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Da Parigi il Museo D’Orsay

A Parigi, lo sapete tutti, c’è un Museo allestito all’interno di un ex stazione. Sto parlando, ovviamente, del Museo d’Orsay dal nome della famosa Gare d’Orsay. Ebbene questo splendido Museo ora, come dire, si rifà il look. Dall’idea primigenia di Gae Aulenti che lo pensò con pietra e luce diffusa a pareti scure e luci dirette. Il Nuovo Orsay, inaugurato nel 2011 e ancora oggi in ristrutturazione, comprende anche il nuovo modo di presentare quadri e sculture.  A raccontare, ora la storia di questo museo ci pensa una sezione dell’interessante esposizione inaugurata al Complesso del Vittoriano il 22 febbraio scorso (2014) e che chiuderà l’8 giugno di quest’anno. Si ha tutto il tempo per vedere le opere realizzate tra il 1848 e il 1914 dai più grandi maestri francesi di quel periodo. Sto, chiaramente, parlando di Gauguin, Monet, Degas, Sisley, Pissarro, Van Gogh, Manet, Corot, Seurat per parlare solo di alcuni artisti che la mostra ci offre. Il tutto attraverso settanta opere che partendo da quella pittura considerata accademica dei Salon e attraversando la rivoluzione impressionista arriva alle soluzioni formali dei nabis e dei simbolisti.

L’esposizione del Vittoriano Musée d’Orsay. Capolavori è curata da Guy Cogeval e da Xavier Rey ed è suddivisa dall’arte dei Salon alla Scuola di Barbizon, che darà inizio allo studio impressionista della luce e i pittori che ne fecero parte aprirono la strada al paesaggio impressionista.

Segue la sezione tra la modernità della tecnica impressionista e i soggetti rappresentati. La successiva sezione è tutta imperniata su quell’esperienza simbolista attraverso ritratti, scene di costume o paesaggi. Infine la sezione sull’eredità impressionista come i pointillisti che allargheranno ancora di più il limite della separazione delle macchie cromatiche portate avanti dagli impressionisti.

Ma voglio percorrere con voi l’itinerario della mostra, soffermandomi di tanto in tanto su alcuni dipinti e come spesso ho scritto, il consiglio è sempre quello solito. Vedersi l’esposizione una prima volta di seguito e ritornare un po’ a ritroso attraverso i dipinti che ci hanno colpito come ad esempio nella prima sezione quel La Jeunesse et l’Amour (Gioventù e Amore) di William Bouguereau (1825 – 1905) pittore accademico francese di modeste origini inglesi. Questo Gioventù e Amore rappresenta un nudo di donna dalle forme levigate e perfette intento nel rivolgere un sorriso all’amorino sulle sue spalle. Un bel dipinto come interessanti e validi sono i suoi oltre ottocento dipinti che ha prodotto. Eppure anche al suo tempo un certo Jules Castagnary definiva il guardare questa pittura come la responsabile di forti nausee. Il Castagnary, infatti, era tra i primi sostenitori del ‘nuovo’, appassionato di Courbet. Ma basta fare della Pittura, della Scultura o comunque dell’Arte che sia semplicemente il “nuovo”? E la bella pittura di Bouguereau? Se avete voglia andatevi a vedere sui motori di ricerca cosa ha veramente dipinto l’artista di origine inglese. Nella seconda sezione, Il paesaggio e la vita rurale: dal classicismo all’impressionismo, sono presenti artisti come Corot, Millet, Bazille, Monet, Pissarro, Sisley, Cezanne, Seurat e quel Paul-Camille Guigou (1834 – 1871) che a ventisei anni dipingerà Lavandaia sollecitato da Emile Loubon che lo spingerà alla passione per il paesaggio spronando lui e altri allievi a dipingere “dal vero”.

