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Parigi: Lo spettacolo dell’Architettura

La definizione urbana della città è dovuta in gran parte dalla continuità del segno architettonico e questo si può riscontrare a Parigi come a Londra. In entrambe le metropoli i nuovi edifici riescono ad integrarsi facilmente con quelli preesistenti anche quando appaiono come ardite realizzazioni di architetti visionari, ma quando si interviene in una zona marginale e magari degradata della città si crea un simbolo che va oltre al singolo edificio. È come edificare una micro Brasilia, con la differenza che non si interviene dal nulla, ma si utilizzano i solchi esistenti e si recuperano alcuni edifici, anche per una utile memoria storica del luogo.

È sotto Napoleone III che Parigi cambia volto con l’apertura dei boulevard ideati dal barone Georges-Eugene Haussman, ossessionato dalla linea retta. Un’ossessione definita “il culto dell’asse” che ha trasformato la città sino a quel momento, tranne qualche precedente timido intervento urbanistico, rimasta medioevale con strade strette e malsane.

Un sovvertimento urbanistico non solo in funzione igienica, come Napoleone III aveva potuto apprezzare visitando Londra, ma anche anti insurrezionale, allargando le vie per osteggiare la eventuale realizzazione delle barricate oltre a liberare il centro dalla popolazione sempre pronta alla rivolta, preparando Parigi alla grandeur moderna. Un intervento che coinvolse più della metà di Parigi e sviluppando non solo un’architettura eclettica, ma modificando la rendita immobiliare in finanziaria, facendo lievitare i prezzi degli alloggi, una crescita che si è protratta sino ai nostri giorni, permettendo di coprire parte dei costi di urbanizzazione per la rete idrica e il sistema fognario, oltre a dare aria e realizzare giardini (square).

Haussman si fece prendere la mano e oltre a sventrare il centro incluse nell’amministrazione parigina anche i villaggi di Vaugirard, Grenelle, la Villette, Belleville, Auteuil, Passy, les Batignolles, Monceau, Montmartre, la Chapelle, Saint-Denis, Charonne e Bercy, noti come stazioni del Metro, riproducendo lo schema di assi e raggiere all’infinito.

D’altronde Parigi vive dell’architettura, in gran parte ottocentesca e novecentesca, che le diverse Esposizioni universali, da quella del 1878 con il Trocadéro a quella del 1889 caratterizzata dalla Torre Eiffel, hanno lasciato segni tangibili nel tessuto urbano.

Un tessuto caratterizzato da linee rette di collegamento tra i vari luoghi, come quella che dal Trocadero si prolunga oltre la Senna sino all’Ecole Militare, passando per la Torre Eiffe e il Parc du Champ de Mars con la Porta per la Pace.

Tra gli anni ’60 e ’70, dopo l’esplosione dell’Art Nouveau come nei quartieri di Passy-Auteuil e Chaillot, ad ovest di Parigi si gettano le basi della La Défense, territorio utilizzato a suo tempo dai difensori della città nella guerra franco-prussiana, che solo negli anni ’90 comincia ad essere non solo il più grande centro direzionale di tutta Europa, ma anche una meta turistica. Un’urbanizzazione che ha sostituito fabbriche e fattorie con grattacieli e ampi spazi lastricati, trovando nel Grand Archeil simbolo del luogo e l’ideale propaggine di Parigi con l’Arco di Trionfo che si intravede lungo l’axe historique.

La Défense nasce come un grande centro finanziario e, nello spirito francese della grandeur, ospita il Quatre Temps (Quattro Tempi), uno dei più grandi centri commerciali d’Europa, oltre a qualche complesso residenziale e alla sede del Ministero dell’Ambiente in un trionfo di vetro e cemento.

Un insieme di edifici dalle architetture ardite diventati un’attrazione turistica, ciò che non è ancora avvenuto all’area risanata di Canary Wharf (Isle of Dogs), trasformando, a partire dagli anni ’80, i vecchi dock londinesi davanti a Greenwich in quartiere residenziale e per la finanza come continuazione della City.

