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Campidoglio: ed ora cosa succede?

Il centro sinistra ha riconquistato il Campidoglio e ora deve assicurarsi che le promesse di Ignazio Marino non rimangano parole al vento, ma siano mantenute.

Il nuovo Sindaco sembra volersi differenziare dalla precedente amministrazione abolendo la consulenza esterna, motivando le risorse interne e rinvestendo i fondi risparmiati nella tutela del patrimonio, oltre a una nuova visione della mobilità, puntando anche sul rilancio del bike sharing romano, superando la silenziosa strage delle biciclette tra furti e danneggiamenti, per contribuire alla realizzazione, entro il 15 agosto, dell’antico sogno di Carlo Giulio Argan e Luigi Petroselli sino a Antonio Cederna nel fare dei Fori Imperiali una zona pedonale, mentre il centrodestra vuole coinvolge con un referendum la cittadinanza.

Il neo Sindaco, nel prendere in considerazione le capacità interne all’Amministrazione capitolina, è a buon punto con la sostituzione di Umberto Broccoli con Claudio Parise Presicce a Sovrintendente e Bartolomeo Pietromarchi con Giovanna Alberta Campitelli alla direzione del Macro, visto la poco entusiasmante riuscita che ha fatto le due consulenze esterne, serbando gli euro risparmiati magari per la conservazione del patrimonio.

Due nomine “in prova”, non definitive come tende a ricordare la dicitura “ad interim” che precede i loro nomi nell’organigramma, come una spada di Damocle che pende sulla loro testa.

Per le nomine degli assessori e un altro discorso, ma sempre impegnativo, specialmente se Ignazio Marino vuol concretizzare i suoi intenti di riscattare la cultura dal torpore, scegliendo per la Cultura e la Scuola delle persone con lo sguardo al futuro, di ampie vedute nella collaborazione tra servizi capitolini e le realtà che arricchiscono Roma.

Il Sindaco potrebbe essere un homo novus, senza padri e padroni, capace di scrollarsi compagnie ingombranti, dimostrando che un partito come quello Democratico è vincente nonostante le correnti e le fazioni che non gli permettono di esprimere una leadership unitaria, con tante personalità in una caleidoscopica molteplicità. Se non si può avere l’Unità è meglio presentarsi nell’ordine sparso della rappresentanza territoriale per non permettere che Liberare Roma resti solo uno slogan elettorale, ma si trasformi in un cambiamento che allontani il costoso pulviscolo di consulenti esterni, per impegnare i fondi risparmiati nella tutela e promozione dei beni comuni, interrompendo l’indiscriminato affidamento dei monumenti a gestioni svincolate dal controllo pubblico con la giustificazione della “messa a reddito” per mancanza di fondi per la manutenzione. Un recente esempio è il bando per l’affidamento della gestione a privati dell’area del Teatro di Marcello, che si addosseranno le spese di allestimento e manutenzione, in cambio trattenendo gli introiti degli utili provenienti dai biglietti e tutti servizi a pagamento. Un’area archeologica di passaggio gratuito, che collega il Ghetto con via del Teatro di Marcello, sarà dunque a pagamento. Il pubblico non è capace di fare altrettanto? Stessa sorte lo Stadio di Domiziano.

Il Campidoglio dovrà giungere a una tregua con le strutture statali sull’interminabile conflitto nelle competenze di sorveglianza e tutela delle testimonianze della storia di Roma. Se lo Stato non ha fondi e personale sufficiente per ciò che deve tutelare, per quale motivo vuole fagocitare anche il patrimonio di Roma Capitale o almeno quella parte più prestigiosa, quella facilmente “vendibile?

Le attività didattiche e di conservazione del patrimonio storico artistico devono invece essere svincolate dall’ingerenza del privato. Il privato gestisca i servizi di biglietteria e il merchandising.

