita.

una produzione Mixò, Titania Produzioni

in collaborazione con Spoleto55 Festival dei 2Mondi, La MaMa E.T.C. New York, Independent English

Theatre, MTM

PROGETTO AdA (Author directing Author)

L’attenzione ai più scottanti temi contemporanei – nel vissuto di personaggi soli, cinici e completamente assorbiti dalle loro piccole grandi tragedie – può configurarsi come il comune denominatore di LaBute e Calvani, due autori affermatisi in questi anni come implacabili giudici del lato oscuro della natura umana nella società americana ed in quella europea.

Con il progetto AdA, LaBute e Calvani esaltano diversi approcci alla scrittura e alla regia teatrale celebrando – attraverso una diffusione internazionale delle opere – il carattere peculiare e la diversa cifra stilistica

della drammaturgia contemporanea italiana ed americana. In quest’ottica i due autori e registi, complici una simpatia ed una stima reciproca, hanno concordato un tema comune – FAMIGLIA – scrivendo rispettivamente due brevi atti unici per poi scambiarsi la regia delle pièces.

INCANTEVOLE (Lovely Head) di Neil LaBute assieme a ROBA DI QUESTO MONDO di Calvani hanno dato vita alla prima edizione di AdA. Le due opere, sempre presentate nel corso della stessa serata, hanno debuttato in italiano (55° Festival de Spoleto, protagonista Andréa Ferréol), in spagnolo (Fringe Madrid Festival) e dal prossimoottobre in inglese a New York (La MaMa Theatre).

 

Teatro dei Conciatori

Via dei Conciatori, 5

00154 ROMA

info@teatrodeiconciatori.it

 

Tel. +39 06 45448982 – +39 06 45470031

 

http://www.teatrodeiconciatori.it/

 

 

 

La coscienza di Zeno” al Quirino

“MA LA VITA NON È DIFFICILE…LA VITA È ORIGINALE”

In coincidenza con la moda della sigaretta elettronica,

nasce la nuova messa in scena de “La Coscienza di Zeno”

ad opera di Maurizio Scaparro.

Tra le due cose c’è quasi un nesso se si pensa che Zeno, protagonista della storia,

individua nella dipendenza dal fumo la prima delle sue “incurabili debolezze”

e la sigaretta sarà l’alibi che lo porterà a sottoporsi alla tirannia del dottor S.

La versione teatrale è quella che Tullio Kezich, scrittore e critico Triestino,

aveva tratto, nel 1963, dal famoso romanzo di Italo Svevo.

Nel 1923, alla prima uscita del libro, la psicanalisi non aveva ancora compiuto trent’anni

ma la fama di Freud e la curiosità per la sua fascinose teorie

stava lievitando tra gli intellettuali e presso certa borghesia mitteleuropea.

“La vita attuale è inquinata alle radici”  è l’ amara considerazione di Zeno che…

per quanto riguarda la storia dell’uomo potrebbe considerarsi valida da sempre.

“Ma la vita non è difficile… la vita è originale” in quanto imprevedibile.

Potremmo aggiungere che la vita ci appare unica e irripetibile

e da qui “ il male del vivere” di cui autori e personaggi, reali e del Teatro,

sono affetti inguaribilmente con scarse prospettive di salvezza.

Se é vero che ognuno, sotto infinite maschere, non possa raccontare che se stesso,

Svevo è scopertamente autobiografico già nel suo primo romanzo: “Un inetto” ,

titolo fin troppo esplicito, che verrà sostituito prudentemente dall’editore

col più invitante e generico: Una vita” ( pubblicato  nel 1892,

quando il triestino Italo Svevo, ha poco più di trent’anni.)

 

L’attuale messa in scena, segretamente inquieta, del capolavoro sveviano

rivela dall’inizio l’impegno misurato di Scaparro, regista romano-cosmopolita

che nulla mai concede al facile piacere di un “effetto”.

Già l’idea blasfema iniziale di una seduta psicanalitica gettata in pasto al pubblico,

è resa con disinvolta eleganza da un Giuseppe Pambieri perfetto nel ruolo di Zeno Cosini

E mentre nei ritmi garbati del “salotto buono” si colgono tensioni e contrasti

di una Trieste fremente per natura, tra asprezze carsiche e immensa voluttà del mare,

il bel protagonista incarna con eleganza ansie e tormenti di una terra di confine

che ben esprime un nuovo secolo di incognite stagioni.

Così, tra rischiose imprese mercantili, scontri culturali e ineluttabili obblighi sociali,

(come il “dovere” di prender moglie a tutti i costi, oltre un filo latente di misoginia)

Zeno riconosce in se ed esprime la fatale inettitudine di un mondo folle,

crudele, bonario e lamentoso che fatalmente si appresta ancora una volta,

e con impegno, a celebrare il rito di una nuova guerra.

Attorno all’ombra tormentata e dominante di Zeno-Nievo-Pambieri

ruotano sei attrici e quattro attori: Anna Paola Vellaccio, trepidante madre…

di tre signorine da marito, più una “tenera” fanciulla “dispettosa”:

(Antonia Venzella, Guanda Goria, Livia Cascarano e Silvia Altrui)

immagini tardo romantiche ben disegnate con giusta misura di ironia.

Sesta donna è Carla Greco, l’immancabile cantante, amante dell’eroe,

(forse il personaggio più moderno e reale, giustamente interpretato da Marta Ossoli)

Enzo Turrin gioca egregiamente nel duplice ruolo del dott.S e di Giovanni Malfenti,

mentre Giancarlo Condé è altrettanto abile nei panni del dott.Coprosich e di Enrico Coppler,

e infine Guido Speier, forse il vero folle, sfortunato cognato di Zeno impersonato da Francesco Wolf,

né possiamo dimenticare Raffaele Sinkovic nei panni del genuino segretario Luciano.

