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Ballando per i diritti nel sud delle Americhe

Il 14 febbraio è stata lanciata l’iniziativa “One Billion rising” da “V-Day” organizzazione Ong fondata da Eve Ensler (drammaturga, sceneggiatrice e regista statunitense) che opera in tutto il mondo per promuovere la dignità della donna.

“One Billion rising” proprio quest’anno coincide con il 15/o anniversario della nascita di V-Day costituitasi, dopo che nel 1998 si promosse la diffusione e la rappresentazione capillare dei “Monologhi della vagina” della Ensler, come atto di protesta contro la violenza sulle donne.

L’iniziativa Flash mob “One Billion rising” prende le mosse dalla statistica delle Nazioni Unite: una donna su tre nel mondo subisce violenza di qualche tipo almeno una volta nella vita. A questa statistica agghiacciante, la Ensler reagisce con un’incitazione: “Alzati, Danza” che “almeno un miliardo di donne e coloro che le amano possano alzarsi e uscire in strada e danzare contro la violenza sulle donne”.

Come afferma Eve, infatti, “la danza è tutto. Quando si balla si prende spazio, si è autentici. Si è nel proprio corpo. Si esprime sensualità. Si rompono le regole. Si è vivi. Perché ballare è una esperienza comune. Quando le vedo danzare (le donne del Congo), mi pare come se tutto fosse possibile. Trasformano il dolore in potere. Ho visto donne che hanno subito le peggiori atrocità, le peggiori, ma quando ballano entrano in un’altra energia. Entrano in un altro vigore. Non importa in quale parte del pianeta sei, tutti possiamo fare parte di quel miliardo in crescita”.

Il successo di One Billion Rising esprime la voglia di cambiare il paradigma: una manifestazione planetaria promossa contro ogni forma di violenza sulle donne a cui hanno aderito 202 Paesi, oltre a 5.000 associazioni, innumerevoli Ong e istituzioni, perché “un miliardo di donne stuprate sono un’atrocità, un miliardo di donne che ballano sono una rivoluzione”.

In America latina “One Billion Rising” è stato reinterpretato con “Un Billón de Pie” “Es hora de ponerse de pie. No seas cómplice. Despierta. Apoya. Actúa.” (E’ ora di rialzarsi, non essere complice. Svegliati. Supporta. Agisci).

Dei 4000 eventi organizzati in tutto il mondo, quasi 800 sono concentrati in America Latina, dove la discriminazione della donna avviene dentro e fuori le istituzioni e, se i Governi non riescono a prendere una posizione forte contro questa violenza garantendo sicurezza, essi stessi si rendono inevitabilmente complici dei delitti perpetrati da altri.

Su questa linea, a La Paz (Baja California Sur) l’ex-deputata federale Rosi Orozco, presidentessa delle Asociación Civil Unidos Contra la Trata ha colto l’occasione dell’iniziativa Un Billón de Pie, per responsabilizzare i legislatori locali all’approvazione di leggi locali coerenti con la Ley General para Prevenir, Sancionar y Erradicar los Delitos en Materia de Trata de Personas y para la Protección y Asistencia a las Víctimas.

Rosi Orozco in un discorso presso la Universidad Autónoma de Baja California Sur (UABCS) ha sostenuto coraggiosamente che la Baja California Sur (BCS) è uno stato dove non è mai stata emessa una sentenza in seguito alla tratta di persone. “Proprio nel campo della tratta di persone abbiamo una situazione dove possono aver luogo impunità perché non ci sono leggi approvate. Dunque possiamo fare molto, già che non ci sono leggi contro la tratta delle persone, leggi di cui si dovrebbe occupare per primo lo Stato. …Possiamo creare uno strumento che, nel momento in cui la Procuraduría General de la República (PGR) si metterà al lavoro, non ci permetta di giungere davanti agli accusati con un vuoto legale. Per i bambini e le bambine e per tutte le persone che sono vittime della tratta […] La legge enfatizza il tema della prevenzione, per questo un’iniziativa come Un Millón de Pie è molto importante per sensibilizzare sulla prevenzione. La tratta delle persone ha le sue radici in aree di vulnerabilità sociale, quelle con basso livello di educazione, povertà, violenza familiare, corruzione, estorsione, disoccupazione: situazioni di cui si approfittano coloro che organizzano le tratte ingannando le persone come nel caso di Lisset Soto Salinas, scomparsa il 14 ottobre del 2010”.

Solo in Messico ci sono circa 70 mila bambini e bambine sfruttati sessualmente di questi circa 30 mila hanno dai 10 ai 14 anni di età.