Veramente un’altra epoca, fuori dalle insignificanti installazioni a suon di video (viste e riviste) e di suoni che non hanno nulla a che vedere con la vera Pittura. Nella terza sezione: ‘Rappresentare la propria epoca: la vita contemporanea’, ci sono opere di Manet, Renoir, Degas, ancora Pissarro, ancora Monet e poi De Nittis.

Tutte opere abbastanza conosciute ma sempre godibilissime. A seguire la sezione Stati d’animo. La pittura simbolista e nell’ultima sezione, Dopo l’impressionismo verso le avanguardie del XX secolo, si può vedere il famoso dipinto L’italienne di Van Gogh.

Un viaggio di colore e di colori che attraversa poco più di sessanta anni di una pittura alla ricerca del “Bello”.

Ricca visione a tutti voi.

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Musée d’orsay Capolavori

Dal 22 febbraio all’8 giugno 2014

Roma

Complesso del Vittoriano

Ingresso:

12 € intero – ridotto 9,00 €

Orario:

dal lunedì al giovedì 9.30 – 19.30

venerdì e sabato 9.30 – 23.00

domenica 9.30 – 20.30

Informazioni:

tel. 06/6780664

Catalogo:

Skira

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Pittura Inglese del ‘700

A Roma la pittura inglese è di moda; dopo la mostra su Alma Tadema ed i pittori vittoriani al Chiostro del Bramante è ora la volta alla Fondazione Roma, a Palazzo Sciarra, la mostra Hogarth, Reynolds, Turner. Pittura inglese verso la modernità. La Fondazione, attraverso Arte Musei, e la Soprintendenza hanno dato vita ad una interessante esposizione di oltre un centinaio di pezzi pervenuti da quarantasette musei e collezioni private in massima parte di provenienza estera. Attraverso le opere esposte si ricostruisce un importante periodo della storia della Gran Bretagna tra la seconda metà del XVIII secolo e la prima metà del XIX; fu un periodo in cui cominciò a svilupparsi il grande impero inglese che poi raggiunse il suo culmine a fine ‘800. Uscita sempre tra i vincitori dalle guerre di Successione e da quella dei Sette Anni l’Inghilterra ridimensionò i precedenti imperi coloniali di Spagna, Portogallo, Olanda e Francia sviluppando una poderosa flotta che divenne padrona poco contrastabile dei mari, iniziò la conquista dell’India e inviò navi alla scoperta dell’Australia e di molte isole dell’Oceano Pacifico.

Contemporaneamente si ebbe una grande mutazione sociale, all’aristocrazia legata alla proprietà terriera si affiancò una borghesia operosa attiva nei commerci con le colonie e legata alla nascente industria basata sull’uso appena scoperto del vapore come forza motrice utilizzando il carbone fossile molto abbondante in Inghilterra.

Fino allora la pittura inglese era rimasta nell’ombra e la nobiltà, unica committente, faceva riferimento all’arte italiana e francese ma con l’affermarsi rapido e massiccio della borghesia iniziò a svilupparsi un tipo di pittura locale destinato a un’immediata celebrità e ancor più nel secolo successivo.

All’epoca i dipinti erano suddivisi per tipologie: storici, mitologici, religiosi, ritratti, paesaggi, nature morte; la Chiesa Anglicana non favoriva la pittura religiosa, i ricchi borghesi trovavano forse ridondanti i temi storici e mitologici, preferivano arredare le loro case con ritratti loro, di parenti, di amici e con paesaggi di ogni genere. In questo caso le distanze da loro prese con la pittura italiana erano più di forma che di sostanza in quanto molti degli artisti dell’epoca avevano fatto il loro bravo soggiorno a Roma e si erano documentati sugli stili allora in voga.

