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Satyricon, il sogno della classicità

Tra i titoli felliniani il suo “Satyricon” (1969), ritenuto a torto un “minore” a petto dei suoi proverbiali successi internazionali, è invece un film che con felice intuizione ricostruisce, ovviamente in modo personalissimo e molto “felliniano”, l’atmosfera pur fantastica (il regista stesso la definì una “fantascienza dell’antichità”) della decadenza o fatiscenza della romanità. Tra oscuri postriboli, criptiche oscurità sotterranee, deliri ed evocazioni oniriche, il film è tutto una sequenza apparentemente caotica e slegata, come appunto in un sogno, in cui i fantasmi di una civiltà ormai incanaglita e corrotta vive di pulsioni carnali (cibo, sesso, rapacità) avvolte in un alone di magìa e di dolce putredine.

Il testo (presunto) di Petronio Arbitro ripreso e sconvolto dalla sceneggiatura di Fellini, Bernardino Zapponi e Brunello Rondi, affonda a piene mani nell’intrico di spudorate perversioni (un pò Catullo, un pò Giovenale) che vivono e fermentano con la pur tetra vivacità di una umanità ormai lontanissima dai rigori e severità di una romanità un pò scolastica tramandata da noiosi rètori. Così tra passioni bassamente sensuali ed episodi più incantati e lirici, Fellini ci trasporta nella magica intuizione, appunto con le movenze di una visione crepuscolare, di un universo perduto, ectoplasma genialmente evocato nei meandri di un mondo ipogeo, l’altra faccia oscura della solare classicità.

Tra gli interpreti ormai dimenticati delle due giovani canaglie Encolpio ed Ascilto (Martin Potter ed Hiram Keller) e del conteso efebo Gitone (Max Born), si ricordano prepotenti le “medaglie” di Salvo Randone, Alain Cuny, Capucine, Lucia Bosé, Donayle Luna, nonché l’esordio di Alvaro Vitali e, si narra, un certo Renato Zero tra le comparse). Ma più che mai nel “Satyricon”, come del resto in “Amarcord” e altrove, per Fellini è solo uno straordinario corteo di maschere che appaiono e scompaiono in un enigmatico, folgorante affresco.

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Fellini – Satyricon

di Federico Fellini
Con Martin Potter, Capucine, Fanfulla, Hiram Keller, Salvo Randone. Max Born, Mario Romagnoli, Magali Noël, Alain Cuny, Alvaro Vitali, Lucia Bosè, Franco Pesce, Marisa Traversi, Elisa Mainardi, Gordon Mitchell, Sandro Dori, Tanya Lopert, Ernesto Colli, Lorenzo Piani, Lina Alberti, Beryl Cunningham, Carlo Giordana, Donyale Luna, Antonia Pietrosi, Irina Wanka, Marina Boratto

Fantastico, durata 128 min. – Italia 1969

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Uno zoo fuori e dentro

Jessica Chastain è Antonina Żabińska, moglie, madre e lavoratrice che per molti, durante la Seconda Guerra Mondiale, divenne insieme al marito Jan un barlume di speranza nella Varsavia occupata dai nazisti. Il film è tratto dal best-seller di Diane Ackerman edito in Italia da Sperling & Kupfer, basato a sua volta sui diari di Antonina, e racconta la storia eroica di una donna che pur vivendo in un’epoca di paura e distruzione ha combattuto per preservare quel che di buono c’è nell’animo umano.
Polonia 1939. La brutale invasione nazista porta morte e devastazione in tutto il paese e la città di Varsavia viene ripetutamente bombardata. Antonina (Jessica Chastain) e suo marito il dottor Jan Żabiński (Johan Heldenbergh), custode dello zoo della città, sono una coppia molto unita sia nella vita privata che in quella professionale. Dopo la distruzione dello zoo i due si ritrovano da soli a salvare i pochi animali sopravvissuti. Sgomenti per ciò che sta accadendo al loro amato paese, la coppia deve anche sottostare alle nuove politiche di allevamento del nuovo capo zoologo nominato dal Reich: Lutz Heck (Daniel Brühl). Ma quando la violenza nazista arriva all’apice e inizia la persecuzione degli ebrei, i due coniugi decidono che non possono restare a guardare e cominciano in segreto a collaborare con la Resistenza, intuendo che le gabbie e le gallerie sotterranee dello zoo, possono ora servire a proteggere in segreto delle vite umane. Quando la coppia mette in atto il piano per salvare più abitanti possibili del ghetto di Varsavia, Antonina non esita a mettere a rischio anche se stessa e i suoi figli.

