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FRANCO GENTILI, PITTORE

Per parlare di Franco Gentili devo ricadere un po’ nel “personale”. Perché? Perché lo incontro tranquillamente seduto al suo stand in mezzo al mercatino domenicale di ponte Milvio. La solita infilata di oggetti e vecchiumi in vendita, manifesti d’annata, lampade e teiere, sciarpe, pupazzi e qualche pittore. Pittore? Diciamo croste e crosticine recenti o del tempo che fu, i soliti “papponi” cromatici e varie insalate russe pseudoastratte, pesudoimpressioniste e pseudotutto. Ed ecco in discreta esposizione i lavori di questo signore, naturalmente ignorati dagli svagati passanti attratti solo dai vertiginosi colori finto “fauve” di chi usa il pennello come un piccone. Piccole dimensioni, foglietti quasi, elaborati con mano e gusto sicuri, stratificazioni tonali raffinate, preziose, poco colore calibratissimo, un segno intenso, ora tagliente ora morbido, profondità e prospettive di gran pregio.

Che ci fa questo signore in mezzo ai rivenduglioli della domenica? Ci parlo. Franco Gentili ha lunga e meditata esperienza pittorica; è stato in dimestichezza con gente come Manzù e Omiccioli.

Mi parla dell’influenza picassiana, ma non concordo. Non c’è niente di brutale e drastico tipico della controversa genialità dello spagnolo. Piuttosto le filtrate ed eleganti tonalità di un Afro, qualche “graffio” dolente del primo Vespignani, qualche umore crepuscolare di Scipione. Scuola romana insomma, e comunque una cifra tutta sua, originale, risultato di complesse elaborazioni tonali. Gentili ama la tecnica mista, sopratutto grafica con attenti inserimenti cromatici.

Matita, pastello, carboncino, inchiostri, e sopratutto manipolazione chimica della carta. Ne risulta una specie di “palinsesto”, di graffito denso di spessori, un distillato ricco di sapori e di umori ora malinconici ora grotteschi, solo per chi abbia occhi attenti a coglierne le sfumature. Ma questa non è “merce” per chi passeggia a quest’ora in attesa dell’aperitivo! Ha un catalogo fotografico dei suoi lavori Gentili? No, neanche una piccola pubblicazione. Solo uno striminzito dépliant dove leggo che i suoi lavori sono sparsi un po’ dappertutto in Italia e all’estero. Ha un “sito” di riferimento? Nemmeno a parlarne. E dire che l’ultimo dei dilettanti ti sciorina siti e cataloghi organizzatissimi, magari con biglietti da visita dove si abusa di paroloni come “artista”, “maestro”, “performance”. Ahimè! Non posso che stringergli la mano augurandogli miglior fortuna e attenzione da parte degli addetti ai lavori (ma quale critico oggi si spreca a promuovere un artista di settantasei anni? Gentili è nato a Roma nel ‘36). Prometto di andarlo a trovare (abita a Fiano Romano) dove conto di fotografare qualche sua opera.

Un saluto quasi commosso, un sorriso: una piccola gratificazione per chi incontra chi sa riconoscerci per quel che si vale. So di che parlo. Vive anche di questo un artista.

 

 

IL PALAZZO APRE AL GIARDINAGGIO

Il giardino storico di Palazzo Venezia è un’isola di verde nel centro di Roma, forse tra le meno conosciute, che ripropone con rigore quasi filologico armonie e geometrie rinascimentali.

In questo contesto che Andreina Draghi, Direttore del Museo Nazionale del Palazzo di Venezia, ha ideato questa inedita iniziativa per un corso di giardinaggio, articolandolo in una serie di conferenze sulle tecniche di coltivazione, cenni di botanica e storia dei giardini.

Gli incontri si svolgeranno negli ambienti del Museo Nazionale di Palazzo Venezia e dei suoi giardini storici. Il corso è organizzato per un minimo di trenta persone – massimo sessanta e sarà articolato in tredici conferenze. Le lezioni si svolgeranno il lunedì nel primo pomeriggio: a queste si aggiungeranno i due incontri, previsti per il sabato mattina, con visite guidate ai giardini.