Nel Salvador un uomo che assalta un autobus e ruba i cellulari, i portafogli e gli anelli dei passeggeri resterà in carcere più a lungo di chi ha venduto una donna: il ladro rischia dai sei ai dieci anni di reclusione, il trafficante di persone solo quattro anni. Il Salvador ha inserito questo crimine nel suo codice penale nel 2003 e la prima condanna è arrivata nel 2006. In questi anni ci sono state altre 39 condanne, ma nel settembre del 2011, con la creazione del consiglio nazionale contro la tratta di esseri umani, la questione ha ripreso forza.

Dal report del United Nations Office on Drugs and Crime del 2011 risulta che le vittime della tratta sono circa 2,5 milioni e si calcola altresì che per ogni vittima identificata ce ne sono altre 20 non identificate.

Dal 2006 il 66% delle vittime della tratta nell’America latina è costituito da donne, il 13% da bambine, il 12% da uomini, il 9% da bambini.

Il 63% dei 155 paesi e territori che ha ratificato il Protocollo delle Nazioni Unite contro la tratta di persone ha approvato leggi interne che sanzionano questo delitto e il numero di paesi che ha promulgato leggi per combattere la tratta di persone è raddoppiato tra il 2003 e il 2008.

Tuttavia tra il 2003 e il 2008, il 40% dei paesi con leggi vigenti contro la tratta di persone non ha registrato nessuna condanna per questo delitto.

Nel 2010 i principali paesi di destinazione per lo sfruttamento sessuale delle vittime della tratta provenienti dal Sudamerica sono Spagna, Italia, Portogallo, Francia, Paesi Bassi, Germania, Austria e Svizzera.

Il giro di affari che è originato dalle tratte di persone è pari a 1.3 miliardi di dollari. Il 49% è generato nei paesi industrializzati caratterizzati per essere la principale destinazione delle vittime che provengono dal Latinoamerica.

OlO un billion de pie

Oltre il mito di Gardel

OlO Gardel IMG_1654Il cantore del tango era figlio non riconosciuto dal padre, nacque l’11 dicembre del 1890 a Toulouse in Francia, in un’epoca in cui l’illegittimità era un marchio che stigmatizzava inesorabilmente tutta la famiglia. La madre, Berthe Gardes, fu costretta a emigrare in Argentina con il figlio Charles Romuald (questo il nome anagrafico che naturalizzò in Carlos Gardel) quando aveva solo due anni.

Non fu registrato al consolato francese, ciò gli permise di non essere chiamato alle armi nella Prima Guerra mondiale. Per giungere in Spagna nel 1920 utilizzò una documentazione falsa che accreditava la sua nascita in Uruguay, paese che all’epoca provvedeva ai cittadini che volevano viaggiare all’estero.

Cresciuto nella povertà e senza una figura paterna, lasciò presto la casa materna per poi ritornarvi da adulto. La mancanza di dati certi circa la sua infanzia e l’adolescenza, gli diede non solo libertà di movimento (incluso eludere alcuni episodi burrascosi giovanili che lo portarono in questura), ma creò un alone di mistero intorno alla sua origine alimentando la sua leggenda.

Fin da piccolo cominciò a frequentare l’ambiente artistico. Seguiva il teatro di strada delle murgas, i poeti popolari e payadores (trovatori). Cantava canzonette italiane, brani d’opera e temi creoli.

Gardel, o come veniva chiamato “el Morocho” o “el Zorzal” cominciò a cantare nei cafè dei barrios di Abasto, La Boca, San Telmo. Ingaggiato con altri cantanti, registrò il suo primo disco a 22 anni (con Francisco Martino, Razzano e Saúl Salinas), ma la pedana di lancio fu il sontuoso cabaret Armenoville, la notte del 31 dicembre del 1913 dove cantò temi creoli assieme a Razzano. Il duo cominciò a viaggiare in tournè per il Latinoamerica e per l’Europa in teatri prestigiosi e alla presenza di personaggi di spicco nel panorama politico-sociale come ad esempio il Principe di Galles (futuro Edoardo VIII).

Nel 1917 intona il suo primo Tango “Mi noche Triste” nel teatro Empire, ma solo nel 1924 Gardel si impone come “IL Cantante di Tango” per eccellenza: in quest’anno registrò 54 tangos!.

Nel 1925 comincia la sua carriera da solista e scioglie il duo con Razzano, che aveva problemi alle corde vocali.