La mostra espone opere di numerosi pittori e si articola su sette sezioni curate da Carolina Brook e Valter Curzi; la prima, contenente anche un dipinto del Canaletto, mostra quadri che testimoniano lo sviluppo edilizio di Londra che dopo il grande incendio del 1666 ebbe una impressionante crescita demografica, la seconda fa perno sulla affermazione della borghesia come classe sociale in rapida espansione, la terza mostra opere di Hogarth e Fussli che si dedicano, specie il secondo, a dipingere scene relative a tragedie di Shakespeare. La quarta sezione segna il trionfo del ritratto in tutti i suoi generi, mezzo busto, figura intera, gruppi e contiene parecchi splendidi dipinti opera di Gainsborough, Reynolds, Zoffany, Ramsay. Ma la vera passione di tutti i committenti inglesi era  la pittura di paesaggio e la quinta e la sesta sezione sono ricche di quadri di genere; la quinta in particolare espone dipinti ad acquarello, tecnica fino ad allora poco stimata  che conobbe però una rapida espansione quando apparvero sul mercato confezioni di colori facilmente solubili che permettevano all’artista di dipingere”en plein air” cogliendo sfumature di luce senza essere costretto a lavorare in studio su schizzi e appunti per le difficoltà di gestire le materie organiche che costituivano i colori; la sesta invece presenta grandi quadri ad olio con paesaggi, a volte italiani, opera di Wilson e Wright of Derby.

L’ultima sezione mette a confronto i dipinti di due grandi paesaggisti inglesi, un po’ più tardi di quelli delle sezioni precedenti in quanto lavorarono anche nei primi decenni dell’800, Constable e Turner, il primo più legato ad una visione  statica del paesaggio inglese, il secondo, memore delle esperienze romane, portato a maggior dinamismo espressivo.

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06 Mostre Pittura Inglese del '700 5564HOGARTH, REYNOLDS, TURNER

Pittura inglese verso la modernità

Dal 15 aprile al 20 luglio 2014

Roma

Fondazione Roma Museo (Palazzo Sciarra)

via Marco Minghetti 22

Orario:

lunedì 14/20

venerdì e sabato 10/21

martedì mercoledì e domenica 10/20

Informazioni e prenotazioni:

tel. 06/69205060

Sito mostra

Sito web

Catalogo:

Skira

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 06 Mostre Pittura Inglese del '700 02-Joshua-Reynolds-Lady-Bampfylde

La gloria dei vinti

Rendere omaggio al valore dei vinti è un concetto di grande generosità purtroppo poco tenuto in considerazione sia in passato che nel presente; c’è stata comunque qualche eccezione una delle quali riguarda un antico re, Attalo I di Pergamo. Era il sovrano di un piccolo regno dell’Asia Minore originatosi dallo sfaldamento dell’impero di Alessandro Magno e nel 240 a.C. sconfisse i Galati, una popolazione di origine celtica stanziata al centro dell’attuale Anatolia, che imperversava con sanguinose razzie nelle regioni vicine.

La vittoria ebbe grande risonanza nel mondo ellenistico ed Attalo la sfruttò commissionando due grandi opere bronzee che lo celebravano. La prima, nota come “il Grande Donario”, era costituita da una base circolare che ospitava, a detta di Plinio e Pausania, tre grandi statue, di misura superiore al vero, rappresentanti Galati sconfitti e morenti; opera dello scultore Epigonos era collocata nell’acropoli di Pergamo vicino al tempio di Atena Nikeforos (apportatrice di vittoria). L’altra, conosciuta come “il Piccolo Donario”, fu donata da Attalo ad Atene e posta sull’acropoli su una base a forma rettangolare, era insieme a altri gruppi simili rappresentanti l’Amazzonomachia, la Gigantomachia e la Medomachia; la donazione aveva sicuramente lo scopo di creare un gemellaggio tra Atene e Pergamo sia culturale che politico.

