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Un Sindaco di buone intenzioni

Roma Ostiense Mura Aureliane Piramide dal Museo di Porta san Paolo DSC_3342La volontà del sindaco Ignazio Marino di migliorare la vivibilità di Roma, trasformandola in una città capace di accogliere e attirare investimenti per tornare a primeggiare nel mondo, è stato ribadito con la presentazione delle linee programmatiche per il mandato amministrativo 2013-2018.

L’Amministrazione, prima di realizzare una città senza barriere sociali, dovrà intervenire sulle barriere fisiche, quelle architettoniche e di mobilità che possono migliorare la qualità della vita, come il non trovare sul proprio cammino auto parcheggiate su passaggi pedonali protetti che influenzano molto l’umore degli abitanti.

Non basta istituire all’assessorato alla Qualità della vita e allo Sport per favorire la salute, è utile intervenire sul rispetto delle regole di vita tra persone.

Su queste linee programmatiche il Sindaco potrebbe trovare dei buoni risultati nel potenziamento dei trasporti pubblici, perché non è concepibile attendere il passaggio nel centro di Roma di un bus per oltre trenta minuti o assistere esterrefatti nella desolazione che versa l’Ostiense nel tratto tra la Piramide e la Basilica di san Paolo. Occorre rivedere gli orari di transito dei mezzi pubblici sulla via Ostiense con la presenza del polo universitario di Roma Tre, con il complesso museale della Montemartini, con i servizi di Sovrintendenza annessi, con le prospettive dei Mercati Generali trasformati nella Città dei Giovani e soprattutto con il complesso archeologico e museale di san Paolo fuori le Mura con la Basilica e l’Abbazia.

Il trasporto pubblico è tra gli interessi del Sindaco, come non manca di ricordare in ogni occasione, che va oltre al risanamento del bilancio catastrofico dell’Atac, ma arrivare a garantire un regolare transito di autobus e tram, senza che la pioggia non sia un ostacolo al transito della metropolitana.

È necessario, se la cultura e il turismo sono le risorse di Roma, guardare all’accoglienza sottraendo gli abitanti e i turisti a lunghe attese sotto il sole o la pioggia su di una pavimentazione sconnessa. Una sofferenza per recarsi a visitare un museo o un monumento che non è un buon biglietto da visita.

L’inizio del Sindaco Ignazio Marino è stato di buoni propositi e di alcune concretizzazioni come l’aver tenuto, sino ad ora, le collaborazioni esterne fuori dalla direzione della Sovrintendenza e di quella del Macro, ma sono solo delle pie illusioni e a settembre, si potrà tornare alla poco apprezzabile abitudine dei consulenti esterni per adattarsi allo spirito romanesco del damose ‘na mano. Se crede che la tutela del patrimonio dovrà essere affidata ad una consulenza esterna che sia una persona capace a non sprecare preziose occasioni di promuovere progetti validi per l’utilizzo dei fondi europei per la cultura.

Alcuni avvertimenti si erano avuti con la collocazione delle persone di fiducia negli assessorati, la consultazione dei curricula dei candidati per le poltrone dei diversi incarichi deve aver subito l’influenza di un colpo di vento che deve aver scompigliato, oltre alla capigliatura del Sindaco, i buoni intenti di affidare le mansioni per competenza e non per logiche di partito, anche all’insaputa degli interessati per una giunta creativa.

Sono pochi i nomi nelle giuste caselle, molto è dato all’inventiva atta a confondere i questuanti di turno pronti a parcheggiare il loro sedere sulle poltrone delle diverse sale d’attesa.

Una buona riuscita è stato l’accorto dosaggio di presenze femminili e maschili, oltre che tra tecnici e politici.

Bisogna annoverare tra le buone intenzioni il progetto di pedonalizzare l’area tra il Colosseo e piazza Venezia, ma sarà una vera prova del fuoco con le polemiche che ha già suscitato la modifica della viabilità, per smettere di utilizzare uno dei monumenti più visitati e fotografati del Mondo come spartitraffico. Svilire il simbolo della città eterna a fondale del traffico è il sintomo di quanto poco sino ad ora la politica si è interessata di cultura e turismo.

