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Icone e Feticci

Ci giunge notizia che a New York folle quasi in preda ad affannosa isteria corrono, letteralmente corrono ad ammirare la Ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer. (Ricordate? Se ne fece tempo fa anche un film tipo pasticcio sentimentale: soldi buttati via per una storia assurda!). Va bene. Qual’è la novità? Ma non è una novità. Stesso fenomeno (bombardamento mediatico, file e attese ultrachilometriche) lo abbiamo avuto per altre “star”, che fossero i Bronzi di Riace, la Dama con l’ermellino di Leonardo o i Girasoli di van Gogh, per non parlare dell’ eterna, maniacale fissazione per la irridente Gioconda! Fenomeno che ci parla chiaramente dell’attrazione quasi folle che le masse hanno per “l’Icona”, la sacrale Immagine che in sé racchiude pulsioni, desideri, delizioso sgomento per una magica, unica apparizione che prepotentemente ci magnetizza. Non ci interessa il contesto, la somma e l’approfondimento, l’evoluzione estetica e l’analisi del percorso creativo.

Vogliamo solo lei: la primadonna, la protagonista che abbiamo eletto a punto di riferimento assoluto, enigmatico, affascinante “buco nero” in cui si riversano intelligenze, curiosità, stupori. Non abbiamo tempo né voglia (e forse neanche capacità) di interessarci ad altro che non sia l’Immagine che abbiamo eretto a Totem, a Feticcio sacrale e riassuntivo delle nostre manie e fobie. Intorno all’Icona prescelta intoniamo nenie e cortei quasi trovassimo in essa risposte a oscuri disagi e a incertezze identitarie che imperversano sulle nostre folle contemporanee, sempre più povere di autentiche capacità percettive, di scelte e di libertà profonde e motivate.

I soliti stregoni ci imbastiscono la Stella santificata di turno ordinandoci oceaniche genuflessioni. A questo punto la critica artistica come l’effettiva qualità dell’opera in questione conta poco e qualsiasi contraddizione suonerebbe sacrilegio! Quel che conta è correre ed essere lì, aspettando il nostro turno di baciare il Sacro piede e di imbastire una specie di muta preghiera, di essere esorcizzati nel rituale di comune adorazione. Non è forse così anche in altri ambiti? Nello sport non è quel tale campione da cui solo ci aspettiamo miracolosi interventi? Non è quella star nel cinema, morta o vivente che sia, in cui riversiamo sogni e pretese di redenzione? Nella stessa politica non siamo sempre all’affannosa ricerca del Leader carismatico, del Grande Padre o Fratello che poi tante follie e tragedie collettive ha sempre provocato?..

La libertà costa cara: costa fatica, studio, solitudine, incomprensione. Poter capire e scegliere è raro privilegio, rara medaglia che pochi possono appuntarsi al bavero. E’ molto più comodo accodarsi e farsi trascinare nell’orgia della stupefazione ammirativa per la Sacra Immagine di turno: misteriosa Fanciulla, prega per noi!

 06 Riflessioni Arte ICONE E FETICCI Ragazza con l’orecchino di perla Fig1

Le fiabe di Benaglia

Enrico Benaglia propone una serie di opere, tra cui alcuni inediti, eseguiti con la tecnica del pastello, con la quale ricava una prima bozza delle sue opere che poi trasforma in oli dopo aver studiato il tema e il tono cromatico con un pastello di dimensioni ridotte.

Usare il pastello permette di dare vita ad un’opera immediata, istintiva, volta a catturare le impressioni della realtà che poi il Maestro muta e trasforma negli esseri e nei paesaggi del suo mondo di favola, riuscendo a trasportare l’osservatore in un sogno ad occhi aperti.

La tecnica del pastello ben si presta a esprimere l’universo fiabesco di Benaglia: la morbidezza del pigmento, le sfumature e le velature, la pastosità degli infiniti toni fanno di queste opere autentici gioielli da collezione.

 

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Enrico Benaglia Roma musicainfinita_enricobenaglia

MACSI

vicolo del Campanile 9-9b

ENRICO BENAGLIA

Pastelli

Dall’8 novembre al 6 dicembre 2013

Orario:

dal mercoledì alla domenica

dalle 16.00 alle 20.00

Ingresso libero

Tel. 3392490110

Sito web

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Il ponte che vive

Ponte Rotto è uno fra i più anonimi monumenti di Roma, conosciuto anche come Pons Aemilius o Ponte Emilio – nella sua forma latina e italiana – è il più antico ponte in pietra di Roma inaugurato nel 174 d.C., sebbene un ponte ligneo fosse esistito sullo stesso sito fin dal 179 a.C. Oggetto di continue distruzioni e ricostruzioni, la sua metà orientale fu distrutta da un’inondazione nel 1598. Fu rimpiazzato dall’adiacente Ponte Palatino nel 1886.

