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Quando l’Arte è fuori dall’organicità di un Regime

Una mostra che non ha nulla a che vedere con i ritratti mussoliniani ricuperati dalla soffitta e tirati fuori dalla cantina per dimostrare che il periodo tra le due guerre e delle leggi razziali si può riabilitare. Del Regime si può trovare un accenno su di una scultura dalla mascella volitiva e da un paio di braccia alzate su di un delicato vaso, per il resto è l’arte che si sviluppava in stili, correnti e individualismi negli Anni ‘30. Un assaggio dell’arte che partecipava ai pubblici bandi come quello dedicato alle Arti Applicate, per il resto è un florilegio di pittura e scultura di nomi conosciuti affianco ai meno noti al grande pubblico, per conoscere una realtà artistica ben lontana dall’omologazione di un Regime, ma un’espressione di grande effervescenza. La sola sezione delle Arti Applicate, nella sua stringata presenza, rende utile la visita della mostra e illumina sul ruolo dell’Italia nel panorama internazionale con la sensibilità dei creatori a percepire i cambiamenti, elaborandoli per le proprie specificità per lo stile italiano di allora come oggi per l’affermazione dell’italian style. Una mostra che si srotola in un percorso tranquillo, facilmente godibile con pannelli esplicativi essenziali, ben lontani da quelli che spesso si incontrano come espressione tronfia del sapere dei curatori incapaci della sintesi. A rappresentare quel periodo sono stati scelti un centinaio di opere (99 dipinti, 17 sculture; 20 oggetti di design) di oltre quaranta dei più importanti artisti dell’epoca quali Mario Sironi, Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Achille Funi, Carlo Carrà, Corrado Cagli, Arturo Nathan, Achille Lega, Ottone Rosai, Ardengo Soffici, Giorgio Morandi, Ram, Thayaht, Antonio Donghi, Marino Marini, Renato Guttuso, Carlo Levi, Filippo de Pisis, Scipione, Antonio Maraini, Lucio Fontana. Gli anni Trenta sono anche il periodo vitale di una modernizzazione che segna una svolta negli stili di vita, con l’affermazione di un’idea ancora attuale di uomo moderno, dinamico, al passo coi tempi e si definisce quella che potremmo chiamare “la via italiana alla modernità” nell’architettura come nel design, così come in pittura e in scultura. Una via espressa attraverso le riflessioni sugli stimoli provenienti dal contesto nord europeo, avendo ben presente la tradizione italiana del Trecento e Quattrocento, come sono ben evidenti i rimandi a Massacio. Il Regime cercava di fare proprio il disagio espresso dagli artisti di quei decenni, trasformando la creatività artistica, oltre a quella scientifica, come il frutto di un progetto, ma la realtà è che non aveva alcun progetto organico strutturale per guidare l’Italia verso la modernizzazione. L’Italia non era la Germania hitleriana che condannava l’arte che non gli era gradita come quella di Dix e Grosz, entrambi presenti nella mostra fiorentina. L’Italia che sognava un impero era lontana dall’industrializzazione della Francia o dell’Inghilterra e l’apparato finanziario era meno vulnerabile di quello statunitense, messo in crisi dal crac del ’24, solo perché era ininfluente nell’apparato economico nazionale. La Seconda Guerra mondiale era in agguato per risolvere nell’unico modo che il Capitalismo poteva concepire per riavviare l’economia e assorbire le decine di milioni di disoccupati, sistemando il tutto con gli interessi prodotti da una cinquantina di milioni di morti Come in ogni crisi economica la scelta non è solo la distruzione, ma anche impegnare i Governi, democratici e non, nel finanziamento di grandi opere pubbliche. Allora come oggi sembra che il mattone sia l’unica soluzione per uscire da ogni crisi economica. Il recente libro di Emilio Gentile E fu subito regime (Laterza) può offrire più di un’occasione per riflettere sull’impreparazione di un movimento a trovarsi a capo di una nazione senza aver predisposto una struttura governativa. Un po’ come è successo ad alcuni partiti nel trovarsi inaspettatamente ad amministrare alcuni enti locali e dover raccattare senza nessuna selezione delle persone per dei ruoli dirigenziali. Ad avallare l’impreparazione del Fascismo troviamo anche il libro di Roberto Vivarelli, terzo della seria dedicata alle origini del movimento, affermando che Mussolini venne partorito dalla crisi dello Stato liberale e non la sua causa. Il Fascismo con suo il pensiero debole, lontano dal concetto introdotto in filosofia da Gianni Vattimo e Pier Aldo Rovatti, dedito alle attività manesche più che intellettuali, non aveva la capacità dare un’organicità culturale del movimento. Una realtà che rende plausibile l’incapacità di omologare un pensiero, lasciando la cultura progredire in una variegata rappresentanza liberale, cristiana, ebraica e agnostica, rendendo l’Italia una potenziale fucina di creatività, bastava non beffeggiare il capo.

