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Lo sconforto dopo ogni viaggio

Chi torna dalle vacanze trascorse all’estero immagino si faccia sempre le stesse domande: ma come mai certe scene le vedi solo a Roma? Negli ultimi due anni sono stato con mia moglie a Cannes, a Marsiglia, a Monaco, a Trieste, ad Abbazia (Opatja) e a Fiume (Rijeka). Faccio parte cioè di quella generazione istruita che dopo un viaggio all’estero scopre che esiste anche la possibilità di un mondo diverso e si chiede perché l’Italia non possa mai diventare un paese normale. Normalità significa servizi che funzionano, burocrazia snella, ordine e prosperità. Ti chiedi perché quando viaggi non vedi per strada o in piazza o sulla spiaggia mercanti abusivi, né mendicanti con bambini o animali. Le stazioni di metro e ferrovie sono sorvegliate sul serio. Le strade sono pulite e prive di buche. Parliamo di nazioni dell’Unione Europea, quindi con regimi democratici e ordinamenti giuridici e amministrativi simili. Ma, una volta tornati a Roma, piuttosto che nella capitale di un paese europeo sembra sempre di ritrovarsi in una città mediorientale. Eppure viaggiando impariamo che un altro mondo è possibile senza invocare il Duce, ma semplicemente applicando le leggi e amministrando sul serio le grandi città. Dov’è quindi l’anomalia romana? Ed è possibile un cambiamento? Da buon romano, sono per natura disincantato, per cui ci credo poco, o almeno ritengo possibile un futuro sereno solo a determinate condizioni. A rischio di essere noioso, eccole.

Intanto bisogna prender atto che a Roma esiste la povertà, endemica o immigrata. Quest’ultima è peculiare: è infatti da almeno trent’anni che importiamo poveri. Tranne quella cinese, nessuna comunità immigrata ha portato denaro e se manca il lavoro, dopo l’assistenza sociale c’è solo l’illegalità. Il fatto che a Roma si concentri poi l’industria pesante cattolica della carità e dell’assistenza, se da un lato ammortizza il problema, dall’altro è un magnete in più per i disperati. La crisi economica ha nel frattempo indebolito la classe media e massacrato i ceti più bassi e marginali. Una gran parte dei problemi di ordine pubblico di Roma è dunque dovuta alla povertà e alla disoccupazione.

La seconda osservazione riguarda quella specie di anestesia prolungata a cui è sottoposto quotidianamente il romano. E’ luogo comune attribuire ai romani una certa inerzia sociale al posto dell’impegno civile, ma quest’ultimo non viene mai incoraggiato. Non alziamo più un dito quando vediamo un alcolista sbattuto per strada o una nomade col bambino in braccio o un ladro sull’autobus perché sappiamo bene che, anche se intervenissero un’ambulanza o un poliziotto, il giorno dopo rivedremmo le stesse scene nello stesso posto. Inoltre sappiamo benissimo che sporgere denuncia in commissariato è una grana e quindi non entriamo. Né tantomeno sappiamo organizzare la protesta sociale, a meno di non militare in un partito politico o di far parte di un gruppo di pressione strutturato.

Quanto sopra si salda con un altro problema: la discontinuità e lo scoordinamento nella gestione dell’ordine pubblico. Tra carabinieri, poliziotti, vigili urbani e guardie giurate, Roma è satura di divise e pistole, eppure non funziona. Le altre capitali europee sembrano al confronto sguarnite e smilitarizzate, eppure funzionano meglio. Questo significa che gli altri hanno meno mezzi, ma sanno usarli meglio e in modo meno discontinuo e scoordinato. In più, in Italia sono ben protetti i centri di potere ma assai meno lo sono le linee di comunicazione: ferrovie, metro, mezzi pubblici, piste ciclabili, col risultato che è impossibile avvicinarsi al Palazzo ma è rischioso viaggiare su un mezzo pubblico. E quando le forze dell’ordine fanno la retata di abusivi o chiudono un mercato all’aperto privo di autorizzazioni e pieno di merce falsa o rubata, non ci facciamo illusioni: se prevenzione e repressione non sono sistematiche, passato il temporale si ricomincia da capo. Certe scene sono sotto gli occhi di tutti, quindi non posso essere accusato di cinismo o disinformazione. L’illegalità è stata tollerata se non incoraggiata per anni, quindi un intervento occasionale non risolve il problema alle radici, spesso sociali. L’illegalità endemica di una società è però anche lo specchio del comportamento scorretto di molti politici e amministratori del bene pubblico che contano sui cavilli burocratici e le sottigliezze legislative per evitare sanzioni e condanne. Una situazione che prevarica il bene comune per esaltare quello individuale, comportamento deplorato da Machiavelli che lodava l’onestà, un buon esempio per tutti quei cittadini che il massimo dello sforzo mentale che si concedono è esclamare: se lo fa lui perché non noi io?