Per l’edificazione di entrambi i quartieri sono stati allontanati i meno abbienti per diventare l’espressione della ricchezza e un autentico parco giochi per architetti.

Canary Wharf potrebbe far concorrenza a La Défense come attrattiva turistica e non solo come centro della finanza. I parigini sono stati capaci di trasformare una lottizzazione in museo del contemporaneo all’aperto, forse perché a Parigi l’edificazione prosegue, avendo altro spazio per estendersi, come solitamente avviene con ogni centro direzionale. Uno sviluppo che si addentra nella campagna e nei boschi, in direzione di Nanterre, come si è prolungata la linea 1 del Metro che si fermava a Pont de Neuilly e ora arriva nei sotterranei della La Défense.

Oltre alla linea 1, tutta automatica come la 14 che passa per la Biblioteca Nazionale, La Défense è collegata al resto del Mondo anche con il tram T2 per Issy-les-Moulineaux e la linea A della RER, emarginando il traffico automobilistico sotto e ai lati del quartiere, con l’avveniristico tunnel La Défense – Nanterre.

Sia La Défense che Canary Wharf sembrano ispirare un distretto futuristico degli affari, Stephenson Business District dalla via principale nell’area nord, con una selva di grattacieli, come proseguimento degli interventi per l’Expo 2015 a Milano. Un progetto che coinvolge i confinanti navigli per diventare una delle principali attrattive turistico-culturali dell’Expo 2015 milanese, ma è difficile immaginare che non rimanga incompiuto.

Parigi può contendere il titolo di capitale dell’architettura a Berlino e a Rotterdam, appellativo che Roma e Milano sembra non ambiscano. Per l’esuberanza architettonica La Défense non è il solo esempio, sicuramente il meno rappresentativo, come modello d’integrazione tra nuovo ed esistente. I cantieri si susseguono e non sembra di trovarsi in un periodo di crisi, se non fosse per i senza fissa dimora che stazionano dove possono. Finito un cantiere si apre un altro, così ecco le irrequiete Les Halles, nate dallo smantellamento dei vecchi mercati alla fine degli anni ‘70, che vengono rimesse in discussione nel loro consolidato ordine per realizzare un nuovo giardino al posto del piazzale inclinato davanti Saint Eustache (sant’Eustachio), con nuovi edifici e accessi sotterranei.

A sud-est de La Défense, nel 13esimo Arrondissement, svettano dagli anni ‘90 le quattro torri della biblioteca François Mitterrand, con la passerella pedonale Simon de Beauvoir, dall’andamento sinuoso ondeggiare, si raggiunge il parco di Bercy con il Palazzetto dello sport e la “scombinata” architettura della Cineteca Francese, un edificio nato nel 1996 come l’American Center per mano di Frank O. Gehry ma solo nel 2005, dopo nove anni d’inattività, è diventato il monumento alla cinematografia.

Bercy è tutta da scoprire dopo, la riqualificazione degli anni ’70 della parte est, con il differente utilizzo degli edifici di stoccaggio vini e delle botteghe artigiane di fine ‘800.

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Balcani: La dissoluzione di una federazione

Sono bastati una decina d’anni per dissolvere la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia che per una trentina d’anni Tito, con pugno di ferro e una politica sociale, era riuscito a tenere unità nella sua differenza culturale e religiosa, ma con la sua morte, nel 1980, hanno prevalso le diffidenze che si sono trasformate presto in acredine e poi con l’astio che raggiunge l’odio.

Tanti figli adottivi che vedono, con la morte del loro “padre” Tito, finire uno stato che garantiva a tutti un’istruzione e uno stato sociale. La paura di perdere delle garanzie che vennero poi amplificate dalla guerra intestina per la successione, trasformandosi in affermazioni personali con l’inneggiare alla separazione da Belgrado.