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ANNI TRENTA
Arti in Italia oltre il fascismo
Dal 22 settembre 2012 al 27 gennaio 2013

Firenze Fondazione Palazzo Strozzi

Informazioni:
Tel. 055/2645155
http://www.palazzostrozzi.org/index.jsp

Orari: tutti i giorni 9.00 – 20.00 giovedì 9.00 – 23.00

Ingresso:
intero euro 10.00 ridotto euro 8.50, euro 8.00, euro 7.50 scuole euro 4.00

Un rientro prezioso

 

Il rientro prezioso che dà il titolo a questo mio scritto è la Tavola Doria attribuita a Leonardo da Vinci. All’interessante, quanto intenso, incontro che si è tenuto il 27 novembre 2012 al Palazzo del Quirinale, il sapiente Sottosegretario di Stato ai Beni e alle Attività Culturali Roberto Cecchi, ha esordito il suo intervento, parlando di questo dipinto su tavola in maniera entusiasta. Lo si capisce, sia perché ebbe la ventura di partecipare al recupero, sia perché fin dal 2008 è iniziato un lungo percorso.
L’opera, infatti, sparì dall’Italia proprio dal 2008 e ora ritorna sotto forma di donazione allo Stato italiano da parte del Tokyo Fuji Art Museum.
Ma di cosa sto parlando?
Precisamente della così detta Tavola Doria entrata nelle collezioni Doria intorno al 1621. Ritenuta essere capolavoro di Leonardo e successivamente di un probabile ‘Maestro Toscano’. Raffigura una prova preparatoria di una parte di quell’affresco che andò perduto nello stesso momento che Leonardo lo stava eseguendo: La Battaglia di Anghiari.
L’idea, infatti, che abbiamo della battaglia sopra citata, è basata sugli schizzi preparatori dello stesso Leonardo, sulla Tavola Doria e su copie contemporanee.
Particolare ringraziamento va, comunque, al Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale che dal 1969 si è dotato del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico, primo reparto al mondo deputato al contrasto dei furti e delle fasificazioni di opere d’arte e che ha permesso di individuare il luogo dove si trovava la Tavola Doria, il Tokyo Fuji Art Museum che l’aveva acquistata in buona fede e che ha deciso di donarla allo Stato italiano a conclusione di un lungo e complesso processo di trattative e accordi.
Il recupero del dipinto consentirà ora all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, di svolgere nei prossimi mesi l’approfondita e rigorosa conoscenza dell’opera.
La Tavola che raffigura la ‘Lotta per lo Stendardo’, un momento della Battaglia di Anghiari sarà esposta al Quirinale dal 28 novembre al 13 gennaio 2013 nella Sala della Rampa.
Vedendo il dipinto su tavola, precisamente eseguito su due tavole unite, viene subito da pensare alla mano leonardesca. La verosimiglianza dei volti, dei corpi, dei cavalli: l’occhio del cavallo, fanno pensare, ed io non ho dubbi in tal senso, che sia proprio opera di Leonardo. Tuttavia, quale che sia, comunque, la mano che ha dipinto questa tavola, bisogna dire che è una mano particolare di altissimo livello artistico. È vero, a quel tempo esistevano le botteghe ed è altrettanto vero che quando ci avviciniamo a quei maestri, così detti, minori scopriamo solo che erano minori rispetto a un Leonardo, a un Michelangelo, ma che poi tanto minori non lo fossero. Magari, avere di questi tempi la bottega dove insieme si lavora, si preparano i colori, si interviene sul dipinto! Ma questa è solo un’idea romantica e tale rimane. I tempi attuali, infatti, testimoniano tanta superficialità e tanta inesperienza in chi opera nel mondo dell’Arte.
È per questo motivo che è doveroso andare a vedere questa splendida mostra coadiuvata anche da un touchscreen dove si potrà vedere l’opera e le sue varie fasi di conservazione.

