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Dal più piccolo all’inafferrabile

Nell’ambito della settima edizione di Photofestival è presente il lavoro fotografico di Mauro Colella, presentato negli spazi della Biblioteca Affori, sotto il titolo Esplorazioni da un terrazzo di città.

 

Un documentazione fotografica quella di Mauro Colella realizzata da un terrazzo di Milano in un anno di osservazioni sulla città e sul mondo. La luna, i satelliti di Giove, il transito di Venere davanti al sole. Le stagioni, i cambiamenti climatici ormai evidenti. Nuvole strane, arcobaleni, neve, grandine. Colori e forme delle piante. Insetti comuni, insetti strani. Altri animali: alcuni arrivati da poco in città, mentre specie un tempo comuni spariscono. Per le piante, nuove malattie esotiche. Musicisti di strada e… microscopia in cucina. Un anno di eventi visti dall’alto.

 

La fotografia d’autore è protagonista a Milano e con loro Mauro Colella con la settima edizione di Photofestival, l’importante manifestazione che per oltre un mese animerà l’intera città, coinvolgendo le principali gallerie d’arte ed alcuni degli spazi istituzionali più rappresentativi, attraverso un circuito articolato di oltre 100 mostre fotografiche. Promosso da AIF – Associazione Italiana Foto & Digital Imaging – in collaborazione con Camera di Commercio e Unione Confcommercio Milano – e nato come evento culturale in affiancamento all’edizione milanese di Photoshow, la manifestazione fieristica di riferimento in Italia dedicata all’Imaging, Photofestival è divenuto un appuntamento di respiro internazionale e di richiamo culturale sempre più importante, assumendo dallo scorso anno una cadenza annuale.

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201 invito tipo Affori libriPhotofestival

Milano 2013

 MAURO COLELLA

Dal terrazzo

 Dal 21 marzo al 30 aprile 2013

Biblioteca Affori

viale Affori, 21

 Tel. 02/884.62522

http://www.photofestival-milano.it/index.htm

 

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La coscienza di Zeno” al Quirino

“MA LA VITA NON È DIFFICILE…LA VITA È ORIGINALE”

In coincidenza con la moda della sigaretta elettronica,

nasce la nuova messa in scena de “La Coscienza di Zeno”

ad opera di Maurizio Scaparro.

Tra le due cose c’è quasi un nesso se si pensa che Zeno, protagonista della storia,

individua nella dipendenza dal fumo la prima delle sue “incurabili debolezze”

e la sigaretta sarà l’alibi che lo porterà a sottoporsi alla tirannia del dottor S.

La versione teatrale è quella che Tullio Kezich, scrittore e critico Triestino,

aveva tratto, nel 1963, dal famoso romanzo di Italo Svevo.

Nel 1923, alla prima uscita del libro, la psicanalisi non aveva ancora compiuto trent’anni

ma la fama di Freud e la curiosità per la sua fascinose teorie

stava lievitando tra gli intellettuali e presso certa borghesia mitteleuropea.

“La vita attuale è inquinata alle radici”  è l’ amara considerazione di Zeno che…

per quanto riguarda la storia dell’uomo potrebbe considerarsi valida da sempre.

“Ma la vita non è difficile… la vita è originale” in quanto imprevedibile.

Potremmo aggiungere che la vita ci appare unica e irripetibile

e da qui “ il male del vivere” di cui autori e personaggi, reali e del Teatro,

sono affetti inguaribilmente con scarse prospettive di salvezza.

Se é vero che ognuno, sotto infinite maschere, non possa raccontare che se stesso,

Svevo è scopertamente autobiografico già nel suo primo romanzo: “Un inetto” ,

titolo fin troppo esplicito, che verrà sostituito prudentemente dall’editore

col più invitante e generico: Una vita” ( pubblicato  nel 1892,

quando il triestino Italo Svevo, ha poco più di trent’anni.)

 

L’attuale messa in scena, segretamente inquieta, del capolavoro sveviano

rivela dall’inizio l’impegno misurato di Scaparro, regista romano-cosmopolita

che nulla mai concede al facile piacere di un “effetto”.