Fù un paternalistico ferreo pugno del socialismo “reale” ad aver tenuto coesi differenti popoli per la religione e la cultura di riferimento che componevano il mosaico jugoslavo di allora ed ora, a più di vent’anni dalle Guerre Balcaniche, potrebbe essere il Capitalismo ha mettere in secondo piano i privati convincimenti per poter ampliare le prospettive lavorative.

L’astio per un’identità persa con la scomparsa della Jugoslavia ha portato a confondere la religione professata con un’etnia di appartenenza essendo in gran parte legati al ceppo slavo.

Niente più istruzione garantita, lo stato sociale dissolto, la pensione inconsistente, il lavoro di prestigio sempre pertinenza del gruppo sociale dominante nell’area.

È difficile pensare che il Maresciallo Tito potesse immaginare che la sua scomparsa innescasse una reazione a catena, popolazioni invogliate lasciare le loro case per rendere “culturalmente” omogenee le città e le campagne, per evitare una presenza a macchia di leopardo in zone croate, bosniache e kosovare.

La Slovenia si è tenuta lontana dai conflitti, la Serbia ha subito i bombardamenti della Nato, la Macedonia è in cerca di un futuro e il Montenegro cerca di uscire una reputazione di stato malavitoso al pari del Kosovo per il contrabbando e il traffico di stupefacenti, armi e quant’altro.

Un conflitto di stragi e distruzioni culturali, di eccidi e fosse comuni, di monasteri ortodossi, chiese cattoliche e mosche fatte saltare come il ponte di Mostar o l’annientamento della Biblioteca nazionale di Sarajevo che solo nel 2014 si potrà scoprire, con il completamento del recupero, a cosa sarà destinato l’edificio austro moresco che ha perso milioni di libri.

È la nostalgia di quell’epoca dove lo Stato pensava a tutto, anche alla Libertà, e l’invenzione della Jugoslavia  come uno stato federale che appariva come una unica comunità, che a Lubiana si propone una mostra, visitabile sino al 28 febbraio 2014, Tito: il volto della Jugoslavia , con oggetti provenienti dal Museo della Storia della Jugoslavia di Belgrado. Una storia che nel Terzo millennio si mostra in equilibrio tra marchio commerciale o icona politica nel rileggere la figura di Tito.

Una memoria che non resta affidata solo alle testimonianze esposte nella mostra o custodite al Museo della Storia della Jugoslavia di Belgrado, ma anche per le strade di Sarajevo con il Bar Mi smo Titovi Tito je nas (Noi siamo Tito, Tito è noi). Il bar, vicino al Museo storico di Sarajevo, rappresenta un Memoriale e un monito con le numerose immagini e busti dedicati a Tito che arredano l’interno, mentre all’esterno armamentari bellici fanno scenografia ai tavolini degli avventori e su tutto regnano le varie tonalità di rosso.

Sarajevo è sicuramente il simbolo della città martire, con l’assedio subito per 43 mesi e il viale dei cecchini, come Sebrenica lo è per uno degli eccidi dei Balcani.

Dalle macerie di una Bosnia, governata da una forma di triunvirato, la speranza di una ritrovata unità d’intenti, superando momentaneamente ogni divisione religiosa germoglia dalla favola dell’ottenuta la qualificazione ai Mondiale di Calcio 2014 in Brasile.

Un’unità d’intenti che la squadra ha dimostrato di poter perseguire, superamento le diffidenze religiose, sperando nell’archiviazione dei treni come quello che collega Sarajevo a Belgrado, con i suoi tre comparti per la separazione confessionale, nonostante sia fondamentalmente lo stesso Dio.

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Parigi: I contrasti di una città

Ogni città vive di forti contrasti, ma in Parigi sono insiti anche nell’offerta alimentare, passando dai supermercati ai negozi di ricercatezze, dagli ortaggi nostrani a quelli esotici, dall’aglio e cipolla alle spezie mediorientali e asiatiche.

