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Dopo la danza contro la violenza

Oltre un miliardo di teste pensanti, più donne che uomini, hanno danzato il 14 febbraio contro la violenza sulle donne. Un invito a ballare contro la violenza partito dalla drammaturga statunitense Eve Ensler con One Billion Rising che ha coinvolto l’intero Pianeta, non solo l’Occidente, ma dall’Afghanistan alla Papua Nuova Guinea, da Mogadiscio all’India.

Un’iniziativa facilitata dalle nuove tecnologie.

Non è stato facile contare un miliardo e oltre di donne che danzano contro gli stupri e le mutilazioni, coercizioni psicologiche e angherie verbali.

Egitto Donne mohamed-mahmoud-mural-008-001Violenze che continuano e di cui solo una minoranza vengono denunciate. Di questo esiguo elenco solo pochi casi trovano spazio nell’informazione e quando è coinvolto un personaggio da rotocalco offusca la tragedia di altre ragazze violentate, torturate e uccise, come nel caso della diciassettenne sudafricana dimenticata per dare tutte le possibili notizie sul caso di Oscar Pistorius – Reeva Steenkamp. Una coppia da ricchi e famosi, ben lontani dalle miserie di un’India che quotidianamente vede un’infanzia violentata come le tre sorelline uccise in Maharashtra.

Il Sudafrica è una tra le nazioni più violente tra quelle non in guerra, registrando nel 2012 65mila casi di violenza sessuale. Numeri che rappresentano la punta dell’iceberg in un paese tra i più promettenti per la crescita economica.

In Italia sono state 100 le donne vittime degli uomini che le “amavano” e Riccardo Iacona ha ripercorso le loro storie nel programma Presa Diretta del 24 febbraio.

In occasione della riunione dei G8 il 10 e 11 aprile a Londra, sotto la presidenza britannica, sarà presentato un documento contro lo stupro come arma di guerra.

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Povertà migrante

L’indigenza e la povertà è stata fino ad ora tenuta lontano dalla vista quotidiana della maggior parte della popolazione, ma con il continuo aggravarsi della situazione economica sono in crescita le persone che si rivolgono alle mense popolari e agli aiuti delle organizzazioni di volontariato.

All’accattonaggio cronico si affianca la timida richiesta di elemosina di persone anziane parcheggiate in una stazione della metropolitana o all’angolo di due vie centrali dai parenti.

Ormai la società benestante non ha più la capacità di spingere un popolo d’indigenti verso i suoi margini, rendendoli ancor più invisibili, impercettibili, ai confini della sopravvivenza, per non disturbare la nostra sensibilità, condannandoli a un perpetuo nomadismo.

A Parigi una famiglia viene cacciata dal museo d’Orsay perché il cattivo odore della loro indigenza infastidiva i visitatori. In Spagna vengono sigillati i cassonetti per impedire recupero alimenti. Ad Evros è stato completato il Muro che separa la Grecia dalla Turchia per ostacolare l’arrivo di migranti e quelli che riescono a porre il piede sul suolo greco troveranno la violenze e gli abusi perpetrati dalla polizia. Una guerra tra poveri.

Spuntano negli angoli più celati di Roma come in altre città dei rottami di roulotte per chi ha perso i titoli per avere un’abitazione. Sono dei senza fissa dimora più fortunati di altri, solo per avere un tetto sulla testa e delle pareti, anche se esili, e non un cartone o attrezzati di una sola coperta.

Un quarto degli italiani, secondo il rapporto del Censis, rischiano l’esclusione sociale, mentre nell’Europa delle grandi sfide e del Premio Nobel 2012 per la Pace si ampliano le disuguaglianze sociali, portando centoventi milioni di persone allo stato di gravi difficoltà economiche.

Nel Mondo i poverissimi sono il 22%, pari a 1,29 miliardi, che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno.

Un popolo al quale Paul Collier dedicò nel 2009 il libro L’ultimo miliardo (Laterza) per analizzare i motivi per i quali i paesi più poveri diventano sempre più poveri e cosa si può
fare per aiutarli che non sia carità.

A Roma si allontanano gli invisibili recintando o sperando in una combustione accidentale dell’area come sotto il cavalcavia della Magliana-Eur, luogo riparato dalle intemperie e dagli occhi, ma ciò nonostante sottoposto a periodici sgombri, sino alla definitiva recinzione. In Cina a Guangzhou delle piramidi di cemento per impedire la sosta agli homeless in luoghi di transito, interventi che possono essere interpretati come arredo urbano.