Ore il Ponte Rotto non ha alcuna funzione e non rappresenta nulla. Non è segnalato da nessuna indicazione turistica e viene ignorato dalla maggior parte dei turisti; nonostante sia un’icona per molti abitanti, molti altri gli passano accanto con indifferenza. Questo contesto dà a Rewakowicz la possibilità di esplorare la dimensione umana del “paesaggio”: un genere definito dal suo contatto con gli esseri umani. In uno dei due film in mostra all’Istituto Polacco l’artista racconta la storia di persone la cui vita è legata al ponte, nonostante il ponte per loro non assolva il suo scopo originario.

Nel preparare un intervento su Ponte Rotto a Roma, Ana Rewakowicz coglie l’occasione di riflettere sul passato culturale della città e sul suo presente. Da dodici anni a questa parte l’artista lavora su oggetti gonfiabili e sulla loro relazione con l’architettura, il corpo e l’ambiente, producendo strutture temporanee che incoraggiano gli spettatori a interagire l’uno con l’altro e con ciò che li circonda. La mostra dell’artista all’Istituto Polacco induce – grazie a un’installazione, due film, e una serie di foto-disegni – a una riflessione sul legame tra Roma e il suo contesto. L’intero lavoro fa riferimento alla ricostruzione di Ponte Rotto, pianificata da tempo, tramite il completamento temporaneo degli archi mancanti. Analogamente al lavoro di Ana Rewakowicz intitolato Green Line Project (2006) – una ‘linea’ di 350 metri di materiale biodegradabile che si stendeva dall’isola di Lauttasaari fino ad Helsinki – il progetto di Ponte Rotto mira a un semplice intervento contemporaneo inserito in un paesaggio senza tempo. Nella Città Eterna un simile metodo operativo incontra un contesto particolare poiché ciò che è provvisorio si misura con l’antico.

La proposta di Ana Rewakowicz, di completare temporaneamente il ponte utilizzando materiale interamente riciclabile, induce a riflettere sulla convergenza di presente, passato e futuro in una cancellazione della distinzione tra “adesso”, “allora” e ciò che verrà.  Questo allo scopo di creare un contesto che sottolinei la distruzione del ponte non quindi per mostrare la bellezza, ma per guidare lo spettatore verso ciò che è importante: cioè l’“adesso”, che non deve essere cercato in un’incessante sete di novità, ma può essere trovato nell’apertura a un contatto con un ambiente più vasto. Il temporaneo intervento di Rewakowicz sottolinea precisamente l’imperfezione del ponte e della città, che trova la sua contemporaneità nella quotidiana apertura al passato, rinnovato giornalmente attraverso la percezione dei suoi abitanti. Il progetto di Ponte Rotto è un intervento temporaneo che indaga su dove Roma possa posizionarsi in un mondo in rapida mutazione e in un contesto artistico globale. Mike Watson.

L’artista, in concomitanza con la mostra, terrà un laboratorio presso l’Istituto Polacco.

Il laboratorio è a cura di ALAgroup, la piattaforma di educazione e arte contemporanea fondata da Maria Rosa Sossai. www.alagroup.org

 

06 Mostre Ana Rewakowicz Ponte rotto

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Ana Rewakowicz

Ponte rotto

Dal 4 novembre 2013 al 17 gennaio 2014

Roma

Istituto Polacco

via Vittoria Colonna 1

Orario:

dal lunedì al giovedì dalle 10.00 alle 17.00

venerdì su appuntamento

Ingresso:

libero

Sito web

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06 Mostre Ana Rewakowicz Ponte rotto 1

Il lungo viaggio dell’istruzione

I protagonisti involontari dell’ultimo lungometraggio di Pascal Plisson, senza conoscere Antonio Gramsci o Don Lorenzo Milani, nel teorizzare e praticare l’importanza dell’istruzione, appaiono consapevoli della rilevanza che ha la conoscenza per migliorare la vita.

Il regista francese, nel preparare un film, si è trovato davanti ai sacrifici che i ragazzi devono affrontare in vari luoghi del Mondo per andare a scuola. Una realtà che ignorava quella di intraprendere un periglioso viaggio che portavano i coraggiosi scolari da casa a scuola e viceversa, perdendo, lungo la strada, un po’ d’infanzia ogni giorno.

Dall’Africa, Asia e America Latina, per raccontare quattro storie in climi avversi e in un ambiente sfavorevole, tra animali ostili e malfattori, mentre in Italia, ma anche in altre parti del Mondo dove tutto è più facile e basta prendere il bus o il treno per ricevere un’istruzione, l’abbandono scolastico è sempre presente.

Il film narra le storie di quattro bambini, provenienti da differenti angoli del pianeta, ma uniti dalla stessa sete di conoscenza. Dalle savane sterminate del Kenya, ai sentieri tortuosi delle montagne dell’Atlante in Marocco, dal caldo soffocante del sud dell’India, ai vertiginosi altopiani della Patagonia, i quattro protagonisti, Jackson, Zahira, Samuel e Carlito sanno che la loro sopravvivenza, dipenderà dalla conoscenza e dall’istruzione scolastica, l’unico modo per salvarsi, tanto più se si è una bambina.

