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Quattro Fontane

Il 10 marzo è stato presentato il restauro delle Quattro Fontane che ornano il quadrivio tra via XX settembre e via Sistina, finanziato dalla Maison Fendi, che sta curando anche i lavori alla Fontana di Trevi, con il coordinamento, per la Sovrintendenza capitolina, della dott.ssa Cerioni.
Il complesso fu costruito sotto il pontificato di Sisto V all’incrocio tra la Strada Pia, sul sedime dell’antica Alta Semita Romana, e la via Felice fatta aprire da Papa Peretti per unire con salite e discese Trinità dei Monti con l’abside di Santa Maria Maggiore. Le quattro fontane furono costruite a spese dei proprietari degli edifici a cui si appoggiavano e rappresentano l’Arno, il Tevere, Giunone o la Fortezza e Diana o la Fedeltà; forse furono opera di Domenico Fontana e furono scolpite da Paolo Olivieri.
Ci fu un successivo intervento a metà del ‘600, forse su suggestioni berniniane, con trasformazione delle fontane in ninfei con alberi ed erbe, particolarmente scenografica era all’epoca la Fontana di Diana appoggiata al recinto di Palazzo Barberini con visione del parco attraverso una grata. Questa esiste ancora ma dietro c’è un muro appartenente ad un palazzo in stile Piacentiniano costruito nei giardini.
Quasi venticinque anni fa fu effettuato un radicale restauro delle fontane che purtroppo si trovano in un quadrivio interessato da un traffico automobilistico molto intenso e dannoso al punto da rendere necessario un nuovo intervento.
Il restauro è stato complesso per liberare tutte le superfici lapidee dagli effetti della concentrazione di polveri inquinanti e dal calcare prodotto dal fluire dell’acqua, è stato anche necessario provvedere ad interventi di consolidamento di parti in travertino, specie le vasche interessate anche da patine biologiche e da danni al rivestimento interno.
Ora le Quattro Fontane risplendono ma perché restino tali sarà necessaria una costante e periodica manutenzione.

 

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Autore: Domenico Fontana (attr.), Pietro Berrettini da Cortona
Datazione: 1588-1593, 1667-69
Materiali: marmo, peperino, travertino, malta, stucco, intonaco
Alimentazione originaria: Acquedotto Felice

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Bernini disegnatore

Il Bernini fu un genio polivalente, scultore, architetto, pittore, creatore di apparati scenici per feste ed esequie, di macchine pirotecniche, di sceneggiature teatrali; ma alla base di tutto c’era una grande pratica del disegno, una capacità di accennare una scena o una figura con pochi tratti, un senso innato delle proporzioni e del movimento.
All’intenso rapporto tra il Bernini ed il disegno è dedicata una mostra che si tiene a Palazzo Barberini in collaborazione tra la Soprintendenza al Polo Museale Romano e il Museum der bildenden Kunste di Lipsia detentore di buona parte dei disegni esposti; il resto proviene da raccolte italiane ed estere.
Precedentemente erano in esposizione a Lipsia nella mostra “Bernini, Erfinder des barocken Rom”. I disegni sono giunti nella città tedesca nel 1713, acquistati a Roma dall’antiquario Renzi a cui, a sua volta, erano pervenuti da vendite degli eredi di Cristina di Svezia. Sono opere eseguite con tecniche diverse: a matita, a sanguigna, a penna, a volte sono schizzi sommari, a volte disegni rifiniti in ogni parte. In alcuni casi ci sono più versioni dello stesso soggetto che indicano le successive varianti delle intenzioni dell’artista o interventi della committenza.
Ci sono disegni per la Cappella Chigi in Santa Maria del Popolo, per la statua di Santa Teresa in Santa Maria della Vittoria, per la Fontana dei Quattro Fiumi a Piazza Navona. Sono presenti anche disegni non collegabili ad alcuna opera nota, forse eseguiti solo per divertimento personale, studi di nudo di tipo accademico nonché ritratti e autoritratti. Questi appaiono nella prima delle sei sale in cui si articola la mostra che è aperta da uno splendido ritratto del Bernini anziano dipinto da Pietro da Cortona, seguono autoritratti dell’artista in varie età, ritratti di noti ed ignoti ed alcune gustose caricature.
Nelle sale seguenti sono esposti disegni relativi a cappelle, fontane ed obelischi, studi relativi alla Basilica di San Pietro, al colonnato e alla teoria di Santi che lo coronano, tutti disegnati dal Bernini che li fece scolpire dalla sua bottega.
Sono presenti alcuni disegni del Borromini relativi a sue proposte per i campanili della Basilica in sostituzione di quelli fatti costruire dal Bernini e demoliti, con sua grande vergogna, per motivi statici. L’ultima sala contiene schizzi preparatori per un reliquiario della Vera Croce che in originale è stato recentemente identificato nella Cattedrale di Osimo.
La visita alla mostra si rivela un interessante percorso in quella attività del Bernini che è alla base di tutta la sua molteplice e variegata opera successiva.