La Cina, mentre cerca di nascondere la povertà, si prefigge di portare fuori dalla indigenza circa 80 milioni di persone entro il 2015, impegnandosi ad aumentare del 40% il salario minimo, vuol incrementare gli stanziamenti per istruzione e alloggi popolari, oltre a imporre alle aziende di stato di versare un altro 5% dei loro profitti in dividendi entro il 2015.

La Cina è la seconda economia mondiale che negli ultimi anni ha visto crescere il divario tra ricchi e poveri. Una possibile causa per delle rivolte sociali.

Una periferia disagiata, con una povertà che ancor più in risalto la città ricca e che permette agli indigenti di poter consumare, timidamente, un pasto in una mensa di sostegno o di recuperare sedie e mobili dalle discariche.

Il rapporto della britannica Institution of mechanical engineers (Ime): due miliardi di tonnellate, pari alla metà del cibo prodotto nel mondo, di alimenti vengono distrutti; tra il 30 e il 50 % spesso senza neanche arrivare nei piatti dei consumatori e finisce in spazzatura. Una statistica approssimativa se pensiamo a quante tonnellate di prodotti agricoli non vengono colti o mandati alla distruzione per poter tenere alti i prezzi e usufruire degli aiuti economici dell’Ue.

Un centinaio di organizzazioni umanitarie hanno lanciato una campagna contro la fame Enough food for everyone IF… in modo da coincidere con il ruolo del Regno Unito a capo del G8 di quest’anno. Un’ampia coalizione umanitaria dai tempi della campagna Make Poverty History 2005, alla quale aderisce anche Save the Children, perché la fame appartenga al passato.

In Australia c’è il gruppo Roadtrip ad essere impegnato a sottrarre dalla povertà di vivere con meno di 2 dollari al giorno gli abitanti della Papua Nuova Guinea come in altre parti del Mondo e anche con meno di un dollaro.

La Gran Bretagna da una parte si impegna in campagne contro la fame e la povertà, mentre limita il welfare agli immigranti europei.

Dopo la recente conferenza di Bruxelles, che ha affrontato il tema della povertà, i paesi membri tentano ora di costruire una politica sociale comune per rispondere alle emergenze, ma il cammino è ancora tutto in salita.

Rimane difficile credere che la Ue, incapace di trovare una politica estera comune, possa conseguire dei risultati per un programma sociale. Tanto più che a febbraio l’Europa si trova nuovamente divisa sull’approvazione del nuovo bilancio comunitario per il periodo 2014-2020, tra chi vuol ridurre il budget, come Gran Bretagna e Germania, e chi è fautore per rafforzarlo. Le prospettive di un nuovo fallimento dopo quello di novembre si sono rivelate pessimistiche: sono riusciti ad accordarsi al ribasso. Si sono ottenuti dei tagli, ma lasciando invariati gli aiuti alle agricolture.

Due filosofie, quella dei tagli e quella dell’incremento degli investimenti che continueranno a confrontarsi per la stabilità del bilancio e la crescita economica. Più si spende e più si cresce, ma non sembra una scelta oculata. Fare debiti per consolidare e far crescere il benessere personale. Ma si ha un progetto a lungo termine o si vuol alternare austerità con lo sperperare. Può essere una pratica che possa dare delle prospettive? Questo non si può chiamare modernità.

È limitativo che il presidente dell’Eurogruppo Jean Claude Juncker al Parlamento europeo citi Marx contro la crisi per ipotizzare il salario minimo garantito. Una svolta dell’Ue si avrà quando si otterrà una coesione tra i paesi rappresentati al Parlamento europeo, svincolando dai cordoni ombelicali che li tengono troppo legati agli interessi nazionali a discapito dell’interesse comunitario. Che sia l’Ue a provvedere allo stipendio dei parlamentari per una eguaglianza nel trattamento economico equiparato alla presenza.

Un’Europa che non trova delle soluzioni comunitarie quando non riesce a trovare un accordo quando in ballo ci sono i guadagni economici come può affrontare la povertà?

I paesi del nord e quelli del sud dell’Europa affrontano la povertà in diverso modo. In linea di massima l’area protestante crea una rete di servizi sociali finanziati dall’amministrazione pubblica, mentre quelli cattolici si affidano al volontariato e alla carità. La prima è stabile nella sua programmazione, mentre la seconda è precaria e può contare sulle donazioni.