Nelle boucherie si trovano carni di ogni tipo e macellate secondo le diverse culture, nelle pâtisserie si trovano croissant dolci e salati sino alla ricercata pasticceria, mentre nelle boulangerie si trova solo la baguette e raramente trovano spazio altri tipi di pane.

La Francia è ricca di varie prodotti caseari come l’Italia, tanto che in altri tempi da i due paesi si alzava un lamentazione sull’incapacità di governare un popolo con tanti tipi di formaggio, da quelli delicati, insipidi, a quelli dai forti sapori, passando per quelli alle erbe caratterizzati dall’aglio.

La ristorazione propone una variegata scelta gastronomica dalla cucina autoctona alla nouvelle cuisine, dai cibi etnici alla cucina minimalista, da quelli internazionali alle brasserie, e poi i ristoranti, i bistro, bar, diversi da quelli italiani, oltre ai locali angusti dove ci si può imbattere in curiosità culinarie e magari rimanere delusi.

Contrasti che rispecchiano la differenza che intercorre tra due dei simboli della pasticceria francese, e onorati a Parigi, quali sono le Madeleine e i Macaron.

La semplicità delle Madeleine, piccoli dolcetti soffici caratterizzati da una forma a conchiglia, simili per sapore a quello del plumcake, caratterizzate da un aroma di burro e limone più pronunciato sfidano i ricercati Macaron, nominalmente ispirati al dialettale “maccarone” italiano, hanno una preparazione più elaborata su una base di due pezzi a cupola di meringhe, farina di mandorle e zucchero a velo e farcito con crema ganache, marmellata o creme varie e richiusi da due gusci.

Il nome della Madeleine si fa risalire alla pasticciera Madeleine Paulmier (XIX secolo) o forse alla cuoca Madeleine Paulmier vissuta nel XVIII secolo che grazie a Marcel Proust hanno conquistato fama nella sua À la recherche du temps perdu. Nel 2006 le Madeleine vennero scelte per rappresentare la Francia nell’iniziativa Café Europe, indetta dall’Unione Europea durante la presidenza austriaca nel Giorno europeo.

Questi contrasti gastronomici rispecchiano quelli sociali in una città dalla vita cara che ha una schiera di anziani che sopravvivono e numerosi clochard che si ritagliano un angolo di ricovero, che siano dei cartoni con delle coperte gettate sopra o delle tende poste nelle rientranze architettoniche dietro il nuovo Operà della Bastiglia.

Una nuova indigenza che rivela una Parigi in difficoltà e che utilizza i bains-douches, i bagni e le docce pubbliche, non solo dai senza fissa dimora, ma anche da chi vive in luoghi difficilmente definibili appartamenti, spesso sprovvisti d’acqua corrente e il bagno sul corridoio, scegliendo di mangiare nelle mense perché lo stipendio non basta per il vitto e l’alloggio.

Una nuova povertà che coinvolge non solo i migranti ma ogni persona che soffre di esclusione e può trovare l’assistenza di associazioni come Une chorba pour tous e L’un est l’autre che fornisce un alloggio individuale e di gruppo, oltre un pasto caldo gratuito ogni sera e pacchi di cibo due volte a settimana per i bisognosi senza discriminazioni di provenienza geografica e culturale, anche a chi è sfornito dei documenti (i sans-papiers).

L’emarginazione degli indigenti entra di diritto anche nelle elezioni municipali del 2014 con l’espulsione dei rom che “molestano” la città, con il loro non volersi integrare, continuando a scippare i turisti. Un provvedimento del ministro dell’Interno francese Manuel Valls che vuol smorzare i toni della candidata di destra, Nathalie Kosciusko-Morizet, e agevolare la strada alla candidata socialista Anne Hidalgo, in una sfida al femminile del tutto inedita nella Ville Lumière, evitandogli di apparire una donna fredda e calcolatrice.