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06 Cinema Vado a scuola locandinaVado a scuola

(Sur le chemin de l’école)

Regia: Pascal Plisson

Sceneggiatura: Marie-Claire Javoy, Pascal Plisson

Fotografia: Simon Watel

Montaggio: Sarah Anderson, Sylvie Lager

Musiche: Laurent Ferlet

Produzione: Winds, Ymagis, Wild Bunch

Distribuzione: Academy Two

http://www.academytwo.com/film.php

Paese: Francia, 2012

Anno uscita: 2013

Durata: 1 h 15 min.

Formato: Colore

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Pictor Urbis

Così veniva chiamato Antonio Aquili più noto come Antoniazzo Romano, nato a Roma tra il 1430/35 e qui morto nel 1508, operante sia in città che nel Lazio Pittore versatile e capo di una avviata bottega ebbe committenti religiosi e laici ed adeguò spesso la sua arte ai loro gusti: pur potendo essere definito un pittore rinascimentale si cimentò anche in stili attardati di tipo tardo gotico dipingendo tavole a fondo oro.

Il Vasari, che scrisse a metà ‘500 le Vite dei più eccellenti pittori, pur esaltando soprattutto i pittori toscani suoi conterranei, elogia Antoniazzo definendolo “pittore dei migliori che fussero allora in Roma”. Non si sa molto della vita dell’artista, era figlio di Benedetto pittore ed aveva due fratelli anch’essi pittori, la ricostruzione delle sue vicende è più difficile rispetto a quella di artisti suoi contemporanei; ebbe certamente rapporti con Beato Angelico, Benozzo Gozzoli e Piero della Francesca tutti operanti a Roma e nel 1465 collaborò con Melozzo da Forlì nella decorazione ad affresco della Cappella Bessarione nella Basilica dei Santi Apostoli in Roma, riscoperta pochi decenni fa in una posteriore intercapedine; nel 1468 partecipò al ciclo illustrante la vita di Santa Francesca Romana nel convento delle Oblate a Tor de’ Specchi.

Lavorò in Vaticano con il Ghirlandaio, Melozzo e il Perugino e a lui è stato recentemente attribuito il ciclo di affreschi “storie dell’invenzione della vera croce” nel catino absidale della chiesa di Santa Croce in Gerusalemme precedentemente ritenuto opera del Pinturicchio. Dipinse anche a Tivoli, Bracciano, Subiaco, Viterbo.

Le opere esposte in una mostra presso la Galleria Nazionale di Arte Antica a Palazzo Barberini provengono da svariati musei e raccolte private, sono una cinquantina e offrono un vasto panorama dell’attività dell’artista e della sua prospera e operosa bottega che è stata individuata nell’attuale Piazza Rondanini. Accanto alle opere d’arte, tavole ed affreschi staccati, sono in mostra documenti provenienti dall’Archivio di Stato quali lettere autografe, contratti, atti privati e il testamento del pittore.

L’Accademia di San Luca espone un codice miniato del 1478 con lo statuto della corporazione dei pittori della quale Antoniazzo fu console.

Sono presenti numerose pale d’altare con Madonne e Santi e piccole tavole per culto privato con la Vergine e il Bambino nonché il ciclo pittorico in affresco della Camera di S.Caterina da Siena riunito per l’occasione dato che, dal ‘600, è stato staccato dalla sede originaria e diviso tra i conventi della Minerva e di S.Caterina a Magnanapoli; chiude la rassegna delle opere dell’artista la splendida tavola, a fondo oro, proveniente dalla chiesa di Santa Maria sopra Minerva; voluta dal Cardinale Torquemada rappresenta una Annunciazione con un contorno di fanciulle appartenenti ad una congregazione di ragazze povere, che il cardinale forniva di dote, a cui, la Vergine consegna un sacchetto di monete. La tavola, datata nell’anno giubilare 1500, è l’ultima opera nota di Antoniazzo.

Fanno contorno alcuni dipinti dovuti al figlio Marcantonio, che trasferì la bottega a Rieti, e ai collaboratori Jacovetti, Scacco, Gatti e Cola dell’Amatrice. In occasione della mostra gran parte di quanto esposto è stata restaurato ad opera delle Soprintendenze competenti, per lo più da personale interno.

Per gli affreschi è possibile seguire un itinerario che consente di visitare le chiese che ospitano dipinti di Antoniazzo Romano: Santi XII Apostoli, Santa Croce in Gerusalemme, San Giovanni in Laterano, San Pietro in Montorio, Sant’Onofrio.

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06 Mostre Antoniazzo 5524Antoniazzo Romano

PICTOR URBIS

Dall’11 novembre 2013 al 2 febbraio 2014

Roma

Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini

via IV Fontane 13

Orario:

da martedì a domenica

dalle 10.00 alle 19.00

Informazioni:

tel. 06/4824184

Sito web

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 06 Mostre Antoniazzo