I maggiori paesi investiti dalla crisi rimangono racchiusi nell’acronimo Piigs (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna) accomunati dal rischio di cadere nella povertà. Un rischio che non esenta Malta, Cipro e l’Estonia, la cenerentola del Baltico. Una nazione come una persona quando si trova in difficoltà, è difficile che riesca a risollevarsi, come vuol ribadire il rapporto Ue 2012 su disoccupazione e sviluppi sociali, 469 pagine a firma del commissario Ue per gli affari sociali Lazlo Andor, evidenzia il divario tra Nord-Sud. Un dossier che ha tutto il gusto di una beffa nell’Anno europeo dei cittadini.

Un panorama ricco di contraddizioni come sta succedendo a Malta nel voler diventare con il gioco online la Las Vegas del Mediterraneo, ampliando il suo spettro economico imperniato sul turismo, e affiancandosi a Cipro nell’offerta di servizi finanziari.

In ogni periodo di crisi economica cresce la corsa delle persone nel cercare rifugio verso i sogni di ricchezza nel gioco d’azzardo e nella convinzione di poter investire i pochi soldi in una scommessa o in una speculazione finanziaria.

Il discrimine tra chi ha e chi aveva è evidenziato nelle stazioni ferroviarie delle grandi città italiane, dove le sale d’attesa sono ad uso solo di chi possiede una card vip o uno speciale biglietto.

Anche ActionAid è impegnata nelle problematiche delle nuove povertà, sfide climatiche e crescita sostenibile da affrontate non solo nei paesi del sud del Mondo, ma anche in Italia e nel resto d’Europa. È nell’ambito dell’Anno europeo del cittadino che ActionAid, con la collaborazione dell’Associazione Stampa Romana, ha organizzato il 22 aprile, presso la sede della Provincia di Roma a Palazzo Valentini, una serie di incontri come Nuove povertà e disuguaglianze sociali.

La lunga marcia verso la povertà trova le sue origini anche nell’esodo dalla campagna iniziata con gran vigore negli anni ’60 in tutta Europa e negli Stati uniti e che ora coinvolge anche la Cina. Così timidamente si assiste al fenomeno inverso anche perché il crescente numero dei poveri non permette a una società urbanizzata di praticare la carità.

La povertà si sconfigge con l’istruzione come hanno capito le organizzazioni no-profit Summerbridge, impegnata nell’aiutare l’infanzia meno abbiente dell’area urbana di Pittsburgh, e Breakthrough, spinge i bambini a conoscere altri paesi e culture attraverso viaggi mensili. Due modi per rompere il ciclo della povertà e accedere all’istruzione, anche superiore e universitaria, per migliorare la loro vita.

Un’altra realtà impegnata ad assistere i poveri negli Stati uniti è la National Hunger and Homeless Awareness Week dedita ad aiutare i senza tetto.

Per quanto le varie organizzazioni si possano impegnare in luogo del Pianeta ad aiutare e assistere gli indigenti i rischi di un conflitto tra chi ha e chi non ha appare come inevitabile, una conseguenza dal disagio sociale e della crescente povertà.

In un frammento di descrizione che Paul Auster fa della New York degli anni ’80 nel racconto Città di vetro si legge: […] Oggi, come mai prima: i barboni, gli spiantati, le vagabonde coi sacchetti della spesa, i miserabili e gli ubriaconi. Variano dal semplice indigente a relitto umano. Dovunque ti giri, te li trovi davanti, nei quartieri alti come nei bassifondi. […] E ancora: […]Dammi questi soldi, sembra che ti dicano, e presto sarò di nuovo tra di voi altri, correrò ogni giorno avanti e indietro come tutti quelli che lavorano. […] Sono passati una trentina d’anni e la situazione e cambiata in peggio.

MDG : IF campaign against hunger and enough food for everyone

L’Egitto e la Laicità

Il secondo anniversario della rivoluzione che ha deposto Hosni Mubarak è stato segnato da una protesta dilagante contro i Fratelli musulmani e il loro presidente.

OlO Egitto Prove di laicità Egitto mohamed_morsi_egittoDue anni dopo, le tende sono ancora in piazza Tahrir. Alla rivolta dell’opposizione contro la deriva islamista Morsi ha risposto ordinando di cancellare i murales “critici” e mettere sotto inchiesta la satira, se non basta far intervenire l’esercito.