Espulsioni che si trasformano in deportazioni quando la polizia ferma un pulmino scolastico per allontanare una quindicenne kosovara Leonarda e la sua famiglia dalla Francia.

Una severa applicazione della legge che ha inflitto la stessa sorte al diciannovenne armeno Khatchik, diventato il vessillo del ministro socialista Manuel Valls sino a superare ogni intransigenza gollista, portando imbarazzo all’Elyseo e scatenando l’indignazione studentesca, ma provocando il plauso dell’opinione pubblica.

Nella competizione per la poltrona di sindaco di Parigi si inserisce di prepotenza la destra di Marie Le Pen, gassata dalla vittoria conseguita il 13 ottobre nelle elezioni a Brignoles, con un sintetico programma basato sull’avversione a questa Europa e nel fronteggiare ogni migrazione. Avere non uno, ma due “nemici” rende emotivamente sensibile una cittadinanza alle prese con i quotidiani conti della spesa.

È dove non brillano le luci di Parigi che un’umanità prostrata dalla crisi e quella cronicamente povera vive cercando, alla chiusura dei mercati, nei cassonetti la merce in scadenza.

La Fraternitè Egalitè Libertè sono andate in pensione per essere sostituite con la Légalité.

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A Parigi le donne appaiono sempre impegnate a raggiungere un luogo. Sono spedite nel loro incedere sicure sia che calzino scarpe con tacchi da 10 cm. che con le ballerine. Anche nei bistrot parlano e gesticolano frettolose. Affascinanti con la loro R o con gli idiomi italiani o anglosassoni, sono sempre indaffarate quando sono per le strade, ma più flemmatiche dietro una cassa o uno sportello.

L’andare di fretta non si attenua nei fine settimana. Le donne, e non solo loro, corrono da sole o in compagnia, lungo i canali, per i boulevard o intorno al loro palazzo.

I divieti di fumare nei luoghi pubblici non hanno scoraggiato gli abitanti di Parigi a tenere perennemente una sigaretta tra le dita, ma ligi, borbottando, nel rispettare le limitazioni.

Parigi è un bengodi per l’industria del tabacco. Non è necessario aspirare, basta tenere la sigarette tra le dita, per lasciarle formare copiose nuvole di fumo. È probabile che l’inquinamento che viene registrato sia dovuto al tabagismo più che al traffico, comunque immancabile per una metropoli, visto che sono presenti quasi un terzo delle auto di Roma per ogni 1000 abitanti.

Si fuma mentre si pedala, forse perché trovano più comodo utilizzare la bicicletta al posto delle auto o magari il trasporto pubblico, dove la mitica Metro è un fiore all’occhiello per una città europea come Parigi per la sua frequenza nelle corse.

È una città, Parigi, che ha potenziato anche il trasporto sharing sia con le auto – Autolib’ -, che delle biciclette – Velib -, non limitandosi a riservare aree di scambio nelle zone centrali, ma in una sorta di parcheggio diffuso, con le colonnine per la ricarica elettrica delle auto ibride, in ognuno dei 20 arrondissement (municipi).

Un’umanità multiculturale che popola le vie della città, senza rinunciare ai propri abbigliamenti sgargianti o immacolatamente bianchi, dimessi o di completi scuri, che si accompagnano con sporte e bastoni o con valigette.

È facile trovare a Parigi dei negozi di abbigliamento tradizionale come quello indiano che offre dei sari per cerimonie e per il corredo di nozze o parrucchieri per fantasiose acconciature.

Ma un’altra umanità abita le strade di Parigi nelle ore notturne e che in gran parte scompare con le prime luci del giorno. Sono i clochard, i senza fissa dimora che nella città delle mille luci, vivono ai margini, buttati sul marciapiede o sotto un cespuglio, che prendono possesso per qualche ora dei campi di bocce o i passaggi coperti nei pressi del Centre Pompidou.