Già l’idea blasfema iniziale di una seduta psicanalitica gettata in pasto al pubblico,

è resa con disinvolta eleganza da un Giuseppe Pambieri perfetto nel ruolo di Zeno Cosini

E mentre nei ritmi garbati del “salotto buono” si colgono tensioni e contrasti

di una Trieste fremente per natura, tra asprezze carsiche e immensa voluttà del mare,

il bel protagonista incarna con eleganza ansie e tormenti di una terra di confine

che ben esprime un nuovo secolo di incognite stagioni.

Così, tra rischiose imprese mercantili, scontri culturali e ineluttabili obblighi sociali,

(come il “dovere” di prender moglie a tutti i costi, oltre un filo latente di misoginia)

Zeno riconosce in se ed esprime la fatale inettitudine di un mondo folle,

crudele, bonario e lamentoso che fatalmente si appresta ancora una volta,

e con impegno, a celebrare il rito di una nuova guerra.

Attorno all’ombra tormentata e dominante di Zeno-Nievo-Pambieri

ruotano sei attrici e quattro attori: Anna Paola Vellaccio, trepidante madre…

di tre signorine da marito, più una “tenera” fanciulla “dispettosa”:

(Antonia Venzella, Guanda Goria, Livia Cascarano e Silvia Altrui)

immagini tardo romantiche ben disegnate con giusta misura di ironia.

Sesta donna è Carla Greco, l’immancabile cantante, amante dell’eroe,

(forse il personaggio più moderno e reale, giustamente interpretato da Marta Ossoli)

Enzo Turrin gioca egregiamente nel duplice ruolo del dott.S e di Giovanni Malfenti,

mentre Giancarlo Condé è altrettanto abile nei panni del dott.Coprosich e di Enrico Coppler,

e infine Guido Speier, forse il vero folle, sfortunato cognato di Zeno impersonato da Francesco Wolf,

né possiamo dimenticare Raffaele Sinkovic nei panni del genuino segretario Luciano.

Tredici personaggi, guidati sapientemente da Maurizio Scaparro

e accuratamente abbigliati da Claura Ricotti rivivono

nel quadro di un passaggio d’epoca, dove il tempo che va…

prescinde i grandi orologi dorati che accompagnano…

il suono ineffabile dell’ immancabile, pianoforte verticale.

Oltre la bella vetrata madreperlacea, le scene sono opera di Lorenzo Cutùli

mentre le preziose musiche sono firmate da Giancarlo Chiaramello.

Il tutto come a continuare e concludere il grande discorso cecoviano…

di un tempo che fatalmente trascorre… nell’apparente immobilità.

 

E in finale si vede come l’umano, oltre ardui dialoghi e inutili corali,

si riveli sempre e soltanto nel monologo.

Grandi applausi alla prima e siamo certi che altrettanto successo avranno le repliche.

 

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Teatro zeno A (33)Giuseppe Pambieri, Enzo Turrin“LA COSCIENZA DI ZENO”, prodotto dal glorioso Teatro Carcano di Milano,

resta in scena al Teatro Qurino di Roma solo fino al 14 aprile,

per concludere, il 16 e 17 a Campobasso, la sua prima tournée.

In autunno si riprenderà un nuovo ciclo di spettacoli.

 

Teatro Quirino – Info. 06/6783048 / Botteghino Tel. 06/6794585

http://www.teatroquirino.it/

Teatro Carcano Centro d’Arte Contemporanea

 Teatro zeno C (8) Giuseppe Pambieri

 

Quando l’arte non è un’isola

Lucilla Caporilli Ferro, dopo una vita impegnata perché l’arte contemporanea compiuta da molti sia di tutti, è scomparsa improvvisamente a Roma quasi un mese fa’. Fondatrice e presidente del Liart (laboratorio incontri d’arte), ha promosso lo scambio tra gli artisti di diversi paesi, credendo nell’arte come strumento di comunicazione ed è anche per questo che si è adoperata come insegnante presso il Liceo Artistico Caravillani, dove gli sarà dedicata la Sala Lettura.

Al suo ricordo è stata organizzata, nell’auditorium del Liceo Scientifico “Romita” di Campobasso, la mostra “Memento Lucillae”.

La sua ricerca era influenzata dalle geometrie semplici come si può facilmente comprendere dall’opera “Opus reticulatum” (dipinti a olio su carta), per dar vita a delle gestualità architettoniche.