Una ricca e suggestiva visita a tutti.

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TAVOLA DORIA

Dal 28 novembre al 13 gennaio 2013

Roma
Palazzo del Quirinale

Orario
dal martedì al sabato 10.00 – 13.00; 15.30 – 18.30
ingresso gratuito

Informazioni:

http://www.quirinale.it/qrnw/statico/artecultura/mostre/2012_tavola-doria/tavolahome.htm

I visitatori potranno accedere alla mostra con ingresso gratuito e senza bisogno di prenotazione, dalla Piazza del Quirinale, nei giorni feriali da martedì a sabato dalle ore 10.00 alle ore 13.00 e dalle ore 15:30 alle ore 18:30, mentre l’orario domenicale resta fissato dalle ore 8:30 alle ore 12.00, in concomitanza e con le disposizioni dell’apertura al pubblico delle sale di rappresentanza. La mostra rimarrà chiusa tutti i lunedì e nei giorni festivi, nonché il 9, 16, 23 e 30 dicembre 2012.

 

Renato Guttuso ovvero Mestiere di Pittore

“Perché dovrebbero parlare di pittura i pittori?”. E ancora “La Pittura non è un concetto……. – Ciò che veramente conta è pensare sulle cose, pensare in genere, su ciò che si vede, che si legge, su ciò a cui si ama e su ciò che si odia, su ciò che si è indifferente. Si può però anche pensare secondo pittura”.
Nel costruttivo saggio di Renato Guttuso “Mestiere di pittore. Scritti sull’arte e la società” del 1972, ormai esaurito, il pittore siciliano nato cento anni fa enunciava alcuni concetti che sono alla base del suo credo esistenziale.
C’è tutto il suo credo e non solo il suo. C’è il credo di una generazione di artisti come Pirandello, Cagli, Mirko, Mafai, Ziveri, Fazzini, Trombadori, Scipione.
La mostra dedicata a Guttuso racchiude gran parte della sua produzione che come ha acutamente presentato Nicola Zingaretti: “…….i quadri di Guttuso sono pamphlet politici, manifesti, ma allo stesso tempo anche grandi romanzi per immagini.”
Infatti Guttuso attraverso le sue immagini di matrice espressionista è riuscito a raccontare il mondo delle cose. Di quelle cose che abbracciano non solo le immagini, attraverso la figura umana, attraverso gli oggetti, gli interni e gli esterni, ma anche un certo modo di pensare e di vivere la realtà.
Non a caso a pagina 125 del suo ottimo libro afferma che: “Il pittore dipinge le cose, non le idee”. È, chiaramente questo, un taglio molto incisivo, che Guttuso ha voluto dare non solo alla sua Arte, bensì alla sua Vita. Tali concetti, gli procurarono in quegli anni settanta diversi malumori e/o diverse critiche. Ma Lui è andato sempre avanti sicuro di quello che faceve senza ripensamenti, come d’altra parte fecero, anche, gli Artisti che ho nominato prima. C’è in Guttuso una facile predisposizione al disegno, facendolo prevalere, a volte, sul colore.
Una mostra interessante ed istruttiva per chi, ancora, non conoscesse l’opera del Maestro siciliano.

Buona visione.