Infine, il consenso. Chi viaggia all’estero avrà notato che, a parte alcune frange sociali o politiche minoritarie, le forze dell’ordine e i cittadini vogliono le stesse cose, ai limiti del fascismo latente. A Roma sembra invece che nulla sia condiviso, dalle regole sul traffico alla lotta all’abusivismo, dalla gestione del commercio a quella dei campi nomadi o dei mercati spontanei, per non parlare della politica edilizia. A scuola alcune famiglie sembra che vogliano il contrario di quanto vogliono le maestre, creando conflitti ovunque. In sostanza, per qualunque provvedimento legislativo o amministrativo c’è in Italia sempre chi rema contro (sia chiaro: è nel suo diritto) e l’Italia tutta resta nel complesso un paese diviso: basta vedere il Parlamento che ne è lo specchio. Roma però è la capitale, quindi è il luogo naturale dove si concentrano tutte le tensioni nazionali.

Tram 8 L'OTTO NON SOLO UN TRAM web

Dismissioni: Edifici a nuova vita

Un’operazione che alcune società moderne sembrano incapaci di fare è la ristrutturazione e il riutilizzo delle aree e degli edifici dismessi. Non è un fenomeno solo italiano: ho visto a Pola (attualmente in Croazia) le enormi istallazioni del porto militare oggi totalmente abbandonate e pericolanti . Ma in Italia penso che deteniamo il record: decine di colonie estive in rovina lungo l’Adriatico, decine di caserme chiuse da anni, fabbriche dismesse, enti assistenziali pericolanti, enormi, vecchi magazzini portuali o ferroviari vuoti. È il risultato delle successive ristrutturazioni degli ultimi trent’anni, si dirà: dell’esercito, dell’industria, dell’assistenza sociale, del trasporto merci. Mentre però all’estero (penso ad Austria e Germania) le caserme dismesse, tanto per fare un esempio, sono state subito vendute e riadattate ad alberghi o alloggi demaniali, in Italia stanno sempre lì, quasi un insulto ai soldati di leva che le hanno mantenute a specchio per mezzo secolo, nonostante alcune siano situate in luoghi ormai centrali e urbanisticamente preziosi. Le procedure di alienazione e di ristrutturazione sono così complicate e arcaiche da ritardare o scoraggiare persino l’italica borghesia compradora, sempre che lo Stato decida davvero di disfarsene. È impressionante vedere in che stato sono ridotte le colonie estive, decadute dagli anni ’80 in poi, quando l’individualismo esasperato e il nuovo benessere non prevedeva che i bambini fossero più affidati per l’estate a strutture pubbliche. Quello che è peggio, molti archivi di colonie, ospedali ed enti, pieni di dati sensibili e schede personali, sono ormai allo sbando. E se nelle città a bassa pressione demografica (come Trieste) caserme e magazzini portuali restano spettralmente abbandonati, a Milano, Roma o Torino questi spazi vuoti vengono quasi subito occupati da diseredati, immigrati, centri sociali, senzacasa e altri emarginati. Nel migliore dei casi, quando c’è un minimo di controllo pubblico, lo spazio viene assegnato per quote, contro ogni progetto unitario. A Roma di situazioni simili ve n’è a decine, dall’ex-ospedale psichiatrico di Santa Maria della Pietà all’ex-GIL, dalle fabbriche chiuse sulla Tiburtina o sulla Prenestina ai casali della campagna romana.