 

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IL LABORATORIO DEL GENIO
Bernini disegnatore
Dal 10 marzo al 24 maggio 2015

Roma
Galleria Nazionale di Arte Antica di Palazzo Barberini
via delle Quattro Fontane, 13

Sito web

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Una sicurezza negli schemi

In un periodo così complicato come quello nel quale stiamo vivendo, è rasserenante vedere delle composizioni geometriche, nelle loro svariate articolazioni, che costruiscono il senso dello spazio senza sviare l’attenzione.

Geometrie “secche” e “sfumate” proposte in una collettiva curata da Manuela Vannozzi con le opere puramente pittoriche di Bruno Aller, Salvatore Dominelli, Tancredi Fornasetti, Eliseo Sonnino e Uemon Ikeda.

Una mostra che offre un’occasione di confronto tra i differenti spazi pittorici concepiti con le geometrie come quelli di Bruno Aller, realizzati in una visione pittorica di forme che emergono dall’oscurità, lasciando alle curve il superamento della rigidità delle rette, mentre Salvatore Dominelli plasma la pittura in una poetica cromatica delle forme e delle sfumature, filtrando le geometrie attraverso una lente per alterarne la realtà.

Più rigide nella definizione di forme è Tancredi Fornasetti, con le sue immagini caleidoscopiche tratte da un glossario Futurista, utilizzato per “decorare” lo spazio pittorico, mentre Eliseo Sonnino gioca con le frammentazioni geometriche e Uemon Ikeda segue degli schemi proposti per una visione prospettica di spazi bidimensionali.

Differenti declinazioni di una visione geometrica della pittura che può, se l’osservatore vuole, far riflettere e perdersi con la fantasia in un mondo di forme più che di figure.

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GEOMETRIE ASTRAENTI
Dal 20 febbraio al 30 marzo 2015

Roma
Università eCampus
via Matera 18

Orario;
dal lunedì al venerdì
dalle ore 9.00 alle ore 20.00
il sabato dalle ore 9.00 alle ore 12.00
la domenica chiuso

Informazioni:
http://www.uniecampus.it/

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Cubi d’umanità

Il Grande Gioco chiede di potere essere guardato e interpretato non in un unico, ma in più modi. È stato disposto così, ma come nel gioco cui si ispira avrebbe potuto avvenire anche in tanti altri modi, variando all’infinito la disposizione degli elementi che lo costituiscono.
Le figure dipinte sulle sei facce di ognuno dei 20 cubi in legno, come una sola moltitudine di soggetti individualmente multipli, creano una scultura modificabile ispirata sia alla dottrina induista della puodarsità, sia alla teoria del caso e del gioco nella cultura occidentale – da Eraclito a Schopenhauer, da de Saussure alla Kristeva, sia all’opera di quegli autori che da Mozart fino a Cortàzar, attraversando Mallarmé e le avanguardie, hanno a vario titolo e con diversi esiti “giocato” con l’hasard.
Che siano figure marginali o bambini vittime di ingiustizie, come Iqbal Masih, o icone della pubblicità o premi Nobel o scrittori (Joseph Rotblat, Muhammad Yunus, Mohamed ElBaradei, Nadine Gordimer, Julio Cortàzar, Arundhati Roy, Murakami Haruki, Suketu Mehta) , o donne impegnate a restituire dignità, diritti e speranza alle donne (Malalay Joya, Aung San Suu Kyi, Shirin Ebadi, Rigoberta Menchù, Shinto Hellar, Wangari Maathai, Niki Karimi), ogni segno, ogni colore, ogni trama dei volti dei protagonisti di queste favole metropolitane diventa racconto essendo pittura. Si tratta quindi di un’opera pittorica articolata e costruita nello spazio che, oltre a distinguersi per la coerenza e la purezza del codice linguistico ed espressivo, per l’originalità dell’impianto, per la flagranza delle immagini e dei loro movimenti nello spazio, infonde significato, unità e coesione interna alle molteplici sequenze e relazioni con cui, continuamente, si costruisce e decostruisce. Ogni faccia di ognuno dei cubi può leggersi sia come immagine in sé conclusa e risolta, come una piccola opera, di per sé godibile nella sua complessità e nel suo essere opera picta, sia come elemento di un insieme che nell’intersecarsi e diversificarsi di segni, e quindi di significati e di molteplici piani di lettura, trova la sua più profonda ragion d’essere e la sua finalità.

Silvana Leonardi ha creato un contesto complesso, una densa costruzione di insiemi di immagini, che tutte insieme costituiscono un vero e proprio evento nella forma della installazione, cui l’artista crede profondamente dandone però una versione molto personale.(…) La Leonardi ha messo a punto, in anni di lavoro capillare e molto appassionato, una tecnica che le consente di disgregare l’immagine, sia pur entro i limiti della riconoscibilità, mantenendone, però, tutta la forza e l’evidenza della verità o del ricordo. Ma i due termini, verità e ricordo, non sono qui contrapposti come capita sovente in altre esperienze creative; sono, al contrario, reciprocamente integrate così che quando l’artista lavora sul piano dell’evocazione niente si perde della sua presenza nel concreto del reale. Un reale, verrebbe da dire, tenuto a bada. Così scrive Claudio Strinati a proposito dell’installazione Il Grande Gioco, già presentata a Monaco di Baviera presso la Drissien Galerie.