L’utilizzo del patrimonio edilizio capitolino deve essere un esempio di lungimiranza. Penso al complesso di via dei Cerchi, originariamente sede dei Musei di Roma (come lo attesta l’iscrizione tutt’ora visibile) con la sua collocazione strategica, con alle sue spalle il Circo Massimo, tra il Palatino e l’Aventino, tra il Tevere e la Passeggiata archeologica, che si percorre con il Celio sulla sinistra e san Saba alla destra. Un corpo di fabbrica che conserva nei sotterranei un Mitreo, oltre ad essere attiguo alla basilica di santa Maria in Cosmedin, più famosa in realtà per la Bocca della Verità che per le sue tradizioni basiliane. Questo blocco omogeneo di edifici attualmente svuotato in gran parte da uffici amministrativi è un luogo strategico per riunificare il sapere degli archivi e delle biblioteche attualmente sparse in diversi luoghi della città spesso difficilmente accessibili. Potrebbe invece essere estremamente utile, per studiosi e curiosi della storia di Roma, riunire in un solo luogo tanto sapere invece di dover saltare da un luogo all’altro per completare una ricerca. Si tratta in sostanza di riunire i Fondi librari e gli Archivi sia cartacei che audiovisivi in un solo luogo, per una consultazione “multitasking”, attraverso gli archivi informatici e materiali digitali.

L’edificio di via dei Cerchi, in alternativa, potrebbe essere utilizzato per realizzare il Museo europeo del Gioco e del Giocattolo, tanto desiderato da Walter Veltroni e trasformare così una collezione celata in magazzino dopo una spesa di oltre 4milioni di euro, per metterla a reddito.

Ora Ignazio Marino si dimostri degno della fiducia di una parte dei romani e del soprannome “cavallo scosso” che Maria Teresa Meli ha coniato sul Corriere della Sera per definirlo vincente come un cavallo senza fantino durante il palio di Siena e non il marziano come l’ha definito Alemanno.

Di chi è questa città?

Sono salita nell’autobus, ho trovato un posto libero tra altri tre già occupati. Accanto a me è seduto un russo, poteva avere circa cinquant’anni, con lo sguardo severo e una brutta ancora tatuata sul collo. Guarda fuori dalla finestra; un giovane italiano è seduto di traverso e fa lo stesso, non si muove, ascolta la musica, sembra morto. Mi è di fronte un nero, anche giovane, è vestito con cura, ha l’espressione intelligente e amicale. All’ultimo minuto sale anche una coppia italiana, si ferma vicino alla porta, entrambi con piercing sul viso, con i vestiti troppo largi, pantaloni sciolti, le scarpe sporche. Lui maneggia una chiave e improvvisamente traccia dei graffi sulla porta di vetro. I graffi assomigliano a un codice graziato, illeggibile e brutto. Forse un segno per affermare il suo passaggio.

Dopo guarda la sua fidanzata e la bacia, pare che con la lingua vuole raggiungere il suo stomaco, o forse mangiare la ragazza intera. Io li guardo con disgusto, poi sposto lo sguardo al russo, sembra o finge di non aver notato niente. L’africano invece si gira intorno per vedere che cosa è successo, dopo i nostri occhi ci incontrano e ci guardiamo per un attimo. Non c’è nessuno che scuote la testa, come usavano fare le nostre nonne per esprimere la propria disapprovazione.

Ci guardiamo con tristezza e rammarico, con imbarazzo, senza dire una parola, eppure non siamo noi che ci dovremmo vergognare. Il ragazzo sta ancora succhiando la faccia della sua fidanzata, sembra stia celebrando un grande trionfo, come se avesse fatto un buon lavoro. Il russo sta sempre guardando fuori dal finestrino, l’africano invece si sta addormentando. Anch’io alla fine sono stancata di osservare la coppia. Per il resto del percorso ho continuato a domandarmi se devo dire qualcosa a lui, a quel giovanotto con la lunghissima lingua e orecchie sproporzionate, convinto di sembrare il Re Leone.