Il corso si svolge con la collaborazione di Cesare Fabio Greco, Responsabile del Servizio Giardini della Soprintendenza, che svolgerà due visite guidate ai giardini storici di Palazzo Venezia e di Palazzo Barberini. Le conferenze saranno tenute da Massimo De Vico Fallani, autorevole studioso di parchi e giardini storici e da Stefano Marzullo, Flavia Calò ed Elisabetta Aloisi Masella, esperti tecnici in servizio presso l’Orto Botanico di Roma.

LA FRESCURA RIEMPIE I CAMPI E I MONTI
Dal 24 settembre al 17 dicembre 2012

Roma
Palazzo Venezia

http://poloromano.beniculturali.it

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AVANTI C’È POSTO!

Molte persone ormai con i capelli grigi, molto grigi, ricordano con una punta di nostalgia i trenini della STEFER, resi celebri dai film con Fabrizi e Ave Ninchi, che portavano al Lido di Ostia decine di migliaia di persone o quelli della Roma-Nord o dei Castelli con le loro vetture azzurre.
Potremo parlare di queste linee e dei loro mezzi iniziando come nelle favole: c’era una volta una città che divenne capitale di un regno e dove si faceva urgente il problema di assicurare il servizio di trasporto ad una popolazione sempre più numerosa; si crearono linee di omnibus trainati da cavalli e nel 1895 apparve il primo tranvai urbano giungendo ai primi del ‘900 ad avere undici linnee ad alimentazione con cavo elettrico.
Il 29 novembre 1899 fu fondata la STFER, Società Tranvie e Ferrovie Elettriche di Roma, poi STEFER, per la gestione della linea per i Castelli con estensione sempre maggiore negli anni. Il trasporto pubblico non si rivelò un affare lucroso e nel 1928 il Governatorato di Roma acquistò la STFER e successivamente altre aziende finché il 1 agosto 1941 fu costituita la STEFER che gestiva la Roma-Lido, la Roma-Frosinone, la Roma-Castelli ed era pronta ad assumere la concessione per la metropolitana per l’E42 prevista dal Piano regolatore. La guerra danneggiò linee e materiale ma la STEFER riprese i servizi anche se già dagli anni ’50, e fino ai ’70, cominciarono ad essere soppresse molte linee per i Castelli. Il 9 febbraio 1955 entrò in servizio la linea di metropolitana ora “B” e nel 1980 la linea “A”. Nel 1976 fu costituita l’ACOTRAL che gestiva le linee già STEFER e Roma-Nord mentre vennero cedute all’ATAC le linee classificate urbane. Nel 1993 l’ACOTRAL è divenuta COTRAL e nel 2000 si è avuto un nuovo assetto basato su due società, la LINEE LAZIALI S.p.A. per il traffico su ruota e la METROFERRO S.p.A. per quello su rotaia. E’ passato un secolo, c’è stato uno sviluppo economico incredibile, due guerre mondiali, una dittatura ventennale, una lunga guerra fredda,un mutamento di costume e di vita inimmaginabili eppure i convogli della Roma-Ostia continuano a portare al mare i bagnanti della domenica. In tanti mutamenti una cosa è rimasta pressoché ferma, una linea tranviaria che è nel cuore di molti romani ma che attira anche tante maledizioni perché non si può dire, specie in certi orari, che ci si viaggi in maniera confortevole. Nel corso dei decenni il materiale ha subito molti cambiamenti e le vetture originarie sono state demolite ma qualcuna si è salvata. Nella vecchia stazione di Porta San Paolo, costruita su progetto di Piacentini durante la Grande Guerra dai prigionieri austriaci, è stato allestito un parco che espone alcuni dei vecchi modelli che, in molti casi per decenni, hanno accompagnato la vita dei romani. Sono mezzi raccolti e restaurati con amore dal personale dell’attuale MET.RO e ricordano alcune linee storiche. C’è un locomotore Breda del 1915 della Roma-Fiuggi, un’elettromotrice del 1931 della Roma-Nord, un Tram dei Castelli del 1912 in esercizio fino al 1980, un Tram della linea urbana per Cinecittà, alcuni mezzi tecnici per lavori sulla linea ed infine il celebre locomotore beige della Roma-Ostia costruito nel 1925, rimaneggiato varie volte e rimasto in esercizio fino ai primi anni ’90. Le vetture sono posizionate in un giardino che le inquadra in maniera suggestiva ed ha per sfondo la Piramide di Caio Cestio. Nell’antica biglietteria estiva è allestita una raccolta di fotografie storiche ed una piccola mostra di oggetti relativi all’esercizio e alle dotazioni del personale. Un viaggio nella memoria della città che potrà creare curiosità nei giovani e tanta nostalgia nei visitatori “datati”.

