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Autocrazia Ottomana

I recenti avvenimenti turchi stanno avallando i dubbi avanzati da alcuni osservatori sulla democrazia d’impronta islamica perpetrata dal governo di Recep Tayyip Erdoğan all’indomani delle elezioni del 2002.

Erdoğan ha silenziosamente guidato la Turchia verso un’islamizzazione strisciante, limitando la laicità promossa da Moustafah Kemal Ataturk nel fondare la Turchia moderna e per una democrazia autoritaria. Una visione personalistica della democrazia molto simile a quella di Putin con l’addomesticamento della Turchia con ogni mezzo compreso l’arresto in massa di chi manifesta e di chi li difende davanti alla Legge.

Un indirizzo che non era evidente per tutti, ma le restrizioni sulla vendita degli alcolici o l’incoraggiare l’uso del velo in ogni luogo hanno ampliato lo scontento che la cementificazione di uno spazio verde di Istanbul non ha fatto che dare il segno a una protesta diffusa.

A far scendere per le strade la protesta è stata anche la scelta del governo di continuare a cementificare Istanbul con un nuovo centro commerciale, cancellando Gezi Park, uno degli ultimi luoghi verdi della città, per un progresso forzato da perseguire attraverso la strana idea occidentale che può essere realizzata con l’edificazione forzennata.

Alle porte di Istanbul la modernizzazione ha le fattezze del Teknopark, un complesso stile Silicon Valley che dal prossimo agosto, dopo oltre vent’anni d’intenzioni e lavori, ospiterà un migliaio di aziende di tecnologia avanzata.

Sembra indicato, nel caso di Gezi Park, citare il primo verso della canzone di Joni Mitchell, Big yellow taxi, (Ladies of the Canyon, 1970), anche se la folk singer si riferiva ad una cementificazione alle Hawaii “Hanno pavimentato il paradiso / e ci hanno messo su un parcheggio / con un hotel rosa, una boutique / ed un riflettore che ondeggia. […]”

La rabbia turca ormai non è solo ambientalista, ma soprattutto contro un governo che vuol sorvegliare troppo da vicino il comportamento dei singoli mettendo in discussione l’identità turca che non può essere quella araba.

La minaccia di abbattere 600 alberi è riuscita a coagulare le anime più diverse per gridare all’unisono lo scontento accumulato in anni di svolta autoritaria del governo Erdoğan che potrebbe coincidere con la crisi diplomatica con Israele e il voler assurgere a ruolo di tutore della riscossa del mondo islamico. Un’ambizione stimolata dalla nostalgia di un impero e dei suoi pascià che il progetto del complesso commerciale, con annessa ricostruzione di una caserma ottomana e una moschea, rendono Erdoğan un euroscettico per le continue richieste dell’Ue di europeizzare la Turchia e affiliarla all’Europa o la riluttanza di alcuni paesi della comunità di accettare nel proprio club uno stato islamico.

Una nostalgia per un’epoca che non era proprio di grande esempio per un musulmano con l’opulenza e le numerose deroghe alle regole all’Islam.

È più probabile che il governo Erdoğan non abbia mai avuto l’intenzione di dare seguito alla richiesta della maggioranza che lo aveva preceduto nell’aderire al Ue, ma preferire degli interlocutori commerciali più autoritari come la Cina e la Russia.

Il premier Recep Tayyip Erdoğan al suo terzo mandato, con il 52% di preferenza ben lontano dai risultati plebiscitari del 2002, ha ritenuto doveroso presentarsi poco dialogante, contraddicendo il suo schierarsi con le “Primavere” arabe e rivelandosi incapace di ascoltare le istanze dei suoi connazionali.

Una posizione muscolare quella di Erdoğan che ha sfoggiato nel gridare contro i social media e accusando la protesta di piazza di infiltrazioni straniere non ben identificate nelle proteste calandosi nella paranoia di un governante in cerca di nemici esterni per coagulare su di se il consenso, potendo contare sui suoi fan coattivi di 2.041.503 “Mi Piace” su Facebook e 2.823.762 Follower su Twitter.

Il porsi come un primo ministro autoritario gli permette di creare degli interlocutori come i capi della protesta e pensare a una consultazione referendaria sulla quale ci dovrà essere il futuro del Parco, ma gli permette anche di trovare nuove forme di censura come quella di multare le televisioni che trasmettono immagini della protesta ritenendo antieducativi i filmati.