Una terza via la suggerisce qualche volta la gente stessa, proponendo attività ludiche e artistiche o legate al tempo libero e utilizzando temporaneamente questi vuoti. Penso ai concerti a Forte Prenestino o Ardeatino, alle varie performance di artisti negli spazi ex-industriali, che ben si adattano al gigantismo delle opere di arte contemporanea o alla valorizzazione e riappropriazione del non-luogo. E’ un fenomeno diffuso, che parte dal basso e mantiene un uso comunque pubblico dello spazio demaniale, laddove la svendita ai privati favorisce esclusivamente attività commerciali o legate al turismo e in più creano una serie di barriere interne che frantumano lo spazio e fanno rimpiangere il latifondo.

La vera soluzione? L’urbanistica e la capacità di pensare sui tempi lunghi. Lo dimostra l’esempio dell’Arsenale di Venezia, tuttora di proprietà pubblica ma aperto all’arte. Potrebbero dimostrarlo una serie di spazi dismessi se solo potessero diventare università e luoghi di ricerca. Inizialmente le spese di investimento saranno alte, ma tali strutture possono attirare una serie di forze giovani e di ricercatori internazionali che possono creare nel tempo il valore aggiunto. Mi rendo conto di essere forse un sognatore, ma per ora in mancanza di un’iniziativa pubblica e di un concorso di idee, si rischia solo l’implosione.

e, si rischia solo l’implosione.

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Un Futuro dietro ad un Muro

Agli inizi del Novecento l’Ostiense non era la zona continuamente sull’orlo del degrado, ma era la naturale estensione dell’industrializzazione intrapresa nel vicino Testaccio e si protendeva verso Ostia.

Orti e vigne cominciarono a far posto a fornaci e laboratori artigianali, venne edificato il complesso dei Magazzini generali e grazie alla linea ferroviaria nazionale la fornitura delle materie prime era agevolata, mentre il collegamento su rotaia con Ostia rese il litorale consueto luogo di villeggiatura per i romani.

Sulla via Ostiense trovarono sede l’Anglo-Romana Gas, oggi l’Italgas, con il gasometro e la collocazione di una delle prime centrali elettriche che fornirono energia a Roma.

L’Ostiense, con lo spostamento dell’industrializzazione degli anni Trenta a san Lorenzo, diventa un’area non del tutto marginale al progetto del nuovo quartiere Eur e comincia l’edificazione delle diverse tipologie di case popolari.

L’edilizia popolare nell’area tra il gasometro e via del Porto Fluviale era più “popolare” di quella del Testaccio compreso tra via Marmorata e piazza santa Maria Liberatrice, ma più rifinita di quelle abitazioni intorno all’ex Mattatoio. Mentre i palazzi all’inizio della via Ostiense esprimono una dignità piccolo borghese. In questo contesto di comunità che abitava dove lavorava, nel seguito degli anni, si sono edificati palazzoni senza carattere, spingendo gli inquilini, quando hanno un impiego, ben lontani dall’Ostiense, superando il Testaccio e san Paolo.

Del progettato porto fluviale rimane l’omonima via e tutte le attività produttive che proliferavano tra la Piramide e la basilica di san Paolo fuori le Mura, a cominciare dagli anni ’90, furono sostituite da locali della vita notturna e spazi per iniziative culturali.

Un quartiere dedito alla produzione e al commercio che si trasforma per dare slancio alla cultura oltre che allo svago, con la conversione dei numerosi edifici in sedi della Terza Università e la Centrale termoelettrica della Montemartini nel Polo Museale, valorizzando il territorio già ricco di testimonianze storiche e artistiche con la presenza dell’omonimo sepolcreto e dell’affascinante complesso conventuale della basilica di san Paolo fuori le Mura, sovrastato dalla Garbatella, uno degli esempi di città giardino, realizzata negli anni ’20, come realtà urbanistica autonoma che costella la periferia di un tempo.

Tante energie in campo, ma l’Ostiense appare sempre un progetto incompiuto come l’interminabile cantiere che dovrebbe trasformare il complesso dei Magazzini Generali nella Città dei Giovani. Un progetto che ha subito vari rimaneggiamenti, compreso quello della cancellazione degli studi d’artista.