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La signora dello zoo di Varsavia
The Zookeeper’s Wife

di Niki Caro
con Jessica Chastain, Johan Heldenbergh, Daniel Brühl, Tomothy Radford, Efrat Dor.

USA, Repubblica ceca, Gran Bretagna, 2017
Durata: 127′
Distribuzione: M2 Pictures

Trailer

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Tra ghiaccio e neve

Eric LeMarque (Josh Hartnett), un ex giocatore di hockey professionista, dopo aver causato un incidente automobilistico fugge sulle montagne in cerca di adrenalina facendo dello snowboard. Dovendo fare i conti con una dipendenza da metanfetamine e una vita che gli sta sfuggendo di mano, Eric decide di prendersi un giorno per staccare, ignorando i numerosi avvertimenti sull’imminente arrivo di una tempesta. Durante un’imponente tormenta di neve LeMarque si allontana dalla pista perdendo l’orientamento. Nessuno sa che si è perso, nessuno sa dove si trova. È completamente solo.

In un primo momento il campione non si rende conto di quanto la situazione sia disperata e cerca di trovare un riparo e dell’acqua. Le sue condizioni precipitano quando è inseguito da un branco di lupi e precipita in un ghiacciaio.

Intanto Susan (Mira Sorvino), la madre di Eric, intuisce che qualcosa non va e inizia a ripercorrere i movimenti del figlio.

Con l’avanzare del congelamento e la continua lotta per la sopravvivenza, Eric è costretto a mangiare la sua stessa carne, mentre la preoccupazione della madre la porta e mettere in atto un disperato tentativo di salvataggio, anche se la squadra di recupero pensa sia ormai troppo tardi.

Quando Eric si rende conto dell’arrivo dei soccorsi, la sua unica chance di farsi localizzare dai soccorritori è arrampicarsi su una parete rocciosa alta 1300 metri, ma il suo corpo inizia a cedere.

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L’ULTIMA DISCESA
(6 Below – Miracle on the mountain)

Regia di Scott Waugh

Con Josh Hartnett, Mira Sorvino, Sarah Dumont, Kale Culley, Jason Cottle, Austin R. Grant

Genere Drammatico
USA, 2017, durata 98 minuti

Uscita cinema mercoledì 14 febbraio 2018

Distribuito da M2 Pictures

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Rivisti per Voi: Il Manoscritto del principe