Tutto questo mentre il movimento di protesta elegge Bella Ciao a sua colonna sonora e la ragazza in rosso che sfida il getto di gas lacrimogeni e degli idranti come suo simbolo.

Una posizione intransigente quella del primo ministro Erdoğan criticata anche dal presidente Abdullah Gül, anche lui islamico, portando in superficie i pacati contrasti tra le due alte cariche turche, marcando i contrasti all’interno della stessa compagine governativa e ponendo gli scontri non tanto tra islamismo e laicità, ma piuttosto tra una parte dello Stato e la maggioranza dei cittadini.

Erdoğan non ha alcuna intenzione di cedere alle proteste di piazza e vuol proseguire nei suoi progetti e appuntamenti come Giochi del Mediterraneo 2013 a Mersin o farsi intimidire dalle minacce di sospendere i negoziati di adesione della Turchia all’Ue.

Nessun rimprovero europeo o statunitense, sul comportamento dalla polizia nel contrapporsi alle proteste, fa recedere Erdoğan dalle sue posizioni e i 600 alberi che potrebbero diventare la fine di una democrazia autoritaria come la foresta lo fu per lo shakespeariano Macbeth.

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Un Nobel in conflitto d’affari

Mai un riconoscimento come quello del Nobel, per l’impegno a favore della Pace, è stato tanto spudoratamente disatteso come sta avvenendo con il comportamento dell’Unione europea per la sua non decisione sull’embargo di armamenti verso la Siria. Qualche dubbio sull’opportunità di conferire quel riconoscimento all’Ue, motivato per il contribuito che aveva dato alla riconciliazione, alla democrazia e ai diritti umani in Europa, era stato comunque in precedenza sollevato, vista l’incapacità di fermare prontamente il massacro nei Balcani e l’aver ripetutamente taciuto sulle tragedie del Mediterraneo, oltre ad operare con una forza militare quale è Frontex per dissuadere l’umanità disperata di trovare in Europa un luogo dove vivere.

E’ con questi precedenti che la Ue ha dunque affrontato lo scorso 27 maggio a Bruxelles il nodo siriano, con i ministri degli esteri dei diversi stati, e ha pensato di risolverlo togliendo l’embargo sulle armi alla Siria. In prima fila a sollecitare le forniture militari all’Opposizione siriana ci sono la Gran Bretagna e la Francia che, constatando l’incapacità dell’Occidente a fermare il quotidiano massacro di civili che dura da due anni, hanno pensato di trarne profitto – come sta facendo la Russia – smerciando armi proprio ora che si entra nel vivo della preparazione per la Conferenza di Pace di metà giugno a Ginevra, l’appuntamento sembra slittare a luglio. Nel frattempo l’Opposizione siriana continua a discutere in riunioni interminabili, l’ultima delle quali si è protratta a Istanbul per giorni e giorni senza alcun risultato, per marcare la divisione tra posizioni laiche e islamiste.

Si continua a parlare di pace, ma tutti sembrano soffiare sul fuoco, trasformando la Siria autoritaria, con un’economia turistica stabile e una posizione geopolitica di garanzia nell’area mediorientale, in terreno di scontro tra sunniti e sciiti, tra Russia ed Europa, tra Cina e Stati uniti, tra laicità musulmana e islamismo. Creando sodalizi pericolosi come tra Iran e Iraq in una sorta di alleanza sciita per emarginare le altre componenti dell’Islam.

Per ora il campo di battaglia tra le due componenti islamiche si svolge cruentamente nel territorio siriano, con mercenari e fanatici che arricchiscono uno scenario circoscritto, ma la situazione ribolle in Iraq con la silenziosa mattanza quotidiana e nell’attiguo Libano con una complesso alternarsi di alleanze variabili. In più, combattenti stranieri in ambo gli schieramenti, fondamentalisti con Bashar al-Assad e con chi gli si oppone, mercenari e idealisti che si fronteggiano. In occasioni simili mai è risultato saggio affidarsi a mercenari per conservare il potere. Ma il fronteggiarsi di sunniti e sciiti (difficilmente comprensibile fuori dell’Islam) pervade gran parte del mondo islamico. In Iraq, al tempo di Saddam Hussein, era la minoranza sunnita a detenere il potere, ora i ruoli sono invertiti, con i sunniti a trovarsi limitati nei diritti e organizzare attentati. Nel Bahrein la minoranza sunnita controlla invece con autorità gli sciiti. E in Pakistan sono frequenti gli attentati nei confronti della comunità sciita.