Roberto Filippi

 

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Il Parco Museo di Metro.Ro.
Stazione di Porta San Paolo

Aperto a richiesta

Telefonare al 06/57532504 dalle 9 alle 12
http://www.mondotram.it/

http://www.mondotram.it/filobustiere/

RICORDO DI MARIO MARTINI

Nei primi mesi del 2007 è scomparso Mario Martini. L’ultimo pittore della generazione di via Margutta degli anni ‘50? L’ultimo pittore bohemiénne? O addirittura l’ultimo pittore di strada? Perché erano quelle quattro strade del centro la sua vera casa, nel suo “studio” ci andava solo a dipingere in fretta tele da svendere subito. Sì, anche dopo le consacrazioni critiche importanti (Montanarini, Avenali), dopo le prime esposizioni “vere”, Mario continuava a svendere all’incanto i suoi dipinti per strada, o in qualche trattoria, o negli studi degli amici. Lo conobbi così, quando avevo lo studio a via Gesù e Maria: scendeva da noi (eravamo in cantina) un giorno sì e uno no a proporci tele freschissime, appena allestite, in cambio di 20-30 mila lire. Era un ex finanziere come si dice ammalatosi di “testa” e messo a riposo in anticipo. Coltivava buffe originalità, in giro col suo giaccotto orlato di pelliccia, feltro in testa e bastone col pomo, come a darsi un quarto di nobiltà, come a far capire che era ormai un pittore vero. Quelle sue quattro strade al centro sono ancora piene delle sue frasi sgrammaticate, sconce, graffite a carboncino: una specie di matto, ingenuo Pasquino, a redarguire politici, scandali, corruzioni. Sì, dipingeva troppo in fretta, e non aveva tempo per raffinati impasti; correva sulla tela con la foga delirante e furibonda del vero espressionista, con i colori presi dal tubetto, così com’erano. Ma le sue distorte, ondeggianti piazze romane, gremite di grotteschi angeli svolazzanti, avevano nella loro irruente ingenuità tutta la forza creativa e visionaria di un uomo che sognava ad occhi aperti: cupole, colonne e puttane nel vortice di un giocoso dinamismo che molto fa pensare alla Roma di Scipione, o agli omini e alle case piegati dal vento di un Soutine meno livido, meno angoscioso. Ultimo pittore di strada? Ma anche ultimo erede di un far pittura ostinatamente ribelle alla “professionalità” concettuale, allo striminzito aforisma che pensa di essere elegante nel suo dir poco o nulla. No, Mario Martini tracimava, allagava di colore, nuvolette, uomini e angeli le sue tele ancor fresche, proposte al cliente occasionale con brevissima contrattazione. Molti hanno amato Martini, oltre me, e quando da qui a non molto si organizzerà la sua sacrosanta retrospettiva salteranno fuori, altre le cose dipinte per ragioni “alimentari”, quadri più intensi, forti, meditati, comprati un giorno per pochi soldi e domani, forse, da ammirare in un museo. Esagero? Ne riparleremo fra qualche annetto….