I Mercati Generali all’Ostiense si trasformeranno invece nella Città dei Giovani per ospitare una mediateca, delle strutture dedicate allo sport e ai sapori multietnici, per fare pendant con la Città delle Arti all’ex Mattatoio del Testaccio da una parte e la Città del Gusto dall’altra.

Anche il ponte pedonale delle Scienze è lì, sospeso sul Tevere in attesa di essere utilizzato come provvidenziale collegamento tra l’Ostiense e Marconi. Il ponte colma una lacuna all’interno del tessuto edilizio, una “ricucitura” tra le due zone della città per collegare la riva della Casa dello Studente con l’Università, la zona dello shopping di viale Marconi con quello dell’intrattenimento e della cultura.

Un collegamento che, oltre a facilitare una scelta ambientalista con le piste ciclabili, amplierà la platea dei fruitori del Teatro India, magari completando la riqualificazione dell’ex fabbrica della Mira Lanza assegnata da tempo all’Accademia di Arte Drammatica, e della multisala cinematografica, promuovendo anche il mistico enorme spazio della Città del Gusto che la pubblicazione del Gambero Rosso da anni ha dedicato ai diversi aspetti della gastronomia.

Un ponte che darà un nuovo significato alla conoscenza e all’opportunità di aprire un nuovo ingresso al complesso museale della Montemartini.

Gloriose prospettive che vanno a scontrarsi contro la mancata urbanizzazione dell’area industriale degradata nascosta dal muro che ostruisce l’accesso dal ponte alla via Ostiense.

Ora questa zona di Roma potrebbe recuperare la dignità di quartiere e uscire dall’isolamento nel quale la carenza di corse del trasporto pubblico su gomma lo ha relegato, mentre il trasporto su rotaia non gode la dovuta pubblicizzazione attraverso la segnaletica.

Il recupero di una dignità coinvolge anche la nuova destinazione d’uso dell’ex Cinodromo di Ponte Marconi, diventando in parte un deposito per tram anche se non si è ancora pensato al tracciato delle rotaie, e l’ex Air Terminal Ostiense in un ennesimo mega centro commerciale.

A caratterizzare l’odierna Ostiense nel suo vivere e interagire con gli abitanti è l’impegno estetico che una serie di writer si sono dati da fare per far uscire dall’anonimato le facciate del quartiere, decorandole con graffiti e stencil. Un impegno visivo in gran parte sviluppato nell’area tra la via Ostiense e il Tevere come il complesso di proprietà del demanio e in parte occupato dalla comunità Fronte del Porto che ha trasformato gli edifici abbandonati dell’aereonautica in un’occasione d’incontro e di vita, mentre la parte strettamente adibita a deposito è stata affidata alla Comunità di sant’Egidio per il suo mercato della città eco-solidale.

Facciate degradate che avevano perso ogni ricordo della loro tinteggiatura originale stanno vivendo una nuova giovinezza, se non fossero per le numerose vetrate “sconnesse”, con il racconto pittorico e multi cromatico che di giorno in giorno si arricchisce di nuovi elementi. Raffigurazioni surrealiste affiancano i frammenti di un immaginario urbano, ritratti di personaggi come Gramsci o Wojtyla s alternano ad astrazioni geometriche.

Graffiti che non hanno nulla a che vedere con gli sgorbi di firme per esaltare l’egocentrismo nel segnare il territorio, oltre a non comunicare nulla al passante.

 

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Il Cavaliere degradato

Appare strano, in un Paese costituzionalmente democratico, l’utilizzo di tonnellate di parole per definire il primo di agosto del 2013 come una data spartiacque, solo perché una sentenza di colpevolezza per intrallazzi fiscali ha ridimensionato lo smisurato ego di un piccolo uomo che guarda la sua ombra sognando di essere un Titano.

Un verdetto che possa essere ritenuto causa di grandi sconvolgimenti epocali appare difficile, come è urgente riformare la giustizia nell’evidenziare la disparità di trattamento tra chi sottrae ingenti somme al benessere comune e chi ruba una mela per fame.

Grandi titoli, enorme sdegno, incommensurabile soddisfazione, tanto clamore per un cavaliere degradato, apparentemente disarcionato, ma non è certo la caduta del Muro di Berlino, è solo un altro ricco che interpreta il personaggio del martire senza andare in prigione, ma nel trovarsi revocato il titolo di Cavaliere.