La città e i suoi abitanti andranno incontro a un vero e proprio cambiamento della filosofia di vita, un nuovo modo di pensare la mobilità e la cultura come una risorsa per Roma.

Il Sindaco potrà fregiarsi della soddisfacente conclusione dei lavori di restauro e consolidamento del basamento della Rocca Savella (Aventino – Lungotevere), con i depositi archeologici connessi, con la speranza che l’area non sia nuovamente dimenticata, ma promossa come luogo da visitare e non come la recente sistemazione dell’area di rispetto delle Mura Aureliane nel tratto di via Guerrini – viale Giotto

Il Sindaco sembra anche interessato al recupero edilizio più che alla smodata edificazione che ha caratterizzato negli anni Roma, per questo dovrebbe riflettere attentamente sulla colata di cemento che si riverserà su Tor di Valle, una zona in precario equilibrio ambientale e urbanistico, per edificare lo Stadio della Roma. Un luogo senza sbocchi, schiacciato tra il Tevere e la via del Mare, senza alcuna possibilità di migliorare la viabilità in un’area ricca di testimonianze archeologiche e naturalistiche, quella tra Tor di Valle e Acilia, dove si è fin troppo edificato.

01 Roma Ostiense Un Futuro dietro ad un Muro Ponte delle Scienze Gasometro DSC_4470 webUna sensibilità quella del Sindaco per la vivibilità della città che verrà messa alla prova con la riorganizzazione dell’area del ponte pedonale delle Scienze (Rita Levi Montalcini) che coinvolge la zona Marconi, ma soprattutto quella dell’Ostiense. Una vera riqualificazione per una zona di Roma che custodisce sorprese e gioielli, non solo come polo universitario, ma anche come polo museale.

È il turismo culturale il vero patrimonio di Roma e il pedonalizzare i Fori potrà essere un incentivo, ma è il facilitare l’accesso ai monumenti e l’aree periferiche che permetterà una “musealizzazione” diffusa.

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Qualcosa di più:

Un Sindaco di buone intenzioni
Viae Publicae Romanae
Campidoglio: ed ora cosa succede?
Un nuovo decoro adiacente alle Mura
C’è Ponte e Ponte
Un’altra Roma non solo di propositi
Sindaco nuovo vecchi problemi
Altro cemento sull’Ostiense
Infrastrutture in cambio di cemento

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Appesi a un filo

La ragazza, giovane, carina, slanciata, va per la sua strada: ha l’orecchio incollato al filo del suo cellulare. Non vede e non sente, cammina ma non si guarda attorno. Vedo dalle sue labbra ferme e dal suo sguardo serio, concentrato, che ascolta qualcosa, qualcuno. Discepolo di Zavattini e curioso per mia natura decido per il pedinamento, le vado dietro. Ma che fa? Attraversa la strada ma non ci sono le strisce né un semaforo, attraversa la strada come fosse da sola su questa terra. In questa felice città dove ad ogni momento il solito ubriaco o “strafatto” può stenderti sull’asfalto anche se attraversi col verde, anche se sei sul tuo marciapiede, in questa città di pazzi e bucanieri al volante, la nostra fanciulla sta attraversando la strada come se fosse in un viottolo di campagna: le auto le sfrecciano sfiorandola ma lei non stacca i suoi occhi dai suoi pensieri e dal suo misterioso ascolto. Non si sa come giunge salva sull’altra sponda: forse l’angelo dei telefonini la protegge. Ma non è finita. Ora torna indietro. Più giù c’è un semaforo per attraversare, ma non se ne dà cura: si getta in strada all’avventura. È una nuova specie di suicidio? Ma no. Adesso parla, parla, parla. Il mondo le è intorno e addosso: alberi, case, nuvole, gente, ma lei non c’è, non è qui, è su un’isola deserta, appesa al suo filo magico al suo telefonino—feticcio. Forse sogna di camminare, forse è nel suo letto e lei è solo una proiezione virtuale, come si dice? Un ologramma!… Già, fra un po’ qui è tutto virtuale, forse lo sono anch’io. Mi accorgo che per seguire lei ho schiacciato una merda di cane. Porca puttana! Lei invece cammina sulle nuvole, niente la sfiora e niente la tocca. Ora è in mezzo alla strada e un autobus le è quasi addosso, lei non lo ha neanche visto anzi, alza un attimo gli occhi e decide di salirvi sù; salgo anch’io. L’autista le urla qualcosa: hai deciso di finirmi sotto? La ragazza lo guarda allibita: ma che vuole costui? È un pazzo? Intanto anche l’autista ritorna al suo auricolare e riprende a cazzeggiare con qualcuno. La ragazza, tranquilla e serena, si siede e continua il suo discorso infinito. Mi guardo attorno: vecchi, bimbi, donne, ubriachi, paralitici, gialli, neri, rossi, sono tutti con gli occhi e le orecchie stampati sugli infernali apparecchietti. Chi urla, chi ride, chi gioca e smanetta. Mille faccende e mille fattacci mi vengono vomitati addosso, le voci si incrociano: coreani, cinesi, nordici, spagnoli, slavi, indiani, dialogano beati con le loro voci stridule, gutturali, rauche o squillanti, ridono, si incazzano, piangono gli affari loro come se fossero nel loro cesso di casa. Nessuno ti guarda, nessuno ti vede e ti sente. Sono tutti su un altro pianeta. È un film di fantascienza? Gli alieni hanno conquistato la terra? Sono nel panico. Fermate! Voglio scendere!!