Dieci anni più tardi sarà il cantante più popolare della sua epoca, superiore a Maurice Chavalier o Bing Crosby, due figure indiscusse nei loro rispettivi paesi. A renderlo internazionale fu non solo il suo talento, ma anche il legame artistico con l’autore Alfredo La Pera. La sua intuizione gli fece prediligere l’incisione di temi di tango applauditissimi dal pubblico, lo spasmodico perfezionismo marcò tutta la sua carriera.

Esercitava costantemente la voce, ciò gli permise di interpretare più di 30 generi musicali differenti. Era ossessionato dalla cura della sua immagine: da un peso iniziale di 120 kg dimagrì fino a 75 kg con una dieta severa, era costante nella ginnastica, scrupolosissimo nel guardaroba, maniacale nell’igiene personale, non si separava mai dal suo nécessaire dove non mancavano creme speciali: un vero dandy, oggi verrebbe chiamato metrosessuale!

Accettava spesso la compagnia di fotografi, che lo immortalavano: in un’epoca in cui praticamente non esistevano uffici stampa e mass media, la fotografia era l’unico strumento di promozione. Il suo percorso fu seguito da milioni di lettori, le sue immagini rimasero nella memoria dei fan e ora la storia di Gardel continua a vivere anche tramite esse.

Gli attribuirono mille avventure, ma il suo vero amore fu sua madre, nubile e ragazza madre, per lui rifiutata dalla famiglia e in fuga dalla Francia.

Come molte leggende non si spense: sparì in un incidente aereo il 24 di giugno del 1935. Riuscirono a identificare il corpo dalla dentatura. Prima di partire dalla Colombia, dove era in tournèe, le sue ultime parole di saluto alla radio furono: “No sé si volveré porque el hombre propone y Dios dispone, pero esta tal el encanto de esta tierra que me recibió y me despide como si fuera hijo pródigo, que no puedo decirles adiós sino hasta siempre”.

 OlO Gardel

Carlos Gardel “Por una cabeza”

http://www.youtube.com/watch?v=8dStp5hq294

VOLVER – CARLOS GARDEL

http://www.youtube.com/watch?v=ZHG21QmTUwA

Tina Modotti : una donna. Carlos Gardel Volver

http://www.youtube.com/watch?v=hfFaD-iO7pU

Yira Yira – Carlos Gardel – Tango

http://www.youtube.com/watch?v=IpHCyRUtCN4

 

 

Un luogo dei Diritti al Femminile

Nell’agosto del 2006 a Buenos Aires venne costituito il Museo de la Mujer. L’iniziativa fu promossa da Graciela Tejero Coni, bisnipote di Gabriela Laperriére, una delle prime attiviste nel paese per la difesa dei Diritti delle Donne all’inizio del secolo scorso. Il movimento delle donne è alla base del Progetto Museale con l’obiettivo di creare un continuo processo di dialogo tra passato e presente, affinché quanto era già stato fatto fosse uno stimolo e una spinta per l’attuale lotta. Da allora furono stabiliti, infatti, contatti con altri Musei de la Mujer esistenti nel resto del mondo (Germania, Inghilterra, Italia, Austria, Belgio, Polonia, Romania, Svezia, Norvegia per l’Europa; Stati Uniti per il Nord d’America; Peru, Messico, Costa Rica per il Sud Centro America; Australia, Senegal e Sudan e Mali per l’Africa; Cina). Grazie alla guida del consiglio direttivo (Elizabeth Coni – Graciela Tejero Coni – Irene Jaievsky – Diana Coppola – Verónica Coppola – Berta Wexler- Maria Cillis) e la costituzione di un’équipe di professioniste e specialiste viene mantenuto vivo un archivio storico e un museo specifico della storia culturale, si promuove la produzione di arte e cultura delle donne – che fanno la storia con il loro percorso assieme al popolo. Da qui si comprende la creazione e la promozione dell’incontro nazionale delle donne con cadenza annuale e l’organizzazione del secondo congresso Internazionale in occasione del centenario del primo avvenuto a Buenos Aires nel 1910. Nonostante la globalizzazione delle informazioni, il progresso tecnologico e lo sviluppo economico e sociale, nonostante il mondo sembri avanzare, continua ad essere necessario affrontare la rivendicazione dei diritti umani con una duplice lotta contro oppressione e subordinazione di genere. Insieme possiamo fare molto: siamo in grado di ascoltarci reciprocamente, recuperando la coscienza della nostra dignità. Collaborare l’una con l’altra solidarmente, ci permette di fare di più di ciò che è possibile fare singolarmente, cioè unire i nostri talenti per un ideale unico. L’intelligenza emotiva e creativa supera le barriere dell’ignoranza e del pregiudizio per una vita libera da ogni schiavitù, autentica nell’amore del prossimo.