Più semplicemente la Russia gongola, guardando la Ue che si divide, ambendo ad essere egemone nell’emisfero settentrionale, mentre la Cina scansa gli Stati uniti da quello meridionale. E dopo che il regime di Bashar al-Assad è stato continuamente foraggiato in armamenti da Russia e Iran, ora è la volta che l’Europa procuri armamenti adeguati a rendere più equilibrato lo scontro e accrescere le file di vedove e orfani. I contrasti religiosi e culturali sono un lucroso affare per i mercanti d’armi e un modo per risollevare dalla crisi l’Occidente che detiene la maggioranza della produzione bellica.

L’Europa nel suo non decidere unitariamente si dimostra incapace di mostrarsi come degli stati con un unico futuro. Non è la zona euro a essere in crisi, è l’idea complessiva dell’Europa, con rappresentanti succubi dei governi nazionali e una leadership opaca.

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Maggie liberalista culturale

Prima di Margaret Thatcher la Gran Bretagna era un paese con un’industria fiorente e delle miniere. Dopo il suo passaggio rimase un’economia basata sulla finanza. Una donna che ha smantellato il prodotto fisico per sostituirlo con i Commodity Futures, trasformando la Londra dickensiana in quella dell’alta finanza araba, prima, e quella odierna dei russi.

Maggie è morta e c’è chi stappa bottiglie di spumante e ha grida: Evviva!

Negli anni ’80 avviò il risanamento della malsana ex zona portuale del Tamigi, l’ampio quartiere dei Dock, creando un asse di espansione della City, facilitando l’insediamento di banche e agenzie finanziarie, ma anche per la produzione televisiva.

Un intervento che trasformò la zona degradata in quartiere residenziale dei Docklands – Canary Wharf.

La Thatcher avrà distrutto un’economia basata sulle miniere, e dopo trent’anni i minatori hanno continuato a odiarla, ma ha limitato l’inquinamento atmosferico. Paradossalmente è grazie alla Lady di Ferro utilizzata come fonte d’ispirazione che l’industria cinematografica britannica è risorta e il rock è rinato.

Margaret Thatcher è stata la fortuna della cultura britannica, ha incanalato su di se la rabbia ispiratrice anche degli scrittori, rendendo, come afferma Ian McEwan sul The Guardian di martedì 9 aprile, migliore la loro scrittura. Alla fine degli anni ’80, ad una conferenza internazionale di Lisbona, gli scrittori italiani come Antonio Tabucchi non riuscivano a capire perché Salman Rushdie, Martin Amis, Malcolm Bradbury e lo stesso Ian McEwan erano tanto ossessionati dalla Lady di Ferro, perché secondo loro la letteratura non ha niente a che fare con la politica.

Ma per Ian McEwan e gli altri la Thatcher era un inesauribile fonte di ispirazione con il loro non amarla e il piacere di provarlo.

Bastò qualche anno perché quegli scrittori italiani si dovettero ricredere con la scesa in campo di Silvio Berlusconi.

In Italia non è stata necessaria la presenza di una figura forte come la Thatcher per fare di meglio nello smantellamento dell’istruzione e della cultura e anche con l’industria siamo a buon punto.

Il neorealismo italiano si affermò in un periodo difficile per l’Italia e osteggiato dalla politica che denuncia un’immagine “avvilente” della società.

Con Ken Loach i suoi Riff Raff (1991) e Piovono pietre (1993), Peter Cattaneo con Full Monty (1997), Stephen Daldry con Billy Elliot (2000) si ha un panorama del proletariato in era thatcheriana, sino al The Iron Lady con Meryl Streep per avere una sintesi di cosa è stata la Thatcher per il Regno unito.

Non solo la politica economica della Thatcher, ma anche le scelte politiche e l’inutile fermezza nel gestire il caso di Bobby Sands, l’esponente dell’Ira lasciato morire di fame in prigione, raccontata da Terry George con Some Mother’s Son (Una scelta d’amore, 1997), con The Falklands Play viene affrontata la crisi del Regno Uniti con le Isole Falkland per la Bbc.

Una visione forse un po’ faziosa, ma nulla a che vedere con la rabbia gridata in canzoni come Margaret on the guillotine di Morrissey, dove l’ex leader degli Smiths immagina la morte del primo ministro britannico come un “sogno meraviglioso”. Pink Floyd di The fletcher memorial home (1983), Elvis Costello con Tramp the dirt down (1989), Sinead Oconnor con Black boys on mopeds (1990) sono tutte delle proteste contro la politica ultraliberista e le privatizzazioni selvagge della lady di ferro.