Nell’oscurità dei Mercati coperti

A Roma un aspetto strano dei mercati rionali coperti è il buio. Contrariamente all’idea di mercato, sono quasi sempre strutture poco luminose e francamente lugubri. A ridare colore ci pensano casomai tutti i banchi abusivi esterni allo spazio assegnato e quasi sempre tollerati. Ne parlavo con un fioraio, senza sapere che era un rappresentante di categoria. Ma lui si lamentava soprattutto dell’ubicazione sbagliata degli stessi mercati coperti romani. Non potevo dargli torto: ogni volta che un mercato all’aperto è stato spostato dentro una struttura chiusa, decisa dal Comune senza ascoltare i mercanti, questa era collocata lontano dal luogo naturale di incontro della gente, col risultato di languire o morire del tutto. Questa è la fine che ha fatto il mercato di Ponte Milvio, ora centro commerciale Euronics. Diverso il caso di spazi programmati coperti fin dall’inizio, come il bel monumentale mercatone all’incrocio tra via Savoia e via Alessandria dietro Porta Pia. Meno riuscita la nuova struttura di via Andrea Doria, forse troppo verticale. Assolutamente tetro il mercato di via Magna Grecia. Ma quella contro i mercati all’aperto è una guerra condotta per anni da quelli di Bruxelles, che nulla sanno del Mediterraneo e del sole. Va detto che da noi si è trovato un compromesso che ricorda la stabilizzazione dei nomadi. Alludo a quegli orrendi e puzzolenti scatoloni di metallo fissati al suolo come se ne vedono a via Orvieto o a via Simeto o dietro la Garbatella o a Trionfale. Sono come quei campeggi dove le tende diventano baracche in muratura e le roulotte perdono la mobilità per radicarsi sul terreno. Anni fa il Comune cercò di far acquistare ai mercanti furgoni attrezzati, ma senza incentivi non se ne fece niente, col risultato che quei cassoni uno attaccato all’altro sono rimasti, sempre più arrugginiti e pieni di cavi elettrici volanti. E la notte non mancano certo i topi.

Ma tornando al pensiero iniziale, vi siete mai chiesti perché i padiglioni della nuova Fiera di Roma non hanno lucernai ma sono illuminati esclusivamente da luce artificiale, nonostante le attività fieristiche si svolgano essenzialmente di giorno? Anche stavolta il progettista si è dimenticato di essere nel Mediterraneo, esattamente come chi ha progettato (o meglio: trasferito acriticamente idee nordiche) i quaranta centri commerciali di Roma e dintorni. Tranne poche eccezioni – come un Outlet sulla Pontina – non prevedono porticati e piazze ispirate all’architettura romana, ma sono enormi bunker ermeticamente chiusi. Se vogliamo, sono esempi di architettura coloniale.