Una rivoluzione spontanea senza una leadership, caratterizzata dall’utilizzo dei social network come Facebook e Twitter. I siti web varia informazione come quello The National Council for Women dedicato alle donne che manifestano o Join 18 Days In Egypt che si rivolge a chi ha vissuto i giorni di piazza Tahrir per raccogliere ogni testimonianza dei giorni della protesta. In un twitter si affermava che L’Egitto viene trasformato in inferno da gente che pensa di andare in Paradiso.Egitto Donne sidi-henesh-047-001 La violenza sui manifestanti si trasforma in vere aggressioni sessuali nei confronti delle donne che si sono organizzate realizzando il sito Harassmap per segnalare episodi di molestie sessuali via SMS in forma anonima o i gruppi di difesa delle donne denominati Tahrir Bodyguard anche su Twitter che non si limitano ad una presenza sul web, ma girano con caschetto e pettorina fosforescente, per garantire il diritto delle donne a manifestare e contro i predicatori impegnati ad addossare ogni responsabilità delle aggressioni sessuali alle vittime. Secondo gli islamismi sono le stesse donne ad essere responsabili dei loro stupri se si mescolano con gli uomini per partecipare a raduni.

A queste deliranti affermazioni si contrappone la campagna contro le molestie sessuali anche attraverso i disegni sul blog che è un omaggio alle donne.

Egitto Donne mohamed-mahmoud-mural-008-001Una domanda che molti si pongono è se Morsi, il signor nessuno sino al momento della sua elezione a presidente dell’Egitto post Mubarak, a tenere le redini della nazione o sono i suoi Fratelli Musulmani a suggerirne la sua condotta? Di certo c’è che l’Egitto non può fare a meno degli investimenti esteri come i 20miliardi di dollari del Qatar o il discusso ponte sul Mar Rosso promosso dall’Arabia Saudita e che allarma gli ambientalisti. All’Egitto necessita anche il prestito dai 3,2 ai 4,8 miliardi dollari dal FMI (Fondo Monetario Internazionale), richiesto dal governo egiziano per affrontare la crisi finanziaria e il deficit di bilancio, tanto più ora che il turismo sembra un ricordo, nonostante l’impegno del presidente di garantire la sicurezza dei turisti, e Morsi si esibisce nel rincaro di tasse sulle sigarette, birra, bevande analcoliche, elettricità, oltre che su una serie di licenze, sulla pubblicità e nel settore immobiliare.

Nel panorama di precarietà finanziaria l’Egitto conta sul prestito della Banca per lo sviluppo africano (AfDB), per sostenere l’economia nazionale e finanziare progetti di sviluppo specifici, e sul rinnovo degli impegni stipulati dagli Stati uniti, non solo a livello militare, con il precedente governo.

La crisi economica rappresenta in Egitto un argine contro la pressante imposizione di una religiosità sfrenata nella struttura statale. Morsi deve rendere conto alle varie organizzazioni e ai singoli stati dei prestiti e debiti contratti con l’Occidente e il Mondo arabo.

Gran parte degli egiziani sentono che due anni di cambiamenti sono serviti a tradire la rivoluzione e percepire Morsi schiacciato tra gli accordi internazionali e la fratellanza musulmana.

I Fratelli musulmani sono nati come una società di mutuo soccorso, ma in questa fase politica sembrano presi solamente dalla gestione del potere, mettendo in secondo piano le quotidiane necessità dell’egiziano mussulmano o copto che sia.OlO Egitto Prove di laicità Egitto Cibo Divide breadboy

Le famiglie egiziane sono diventate più vulnerabili non hanno abbastanza soldi per comprare cibo, vestiti e riparo. Questa è la conclusione dell’ultima indagine dell’Egyptian Food Observatory’s.

L’Egitto non riesce a risollevare il turismo e dare sicurezza al turista, con i ciclici scontri tra sostenitori e oppositori di una vita laica e gruppi islamisti armati che vagano nel deserto pronti ad intervenire.

Solitamente le crisi economiche sono foriere d’instabilità politica, ma per l’Egitto può diventare l’unica possibilità di uno status quo tra i fautori di un’islamizzazione della vita quotidiana e chi non vuol rinunciare alla laicità dello Stato, anzi vorrebbe accrescere i diritti dei singoli.