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Buenos Aires (Argentina)OlO Argentina Derechos Humanos -Ayer y Hoy de las Mujeres_Graciela Tejero Coni e Irene Jaievsky

Museo de la Mujer

Attualmente ospita la mostra:

AYER Y HOY DE LAS MUJERES

Dal 7 dicembre 2012 all’11 gennaio 2013

Neoliberismo Democratico o Democrazia paternalistica

È difficile leggere il nuovo assetto politico di alcuni paesi dell’America Latina, impegnati a confutare il modello economico occidentale, sottoposti prima al colonialismo e sino a qualche anno fa a una sorta d’imperialismo economico.

Un Continente che non accetta di essere ritenuto il cortile statunitense e per decenni trattato con sufficienza, vuol mettere in crisi il neoliberismo democratico.

Per comprendere questi cambiamenti è anzitutto necessario lasciare da parte modelli macroeconomici obsoleti, generati da un’ideologia politica utopistica; utilizzando una metafora artistica in politica e in economia è auspicabile abbandonare una visione surrealista per dirigersi verso lidi iperrealisti!

Per il politologo americano Francis Fukuyama della Stanford University in California, come chiarisce durante un’intervista su L’Espresso di fine giugno 2012, “occorre riportare l’equilibrio fra il mercato e lo Stato, equilibrio turbato dagli ultimi 25 anni di dominio assoluto del neoliberismo…” occorre cioè “..riabilitare l’idea di bene pubblico. Bisogna rendersi conto che non si tratta di un insieme di beni individuali e che la società non ne costituisce la somma, ma che è un concetto collettivo. Abbiamo bisogno di un nuovo progetto riformista, più credibile della socialdemocrazia e del Welfare tradizionali. È necessario reinventare lo Stato”.

Chantal Mouffe, politologa belga in forze all’università di Westminster del Regno Unito, provocatoriamente afferma che “c’è da latinoamericanizzare l’Europa” nell’intervista sul quotidiano argentino Pagina|12.

La Mouffe che ha partecipato a Buenos Aires insieme a Ernesto Laclau ad un intenso ciclo di “Confronti e scontri” con altri politologi intervenuti nel paese sostiene che “in un mondo multipolare, la democrazia non può essere un unico modello esportato dall’Europa e dal Nord America al resto del mondo. C’è da comprendere che si verranno a formare distinte forme di democrazia, che prendono origine nei distinti contesti storici. Non c’è un’unica modernità ma molte traiettorie verso ciò che può essere chiamato modernità e nella misura in cui si possono accettare l’esistenza di differenti modernità alternative, siamo in grado di accettare e di comprendere anche forme multiple di democrazia. Non è legittimo pretendere che questo modello occidentale sia accettato dal resto del mondo. Nell’esperienza delle nuove democrazie del Sudamerica non c’è un rifiuto della tradizione liberale, però c’è un’articolazione distinta tra la tradizione liberale e la democrazia. In Europa l’elemento liberale è diventato assolutamente dominante mentre l’elemento democratico è stato subordinato o in alcuni casi eliminato.”

Viceversa nell’America Latina la democrazia intesa nell’accezione di redistribuzione della ricchezza e della sovranità popolare ha il predominio sulla concezione liberale dell’economia.

E’ chiaro che sono da considerare pericolose, prosegue la Mouffe, le situazioni in cui un progetto paese dipende da una sola figura politica, non per questo però devono essere in assoluto condannate e demonizzate le rielezioni dello stesso presidente nel momento in cui il paese prevede che possa essere rieletto.

“Analizziamo il caso Cileno, dove il presidente ha un solo mandato. Michelle Bachelet è stata un personaggio molto popolare e avrebbe potuto essere rieletta ma la normativa non l’ha permesso: questo si, che è stato un forte ostacolo al potere popolare. Anche la rielezione può essere una maniera di lottare contro il predominio del liberismo sulla democrazia. Chiaramente ciò non vuole dire che si debbano abbandonare in assoluto i limiti liberali”.

Ben diverso è il caso venezuelano con il quarto mandato di Hugo Chávez, riconfermato presidente grazie al referendum del 2009 che ha cancellato i limiti alla rieleggibilità del presidente.

Qual è il punto allora?

Il Clarin denuncia: “De república de leyes a una democracia de emperadores”. L’articolo è una riflessione generale sull’assetto dell’America Latina anche se poi è preso ad esempio il fenomeno Chavez. Termini come “paternalismo smisurato quasi grottesco” o “autoritarismo con personalismo estremo quasi faraonico” se non considerati tendenziosi, certamente interpellano profondamente sulla ricerca di una interpretazione il più possibile veritiera dei fatti.