DIALOGO PER INTERPOSTI MARMI

Ormai è entrata nella storia la loquacità dei romani e allora come possono le statue essere mute a Roma? Anche le statue parlano, si esprimono con scritti e non con i vocalizzi.
La più famosa delle statue parlanti è quella dl Pasquino.
Un torso mutilo, appartenente a un gruppo marmoreo del III sec. a.C. che prese il nome di Pasquino, pare, da un sarto romano del XVI sec. famoso per «tagliare i panni addosso alla gente». La sua fama è dovuta al foglietti satirici, talora feroci, dette pasquinate, contro il potere papale e i signorotti dell’epoca. Notte tempo mani ignote affiggevano al torso o al piedistallo di una delle più famose «statue parlanti» i foglietti satirici.
Oltre a Pasquino altre sono le statue che a Roma venivano usate per collocarvi tavolette con scritti di satira politica.
Poco lontano da piazza Pasquino, piazza Vidoni, stretta tra il Palazzo Vidoni e la chiesa di S. Andrea della Valle e, nell’angolo dl sinistra non molto visibile, la statua di Abate Luigi: figura di antico oratore tardo romano con un epitaffio apposto sul piedistallo che ricorda la sua appartenenza alle «statue parlanti».
Anche il gruppo marmoreo del Bernini a piazza Navona, la fontana dei Fiumi, può essere annoverato tra le statue che non sanno tacere e per il pettegolezzo popolare che vuol dare ad ogni singolo gesto del gruppo un significato, tutto nato per una animosa rivalità tra il Borromini e il Bernini.
La statua che raffigura Rio della Plata, con un gesto della mano, si difende dalla possibile caduta di Sant’Agnese (la chiesa del Borromini); il Nilo, con il volto velato, evita di guardare la «bruttezza» che la chiesa rappresenta.
Vicino a piazza del Collegio Romano, in via Lata, la fontana del Facchino raffigura un giovane in costume cinquecentesco dell’Università degli Acqualoli, scolpita alla fine del 1500.
In piazza S. Marco, di fronte alla fontana della Pigna, nell’angolo del Palazzetto Venezia, il simulacro detto di Madama Lucreazia, resto di una grande statua dedicata alla divinità egizia, Iside, che forse, raffigura Faustina, moglie di Antonino, a cui fu dedicato un tempio nel Foro Romano.
Salendo la scalinata del Campidoglio si arriva al musei Capitolini dove dal 1594 ha trovato stabile dimora il Marforio, imponente scultura del I secolo dell’Impero che rappresenta una divinità fluviale, anche se alcuni la chiamano Oceano, e su questa giacente statua venivano attaccate le risposte alle satire di Pasquino.
Un dialogo per Interposti marmi.
Ultima, e poco conosciuta tra le «statue parlanti» è il Babuino dell’omonima fontana.
Qualche anno fa c’era un promettente e giovane disegnatore, tale Dino Manetta, che rispolverò, con successo, l’uso di Pasquino per la satira. Con mano furtiva, di notte, collocava sulla statua le sue mordaci vignette, ora i suoi disegni appaiono su alcuni quotidiani di Roma.

ITINERARI
Le statue parlanti
da Il manifesto di domenica 11/ lunedì 13 ottobre 1986

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Una casata

Cristoggesummaria, cc’antro accidente!
Sete una gran famijja de bbruttoni.
E nnun méttete in pena ch’io cojjoni,
perché pparleno tutti istessamente.

Dar grugno de tu’ padre a li meloni,
cuelli mosini, nun ce curre ggnente:
e ar vedé mmamma tua, strilla la ggente:
“Monaccallà, ssò ffatti li bbottoni?”.

Tu, senza naso, pari er Babbuino:
tu’ fratello è er ritratto de Marforio,
e cquell’antro è un po’ ppeggio de Pasquino.

Tu e Mmadama Lugrezzia, a sti prodiggi,
v’amanca de fà cchirico Grigorio,
pe mmette ar mucchio l’Abbate Luiggi.

G.G.Belli