Le statue poste sulla base, di cui rimangono i resti, elevata di quasi due metri, erano circa una quarantina alte un po’ meno di un metro. Si ignora che fine abbiano fatto i due donari bronzei, si ritiene che durante il periodo imperiale siano stati portati a Roma da Nerone per la Domus Aurea e in seguito spostati da Vespasiano nel Templum Pacis dopodiché non ne abbiamo più notizie; due statue, il Galata morente ed il Galata suicida, appartenenti ad una copia  in marmo, forse di origine pergamena della seconda metà del I secolo a.C., furono rinvenute nel ‘600 nella Villa Ludovisi in una zona dove nell’antichità erano gli Horti Sallustiani precedentemente appartenuti a Giulio Cesare, forse il gruppo statuario fu un omaggio dei maggiorenti di Pergamo. Ora fanno parte la prima delle raccolte dei Musei Capitolini, la seconda di quella di Palazzo Altemps; secondo il professor Coarelli, in base a quanto descritto da Plinio, dovrebbe essere aggiunta al gruppo la statua, ora non più esistente, di una donna morta con un bambino.

Il Coarelli ha anche studiato il Piccolo Donario e ha curato una mostra, promossa dalla Soprintendenza e da Electa, che si tiene a Palazzo Altemps e che ha permesso la parziale ricostruzione del complesso artistico utilizzando statue provenienti da vari musei.

La storia moderna del Piccolo Donario inizia nel 1514 quando, da una lettera inviata da Filippo Strozzi a Lorenzo de’ Medici, nipote del Magnifico, apprendiamo che durante alcuni  scavi in un convento femminile, forse l’attuale Sant’Ambrogio della Massima, furono trovate cinque statue, di misura minore del vero, rappresentanti guerrieri morti o feriti; poco dopo ne furono trovate altre due. Conservate originariamente in Palazzo Medici, ora Madama, quattro statue passarono ai Farnese e poi ai Borbone di Napoli che le assegnarono all’attuale Museo Archeologico; altre tre finirono nella raccolta Grimani che ha costituito il nucleo del Museo Archeologico di Venezia.

Tre statue, forse pertinenti al Donario, sono conservate nei Musei Vaticani, al Louvre ed ad un museo ad Aix en Provence, questa con poca probabilità in quanto di dimensioni leggermente superiori alle altre. Dalla località del ritrovamento si può pensare che le statue ornassero il Portico di Ottavia o quello di Filippo; dato che dallo stile sembrano essere databili al II secolo d.C. potrebbero appartenere ad un grande restauro dei portici avvenuto all’epoca di Settimio Severo. La mostra curata dal Coarelli espone otto immagini di barbari  morti o feriti, una è una donna, poste in una posizione forse corrispondente all’originale unitamente ad un frammento del basamento proveniente da Atene. Nella stessa sala il gruppo del Galata suicida ed un grande sarcofago di epoca severiana che rappresenta una convulsa battaglia tra Romani e barbari; fanno parte dell’ordinario arredo museale ma sono idealmente collegati alla mostra. Il titolo di questa La Gloria dei Vinti vuole significare una concezione umana e generosa del rapporto tra vincitori e vinti; i Galati sconfitti sono ammirati e rispettati, il capo che si suicida, dopo aver ucciso la moglie, si volge con sguardo di sfida verso il vincitore mentre si immerge la spada nel petto; i due Donari mostrano solo i vinti non i vincitori che infieriscono contrariamente al grande sarcofago che presenta i barbari come selvaggi che meritano di essere distrutti senza pietà. Questa differenza di sensibilità è chiaramente visibile anche confrontando la Colonna Traiana con l’Antonina, tra le due corrono poco più di sessanta anni ma lo scenario politico e militare era molto cambiato: Traiano vincitore senza problemi può permettersi di rispettare ed ammirare il vinto Decebalo, l’impero è tranquillo, il nemico è lontano, il barbaro è ostile ma non fa paura. Marco Aurelio invece ha i barbari vicini, combatte ma non vince i Marcomanni, nell’impero c’è peste e carestia, il nemico terrorizza, mette in discussione gli equilibri faticosamente raggiunti, va annientato senza pietà e considerazione.