Scendo alla mia fermata e continuo a pensare che avrei dovuto dire qualcosa. Che uno di noi indiani, russi, negri, polacchi poteva dirgli che non doveva danneggiare la mia città.

Libreria Feltrinelli

Da Feltrinelli all’Argentina mi trovo bene: i senegalesi alla vendita sono gentilissimi e alle informazioni c’è un imponente nero, solennemente vestito in jalaba colorata. “Nanga def” – gli faccio sbagliando accento, lui sorride. Cerco un libro di fiabe africane per i miei nipotini e ne trovo almeno cinque, non so quale scegliere. “Amul problem” mi fa, porgendomi un libro di racconti del Mali; lo compro. All’uscita, sull’ampio marciapiede non c’è scampo: ragazzi bianchi laureati cercano di rifilarmi Coelho, Garcia Marquez e il secondo romanzo di Melissa P. – Gentili ma sistematici…alla fine, invece di un libro ne compro tre. Come al solito.

Fontana dell’Acqua Acetosa

Tra lungotevere e via dei campi sportivi, di fronte alla ferrovia Roma-Viterbo, isolata dal frenetico traffico dei giorni feriali, si trova un’interessante esempio di fontana barocca: quella dell’Acqua Acetosa da cui il nome del luogo che si estende tra i Monti dei Parioli e il Tevere e che, appunto, viene chiamata “Acetosa”, per via del sapore acidulo che ricorda la pianta usata prevalentemente contro lo scorbuto. Una sorgente, quella dell’Acqua Acetosa, a cui i romani hanno da sempre attribuito delle qualità curative, bevendo volentieri la sua acqua magari per allungare il vino dei Castelli nelle osterie vicine alla fonte, perché la trovavano gustosa, leggera, fresca e frizzantina. La fonte è ormai caduta nell’oblio dell’incuria, dopo un lungo periodo d’inattività. Sono lontani i giorni degli appelli musicali degli acquacetosari, modulati sul ritmo di una lunga e strascicata nenia, che terminava con una corona più o meno tenuta, a seconda dei mezzi vocali del cantore: “Fresca… fresca… l’acquaaa acetoooooosa!”. L’odierna fontana, come rilevato dal medico romano Giovanni Maria Lancisi (1654-1720), venne preceduta da quella voluta da Paolo V (1605-1621) e consisteva in una parete sobriamente ornata: il “rude aedificium”. Demolita la fonte di Paolo V, è Alessandro VII Chigi a volere una nuova sistemazione dell’area che, nel 1662, viene realizzata da Andrea Sacchi e da Marcantonio de Rossi, su disegno di Gian Lorenzo Bernini.

Tra le due fontane, come ricorda nei suoi scritti il Lancisi, si inserisce la sistemazione di Innocenzo X (1644-1655).

Il monumento rispecchia l’idea di un ninfeo con tre fontanelle dalle quali sgorga timidamente l’acqua; è costituito da un’esedra tripartita sormontata da un timpano concavo e realizzato in una piccola depressione alla quale si accede tramite una scalinata.

Una serie di iscrizioni conservano la memoria del luogo; a sinistra, attraverso l’elogio poetico che decanta le ben note virtù medicamentose dell’acqua, viene riportato il nome di Paolo V con la datazione del 1613, mentre nel fornice destro della mostra berniniana, dirimpetto alla iscrizione di Paolo V, si osservano le tracce dell’incavatura destinata ad accogliere il medaglione oggi scomparso. Un’altra lapide, inserita nel riquadro sopra la nicchia centrale, menziona il risanamento compiuto da Clemente XI nel 1712. Grazie al nuovo assetto fu possibile attingere l’acqua con ogni agio e comodità, un’operazione che era resa difficile dal fango che circondava la conca naturale e rendeva il luogo impraticabile.