Il suo impegno per l’arte andando oltre l’insegnamento e la realizzazione dell’opera, credendo nell’unione d’intenti come quando scrisse insieme ad altri artisti di varie associazione la Lettera aperta all’On.le Sindaco di Roma Walter Veltroni, aprì un dibattito sul ruolo dell’arte e la necessità di spazi per promuoverla al di fuori dei circuiti ufficializzati dalla politica del mercato.

Coniugava con positivi risultati l’arte con l’impegno sociale come nel caso della partecipazione, affianco di decine di artisti, all’installazione Il Muro. Tanti “mattoni” di ogni singolo artista contro l’incomunicabilità.

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Lucilla Caporilli Ferro LucillaEMAIL

In hoc signo vinces

Questa frase non si sa se sia stata pronunciata, come, dove e quando anche se a tutti è nota la leggenda riferita da Eusebio da Cesarea, è rimasta appiccicata a Costantino da 1.700 anni e ha fatto assumere alla figura dell’imperatore caratteristiche particolari; santo per la Chiesa Ortodossa, quasi santo per quella Cattolica, fu in realtà una personalità controversa. Pio e devoto, costruttore di grandi chiese, amico di papi e vescovi, cooperò all’organizzazione della Chiesa indicendo il Concilio di Nicea, nel 325 d.C., che ne tracciò i tratti essenziali, nello stesso tempo fu un autocrate durissimo, spietato con i nemici esterni e gli avversari interni, fece giustiziare per accusa di adulterio il figlio di prime nozze Crispo e la seconda moglie Fausta, fu un vincitore poco cavalleresco di Massenzio la cui testa fu spedita in giro per l’impero, ne spostò la capitale da Roma a Costantinopoli, città da lui fondata, riempì l’esercito di ausiliari barbari, divise infine l’impero tra i suoi figli come fosse una proprietà privata e non uno stato. Flavio Valerio Costantino nacque forse nel 274 d.C. nella fortezza legionaria di Naissus, nell’odierna Serbia, figlio di Flavio Valerio Costanzo detto Cloro, il pallido, alto comandante imperiale e di Elena definita dalla fonti “stabularia” cioè proprietaria di una locanda con cambio cavalli oppure lavorante in essa; il nome Flavio era una autonobilitazione in quanto padre e figlio ci tenevano a farsi riconoscere quali discendenti della famiglia Flavia che aveva gestito l’impero nella seconda metà del I° secolo d.C. Il giovane militò nell’esercito pervenendo a gradi elevati e all’inizio del IV secolo raggiunse il padre che governava la Gallia e la Britannia con il titolo di Cesare.

Alcuni anni prima l’imperatore Diocleziano per dare una maggiore efficienza all’impero lo suddivise in quattro parti, due affidate ad imperatori di prima classe, gli Augusti Diocleziano e Massimiano, e due di seconda classe, i Cesari Costanzo e Galerio; il sistema prevedeva che in caso di morte o di abdicazione degli Augusti subentrassero i Cesari che a loro volta sceglievano i successori ma con il ritiro volontario di Diocleziano e quello forzato di Massimiano si scatenarono altri pretendenti: Flavio Severo, Massimino Daia, Massenzio e Costantino con una serie di guerre, tregue, alleanze, accordi matrimoniali. Costantino, alla morte del padre, fu acclamato imperatore dalle sue truppe, scese in Italia, proclamò a Milano il famoso sopravvalutato Editto del 313 con cui il Cristianesimo veniva riconosciuto come “religio licita”, sconfisse Massenzio a Ponte Milvio ed entrò vincitore a Roma; nel 324 rimase unico imperatore sino al 337 quando morì a Nicomedia.

Dal punto di vista di vista politico, militare ed amministrativo fu un grande imperatore, riunificò e riorganizzò l’impero, sconfisse i barbari, previde una riforma della monetazione basata sui solidus d’oro e sulla siliqua d’argento, fondò la sua nuova capitale in una città greca sulle rive dell’Elllesponto, chiamata Bisanzio, che assunse il nome di Costantinopoli, abbellendola con sontuose chiese ed imponenti edifici pubblici. Fu in ottimi rapporti con la Chiesa e da ciò forse nacque la leggenda della visione della Croce prima della battaglia di Ponte Milvio e della voce ultraterrena che avrebbe detto “ in hoc signo vinces”. Anche per influenza della sua devotissima madre Elena fece costruire a Roma le grandi Basiliche di San Pietro sulla tomba dell’Apostolo, di San Paolo anch’essa sul sepolcro del Santo e la Basilica del Laterano sede del Vescovo di Roma. La madre Elena invece fondò la chiesa di Santa Croce in Gerusalemme utilizzando parte del Palazzo imperiale Sessorium vicino a Porta Maggiore; in tutti i casi furono costruzioni site in zone periferiche per non urtare la suscettibilità della popolazione pagana e dei senatori in gran parte tradizionalisti. Si dice che si facesse battezzare solo in punto di morte ma si fece seppellire a Costantinopoli nella Chiesa dei Santi Apostoli da lui fondata e contenente i cenotafi dei 12 Apostoli che circondavano il sepolcro dell’imperatore che amava essere considerato il “tredicesimo Apostolo”.