Anche se il Cavaliere è condannato i suoi fedeli non possono abbandonarlo, anzi! c’è chi preavverte una guerra civile senza aver minimamente idea di cosa stia parlando, ma cerca ugualmente di far pressione seminando acredine.

Dopo la condanna le condizioni di tante persone non migliorerà, anche se per alcuni è una grande soddisfazione, ma sono gli accadimenti in Egitto e nel mondo musulmano o la mancanza di una progettualità per contrastare la disoccupazione che potranno influenzare profondamente il futuro del Paese e di molti altri.

Dopo aver basato la propria difesa sull’essere ignaro dei fatti contestati perché era impegnato nella politica e non seguiva le scelte dirigenziali delle proprie aziende, tutto ciò appare ingenuo per una persona egocentrica che dirige il Partito come se fosse una delle sue aziende. Era suo dovere saperlo per un padrone grintoso che reputa tutti al meno un dito meno capaci di lui.

Il commovente monologo televisivo sulla persecuzione giudiziaria dei magistrati in toga rossa è un altro esempio d’istrionismo, ma anche se il governo del paese rischiasse di andare in tachicardia si potrebbe volgere lo sguardo a qualcosa di più importante per tutte le persone che vivono nell’equilibrio dei 1000 o anche meno euro al mese?

Un perseguitato con una folla di seguaci, per piaggeria e sudditanza, che lo hanno eletto loro mito alla stregua di una attempata rockstar, nonostante sia un condottiero azzoppato non molla e grida la sua innocenza, per continuare a propugnare illusori cambiamenti quando sappiamo che entro l’anno la Fiat lascia al proprio destino gli operai e lo stabilimento di Termini Imerese.

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Gli eredi di Nerone

Abbiamo appreso con piacere che chi ha incendiato il liceo Socrate è stato consegnato alla Giustizia. Nei servizi giornalistici vengono descritti come Ragazzi di buona famiglia, ma senza spiegare il significato del termine. Ci auguriamo solo che i quattro vendicativi ragazzi siano condannati a lavorare nel cantiere che dovrà ricostruire la scuola da cui sono stati poco amati. Sicuramente per la loro formazione sarebbe meglio di una pena detentiva. Purtroppo la polizia non è sempre così tempestiva: nella zona compresa tra Conca d’Oro e Prati Fiscali nel giro di tre anni ben quattro incendi dolosi hanno distrutto almeno sei macchine e una dozzina di motorini e motociclette. L’ultimo risale alla notte tra il 29 e il 30 giugno, questi sono quelli precedenti: 26 maggio 2011 22 ottobre 2011 10 agosto 2012 Nella pianta in allegato sono riconoscibili le strade degli atti criminali: In sostanza, tutto avviene in un quadrato compreso tra via Val pellice, Via Val Maira, Conca d’Oro e via Val di Sangro, oppure tra Via Val Maira e via dei Prati Fiscali all’altezza della parrocchia di San Frumenzio. È un perimetro così limitato che è’ quasi istintivo pensare a gente del quartiere, che si muove a piedi e trova una facile via di fuga negli accessi di una delle quindici palazzine comprese tra queste poche strade. Evitano poi accuratamente i tratti coperti dalle telecamere delle banche e dell’ufficio postale, dimostrando anche qui una precisa conoscenza della zona. Ora si dice pure che i mandanti siano i gestori dei garage di zona per incentivare gli abbonamenti, ma sono chiacchiere da bar: l’altra volta si parlava di ragazzini incappucciati. Eppure da tre anni questo ettaro di terreno urbanizzato rimane zona franca per il prossimo rogo: polizia e carabinieri non hanno finora cavato un ragno da un buco. “Chi sa non parla”, neanche fossimo a Corleone. Eppure non è difficile studiarsi l’anagrafico dei residenti in una quindicina di palazzine a cinque piani, controllare curricula scolastici, fedine penali e schede cliniche. L’impressione personale è che, se non c’è di mezzo la droga, non esista attività investigativa. Mi auguro solo di sbagliarmi.

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