Il gruppo The Clash risponde al divieto della Thatcher dell’uso della parola “sandinista”, riferita ai guerriglieri del Nicaragua intitolando il loro quarto album Sandinista!.

Quale altro politico può fregiarsi di aver ridotto le cause d’inquinamento dovute all’industria e al carbone, oltre ad essere stata la promotrice di una nuova filmografia e fare la fortuna del rock, sino a rendere la narrativa britannica migliore? Inoltre il Labour Party la deve ringraziare per Tony Blair e il nuovo corso liberalista del partito.

 “dal letame nascono i fiori dai diamanti non nasce nulla

 Margaret Thatcher

Dopo la danza contro la violenza

Oltre un miliardo di teste pensanti, più donne che uomini, hanno danzato il 14 febbraio contro la violenza sulle donne. Un invito a ballare contro la violenza partito dalla drammaturga statunitense Eve Ensler con One Billion Rising che ha coinvolto l’intero Pianeta, non solo l’Occidente, ma dall’Afghanistan alla Papua Nuova Guinea, da Mogadiscio all’India.

Un’iniziativa facilitata dalle nuove tecnologie.

Non è stato facile contare un miliardo e oltre di donne che danzano contro gli stupri e le mutilazioni, coercizioni psicologiche e angherie verbali.

Egitto Donne mohamed-mahmoud-mural-008-001Violenze che continuano e di cui solo una minoranza vengono denunciate. Di questo esiguo elenco solo pochi casi trovano spazio nell’informazione e quando è coinvolto un personaggio da rotocalco offusca la tragedia di altre ragazze violentate, torturate e uccise, come nel caso della diciassettenne sudafricana dimenticata per dare tutte le possibili notizie sul caso di Oscar Pistorius – Reeva Steenkamp. Una coppia da ricchi e famosi, ben lontani dalle miserie di un’India che quotidianamente vede un’infanzia violentata come le tre sorelline uccise in Maharashtra.

Il Sudafrica è una tra le nazioni più violente tra quelle non in guerra, registrando nel 2012 65mila casi di violenza sessuale. Numeri che rappresentano la punta dell’iceberg in un paese tra i più promettenti per la crescita economica.

In Italia sono state 100 le donne vittime degli uomini che le “amavano” e Riccardo Iacona ha ripercorso le loro storie nel programma Presa Diretta del 24 febbraio.

In occasione della riunione dei G8 il 10 e 11 aprile a Londra, sotto la presidenza britannica, sarà presentato un documento contro lo stupro come arma di guerra.

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Povertà migrante

L’indigenza e la povertà è stata fino ad ora tenuta lontano dalla vista quotidiana della maggior parte della popolazione, ma con il continuo aggravarsi della situazione economica sono in crescita le persone che si rivolgono alle mense popolari e agli aiuti delle organizzazioni di volontariato.

All’accattonaggio cronico si affianca la timida richiesta di elemosina di persone anziane parcheggiate in una stazione della metropolitana o all’angolo di due vie centrali dai parenti.

Ormai la società benestante non ha più la capacità di spingere un popolo d’indigenti verso i suoi margini, rendendoli ancor più invisibili, impercettibili, ai confini della sopravvivenza, per non disturbare la nostra sensibilità, condannandoli a un perpetuo nomadismo.

A Parigi una famiglia viene cacciata dal museo d’Orsay perché il cattivo odore della loro indigenza infastidiva i visitatori. In Spagna vengono sigillati i cassonetti per impedire recupero alimenti. Ad Evros è stato completato il Muro che separa la Grecia dalla Turchia per ostacolare l’arrivo di migranti e quelli che riescono a porre il piede sul suolo greco troveranno la violenze e gli abusi perpetrati dalla polizia. Una guerra tra poveri.

Spuntano negli angoli più celati di Roma come in altre città dei rottami di roulotte per chi ha perso i titoli per avere un’abitazione. Sono dei senza fissa dimora più fortunati di altri, solo per avere un tetto sulla testa e delle pareti, anche se esili, e non un cartone o attrezzati di una sola coperta.

Un quarto degli italiani, secondo il rapporto del Censis, rischiano l’esclusione sociale, mentre nell’Europa delle grandi sfide e del Premio Nobel 2012 per la Pace si ampliano le disuguaglianze sociali, portando centoventi milioni di persone allo stato di gravi difficoltà economiche.