Roma 13062401 Mercati coperti DSCN2906

Viae Publicae Romanae

Al nuovo sindaco vorrei chiedere di ascoltare gli automobilisti, magari istituendo una casella email dedicata. Non parlo di via dei Fori Imperiali, difesa chissà perché proprio dagli archeologi, ma del resto di Roma. Per anni non ho mai guidato la macchina perché non ne avevo bisogno: abitavo infatti al centro; poi mi sono sposato e a mia moglie abitare al centro non interessa: come troppi romani ama le comodità e non si farebbe mai tre piani di scale come ho fatto io per anni, né accetterebbe di vivere in un quartiere ormai troppo rumoroso o dove è impossibile trovare parcheggio. Neanche le interessa avere a portata di mano cinema, teatro, musica dal vivo e locali decenti senza dover riprendere la macchina. Ma non è di questo che voglio parlare, ma piuttosto di cosa significa guidare in una città organizzata da tecnici e politici privi di senso strutturale. Per senso strutturale intendo la capacità di affrontare un problema nel suo complesso invece di risolvere la situazione un pezzo per volta. Che senso ha costruire l’enorme ponte della Musica per farci passare solo pedoni e ciclisti? E perché un’arteria importante come la via Ostiense è servita da poche linee di autobus, a differenza della Nomentana? E se non conoscete bene Roma vi chiederete per quale motivo è vietato percorrere alcune strade dall’inizio alla fine. Parlo di via Venti settembre, del lato sinistro del Lungotevere, di tante altre strade a cui è inibita la propria funzione primaria. E spesso vi perderete o almeno finirete da un’altra parte perché le indicazioni sono insufficienti, i cartelli e i semafori sono troppi o messi male. Alla fine di via di Porta Maggiore come interpretare p.es. un semaforo che mostra il rosso e il verde insieme? Poco male: procedete lo stesso, visto che dovete girare attorno a Porta Maggiore invece di passarci dentro, ma evitate di montare sul marciapiede che protegge i binari del tram e soprattutto cercate di infilare l’accesso alla Tangenziale est, mai così cervellotico come su una piazza dove passano due tipi di tram e tutto il traffico per la Casilina. Ma cambiamo quartiere: ormai sono pratico, ma chi potrebbe pensare che dopo Cinecittà è impossibile voltare a sinistra per andare all’ambulatorio dell’IPA, per cui bisogna girare al semaforo prima della Lamaro, cioè un chilometro prima? E provate ad andare alla stazione Tiburtina in Tangenziale est provenendo da San Giovanni: semplicemente l’accesso ancora non esiste. Se poi venite invece dalla direzione opposta, vi ritrovate a girare a destra salendo la rampa, poi riscendete ancora ma solo se riuscite a leggere un cartello piccolo all’inizio della Tiburtina. Ma non era la stazione più importante di Roma, anche se chi l’ha progettata era forse più pratico di aeroporti? E a proposito di cartelli, ma chi aveva l’appalto della segnaletica per l’Auditorium? Quel cartello l’ho trovato anche a Spinaceto. Provate invece a leggere in galleria Giovanni XXII le indicazioni per uscire sulla Trionfale o sulla Pineta Sacchetti: ma fatelo subito senza andare a sbattere sullo spartitraffico di cemento, visto che i cartelli sono piccoli, non sono illuminati e sono messi troppo in alto e troppo vicino agli svincoli. Oggi ho calcolato che, in circostanze normali, quei cartelli sono leggibili solo da sei metri di distanza, una frazione di secondo per decidere. Perché non unificarli con lo standard di quelli della Tangenziale in galleria? Se invece percorrete il Ponte delle Valli provenendo da Conca d’Oro e intendete immettervi nell’Olimpica per andare verso lo Stadio, rallentate per due motivi: il cartello è illeggibile e la curva è a 90 gradi. Chiaramente chi guida spesso queste cose le sa, ma c’è sempre una prima volta. Nella vecchia Tangenziale, p.es., provenendo da Salario, all’altezza del Verano, al cimitero rischiavate di finirci davvero, visto che si aveva solo un decimo di secondo per decidere se andare a sinistra per San Giovanni o a destra a Tiburtino o restare in mezzo addosso al paracarro. Per fortuna ora è tutto in galleria. E a proposito di gallerie, direi che a Roma – e non solo a Roma – manca uno standard di illuminazione e cartellonistica. E che dire di quel fastidioso sfarfallamento che disturba chi guida nel tratto aperto dell’Olimpica tra il Tevere e lo Stadio? E’ dovuto a una copertura a cella d’ape per frangere i rumori. Sì, ma gli occhi?

