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Goliardici mercati

La presenza nella zona di Ponte Milvio degli artisti della Società del Ponte Mollo, con la loro esuberante goliardia, trasformò la quotidianità della campagna romana in un’interminabile occasione di festeggiamenti. Non c’erano solo le Ottobrate romane, ma anche le Pasquinate degli studenti e le giornate di mercato. Si festeggiava per l’arrivo di un artista o per la sua partenza, per lodare un’opera appena terminata o più semplicemente perché ai conviviali andava di bere e mangiare. Una scusa si trovava sempre per questi continui “eccessi” che, stando al clero del luogo, preoccupavano il papato.

I festeggiamenti per la partenza dello scultore danese Bertel Thorwaldsen da Roma spinsero Papa Gregorio XVI a cercare di vietare, non tanto le gozzoviglie all’osteria del “Grappolo d’oro”, ma principalmente la cerimonia che insigniva l’artista per il valore delle sue opere, della simbolica onorificenza del “baiocco”. La sfilata fu giudicata “blasfema, denigrante e pagana”, con somari, campanacci e il frastuono di pentole. Negli anni successivi, facendo seguito alle pressioni del papato, gli artisti trasferirono tali festeggiamenti a Tor Cervara.

Da alcuni anni si è rinnovata la tradizione del Premio Baiocco a Ponte Milvio, la rievocazione storica di un antico rituale goliardico che vedeva protagonisti i componenti della Pontemolle Gesellschaft (Società di Ponte Mollo). Sia gli affiliati della Società di Ponte Mollo che i Bamboccianti, avevano sempre un “buon” motivo per esaltare gli spiriti con bisbocce, animando locande e campagne.

Si tramanda un aneddoto che vede come protagonista un oste anticonformista, il quale al passaggio del Papa a Ponte Milvio, nonostante le sollecitazioni e le minacce delle guardie papaline, rimase seduto a capo scoperto e intento a fumare davanti alla porta della sua osteria, e per questo venne soprannominato da quel giorno “Melafumo”.

Gli studenti, anche in ricordo di questo aneddoto, hanno sempre considerato Ponte Milvio come una specie di zona franca per ogni burla, di contro gli stessi studenti, in occasione dei mercati, si ponevano a difesa dei poveri sprovveduti campagnoli che dopo aver venduto i loro prodotti, tra un salto all’osteria, un tagliarsi i capelli dai “tosari” o a farsi scrivere una lettera dallo scrivano pubblico, rischiavano spesso di imbattersi in piazzisti senza scrupoli, noti “marpioni’in grado di vendere loro ogni sorta d’oggetto inutile.

Nel 1800 gli artisti e i viaggiatori portarono dal nord dell’Europa i cambiamenti di una società in veloce trasformazione, e proprio le “turbolenti” nuove generazioni furono le prime a percepirne l’importanza. Così, con i loro modi scanzonati, grazie anche alle celebri, irriverenti “Pasquinate”, gli studenti riuscirono a destare la gente assopita in un ancestrale immobilismo.

08 Roma Feste e goliardie Bartolomeo Pinelli, Il Saltarello, 1808, acquerello MR 3457 web08 Roma Feste e goliardie Bamboccianti Charles Coleman (1807-1874), Mandria sul Ponte Milvio, 1873, olio su tela, Roma, Paolo Antonacci 1264088128831_11

Monsignor Pussino e i nordici a Ponte Milvio

Si deve sicuramente a Nicolas Poussin se Ponte Milvio e la campagna circostante acquistarono notorietà nell’Europa del ‘600, diventando luogo di soggiorno per artisti e curiosi, con benefici economici per gli abitanti della zona. Lo sconforto iniziale che prese l’artista francese per un ambiente ostile si trasformò radicalmente in ammirazione per ciò che lo circondava e per la semplicità e generosità di quella gente. Un affetto ricambiato dai pontemollesi che lo adottarono come Sor Pussino. La popolarità di quei luoghi crebbe anche in virtù delle passeggiate che Poussin abitualmente faceva in compagnia di artisti: le famose “promenade” che lo portavano da Ponte Milvio a via Tor di Quinto e da Saxa Rubra fino al Casale del Pussino (come veniva ribattezzato dai pontemollesi, oggi Castello della Crescenza), passeggiate durante le quali incontrava butteri e contadini, bufalari e pecorai che gli mostravano considerazione.