In Egitto la laicità della vita pubblica non appartiene al contesto filosofico, ma semplicemente finanziario: non eccedete nell’introduzione di esternazioni religiose nella quotidianità pubblica e vi mancherà il sostennio anche finanziario dell’Occidente. Niente discriminazione verso chi non porta alcun tipo di velo o di abbigliamenti riconosciuti rispettosi dell’islam.

Le agenzie di rating continuano a declassare i titoli egiziani e la disoccupazione aumenta. Si aumentano i prezzi di alcuni generi per poi recedere su alcuni. Una continua acrobazia per confondere la popolazione e far sembrare i governanti sensibili alle necessità della popolazione.

Un apparente status quo, perché Morsi e i suoi sponsor continuano ha prendersi ampi spazi di potere, attraverso le vie istituzionali e con sotterfugi, per poi restituire un po’ del maltolto dopo le furiose manifestazioni di piazza e le proteste nel web.

Un web che si è mostrato utile per far crescere l’indignazione con la messa in Rete del video che pare documenti il trattamento riservato a un uomo nudo dalla polizia.

Se ci si domanda se Morsi o la Fratellanza Musulmana è a tenere le redini del potere in Egitto è ancor più enigmatico il ruolo delle forze armate che sempre più spesso svolgono attività di polizia e di barriera in difesa delle sedi istituzionali minacciate dai manifestanti.

Il Governo si affida all’esercito, scegliendo di schierarlo a difesa dei principali edifici pubblici, oltre che dei commissariati, ma le forze armate hanno metabolizzato le epurazioni che le hanno colpite o stanno attendendo che l’esasperazione della popolazione renda “necessario” il loro intervento.

OlO Egitto Prove di laicità Limes Egitto 0113_cover_250x313Intanto il presidente Morsi riunisce il Consiglio di Difesa per far fronte al caos in cui sta precipitando il Paese e tende la mano all’opposizione laica che continua ad presentarsi in ordine sparso, provando a formare un governo di unità nazionale.

Una rivoluzione tradita è il titolo che dal 2011 rimbalza e ricorre periodicamente sulle testate giornalistiche di vari paesi.

Il periodico Limes, nel suo ventesimo compleanno, dedica a “L’Egitto e i suoi Fratelli” gran parte del numero di febbraio per ripercorrere i due anni che hanno scandito le speranze degli egiziani e avere qualche informazione di più se la “Primavera” araba non si stia trasformando in un inverno islamico.

Festival sul Niger

Questa nona edizione sarà speciale. Non sarà solo un programma di musica, danza, teatro, arti visive del contemporaneo e il loro confrontarsi con la tradizione, ma soprattutto un’occasione di discussione per il processo di pacificazione nazionale. Un Festival per la Pace in un paese ricco di risorse naturali e tormentato da spinte indipendentiste e forzature islamistiche, da una precaria situazione politica e dalla corruzione.

Una Pace che appare vicina ora che le truppe maliano e francesi stanno spingendo sempre più a nord gli jihadisti che hanno minacciato la cultura del Mali e il patrimonio della biblioteca di Timbuctù. Un conflitto che ha esiliato il Festival au Desert e pone nuove incognite.

I jihadisti sembrano dissoltisi nel deserto, verso nord, in Algeria e in Mauritania.

 

Mali un festival per la pace poster_fsn_janvierFESTIVAL SUL NIGER

Dal 12 al 17 febbraio 2013

Mali

Regione di Segou

 

 

 

Festival sul Niger
http://www.festivalsegou.org/

Nel castello di Dracula

I Paesi del Golfo tentano di imporsi come fautori di un nuovo Mondo, ospitando e promuovendo conferenze sui vari temi e questioni di coinvolgimento internazionale.

A novembre Doha (Qatar) ha dato ospitalità alle diverse anime del variegato panorama dell’opposizione siriana e dopo una settimana d’intense discussioni sono riusciti a presentarsi come una forza unita che ha superato le differenti vedute, eleggendo l’islamista indipendente Munzer al-Khatib (Ahmed Moaz Al-Khatib) a capo della nuova “Coalizione Nazionale siriana”.

Gran parte dell’opposizione siriana ha trovato nel Qatar l’unità con l’islamista al-Khatib e il riconoscimento di “legittimo rappresentante” del popolo con la dichiarazione congiunta dei 27 ministri degli Esteri dell’UE, mentre nell’emirato non si ammette alcuna critica alla classe dirigente.