La soluzione forse è lontana ma una direzione possibile ci è indicata dalla Mouffe:

“In politica esiste sempre un noi e poi gli altri. …Nella società saranno sempre presenti settori opposti. Il conflitto ha sempre a che fare con relazioni di potere e di egemonia. L’obiettivo della democrazia dunque, non è trovare il cammino per mettere tutti d’accordo giacché impossibile, ma quello di trovare il modo per gestire il conflitto. Non è possibile organizzare una società democratica su un piano amico-nemico cioè su un antagonismo nel quale non si riconosce la legittimità dell’opponente per cui non rimane che eliminarlo. Diverso il discorso se la dimensione per affrontare il conflitto si pone in una base agonistica per cui si sviluppa una “relazione” tra avversari. Ci sarà comunque una lotta per l’egemonia, ma che sarà subordinata ad atteggiamenti e procedimenti democratici. Il compito fondamentale della politica democratica è creare istituzioni e procedimenti che possano permettere ai conflitti di manifestarsi in una maniera agonistica e non antagonistica”.

LA RISCOSSA CHÁVEZ

Il quarto mandato di Hugo Chávez riconfermato presidente in Venezuela, non può non far riflettere sulla costanza del segnale manifestato alcuni paesi dell’America Latina come il Venezuela appunto, la Bolivia, il Brasile o l’Argentina nell’assetto politico ed economico mondiale.

Riflessione che per essere realmente costruttiva deve abbandonare la lente deformante dei preconcetti e delle fonti d’informazione di un’ideologia dominante come quella Europea e Nord Americana. Sforzo arduo, soprattutto per Sud America in quanto il grado di distorsione nel quale ci vengono propinate le notizie è totale. Oliver Stone ha dedicato a questo fenomeno un interessante film documentario: South of the Border premiato nel2009 a Venezia ma sparito troppo velocemente dalle sale.

Parlando d’informazione c’è chi sottolinea che la rielezione di Chavez è avvenuta grazie al 54,2 per cento dei voti favorevoli e cioè con quasi nove punti percentuali in meno rispetto ai voti ottenuti nelle precedenti elezioni (2006) mentre sembra interessare meno il fatto che l’affluenza alle urne sia aumentata del 6% rispetto a quella passata. Fenomeno in controtendenza a ciò che si registra invece nella maggior parte dei paesi Europei.

Il programma di Hugo Chávez segue coerentemente le politiche cominciate all’inizio del suo mandato: la rivoluzione socialista bolivariana.

Come afferma il Vicepresidente Elías Jaua, il Governo Bolivariano stringerà la vite per blindare il modello socialista finanziando con i dollari derivanti dall’esportazione del petrolio la possibilità per tutti i venezuelani di aver accesso all’istruzione, alla salute e a un’abitazione.

Per ottenere questo dovranno essere rinforzati i controlli su elementi strategici come l’energia, gli alimenti, e l’edilizia.

Da quando ha assunto il potere, Chávez ha aumentato l’ingerenza dello Stato sull’economia del paese non solo con le nazionalizzazioni, ma anche con il controllo dei prezzi e del tasso di cambio. Finora ha trascorso 14 anni di mandato ignorando il consenso Nord Americano che infatti appoggiò i suoi avversari nel un golpe del 2002 fallito poi miseramente: Hugo Chávez fu reinsediato pochi giorni dopo per acclamazione popolare.

Con posizioni e percorsi differenti e con continuità variabile Brasile, Bolivia e Argentina stanno anch’essi portando avanti una strategia similare di posizionamento rispetto al dominio Nord Americano e alle politiche economiche neoliberiste, applicando norme per poter riaffermare lo Stato come strumento di sviluppo politico economico.

All’interno di questo panorama la creazione del Mercosur (Mercato comune del Sud America) con la sua radio, ampliato poi nell’UNASUR (Unione delle Nazioni Sudamericane) ed il Consiglio di Difesa Sudamericano hanno avuto un ruolo importante, anche nelle contrapposizioni di principio come il concedere da parte dell’Ecuador l’asilo al cofondatore di Wikileaks Julian Assange.

Ma leggendo i giornali è spontaneo chiederci:

«Stiamo parlando di populismo demagogico con l’unico scopo di rafforzare l’autoritarismo del potere o di un nuovo modello di governo coerente con l’evoluzione e l’emancipazione propria di ciascun paese?»

Questo è il dilemma su cui si scontrano detrattori e sostenitori di una via LatinoAmericana all’economia di mercato.