Una crisi, quella odierna, che fa sentire agli indigenti tutta la sua drammaticità, quando alla chiusura dei marchè, i supermercati, si assiepano intorno ai cassonetti per recuperare qualcosa di commestibile.

In gran parte sono anziani che nonostante la vita cara di Parigi, che non rappresenta tutta la Francia, non hanno alcuna possibilità o voglia di allontanarsi dalla città nella quale hanno vissuto per decenni.

Una Parigi che rappresenta per molti altri un rifugio dopo aver perso il lavoro che avevano magari in Italia o in Grecia, come il “lucchettaro” di origine africana che su Pont Beaux Arts offre un servizio completo, insieme al suo socio, di lucchetti e pennarelli agli innamorati proseliti della moda propagandata da Federico Moccia nel suo libro Tre metri sopra il cielo. Pont Beaux Arts come ponte Milvio, ma anche come le passerelle sui canali di Milano e Parigi, sono uno dei tanti aspetti della globalizzazione o della facilità con la quale oggi si viaggia.

Nelle vie laterali ai boulevard si può incontrare ancora qualche originale organetto e non i marchingegni automatici.

I barbieri sono veramente in concorrenza tra di loro con prezzi anche di 7,50 che comprende non solo il taglio, ma anche lo shampoo e il massaggio.

L’intreccio culturale parigino propone un ristorante turco non lontano dal centro di cultura del Kurdistan, con stazioni radio espressione di alcune di queste presenze e famiglie di religione ebraica che abitano in quartieri con locali adibiti a moschea. Una polveriera di condivisioni religiose delle tre famiglie abramitiche.

La presenza, anche se è inquietante, di ronde di militari impegnati a pattugliare le strade per vegliare sulla sicurezza delle persone, proponendosi come una forza di dissuasione attiva e non passiva come il personale in divisa che staziona davanti agli ingressi degli edifici romani.

Per chi vuole scoprire un’altra Parigi può contattare i volontari del Greeters per un giro gratis in piccoli gruppi di 6 persone e calarsi nella vita quotidiana di un parigino, per coniugare la cultura con il turismo.

Anche sfogliare il giornale gratuito Direct Matin in distribuzione nelle stazioni del Metrò può essere l’occasione per capire Parigi e i suoi mutamenti.

A Parigi la Giornata Europea del Patrimonio si è svolta nel weekend del 14 settembre, due settimane prima di quella romana, ed è stata l’occasione non solo per visitare luoghi solitamente preclusi al pubblico come il Palais de l’Élysée, residenza ufficiale del Presidente della Repubblica Francese, ma anche coinvolgere il Metrò che RATP, la società che gestisce il trasporto pubblico, ha scelto per onorare il cinema con una caccia alle bobine di un misterioso cortometraggio. Una lunga storia d’amore quella tra il Metro e la settima arte che si è dipanata, in una giornata uggiosa, nei sotterranei con l’ausilio degli indizi elargiti da un storyboard di quel misterioso cortometraggio e dal personale nelle stazioni.

Come si può pensare ad un’Unione europea se non si riesce a concordare una data per un’iniziativa altamente istruttiva, oltre che simbolica, unica per ogni stato membro?

Questa è la fisionomia di una città duttilmente protesa verso il futuro, con dismissioni e recuperi del patrimonio edilizio, capace di ampliare le zone pedonali come place de la Republique e le mutazioni architettoniche renderle delle attrazioni turistiche oltre che crescita culturale.

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Parigi è ancora una metà preferita, non solo per gli italiani, per una fuga dalle loro caotiche città e dalla visione provinciale di vivere l’urbanizzazione, ma anche per abitarci, nonostante la vita cara. Semmai è la scelta di come arrivarci che pone dei quesiti.

L’aereo è rapido ed economico con i voli low cost: pur con l’aggiunta di tasse, basta sceglierne uno diretto e non una compagnia che tratti i passeggeri in modo sgarbato, ma con qualsiasi volo si và incontro a delle ristrettezze nel bagaglio, al disagio del trasferimento e della presentazione di due ore prima dell’imbarco.