Contemporanei di Poussin nel frequentare Ponte Milvio, ma in modo sporadico, furono gli artisti raccolti sotto l’appellativo di Bambocciani. Una banda chiassosa di pittori fiamminghi, olandesi e italiani che prese dimora in via Margutta, conferendole quel ruolo di strada degli artisti che tuttora mantiene.

Joseph Mallord William Turner raffigurò  Ponte Milvio in una serie di tele e disegni dedicati alla Campagna romana, mentre dieci anni dopo celebre è il dipinto di Camille Corot (1828), attualmente custodito al Louvre, dove è raffigurato Ponte Milvio.

Con il passare degli anni “Ponte Mollo” divenne il luogo di incontro degli artisti che provenivano dal nord: una vera e propria istituzione che, nel primo ventennio dell’ottocento, si trasformò nel circolo conosciuto come Pontemolle Gesellschaft.

Artisti importanti come Thorvaldsen, Cornelius, Andersen, Reinhart e Millin diventarono una congrega di buontemponi, che riservavano ai nuovi arrivati un caloroso benvenuto con gaie cantate, che terminavano all’osteria con un bicchiere di vino.

Avevano una loro insegna sociale: una fojetta (bicchiere) vuota col motto Praeses Populusque Pontemollicus e un Bajocco, una grossa medaglia con nastro azzurro, una sorta di “decorazione” in segno della ammissione al caratteristico sodalizio. Un senso di appartenenza al quale tenevano molto: Thorvaldsen scelse addirittura di sfoggiare solo questa goliardica “onorificenza” dell’Ordine del Bajoccoda, nonostante ne avesse ricevute molte altre in Europa, durante le cerimonie di Corte quando tornò nella sua Copenhaghen.

Dal Seicento di Nicolas Poussin, che visse in una sorta di Arcadia destinata a committenti facoltosi, si passa al Settecento che utilizzò le osterie di Ponte Milvio come luogo espositivo e di promozione del lavoro dei novelli pittori e di illustri artisti.

Il gruppo del “XXV della Campagna Romana”, formato da artisti italiani, incarnò, sino ai primi anni del ‘900, la tradizione della “Società di Ponte Mollo”(Pontemolle Gesellschaft).

Ancor oggi Ponte Milvio è un luogo d’incontro culturale grazie alla disponibilità dell’Amministrazione Capitolina: nella Torretta, infatti, sono da tempo ospitate numerose iniziative artistiche, esposizioni di arte contemporanea aperte ad ogni ambito espressivo, mentre alcuni artisti preferiscono mostrare in modo informale le proprie opere nel vicino mercato.

Monsignor Pussino e i nordici a Ponte Milvio DSCN3114 a
Ponte Milvio
Roman Campagna: Tiber from Castel Giubelio 1819 by Joseph Mallord William Turner 1775-1851
Ponte Milvio Joseph Mallord William Turner, The Roman Campagna with the River Tiber and Ponte Molle in the Distance, 1819

 

Monsignor Pussino e i nordici a Ponte Milvio Corot the-promenade-du-poussin-roman-campagna
Corot the-promenade-du-poussin-roman-campagna

 