Ora la fontana, dopo un periodo d’abbandono, vive una seconda giovinezza con la sistemazione dell’area in Parco della Fontana dell’Acqua Acetosa. Restaurata e con una dovuta bonifica idraulica, a causa dell’inquinamento riscontrato negli anni ’50, ma non versa più Acqua Acetosa, bensì normale acqua potabile.

Roma Fontana  Acqua Acetosa Anonimo Bambocciante Romano, Veduta inedita della fonte dell'Acqua Acetosa prima che Andrea Sacchi vi costruisse il ninfeo, prima metà del XVAII secolo webRoma Fontana  Acqua Acetosa Incisione del Falda del 1667, Fontana dell'Acqua Acetosa webRoma Fontana Acqua Acetosa oggi

La grande Schifezza

Mi sia perdonata la parafrasi del film di Sorrentino, ma da romano sono convinto che come esiste Cosmos, il dio della Bellezza, a Roma dimori anche il suo gemello perverso e infero. Scendete dal Campidoglio di Michelangelo e andate a piedi verso il Colosseo: i turisti in mutande e ciavatte sono forse migliori dei saltimbanchi in fila lungo via dei Fori Imperiali? E quando scoprite che un mimo imbiancato in realtà è un nero e che i falsi santoni arancioni sul palo – emuli di Simeone stilita – sono dislocati a distanze precise uno dall’altro, davvero non esiste un’organizzazione centralizzata che smista, veste e autorizza secondo regole ferree i vari artisti come nell’Opera da tre soldi di Bertolt Brecht? Peccato che abbiano allontanato il mimo che imitava perfettamente papa Wojtila: sicuramente lo rappresentava meglio del monumento che campeggia nel piazzale della stazione Termini. Il nostro film continua davanti al Colosseo, con centurioni e turisti vari, ma è una scena facile. Prendiamo invece la metro B per scoprire che, a differenza delle altre stazioni, quella del Colosseo è un solo un modesto esempio di edilizia. Altra scoperta sorprendente: pur essendo la più trafficata di turisti, è la meno presidiata in assoluto. Saremo arrivati almeno alla terza generazione di borseggio minorile, ormai ci riconosciamo e ci salutiamo pure. Ormai te li tieni come ti tieni i mendicanti professionisti che presidiano stabilmente le chiese come ai tempi della Controriforma, o come gli storpi d’epoca, importati dai Carpazi, che popolano Fontana di Trevi. Sarò anche cinico, ma è facile vedere la facile teatralità di certi gesti, di certe vestizioni, di atteggiamenti ripetuti con poche varianti. Nel periodo della globalizzazione tutto è omologato, come i negozi dei cinesi a piazza Vittorio, come il gelato artigianale (?), come la serie dei negozi senza porta che vendono i souvenir a un euro e sembrano realmente un solo negozio con quaranta ingressi. Parlo di Fontana di Trevi, del Pantheon. In realtà la rogna si espande e si attacca dappertutto: negozi del genere si vedono ora anche dietro al Tritone, lungo il corso Vittorio, verso Campo di Fiori, ormai un mercato-farsa per turisti e un luna park per alcolisti la notte. E cresce il vouyerismo: se il turista low-cost ora fotografa le cartoline con la digitale per non spendere 10 centesimi di euro, ieri ne ho còlto uno mentre fotografava i gelati. Forse non era normale fotografare le ragazze scollate, ma di questi cosa dire? I turisti giapponesi spesso fotografavano mio padre antiquario nel suo negozio, ma almeno quello era colore locale, un prodotto caratteristico. Qui invece stiamo al livellamento, penso allo scrittore Ian Fleming che in 007 ti descrive per tre pagine un banalissimo pacchetto di sigarette Malboro. Penso anche al genio di Andy Warhol, analista della ripetitività iconica industriale. In fondo avevamo i profeti, ma non li abbiamo saputi ascoltare. Nello stesso momento – siamo in campagna elettorale – un candidato sindaco promette la chiusura dell’anello ferroviario e l’eliminazione di tutte le buche. E tante, tante piste ciclabili.