Disagi che raramente avvengono volando con compagnie del medio oriente o orientali come la Kuwait Airways, anzi sono disponibili verso le esigenze del passeggero, meno rigidi sul peso del bagaglio e al contrario di quello che avviene sui voli Alitalia, viene fornita la cena e non un panino a pagamento, ma soprattutto riescono a recuperare un’ora di ritardo, oltre ad essere concorrenziali rispetto ad altri prezzi di voli low cost. Servizi che rendono gradevole un viaggio e sgradevoli delle compagnie aeree rispetto ad altre.

Escludendo l’auto se non si ha intenzione di organizzare un tour tranquillo per tappe, rimane il treno che brilla di confort se si confronta agli angusti posti aerei.

Parigi via Milano sono 7 ore dal capoluogo lombardo, anche se il TGV non esprime tutta la sua potenzialità nel tratto italiano, e anche per un po’ in quello francese, con poltrone smilze, sempre più comode di quelle degli aerei anche se il vicino strabocca dal suo posto, ma ci si può alzare e passeggiare senza sentirsi in gabbia e soprattutto il treno porta da città a città e non da aeroporto ad aeroporto.

Il TGV ha anche il pregio di viaggiare di giorno approfittando di vedere scorrere il paesaggio, anche se i cugini francesi utilizzano vagoni un po’ lisi per questa particolare tratta. Per chi preferisce viaggiare di notte, per trovarsi la mattina successiva alla parigina Gare de Lyon e non a quella meno centrale di Bercy come avveniva fino ad un anno fa, è stato ripristinato un servizio espletato con il Palatino ed ora gestito con Thello in partnership Trenitalia-Veolia Transdev (TVT).

Cambia il nome del gestore, ma rimangono tutte le lacune di un servizio carente nella pulizia e nella manutenzione. In un viaggio in treno da Roma a Parigi e viceversa di sei di anni fa, quando a portare i viaggiatori era il Palatino, curato dall’Artesia Italia, il servizio cabine letto offriva una temperatura da sauna senza alcuna possibilità di regolarla e dell’acqua calda chiamata tè, accompagnata da un misero rinsecchito cornetto, come colazione.

Nel settembre del 2013 a chi sceglie le cuccette la Thello offre delle toelette intasate e dei lavabi inutilizzabili, oltre a delle perdite d’acqua dal soffitto del corridoio.

Per le toilette è una situazione difficile e cronica grazie alla variegata rappresentanza educativa presente nel microcosmo ferroviario, mentre per le perdite, bisogna dare atto alla società, si è intervenuti tra l’1 e le 2 che ha comportato un’oretta di ritardo sull’orario di arrivo, ma nessuno ha provveduto alla sostituzione della scaletta con un gradino mancante, pericoloso di giorno quanto micidiale la notte, possibile causa di lesioni fisiche.

Il viaggio di ritorno da Parigi ha confermato la difficoltà del ricambio dell’aria, specialmente nel caso di dover condividere il viaggio con usi e costumi differenti, dove si prevede la consumazione di una ricca cena altamente speziata, condita da uno sconosciuto, almeno per me, idioma africano con gutturali nenie per propiziare il sonno e malinconici sussurri per salutare il giorno che nasce.

Poteva essere una scena dal film Una poltrona per due con Eddie Murphy e Dan Aykroyd, ma come ogni cosa ha un inizio e una fine, trasformando l’incubo di un viaggio in un attraente arrivederci a Parigi.

Invece per i passeggeri delle cabine letto il servizio sembra migliorato con il drink di benvenuto e la colazione, inclusi nel prezzo del biglietto, serviti in vettura ristorante.

La partnership italo francese potrebbe prendere esempio dal servizio offerto sulla linea Roma Vienna, meno disagevole, ma è utile intraprendere il viaggio con lo spirito della conoscenza e non del dover solo raggiungere una destinazione.

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