La mostra è una esposizione accurata del Piccolo Donario corredata da cartelli esplicativi ed esibisce anche una piccola ricostruzione del Grande Donario con le esatte posizioni delle due statue esistenti e quella probabile della terza.

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06 Mostre Piccolo Donario fotonews1LA GLORIA DEI VINTI

Pergamo, Atene, Roma

Dal 18 aprile al 7 settembre 2014

Roma

Museo Nazionale Romano – Palazzo Altemps

Orario:

da martedì a domenica dalle 9,00 alle 19,45

Curatore Filippo Coarelli

Catalogo:

Electa

Informazioni e prenotazioni:

tel. 06/39967700

tel. 06/56358003

Sito web

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L’esaltazione della dissimulazione in un Ballo

 L’Accademia di Belle Arti di Venezia celebra il Bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi (1813-2013) con un progetto interdisciplinare incentrato sulle opere verdiane Un ballo in maschera e La traviata. L’interpretazione data dalla curatrice Ivana D’Agostino, docente di Storia del Costume e della Moda degli eventi narrati dal libretto di Un ballo in maschera, scritto da Antonio Somma sulla traccia di Eugène Scribe, ne sposta gli avvenimenti dal XVII secolo al 1910.

Questa idea nasce dalla considerazione che il benessere di Boston, location dell’opera verdiana, incrementato nell’Ottocento e Novecento, come conseguenza della colonizzazione inglese del periodo considerato dal libretto, fu tale, non ultimo, anche a seguito delle terre espropriate ai nativi americani, i pellerossa delle tribù dei Mohawk, dei Wamponoag, dei Massachuset, ridotti così a vivere nelle riserve.

Il costituirsi di una classe imprenditoriale e della finanza portò i bostoniani a confrontarsi con la cultura e l’arte europei. La casa-museo inaugurata all’inizio del Novecento di Isabella Stewart Gardner, sposata a Boston con John Lowell Gardner II, con cui condivideva l’amore per il collezionismo di opere d’arte, diventa pertanto emblema della élitaria borghesia di quegli anni, trasformandosi idealmente nel palazzo di Riccardo conte di Warwich, il cui potere e prestigio esprime attraverso una dimora di raffinato gusto europeo.

Indicatori visivi di coloro che di questa interpretazione di Un ballo in maschera sono i “personaggi chiave”, diventano il gilet e la fodera del domino di Riccardo, dipinti con cavalcate dei pellerossa tra i paesaggi del Massachuset, e la coperta indiana indossata come un mantello dalla Donna misteriosa – una figurazione speciale che impersona la figlia di un capo tribù che interviene al ballo del III atto – decorata con gli stessi fregi degli abiti di Riccardo: emblemi di chi, a seguito delle conquiste coloniali ha consolidato benessere e ricchezza sottraendolo ai nativi; e di chi, discendente da quelli, arma la mano dei sicari che uccideranno Riccardo, e il potere che rappresenta, volendo ridare voce e dignità ad un popolo usurpato. Valori universali, dunque, che hanno a che fare con la storia dell’umanità in tutti i tempi.

Al taglio progettuale dato si uniformano anche l’ideazione dei figurini e dei costumi che risentono dell’influenza dell’haute-couture francese sullo stile della ricca borghesia americana. Queste considerazioni, e l’uso attento dei colori hanno dato carattere agli otto personaggi (quattro del libretto, Riccardo, Amelia, Ulrica, Oscar, e quattro figurazioni speciali inserite nella scena del ballo, Una donna misteriosa, Una giovane ereditiera, Una giornalista di New York e La moglie di un banchiere di Boston) su cui le allieve del Biennio di Costume, di Pittura e di Grafica d’Arte hanno lavorato realizzando non solo figurini e costumi, quant’anche la pittura su stoffa ispirata ai decori secessionisti delle Wienerwerkstätte e a quelli Déco dell’Atelier Martine, trasformando i manichini per gli abiti, realizzando le parrucche ed i gioielli.