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GUTTUSO (1912-2012)
Dal 5 ottobre 2012 al 3 febbraio 2013

Roma
Complesso del Vittoriano
via San Pietro in Carcere (Fori Imperiali)

Orari:
dal lunedì al giovedì 9.30 – 19.30
venerdì e sabato 9.30 – 23.30
domenica 9.30 – 20.30

Ingresso:
€ 12,50 intero – € 9,00 ridotto

Informazioni:
tel. 06/780664
http://www.comunicareorganizzando.it

 

Una Fondazione, un raro esempio di conservazione

L’ultimo discendente della Famiglia Querini Stampalia, il Conte Giovanni (1799 – 1869), lasciò in eredità, alla sua Venezia un anno prima di morire, lo storico palazzo.

Si realizzò, così, un raro esempio di conservazione dei beni di una famiglia di antichissime e nobili origini.

La Famiglia Querini, occupò ereditariamente l’area del potere perché faceva parte dei governanti, del patriziato, annoverata tra le dodici casate apostoliche fondatrici della città lagunare.

Il Titolo di Stampalia deriva dall’acquisto di un feudo dell’isola di Astipalea nell’Egeo nel XVIII secolo. Ma solo dal 1808 venne usato da Alvise Querini e da allora il doppio cognome è rimasto ad indicare prima la Famiglia, oggi la Fondazione.

La Fondazione ha allestito nel palazzo la Biblioteca, il Museo e un’area per esposizioni.

Lunga è la storia della sistemazione del Palazzo, sia nel suo interno che al suo esterno. Dal XVI secolo in poi, il Palazzo ebbe una serie di migliorie che crebbe, si sviluppò, si riarticolò e si abbellì nel tempo con annessioni di proprietà contigue e sopraelevazioni. Ma per arrivare più alla storia recente, tra il 1959 e il 1963, l’architetto Carlo Scarpa eseguì al piano terra un celebre restauro, la realizzazione di una sala per mostre, conferenze e un piccolo giardino interno.

È interessante, è doveroso venire alla Fondazione Querini Stampalia, per assaporare questo silenzioso angolo veneziano, per scoprire, anche, l’ulteriore riqualificazione dell’architetto ticinese Mario Botta avvenuta nel 1993. Mario Botta, molto legato alla Fondazione che passava, infatti, intere giornate in Biblioteca come fanno molti studenti, decise di donare il suo progetto.

Il suo intervento rinnovò profondamente la sede, spostando l’entrata al Palazzo da campiello Querini a campo Santa Maria Formosa. Così, mentre con il restauro del sottotetto e del terzo piano sono stati ricavati degli uffici e un’area per mostre e seminari, al piano terra sono stati creati spazi per un insieme di funzioni come bookshop, caffetteria, guardaroba, un’area per ospitare bambini e un auditorium.

Insomma una vera Perla, all’interno di quella magnifica Perla che è la città di Venezia.

Ma ora, vi voglio parlare del Museo. Ebbe origine attraverso l’esecuzione dei ritratti che Jacopo Palma il Vecchio fece ai nubendi Francesco Querini e Paola Priuli nel 1528. Seguiranno ritratti, tutti presenti nel Museo, di Marco Vecellio e di Sebastiano Bombelli, pittore questo di crescente successo chiamato anche a Palazzo Ducale. E poi, gruppi di busti marmorei ad opera di Michele Fabris detto l’Ongaro. Il soffitto della Galleria è di Sebastiano Ricci oltre a due nuclei, forse i più significativi della collezione, di Pietro Longhi.

Ma il Museo conserva ben sessantasette tele di Gabriel Bella, un pittore minore che tanto lavorò a Treviso.

So bene, che quando si parla di pittori minori l’interesse va scemando e non si ha la curiosità, invece, di scoprirne quelle qualità, che hanno lasciato un segno particolare, nella storia documentale di un luogo e anche nell’Arte.

Porre, infatti, interesse in Gabriel Bella vuol dire rivivere, attraverso le sue tele, le feste popolari, i balli, i teatri, le cerimonie ufficiali della Repubblica. E tutto questo nel Museo della Fondazione Querini Stampalia, la quale vedendo crescere i debiti del suo patrimonio, dalla metà del Settecento, si vedrà costretta ad una serie di disinvestimenti fino a costringere i proprietari a rendersi disponibili per la vendita. Intorno, però, al 1830 Giovanni sarà colui che risolleverà le sorti, creando la Fondazione.