Tredici personaggi, guidati sapientemente da Maurizio Scaparro

e accuratamente abbigliati da Claura Ricotti rivivono

nel quadro di un passaggio d’epoca, dove il tempo che va…

prescinde i grandi orologi dorati che accompagnano…

il suono ineffabile dell’ immancabile, pianoforte verticale.

Oltre la bella vetrata madreperlacea, le scene sono opera di Lorenzo Cutùli

mentre le preziose musiche sono firmate da Giancarlo Chiaramello.

Il tutto come a continuare e concludere il grande discorso cecoviano…

di un tempo che fatalmente trascorre… nell’apparente immobilità.

 

E in finale si vede come l’umano, oltre ardui dialoghi e inutili corali,

si riveli sempre e soltanto nel monologo.

Grandi applausi alla prima e siamo certi che altrettanto successo avranno le repliche.

 

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Teatro zeno A (33)Giuseppe Pambieri, Enzo Turrin“LA COSCIENZA DI ZENO”, prodotto dal glorioso Teatro Carcano di Milano,

resta in scena al Teatro Qurino di Roma solo fino al 14 aprile,

per concludere, il 16 e 17 a Campobasso, la sua prima tournée.

In autunno si riprenderà un nuovo ciclo di spettacoli.

 

Teatro Quirino – Info. 06/6783048 / Botteghino Tel. 06/6794585

http://www.teatroquirino.it/

Teatro Carcano Centro d’Arte Contemporanea

 Teatro zeno C (8) Giuseppe Pambieri

 

Teatro dei Conciatori 2012-2013

Teatro dei Conciatori 04 CHERRY DOC'S regia di A. Serrano05 – 14 aprile 2013

CHERRY DOC’S
di David Gow
regia di A. Serrano
con Antonio Bonanotte – Pierfrancesco Ceccanei

La scena è quella di un processo. A dominarla sono solo in due: forma dialettica perfetta.

La tensione che pervade il testo segue il crescendo dettato dal ritmo incalzante delle battute, quasi un ritmo di jazz, in cui le due voci, dissonanti all’inizio, pian piano si accordano e avvicinano su note armoniche: i monologhi iniziali cedono il passo a battute sempre più brevi che ospitano la voce dell’altro, danno spazio alla sua prospettiva.

E’ assecondando questo ritmo che è costruita la regia di un testo scritto – come dichiara l’autore – “senza preoccuparsi di non urtare la sensibilità di qualcuno”: un testo che mostra quanto siano fragili i confini tra buoni e cattivi. Un vero gioco delle parti, dove i personaggi sono lasciati in bilico tra reale natura personale e ruolo sociale, limes sottile che tiene in scacco ciascuno di noi. Non a caso la scena rappresenta una grande gabbia: reale luogo di detenzione del naziskin ma anche metafora della prigione in cui sono rinchiusi entrambi, quella dei loro (e dei nostri) demoni…

Il complesso rapporto tra Mike, un giovane skin head accusato dell’omicidio di un pakistano e Dan, l’avvocato ebreo chiamato a difenderlo, è il fulcro di “Cherry Docs”, dell’americano David Grow. Un testa a testa, un gioco a due voci che si intrecciano a suon di battute lapidarie, chiare e stentoree. Sette giorni, sette scene, sette momenti in cui i protagonisti saranno costretti a confrontarsi con le proprie paure, le contraddizioni e le convinzioni più profonde. Da una parte la fede in un ideale di purezza da difendere a tutti i costi (le “cherry docs” del titolo sono gli anfibi “da battaglia” di Mike), dall’altra quella nei principi della religione di un popolo perseguitato proprio in nome di quella purezza; da una parte l’estrema intolleranza, dall’altra i supposti convincimenti liberali. Contrapposizioni nette, almeno in apparenza. Fino a che le certezze di entrambi non perdono forza e consistenza, minate dal gioco dialettico di cui i due sono allo stesso tempo protagonisti e vittime.

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Teatro dei Conciatori 04 CYRANO DE BERGERAC16 – 28 aprile 2013

CYRANO DE BERGERAC
di Edmond Rostand
regia di Matteo Fasanella
adattamento e allestimento registico: Antonella Bagorda
con Antonella Bagorda – Gianpiero Botta – Susanna Lauletta – Matteo Fasanella – Antonio Coppola

Il poeta. L’amore. Il genio. Le virtù. L’uomo.
Come può l’amore indurre a rinunciare al proprio volto?
Come può l’amore portare un uomo a spalleggiare il proprio “nemico” nella conquista del proprio sogno?

Un amore così, non esiste. Forse.

La lucidità del personaggio Cyrano, viene ingannata da questo nuovo sentimento che mette a nudo le fragilità di quest’uomo quasi perfetto, aldilà delle sue famigerate carenze fisiche.

“Chi la vide sorridere conobbe l’ideale.” Questo ideale porta Cyrano alla consapevolezza della sconfitta, ed egli affida il suo genio ad un uomo che è in grado di soddisfare tutti i suoi sogni.

“Se mi par che vi sia di speranza un’ombra, un’ ombra sola..” La speranza, meravigliosa e vana, induce Cyrano a rendere questo amore, forse unico, palpitante. Egli utilizza tutte le sue virtù senza però mai slegarsi dalla maschera che lo protegge. Ne rimane talmente vincolato che, anche quando la verità viene a galla, preferisce immolarsi e concedersi alla sua vera musa ispiratrice: la libertà.

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Teatro dei Conciatori
Via dei Conciatori, 5
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