Per rendere fattiva un’operazione trasversale di questa portata si sono attivate le competenze specifiche di vari Atelier dell’Accademia e professionalità esterne all’istituzione.

L’Atelier di Scultura del prof. Giuseppe La Bruna ha preso parte al progetto modificando tutti i manichini da esposizione con l’aggiunta di teste stilizzate, braccia e mani. La presenza di un costumista, Andrea Cavalletto, ha svolto invece il compito di coordinare l’intero iter di progettazione a partire dai figurini, ai complementi dei costumi, alla scelta dei tessuti, così da garantire l’unità necessaria tra la chiave di lettura data al progetto, e l’esecuzione dei costumi, effettuata dalle allieve col supporto dell’Atelier Nicolao, la cui esperienza nell’ambito teatrale risulta indispensabile alla resa sartoriale dei manufatti.

I bozzetti scenografici e le maquette realizzati per Un ballo in maschera dalle allieve del Biennio di Scenografia, indirizzo Architettura di Scena del prof. Lorenzo Cutùli rispondono anch’essi stilisticamente nella progettazione degli spazi a questa chiave di lettura, con l’eccezione di quelli di Milica Mitrović ispirati a una Venezia visionaria.

E a Venezia che fu sede della prima rappresentazione di Traviata nel 1853 al Gran Teatro La Fenice, alla fascinazione delle sue architetture riflesse, dell’elemento acquoreo, dei suoi preziosismi orientali, delle sue tipicità ed unicità, delle sue commistioni e tangenze culturali, fanno riferimento i percorsi di creazione progettuale dell’ambientazione scenografica degli allievi del triennio e del Biennio di Scenografia dell’indirizzo Architettura di Scena coinvolti nel progetto, a cui la città lagunare ha suggerito  un primo fondamentale approccio, supportato dall’approfondimento di studio del libretto e delle sue connotazioni storiche.

Per Traviata, nei progetti proposti dagli allievi del prof. Lorenzo Cutùli, si ritrovano i colori dell’anima: il rosso della passione, il freddo della solitudine e della malattia, i toni aranciati e i verdi acidi dell’aristocrazia corrotta preda delle feste e del gioco d’azzardo, inneggianti la mercificazione del corpo femminile.

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BOZZETTI FIGURINI MAQUETTES

Personaggi e spazio scenico di Un ballo in maschera e La traviata

Dal 25 aprile al 18 maggio 2014

Venezia

Magazzino del Sale 3

Dorsoduro 264, Zattere

Mostra di figurini, costumi, bozzetti scenografici e maquettes

 

Curatore: Ivana D’Agostino

Orari apertura:

dalle 11,00 alle 18,00

chiuso il martedì

Ingresso:

libero

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Scopophilia: passione del guardare

Sei mesi d’amore tra le opere del Louvre.

 Alla Gagosian Gallery di Roma

forma ovoidale in assordante brusio

NAN GOLDIN

realizza espone e svela

con  maestria non solo d’arte fotografica

l’antico studio che noi mortali

elaboriamo perduta-mente all’infinito

sorpresi confusi e persi

già dal riflesso fatale della fonte

illusorio amplesso del sogno e del vero

dove arte della natura e natura dell’arte

si specchiano e si confondono

nell’effimero mistero del corpo

idolo mortale e irraggiungibile

che l’artista americana come ognuno

ADORA

“il resto è silenzio”.

Poi…l’adagio del paesaggio azzurro

in quattro quarti

riporta celesti melodie dell’anima

mentre l’occhio riposa

dove tace finalmente la mente.

 

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06 Mostre Gagosian 4150d5909ec97210327f11e8f6946cddNAN GOLDIN:

Scopophilia

Dal 21marzo al 24 maggio 2014

 

Roma

Gagosian Gallery

via Francesco Crispi, 16

tel. 06/420.86498 – 06/4201.4765

sito web

 

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