Fontana dell’Acqua Acetosa

Tra lungotevere e via dei campi sportivi, di fronte alla ferrovia Roma-Viterbo, isolata dal frenetico traffico dei giorni feriali, si trova un’interessante esempio di fontana barocca: quella dell’Acqua Acetosa da cui il nome del luogo che si estende tra i Monti dei Parioli e il Tevere e che, appunto, viene chiamata “Acetosa”, per via del sapore acidulo che ricorda la pianta usata prevalentemente contro lo scorbuto. Una sorgente, quella dell’Acqua Acetosa, a cui i romani hanno da sempre attribuito delle qualità curative, bevendo volentieri la sua acqua magari per allungare il vino dei Castelli nelle osterie vicine alla fonte, perché la trovavano gustosa, leggera, fresca e frizzantina. La fonte è ormai caduta nell’oblio dell’incuria, dopo un lungo periodo d’inattività. Sono lontani i giorni degli appelli musicali degli acquacetosari, modulati sul ritmo di una lunga e strascicata nenia, che terminava con una corona più o meno tenuta, a seconda dei mezzi vocali del cantore: “Fresca… fresca… l’acquaaa acetoooooosa!”. L’odierna fontana, come rilevato dal medico romano Giovanni Maria Lancisi (1654-1720), venne preceduta da quella voluta da Paolo V (1605-1621) e consisteva in una parete sobriamente ornata: il “rude aedificium”. Demolita la fonte di Paolo V, è Alessandro VII Chigi a volere una nuova sistemazione dell’area che, nel 1662, viene realizzata da Andrea Sacchi e da Marcantonio de Rossi, su disegno di Gian Lorenzo Bernini.

Tra le due fontane, come ricorda nei suoi scritti il Lancisi, si inserisce la sistemazione di Innocenzo X (1644-1655).

Il monumento rispecchia l’idea di un ninfeo con tre fontanelle dalle quali sgorga timidamente l’acqua; è costituito da un’esedra tripartita sormontata da un timpano concavo e realizzato in una piccola depressione alla quale si accede tramite una scalinata.

Una serie di iscrizioni conservano la memoria del luogo; a sinistra, attraverso l’elogio poetico che decanta le ben note virtù medicamentose dell’acqua, viene riportato il nome di Paolo V con la datazione del 1613, mentre nel fornice destro della mostra berniniana, dirimpetto alla iscrizione di Paolo V, si osservano le tracce dell’incavatura destinata ad accogliere il medaglione oggi scomparso. Un’altra lapide, inserita nel riquadro sopra la nicchia centrale, menziona il risanamento compiuto da Clemente XI nel 1712. Grazie al nuovo assetto fu possibile attingere l’acqua con ogni agio e comodità, un’operazione che era resa difficile dal fango che circondava la conca naturale e rendeva il luogo impraticabile.

Ora la fontana, dopo un periodo d’abbandono, vive una seconda giovinezza con la sistemazione dell’area in Parco della Fontana dell’Acqua Acetosa. Restaurata e con una dovuta bonifica idraulica, a causa dell’inquinamento riscontrato negli anni ’50, ma non versa più Acqua Acetosa, bensì normale acqua potabile.

Roma Fontana  Acqua Acetosa Anonimo Bambocciante Romano, Veduta inedita della fonte dell'Acqua Acetosa prima che Andrea Sacchi vi costruisse il ninfeo, prima metà del XVAII secolo webRoma Fontana  Acqua Acetosa Incisione del Falda del 1667, Fontana dell'Acqua Acetosa webRoma Fontana Acqua Acetosa oggi

Grattacieli e obelischi di Sergio Ferrazza

 

Sergio Ferrazza. Cronaca e slancio creativo nei suoi flash pittorici densi di urgente contemporaneità ma anche di amoroso rievocare sogni e tradizioni di una cultura antica, nostra come la nostra pelle e il nostro respiro. Ieri e oggi si accavallano e si misurano negli squarci visivi che sono improvvise prospettive, folgorazioni ora futuribili ora a ritroso segnate da intense cromaticità, “colpi” di colore che legano e riverberano civiltà remote e angosce metropolitane in un “unicum” atemporale, spazio e campo di confronto di una umanità perenne e fervida

Il suo colore, segnale di emozioni non trattenute, senza incertezze marchia come ferite esplicite il tracciato di civiltà diverse pur nella continuità del suo eterno proporsi.