Nel Museo sono conservati mobili settecenteschi e neoclassici, porcellane, biscuit, sculture e dipinti dal XIV al XX secolo, soprattutto di scuola veneta, tra specchi, lampadari di Murano e stoffe tessute su antichi disegni. Oggi il Museo offre al pubblico una dimora storica che ha mantenuto l’atmosfera di un tempo, aprendo anche ad iniziative come concerti ed esposizioni sia di arte antica che di arte contemporanea.

Le sale della Biblioteca mettono a disposizione dei lettori oltre trentaduemila volumi e quattrocento periodici correnti, anche se l’intero patrimonio bibliografico è costituito da oltre trecentoquarantamila volumi. Quattordici sono le ore di apertura, anche per onorare le volontà del conte Giovanni.

Ancora tanto altro sarebbe da descrivere, sull’intera Fondazione, come le Sale affrescate dal Guarana, la Sala di Giovanni Bellini, quella delle tavole antiche dipinte anche da Jacopo Negretti detto Palma il Vecchio, la Sala della Maniera, quella della Musica con le opere di Pietro Longhi, quella dei ritratti, la Sala dell’Ottocento e altre Sale ancora. Ma la descrizione non farebbe giustizia rispetto ad una visita personale.

Una visita felice e ricca a tutti.

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Fondazione Querini Stampalia Onlus

Santa Maria Formosa – Venezia

Tel. 041/2711411

http://www.querinistampalia.it/

 

I SILENZI NEL VIDEO D’ACERO

Videozoom è un’iniziativa “in progress” sulla videoarte contemporanea, pensata e realizzata da Sala 1 (Roma), con l’intenzione di far scoprire la nuova generazione di videoartisti, provenienti da diverse aree geografiche del mondo. Debuttando nel 2001, la galleria Sala 1 ha già realizzato numerosi progetti con paesi come Polonia, Iran, Israele, Cina, Spagna, Marocco, Repubblica di San Marino, Bangladesh e Giappone. Ogni edizione di Videozoom mantiene la propria unicità ed è esclusiva poiché viene curata da uno o più esperti del paese protagonista. Questa volta è il Québec a proporre per la prima volta in Italia una selezione di lavori di sette artisti (Sophie Bélair-Clément, Olivia Boudreau, Jacynthe Carrier, Michel de Broin, Pascal Grandmaisaon, Frédéric Lavoie, Aude Moreau), impegnati ad esplorano le dimensioni formali e narrative dell’immagine in movimento. Seguendo il tema L’entre-images / L’immagine di mezzo, i curatori hanno riunito lavori nei quali il suono, il tempo, il soggetto e l’azione fanno da referenti cinematografici, attorno ai quali si costruisce l’immagine.

Le opere presentate offrono allo spettatore l’opportunità di calarsi in una delle realtà artistiche canadesi, la parte francofona pure se non si disdegna l’anglofona, senza estrose inventive ed effetti speciali. Paesaggi urbani e rurali, della provincia e della foresta, sino alle un rivisitazione di classici.
Ironicamente geniale è l’ultimo intervento audiovisivo, con l’abbattimento di un lampione in un paesaggio notturno per rendere omaggio al carattere boscaiolo o per lanciare un grido di allarme verso l’ambiente messo a dura prova dall’uomo.

L’iniziativa è supervisionata da Louise Déry, Direttrice della Galerie de l’Université du Québec à Montréal e curatrice nota negli ambienti internazionali dell’arte contemporanea, in collaborazione con La Fabrique d’expositions, collettivo di curatori formato da Marie-Eve Beaupré, Julie Bélisle, Audrey Genois e la stessa Louise Déry.

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Museo di Roma in Trastevere
VIDEOZOOM:
Québec. L’entre-images
Dal 22 novembre al 22 dicembre 2012

Tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 21.00)
http://www.museodiromaintrastevere.it
http://www.060608.it