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Mostre Silvana Leonardi IL GRANDE GIOCO silvana leonardi 1Silvana Leonardi
IL GRANDE GIOCO
Dal 21 marzo al 26 aprile 2015

Piacenza
Palazzo Marazzani Visconti
P.zza S. Antonino ang. Via Chiapponi

Informazioni:
Tel. 0523/1720408
Sito web

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Mostre Silvana Leonardi IL GRANDE GIOCO silvana leonardi 2

 

Restauri in Santa Maria in Trastevere

A cura della Soprintendenza Speciale P.S.A.E. e con il contributo di uno sponsor straniero sono state restaurate due opere d’arte mobili collocate nella terza cappella a destra della chiesa: una è un Crocefisso ligneo datato tra la fine del Trecento e l’inizio del secolo successivo, attribuito un tempo al Cavallini, ed ora restaurato dal consorzio RECRO a cura di due famiglie di Baltimora, Stafford e Stamford.
L’altra è un busto seicentesco in cera dell’Addolorata ed è stato restaurato a cura dei laboratori della Soprintendenza; il restauro è stato coordinato, sorvegliato e studiato dalla funzionaria della soprintendenza dottoressa Adriana Capriotti. Le due opere risultano da sempre presenti nella Basilica ma hanno peregrinato in vari luoghi seguendo le esigenze o le mode del momento; il Crocefisso la cui datazione oscilla e che si pensa sia stato oggetto di interventi successivi è citato alla fine del Cinquecento sulla parete sinistra della chiesa e poi verso la metà del ‘600 fu inserito in una edicola marmorea posta all’ingresso della basilica sulla parte destra. Si trattava di un complesso costituito da un altare barocco sovrastato da un busto seicentesco di Madonna in cera dipinta e dal Crocefisso appoggiato ad un affresco con Vergine e San Giovanni Evangelista dipinti dal Viviani, noto come il Sordo di Urbino.
L’apparato fu smantellato durante lavori ottocenteschi e le opere d’arte furono trasferite e rimontate nello stesso modo nel 1899 a cura del Cardinal Cassetta nella terza cappella di destra. Quest’ultima era stata fondata nel ‘600 dal Cardinale Federico Cornaro che commissionò al pittore Giacinto Brandi un dipinto con il martirio del suo santo omonimo; per motivi ignoti il quadro fu spostato e la cappella passò per il patronato di varie famiglie rimanendo sempre spoglia fino all’intervento del Cassetta. Per quanto riguarda il restauro del Crocefisso è stato accertato che è stato scolpito in legno di pioppo in più parti assemblate, sostanzialmente in buone condizioni ma coperto da uno strato di colore, ora rimosso, che gli dava l’apparenza di un bronzo.
Ora le due opere sono tornate nella cappella che sarà la loro sede con una sistemazione provvisoria in attesa che siano terminati anche i restauri delle pareti decorate a fine ‘800 con pitture a monocromo. Il loro restauro, e altri che si spera avverranno, renderanno ancora più interessante la grande chiesa Trasteverina che è una delle più belle ed antiche di Roma. Secondo la tradizione sarebbe sorta su una specie di casa di riposo per militari romani in congedo, comunque già nel terzo secolo doveva esserci un luogo di riunione dei cristiani forse predisposto da Papa Callisto. Dopo la pace costantiniana altri pontefici intervennero sull’edificio ingrandendolo e abbellendolo, Giulio I, Liberio, Adriano I, Gregorio IV, fino ad arrivare ad Innocenzo II, della famiglia trasteverina dei Papareschi, che riedificò la chiesa, tra gli anni 1130 e 1143, costruendo il transetto e decorando l’abside con splendidi mosaici. Ma i lavori di abbellimento non si interruppero e a fine XVI secolo il Cardinale Sittico Altemps fece costruire la Cappella della Clemenza; ulteriori interventi minori si ebbero nel ‘700 e nell’800.
L’interno è a tre navate separate da colonne romane di spoglio, per quanto riguarda l’arredo artistico è notevole il grande mosaico in facciata che rappresenta la Madonna in trono fra due teorie di Sante; nell’abside il grande mosaico diviso in due registri: il primo del XII secolo mostra Cristo e la Madonna in trono circondati da Santi e con Papa Innocenzo II con il modello della chiesa, l’altro, posteriore e assegnato al Cavallini, illustra in sei riquadri episodi della vita della Vergine.
Ci sono pregevoli cappelle di varie epoche come la manierista Altemps e la barocca Avila. Una delle più preziose opere mobili è la grande icona della Madonna della Clemenza, in stile bizantino, risalente al VI o VII secolo. La chiesa è una vera galleria d’opere d’arte di vari stili e varie epoche e merita una visita approfondita muniti se possibile di una guida dettagliata e ben documentata.

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