Quest’anno ricorre il diciassettesimo centenario dell’editto di Milano e della battaglia di Ponte Milvio e la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma ha accolto al Colosseo una mostra su Costantino che si è tenuta a Milano, al Palazzo Reale, con grande successo di visitatori e di critica. Si tratta di 160 reperti provenienti da diversi musei e che costituiscono un affascinante percorso storico-archeologico tra la fine del III° e la metà del IV° secolo d.C..

Accolgono il visitatore molti busti in marmo, maschili e femminili, riproducenti le fattezze di personaggi legati alle varie famiglie imperiali; tra loro spicca il calco di una gigantesca testa bronzea dell’imperatore ed una mano con un globo, attualmente ai Musei Capitolini, facenti parte di una colossale statua. Seguono sezioni che esaminano la religiosità nel Tardo Impero con lo sviluppo delle religioni orientali, vengono esposte immagini di Mitra, Serapide, Iside.

Molto interessante una vetrina contenente il corredo funebre con monili d’oro e pietre preziose di una donna sepolta nella Basilica di Papa Marco costruita sull’Appia nel 330 e rinvenuto in scavi della scorsa estate. Si passa poi ad esaminare il famoso Editto di Milano in realtà una lettera inviata da Costantino e Licinio, allora alleati, in cui si accorda la libertà di culto ai cristiani e a coloro che vogliono “seguire la religione che ciascuno crede, affinché la divinità che sta in cielo, qualunque essa sia, a noi e ai nostri sudditi dia pace e prosperità”.

Queste frasi sono considerate un grande segno di tolleranza e rispetto ma forse Costantino voleva solo attirarsi l’aiuto dei Cristiani sempre più influenti. Del resto a fine secolo l’imperatore Teodosio dichiarò la religione cristiana quale religione di stato vietando i culti pagani. Una sezione si interessa del “crismon” ossia il simbolo costituito dalle lettere greche XP iniziali della parola Cristos e che Costantino volle sui vessilli delle sue truppe, in più sono esposti numerosi anelli di vario materiale con il monogramma nel castone. Testimone delle guerre dell’epoca è un tesoretto ritrovato nei resti di una locanda contenente fra l’altro una cinquantina di monete, le più recenti datate al 313 d.C..

Una sezione illustra il palazzo imperiale del Sessorium abitato da Elena, unica della famiglia residente a Roma e dimora che Costantino non prediligeva, oltre alla sua tomba, tutt’ora esistente a Torpignattara, mentre il sarcofago in porfido si conserva ai Musei Vaticani insieme a quello, analogo, di Costanza figlia dell’imperatore. Sarcofago che proviene dalla sua tomba sita nel complesso si Sant’Agnese a via Nomentana comprendente anche i resti di una imponente basilica fatta costruire dalla famiglia imperiale.

Conclude la mostra un’animazione in computer grafica che permette di esaminare da vicino la decorazione dell’Arco di Costantino fatto erigere in suo onore dal Senato utilizzando per buona parte decorazioni marmoree prelevate da monumenti del II° secolo.

I cataloghi, editi da Electa, sono due, il primo illustra la mostra di Milano, il secondo i reperti esposti a Roma; ambedue contengono saggi di illustri studiosi. L’esposizione è stata sponsorizzata da Credito Valtellinese e Intesa San Paolo, da Fondazione Bracco e Poste Italiane.

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Costantino Roma Colosseo Costantino amenormal_Opera_n_225B_-_BelgradoCOSTANTINO 313 d.C.