Visto, anzi rivisto (il film è del 2000) il “Manoscritto del principe” di Roberto Andò che ripercorre e vorrebbe documentare i travagli del principe di Lampedusa e del suo “Gattopardo”.
Un salotto letterario più che un film. Una tessitura narrativa infarcita di raffinato, troppo raffinato, intellettualismo.
Ad ogni piè sospinto un incrociarsi di frasi colte, profonde, sorprendenti.
Bello per un incontro poetico/filosofico, ma il cinema è un’altra cosa, magari anche più deviante ed allusivo, ma che si basa comunque su una solidità strutturale che non si imbelletta continuamente di splendide frasi ad effetto.
“Il manoscritto del principe”, fra l’altro pretesa biografia dello scrittore/gattopardo Tomasi di Lampedusa risente (mutatis mutandis) degli stessi difetti della scrittura narrativa di Oscar Wilde: narrazione poca e trascurata, solo pretesto e gruccia per appendervi le sue splendide “uscite” di sorprendente, scandalosa intelligenza.
Il “Manoscritto” è un film tutto in “interni”, di vaghe e lambiccate riflessioni, alla fin fine è solo aristocratico, stucchevole narcisismo letterario.
Si ringraziano comunque i bravi ed illustri attori: Michel bouquet, Jeanne Moreau, Laurent Terzieff, anche loro molto aristocratici e lambiccati, nonché i nostri Paolo Briguglia, Massimo de Francovich e il solito Leopoldo Trieste, nobile prezzemolo di tutte le minestre.
Produttori Francesco e Giuseppe Tornatore.
Ma per fortuna, aldilà di tutti i ghirigori verbali, il vero principe di Lampedusa, poi ci regalò il suo “Gattopardo”!

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Il manoscritto del principe

di Roberto Andò
Con Michel Bouquet, Jeanne Moreau, Laurent Terzieff, Paolo Briguglia, Giorgio Lupano., Massimo De Francovich, Veronica Lazar, Lucio Allocca, Ninni Bruschetta, Sabrina Colle, Vito Di Bella

Paese di produzione Italia
Anno 2000
Durata 106 min
Genere drammatico
Regia Roberto Andò
Sceneggiatura Roberto Andò, Salvatore Marcarelli
Produttore Francesco Tornatore, Giuseppe Tornatore
Casa di produzione Sciarlò
Distribuzione (Italia) Warner Bros. Italia
Fotografia Enrico Lucidi
Montaggio Massimo Quaglia
Musiche Marco Betta
Scenografia Giancarlo Muselli

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Il grottesco del tragico

Glauco Mauri e Roberto Sturno tornano a Beckett, diretti da Andrea Baracco, con Finale di partita testo cardine e paradigmatico del Novecento. Scritto da Beckett nel 1956, andò in scena, in francese, in prima mondiale al Royal Court di Londra nell’aprile del 1957 insieme all’atto unico Atto senza parole, e poi, nello stesso mese e con la stessa Compagnia, a Parigi allo Studio des Champs-Élisées. In Italia fu messo in scena per la prima volta l’anno successivo da Andrea Camilleri.

Come in molti suoi lavori Beckett, Premio Nobel per la Letteratura del 1969, in Finale di partita parla della condizione umana segnata dalla sofferenza e dall’assurdità dell’essere, dei limiti e delle possibilità della libertà individuale, della solitudine di ciascuno di fronte al mondo: un teatro di personaggi, che si fissano nella memoria, vivi e palpitanti.

Finale di partita, si svolge in una stanza-rifugio post-atomico, nuda, senza mobili, dove la luce penetra grigiastra, dove, come in una pseudopartita a scacchi, si muovono i suoi personaggi: Hamm, cieco e su una sedia a rotelle, i suoi genitori Nagg e Nell, senza gambe e chiusi in due contenitori per la spazzatura, e il suo servitore Clov, che non può sedersi mai. Hamm e Clov per sopravvivere hanno bisogno l’uno dell’altro: solo Clov può dar da mangiare ad Ham, e solo Ham possiede le chiavi della dispensa.

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Teatro Eliseo Finale di partita di Samuel Beckett 1FINALE DI PARTITA
di Samuel Beckett
Da martedì 26 settembre a domenica 15 ottobre 2017

Regia: Andrea Baracco
Con
Glauco Mauri | Roberto Sturno
e con Elisa Di Eusanio | Mauro Mandolini

scene e costumi Marta Crisolini Malatesta
musiche Giacomo Vezzani

Produzione Compagnia Glauco Mauri Roberto Sturno

Durata: 1 ora e 20 minuti (atto unico)

Teatro Eliseo
via Nazionale 183
Roma

Biglietteria:
tel. 06/83510216

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