Nel Mondo i poverissimi sono il 22%, pari a 1,29 miliardi, che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno.

Un popolo al quale Paul Collier dedicò nel 2009 il libro L’ultimo miliardo (Laterza) per analizzare i motivi per i quali i paesi più poveri diventano sempre più poveri e cosa si può
fare per aiutarli che non sia carità.

A Roma si allontanano gli invisibili recintando o sperando in una combustione accidentale dell’area come sotto il cavalcavia della Magliana-Eur, luogo riparato dalle intemperie e dagli occhi, ma ciò nonostante sottoposto a periodici sgombri, sino alla definitiva recinzione. In Cina a Guangzhou delle piramidi di cemento per impedire la sosta agli homeless in luoghi di transito, interventi che possono essere interpretati come arredo urbano.

La Cina, mentre cerca di nascondere la povertà, si prefigge di portare fuori dalla indigenza circa 80 milioni di persone entro il 2015, impegnandosi ad aumentare del 40% il salario minimo, vuol incrementare gli stanziamenti per istruzione e alloggi popolari, oltre a imporre alle aziende di stato di versare un altro 5% dei loro profitti in dividendi entro il 2015.

La Cina è la seconda economia mondiale che negli ultimi anni ha visto crescere il divario tra ricchi e poveri. Una possibile causa per delle rivolte sociali.

Una periferia disagiata, con una povertà che ancor più in risalto la città ricca e che permette agli indigenti di poter consumare, timidamente, un pasto in una mensa di sostegno o di recuperare sedie e mobili dalle discariche.

Il rapporto della britannica Institution of mechanical engineers (Ime): due miliardi di tonnellate, pari alla metà del cibo prodotto nel mondo, di alimenti vengono distrutti; tra il 30 e il 50 % spesso senza neanche arrivare nei piatti dei consumatori e finisce in spazzatura. Una statistica approssimativa se pensiamo a quante tonnellate di prodotti agricoli non vengono colti o mandati alla distruzione per poter tenere alti i prezzi e usufruire degli aiuti economici dell’Ue.

Un centinaio di organizzazioni umanitarie hanno lanciato una campagna contro la fame Enough food for everyone IF… in modo da coincidere con il ruolo del Regno Unito a capo del G8 di quest’anno. Un’ampia coalizione umanitaria dai tempi della campagna Make Poverty History 2005, alla quale aderisce anche Save the Children, perché la fame appartenga al passato.

In Australia c’è il gruppo Roadtrip ad essere impegnato a sottrarre dalla povertà di vivere con meno di 2 dollari al giorno gli abitanti della Papua Nuova Guinea come in altre parti del Mondo e anche con meno di un dollaro.

La Gran Bretagna da una parte si impegna in campagne contro la fame e la povertà, mentre limita il welfare agli immigranti europei.

Dopo la recente conferenza di Bruxelles, che ha affrontato il tema della povertà, i paesi membri tentano ora di costruire una politica sociale comune per rispondere alle emergenze, ma il cammino è ancora tutto in salita.

Rimane difficile credere che la Ue, incapace di trovare una politica estera comune, possa conseguire dei risultati per un programma sociale. Tanto più che a febbraio l’Europa si trova nuovamente divisa sull’approvazione del nuovo bilancio comunitario per il periodo 2014-2020, tra chi vuol ridurre il budget, come Gran Bretagna e Germania, e chi è fautore per rafforzarlo. Le prospettive di un nuovo fallimento dopo quello di novembre si sono rivelate pessimistiche: sono riusciti ad accordarsi al ribasso. Si sono ottenuti dei tagli, ma lasciando invariati gli aiuti alle agricolture.

Due filosofie, quella dei tagli e quella dell’incremento degli investimenti che continueranno a confrontarsi per la stabilità del bilancio e la crescita economica. Più si spende e più si cresce, ma non sembra una scelta oculata. Fare debiti per consolidare e far crescere il benessere personale. Ma si ha un progetto a lungo termine o si vuol alternare austerità con lo sperperare. Può essere una pratica che possa dare delle prospettive? Questo non si può chiamare modernità.

È limitativo che il presidente dell’Eurogruppo Jean Claude Juncker al Parlamento europeo citi Marx contro la crisi per ipotizzare il salario minimo garantito. Una svolta dell’Ue si avrà quando si otterrà una coesione tra i paesi rappresentati al Parlamento europeo, svincolando dai cordoni ombelicali che li tengono troppo legati agli interessi nazionali a discapito dell’interesse comunitario. Che sia l’Ue a provvedere allo stipendio dei parlamentari per una eguaglianza nel trattamento economico equiparato alla presenza.