Al diritto di contestare hanno fatto seguito due estenuanti settimane di difficili negoziati per giungere a un nulla di fatto sui cambiamenti climatici. Ed ecco il Qatar, uno dei produttori di petrolio, interessato non solo del diritto di contestare un governo che non sia il suo, ma anche di ambiente, ospitando il summit COP 18, promosso dall’Onu, con 17mila delegati, un vero impatto climatico, in rappresentanza di 194 paesi. Un vero tripudio di lingue e culture per ridurre le emissioni delle tonnellate di gas serra e arginare il surriscaldamento del pianeta.

Un Pianeta sottoposto a dei cambiamenti climatici palesati con l’intensificare degli uragani, le sempre più irruenti inondazioni e le minacciose previsioni sull’aumento del livello del mare imputato allo scioglimento dei ghiacciai, ma che non ha la stessa priorità in ogni luogo del pianeta. L’Unione europea cerca di far sopravvivere il protocollo di Kyoto, mentre altri paesi industrializzati come gli Usa, nonostante l’attuale presidenza propagandi uno sviluppo ambientalista, si trovano accomunati, insieme al Canada e al Giappone, a quelli emergenti (Russia, Nuova Zelanda, Cina, India, Brasile, Messico e Sud Africa) nel club dei grandi inquinatori che non intendono recedere dalle loro performance inquinanti.

Differenti vedute sull’ambiente hanno preceduto quelle sulle comunicazioni del WCIT-12 (Conferenza Mondiale sulle Comunicazioni Internazionali), voluta dall’Unione internazionale delle telecomunicazioni (ITU) dell’Onu, ma ospitata a Dubai dovein quanto a libertà d’informazione l’emiro è molto attivo nei confronti di altri paesi, più che praticarla nel suo regno.

Un appuntamento dell’ITU fortemente contestato dalle società attive su Internet e non ufficialmente presenti all’interno dell’agenzia delle Nazioni unite che non temono solo delle limitazioni al libero accesso alla Rete per rendere marginale il peso delle aziende private nella sua gestione, ma un controllo sul business etereo.

La governance di Internet coinvolge non solo la finanza, ma la geopolitica e le rivendicazioni dei Diritti umani. Un ambito poco gradito alla Cina e alla Russia, con i loro alleati dalle democrazie autoritarie, nel non rinunciare ad un ferreo controllo dell’informazione come viene formulato nel documento russo-cinese nel quale ribadisce che “gli stati membri devono poter assicurare che le amministrazioni e le agenzie operative cooperino nell’assicurare l’integrità, la sicurezza e la affidabilità del segmento Internet nazionale”.

Una posizione ribadita recentemente con un’ulteriore stretta all’utilizzo della Rete con l’intenzione di Pechino a richiedere agli utenti i dati identificativi. Niente nickname o alias per accedere ad Internet, ma un prosieguo delle opere di filtraggio e censura del governo cinese. Una vera schedatura di 500 milioni di internauti cinesi, già sottoposti a forti limitazioni della libertà sulla Rete, una misura giustificata per prevenire frodi informatiche.

Mentre la posizione statunitense è per una deregulation dei servizi a banda larga, mettendo in secondo piano il diritto alla libertà di opinione e di espressione attraverso ogni mezzo e senza frontiere, una visione ribadita da Hamadoun Touré, Segretario Generale ITU, cercando di raffigurare che la conferenza non ostacolerà la libertà di espressione e il diritto alla privacy.

Le problematiche sul clima o le comunicazioni discusse in ambienti un po’ allergici a tali temi, è umoristico quanto ospitare una banca del sangue nel Castello di Dracula!

Appare come una contraddizione in termini tenere la conferenza delle Nazioni Unite per giungere ad un nuovo accordo mondiale per governare il clima del futuro a Doha, capitale del Qatar, ma anche gli emiri del petrolio guardano alle energie non prodotte da combustibili fossili, alle fonti rinnovabili per la prosperità dei vari Paesi

È come indire una conferenza sui Diritti Umani a casa di un autoritario presidente o l’Onu che affida la presidenza di un commissione umanitaria ad un familiare di un dittatore.

Quella è fantapolitica, ma questa è la realtà con summit sul “governare” il futuro dei cambiamenti climatici e dell’informazione che si tengono in luoghi dai governi non proprio specchiati su tali argomenti.