Così richiami di sacrali eros induisti sono il sogno negato di puritani ed aridi verticalismi occidentali, grattacieli come obelischi a divinità mercantili; i guerrieri di terracotta cinesi come esercito dissepolto contro le crude muraglie cementizie, incanti e ricchezze di genti che furono allevate al bello e alienanti serialità contemporanee.

In queste “mappe” alterne e varie dove l’umanità propone il collante della propria appartenenza etica o diversa comprensione del mondo, la fotografia è la base esplicita: fotografia manipolata e percorsa da quel colore che lega e assomma in sé la necessità dell’artista di coniugare eventi così dissimili e contrastanti, necessità di accogliere in un’emozione totale, onnicomprensiva, quel che fummo e saremo.

Il richiamo alla tematica figurativa tardo pop—art di Schifano è d’obbligo, ma il riutilizzo di Sergio Ferrazza, nell’uso anche di altri materiali (stoffa, acetati, sabbia, plastica) ha fervori e necessità tutte sue, in una ricerca formale che fà dell’esplicito “gesto” pittorico e della frammentazione visiva il complesso mosaico di una lettura umana variegata eppur di compatta continuità nel suo infinito avvicendarsi.

 

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APERTI PER VOI

L’iniziativa “Aperti per voi“ è nata nel 2005 per volontà del Touring Club Italiano per rendere fruibili in mondo sistematico e continuativo siti artistici, culturali e religiosi, spesso chiusi al pubblico (o aperti solo con forti limitazioni di orario) in tutta Italia. A Roma, in particolare, sono tre i monumenti della Sovrintendenza Capitolina (il complesso della Villa di Massenzio, il Museo delle Mura e il Sepolcro degli Scipioni) ad usufruire il supporto del Touring Club Italiano per accoglieranno i visitatori dando loro le prime indicazioni di orientamento. Grazie ai Volontari del Touring Club da dicembre sono aperti dal martedì alla domenica il complesso della Villa di Massenzio (orario 10-16), il Museo delle Mura ed il Sepolcro degli Scipioni (orario 9-14). Aperti per voi per la prima volta a Roma La Villa di Massenzio costruita dall’omonimo imperatore sulla via Appia antica nella quale sono visibili il circo di Massenzio, l’unico dei circhi romani ancora ben conservato in tutte le sue componenti architettoniche e il mausoleo dinastico, noto anche come tomba di Romolo dal nome di Valerio Romolo giovane figlio dell’imperatore che qui fu sepolto. Il Museo delle Mura è ospitato in una delle porte della città (Porta San Sebastiano) che ha mantenuto l’aspetto originario dell’antica cinta aureliana. Da una delle terrazze delle torri è possibile ammirare lo skyline della città. Il museo ospita eventi culturali e mostre temporanee. Il Sepolcro degli Scipioni, da poco riaperto al pubblico dopo circa 20 anni di chiusura è un importante monumento funerario. La costruzione, nei primi decenni del III secolo a.C., di un sepolcro monumentale che contenesse le spoglie dell’illustre famiglia senatoria, si deve al capostipite della famiglia degli Scipioni, Lucio Cornelio Scipione Barbato, console del 298 a.C., il cui sarcofago, elegantemente decorato e iscritto, si trovava di fronte all’ingresso, sul fondo del monumento. Nell’area archeologica, oltre al sepolcro degli Scipioni, sono presenti strutture che vanno dagli inizi del III secolo a.C. (epoca di costruzione del sepolcro) fino all’età tardo antica e al Medioevo. Info: http://www.touringclub.it http://www.sovraintendenzaroma.it/ tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00-21.00)