Un’Europa che non trova delle soluzioni comunitarie quando non riesce a trovare un accordo quando in ballo ci sono i guadagni economici come può affrontare la povertà?

I paesi del nord e quelli del sud dell’Europa affrontano la povertà in diverso modo. In linea di massima l’area protestante crea una rete di servizi sociali finanziati dall’amministrazione pubblica, mentre quelli cattolici si affidano al volontariato e alla carità. La prima è stabile nella sua programmazione, mentre la seconda è precaria e può contare sulle donazioni.

I maggiori paesi investiti dalla crisi rimangono racchiusi nell’acronimo Piigs (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna) accomunati dal rischio di cadere nella povertà. Un rischio che non esenta Malta, Cipro e l’Estonia, la cenerentola del Baltico. Una nazione come una persona quando si trova in difficoltà, è difficile che riesca a risollevarsi, come vuol ribadire il rapporto Ue 2012 su disoccupazione e sviluppi sociali, 469 pagine a firma del commissario Ue per gli affari sociali Lazlo Andor, evidenzia il divario tra Nord-Sud. Un dossier che ha tutto il gusto di una beffa nell’Anno europeo dei cittadini.

Un panorama ricco di contraddizioni come sta succedendo a Malta nel voler diventare con il gioco online la Las Vegas del Mediterraneo, ampliando il suo spettro economico imperniato sul turismo, e affiancandosi a Cipro nell’offerta di servizi finanziari.

In ogni periodo di crisi economica cresce la corsa delle persone nel cercare rifugio verso i sogni di ricchezza nel gioco d’azzardo e nella convinzione di poter investire i pochi soldi in una scommessa o in una speculazione finanziaria.

Il discrimine tra chi ha e chi aveva è evidenziato nelle stazioni ferroviarie delle grandi città italiane, dove le sale d’attesa sono ad uso solo di chi possiede una card vip o uno speciale biglietto.

Anche ActionAid è impegnata nelle problematiche delle nuove povertà, sfide climatiche e crescita sostenibile da affrontate non solo nei paesi del sud del Mondo, ma anche in Italia e nel resto d’Europa. È nell’ambito dell’Anno europeo del cittadino che ActionAid, con la collaborazione dell’Associazione Stampa Romana, ha organizzato il 22 aprile, presso la sede della Provincia di Roma a Palazzo Valentini, una serie di incontri come Nuove povertà e disuguaglianze sociali.

La lunga marcia verso la povertà trova le sue origini anche nell’esodo dalla campagna iniziata con gran vigore negli anni ’60 in tutta Europa e negli Stati uniti e che ora coinvolge anche la Cina. Così timidamente si assiste al fenomeno inverso anche perché il crescente numero dei poveri non permette a una società urbanizzata di praticare la carità.

La povertà si sconfigge con l’istruzione come hanno capito le organizzazioni no-profit Summerbridge, impegnata nell’aiutare l’infanzia meno abbiente dell’area urbana di Pittsburgh, e Breakthrough, spinge i bambini a conoscere altri paesi e culture attraverso viaggi mensili. Due modi per rompere il ciclo della povertà e accedere all’istruzione, anche superiore e universitaria, per migliorare la loro vita.

Un’altra realtà impegnata ad assistere i poveri negli Stati uniti è la National Hunger and Homeless Awareness Week dedita ad aiutare i senza tetto.

Per quanto le varie organizzazioni si possano impegnare in luogo del Pianeta ad aiutare e assistere gli indigenti i rischi di un conflitto tra chi ha e chi non ha appare come inevitabile, una conseguenza dal disagio sociale e della crescente povertà.

In un frammento di descrizione che Paul Auster fa della New York degli anni ’80 nel racconto Città di vetro si legge: […] Oggi, come mai prima: i barboni, gli spiantati, le vagabonde coi sacchetti della spesa, i miserabili e gli ubriaconi. Variano dal semplice indigente a relitto umano. Dovunque ti giri, te li trovi davanti, nei quartieri alti come nei bassifondi. […] E ancora: […]Dammi questi soldi, sembra che ti dicano, e presto sarò di nuovo tra di voi altri, correrò ogni giorno avanti e indietro come tutti quelli che lavorano. […] Sono passati una trentina d’anni e la situazione e cambiata in peggio.

MDG : IF campaign against hunger and enough food for everyone