Roma

Colosseo

Dal 11 aprile al 15 settembre 2013

 Orario:

da lunedì a domenica

ore 8.30 /19.15 fino al 31 agosto

8.30 / 19.00 fino al 15 settembre

 http://www.mostracostantino.it/index.html

http://www.mostracostantino.it/

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Novecento: arte e retorica del Ventennio

In quel di Forlì è allestita una megaesposizione di arti figurative (pittura, scultura, arredamento, moda, cartellonismo ecc.) che documenta in modo straordinario non solo le tendenze estetiche ma anche sociali, umane, politiche, di quel che avvenne in Italia negli anni del ventennio fascista: grosso modo nei trionfi e nei clamori paradossali e ottimistici di quelli che furono chiamati giustamente gli anni del “consenso” al regime. Talché le opere d’arte direttamente ispirate al debordante carisma del “duce” e al culto della sua personalità arrivano fino alla disarmante piaggeria e al grottesco. Per questo la mostra è stata accusata di aperta esaltazione della dittatura che fu. Ma non è così. Il critico, lo storico, ha il dovere di analizzare e documentare: la realtà è che in quegli anni fatidici non ci fu artista, scrittore, scultore, musicista, che non fosse apertamente coinvolto all’ubriacante trionfo del governo totalitario. Inutile far nomi, l’elenco è lungo, e la vastissima esposizione lo documenta. Dico tutti, tranne naturalmente un drappello di irriducibili, soprattutto politici, che contrastarono eroicamente la dittatura pagando di persona. Ma gli artisti no: erano tutti o quasi, sinceramente o meno pervasi dalla sacra esultanza del momento, militanti convinti o opportunisti che fossero, era difficile allora se non impossibile non essere travolti dall’esaltazione di un sistema che mieteva successi e consensi in Italia e all’estero. Certo, il seguito della storia rivelò il grande inganno e gli entusiasti disillusi divennero feroci oppositori, ma negli anni “felici” la giostra girava ed era difficile scendervi! Tutto questo per dire che a Forlì (terra di casa mussoliniana, Predappio è a due passi) non è allestita come qualcuno ha detto una mostra fascista ma una ricchissima, interessantissima, approfondita ed esaustiva esposizione di grande valore oltre che artistico, ripeto, sociale, umano e politico, con gli umori, le emozioni e le illusioni di quel che fummo. Del resto, oltre alle opere direttamente ispirate al trionfalismo ducesco o alla sua retorica del sano “ruralismo”, moltissime sono le opere altrimenti ispirate alla pura dimensione poetica ed espressiva. Ci sono tutti, ma proprio tutti i bei nomi dell’arte italiana del novecento, dai tardoimpressionisti ai futuristi, dai divisionisti ai simbolisti, agli espressionisti, tutti comunque accomunati dall’intento fondamentale (si chiamò appunto “ritorno all’ordine”) di una ritrovata nostalgia della classicità quattrocentesca, della monumentalità nella sincera esaltazione di una forte e plastica figuratività: gloriosa eredità di altri tempi, sogno di purezze e armonie che ritorna ciclicamente nel nostro sangue mediterraneo! Ricerca o riesumazione che fosse di una identità storica che comunque ci apparteneva, non solo incoraggiata dal regime amante di imperiali trionfi, ma innegabile speranza (o illusione) di tantissimi artisti sulle tracce di un passato e di una tradizione nostra. In margine alla vastissima esposizione di straordinario interesse le cosiddette arti “minori”, dal cartellonismo pubblicitario alla moda femminile, alla mobilia d’arredo, all’oreficeria, nonché bozzetti e plastici dell’architettura della “nuova Italia”, tutto direttamente ispirato agli anni che furono (non posso definirli altrimenti) della grande illusione di una grande Patria. E questa, per capirci, non è patetica e provinciale nostalgia, ma documento e Storia. La Storia di un paese, nel bene e nel male.

 

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Mostre NOVECENTO donna-allo-specchio

Forlì

Musei San Domenico

NOVECENTO.

Arte e vita in Italia tra le due guerre

Dal 2 febbraio al 16 giugno 2013

Tel. 0543/1912030 – 199 757515 – 02/43353520

http://www.mostranovecento.it

 

 

 

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Mostre NOVECENTO concertoMostre NOVECENTO 311_Rometti,-Vaso-con-arcieriMostre NOVECENTO 383_Dudovich_Esposizione-Rhodia-e-Albene-alla-Rinascente