E passiamo alle barriere. Lunghi guardrail si alternano a marciapiedini bassi bassi, ma perché? Perché mai l’inizio del Ponte delle valli è diviso in due corsie da una barriera continua di cemento per cinquanta metri e poi solo con un basso marciapiede che rischia di fare da trampolino per chi lo strusciasse? Lo stesso sull’Olimpica, che alterna barriere decenti a bassi marciapiedi. E nelle confluenze, quante volte il guardrail – spesso smozzicato e deformato da anni di urti – termina con un basso marciapiede di foggia triangolare che non proteggerebbe da errori di manovra, ma anzi li amplificherebbe? E se poi vogliamo parlare di semafori, ma perché sulla Salaria nel tratto dall’incrocio di viale Liegi fino alla fine di villa Ada – un paio di chilometri – ve sono una dozzina, oltretutto nemmeno sincronizzati? Mai comunque come tra Ponte Vittorio e Porta Castello: ce ne sono quattro in poco più di cento metri. Almeno dopo una cert’ora potrebbero essere anche disattivati, no?

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I frutti celati negli Orti

Il recupero dell’orto come alternativa al rincaro della vita e per ravvivare la quotidianità urbana ha riscontrato un sempre maggior interesse tra i singoli e le comunità che si adoperano per instaurare un rapporto di conoscenza con la natura e con il cibo che si mangia.

In questo idilliaco panorama si può anche scoprire un orto che da secoli custodisce la storia di un luogo come quello dell’Abbazia e Basilica di san Paolo fuori le Mura, ma che l’esigenza di edificare una struttura di accoglienza dei visitatori del complesso monastico e degli spazi museali annessi, ha portato a smantellare l’antico orto e al conseguente rinvenimento di una serie di antiche strutture altomedioevali che comprendeva anche le mura volute dal papa Giovanni VIII (872-882), facilitando la nascita del borgo detto “Giovannipoli”, con la presenza spontanea di una comunità laica che viveva in simbiosi con il complesso monacale.

Una scoperta quella sotterranea all’orto che ha ravvivato l’eterno conflitto tra i “conservatorismi” e i “modernisti”, esemplificato nel chi voleva realizzare un’ampia area archeologica e chi riteneva importante dar sfogo creativo alla contemporaneità architettonica inserita in un contesto millenario.

Gli organi vaticani, preposti anche alla tutela del complesso monacale di san Paolo, hanno mediato tra le due posizioni facendo convivere le esigenze con la conservazione.

È stato effettuato prima uno scavo e poi la scelta dei luoghi dove porre i pilastri di sostegno per l’esecuzione del progetto edilizio del bookshop e degli altri ambienti di servizio, toilette e deposito sedie compresi, in un tripudio di vetro e acciaio.

Il risultato è una suggestiva area archeologica “sotterranea”, con l’immancabile audiovisivo esplicativo nelle ricostruzioni virtuali e i pannelli retro illuminati che facilitano la lettura.

L’allestimento non è completo, le passerelle saranno anche provvisorie, ma l’area è pronta ad accogliere i visitatori in un percorso integrato con gli altri ambiti del complesso.

Da un orto che celava delle risposte sulla storia di un luogo ad un orto che stimola la cultura della conservazione come l’iniziativa “Gli Orti per l’Arte” che ha preso le mosse a Roma con la presentazione dei lavori di restauro della volta della Basilica di Santa Maria in Montesanto, più conosciuta come la Chiesa degli Artisti, e degli affreschi della sacrestia annessa.

L’iniziativa che ha coinvolto la Fondaco insieme a Gli Orti di Venezia marchio per la vendita di insalate in sacchetto e la Bonduelle, ha esordito a Venezia nel 2010 con il restauro del Gobbo di Rialto, statua del xv° secolo che si affaccia in Campo San Giacometto.

Abbazia e Basilica di san Paolo fuori le Mura
Abbazia e Basilica di san Paolo fuori le Mura
Basilica di Santa Maria in Montesanto totale affreschi
Basilica di Santa Maria in Montesanto totale affreschi