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Un restauro a San Pancrazio

roma-chiesa-san-pancrazio-pancrazio-sitoLa chiesa di San Pancrazio si trova appena fuori della cinta delle mura gianicolensi, oltre l’omonima porta; di origine antichissima fu fatta costruire all’inizio del VII secolo d.C. da Papa Simmaco e dedicata a San Pancrazio, giovinetto cristiano morto martire nel 304 durante la persecuzione di Diocleziano. Sotto la chiesa si trovano delle catacombe, piuttosto povere, dove era sepolto il martire il cui cranio è ora conservato in chiesa, nella navata destra, in una teca nel muro.

La chiesa ha avuto nei secoli numerose vicende ricostruttive ma gran parte dell’aspetto attuale risale al restauro dei primi del ‘600 per opera del Cardinal de Torres il cui stemma appare più volte. Al ‘900 risale invece la ridipintura del catino absidale e della cappella in fondo alla navata destra.

Lungo le pareti delle navate laterali, sorrette da massicci pilastri sovrastati da festoni di puttini, si dispongono numerosi bassorilievi in stucco con episodi di vita di santi; il soffitto è in legno intagliato risalente al 1609. Il presbiterio è sorretto da colonne romane di spoglio e nella parte superiore si trovano affreschi rappresentanti santi come fossero statue inquadrate da finte architetture; risalgono ai primi del ‘600 e sono variamente attribuiti al Cavalier d’Arpino o ad Antonio Tempesta. Va notato che la chiesa fu coinvolta nei combattimenti sul Gianicolo all’epoca della Repubblica Romana e l’edificio e l’adiacente convento furono gravemente danneggiati e l’archivio andò perduto.

Nel 1662 il complesso fu affidato ai Carmelitani Scalzi che tuttora reggono la parrocchia. I frati sono devoti a Santa Teresa d’Avila, appartenente al loro Ordine, mistica spagnola vissuta tra il 1515 e il 1582, autrice di molti scritti devozionali, beatificata nei primi anni del XVII secolo; a lei era dedicata la cappella in fondo alla navata di sinistra decorata con un quadro celebrativo dipinto dal frate Luca de Nivelle distrutto da soldati francesi nel 1798. Fu sostituito con un’opera di analogo soggetto del pittore neoclassico Tommaso Conca.

In un anno imprecisato tra il 1838 e il 1848 i Carmelitani di Santa Maria della Scala, in Trastevere, donarono ai loro confratelli di San Pancrazio un quadro di Jacopo Palma il Giovane del 1615, come risulta da data e firma dell’autore; era stato nella originaria sede per oltre due secoli poi, forse per un cambio di allestimento, risultò in eccesso e fu donato. A San Pancrazio stette poco nella cappella della Santa, fu gravemente danneggiato nel 1849, arrotolato e conservato nel convento; nel 1928 fu recuperato e restaurato da Alessandro Frattini che praticamente lo ridipinse e tornò nella cappella di Santa Teresa. L’autore era stato il pittore tardo manierista Jacopo Negretti più noto come Palma il Giovane per distinguerlo da un prozio omonimo conosciuto come il Vecchio.

Rappresenta la Santa con un angelo che le trafigge il cuore con una lancia in un contorno di angioletti svolazzanti mentre un Cristo avvolto in un manto azzurro contempla dall’alto la scena; è il soggetto ripreso anni dopo, in scultura, dal Bernini, in Santa Maria della Vittoria, con un tono carnalmente sensuale mentre il Palma infonde al dipinto un aspetto dolce, tranquillo, composto.

Il Negretti, pittore famoso ai suoi tempi, fu allievo prediletto di Tiziano e non risulta sia mai stato a Roma. quindi l’opera fu dipinta a Venezia e poi inviata a Santa Maria della Scala.

Dopo il restauro del 1928 il quadro mostrava segni di degrado per cui due associazioni, Verderame Progetto Cultura e LoveItaly, hanno deciso di provvedere alla sua risistemazione promovendo una raccolta di fondi tra i parrocchiani e vari sponsor e donatori, mancano ancora 10.000 Euro che le due associazioni sperano di raccogliere tra mecenati pubblici e privati.

Per il momento il restauro ha fatto sparire le ridipinture novecentesche facendo riapparire il dipinto originale in pessime condizioni ma le restauratrici contano di poter riportare il quadro a buone condizioni di visibilità.

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San Pancrazio fuori le Mura
piazza San Pancrazio, 5/D
Roma

tel. 06/5810458

 

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Qualcosa di più:

Continuano le sofferenze delle chiese “dimenticate”

Una chiesa dimenticata

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Dove, forse, fu martirizzato San Pietro

chiese-san-pietro-in-montorio-img_20161114_162452 Secondo la tradizione l’Apostolo fu crocifisso nell’Ager Vaticanus, praticamente dove ora sta la Basilica, ma una leggenda secondaria lo da invece ucciso in una parte del Gianicolo in seguito definita Mons Aureus da cui prende il nome la chiesa di San Pietro in Montorio.

L’edificio inizia ad apparire nelle fonti intorno al X secolo e poi è più volte citato nei passaggi di proprietà da un ordine religioso all’altro; nel 1472 Papa Sisto IV lo concesse alla Congregazione Francescana del Beato Amedeo da Silva che fece demolire la chiesa iniziando la costruzione di una nuova attraverso l’opera di Baccio Pontelli. o più verosimilmente di Meo del Caprino, e con il finanziamento di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, coniugi e Reali di Spagna, che assunsero il patronato del complesso monastico. Durante il pontificato di Papa Alessandro VI, nel 1500, la chiesa fu consacrata ma i lavori continuarono per un intero secolo.

L’edificio sacro subì danni durante l’occupazione francese di Roma in età napoleonica e successivamente nei combattimenti del 1849 tra le truppe francesi del Generale Oudinot e le forze della Repubblica Romana guidate da Garibaldi.

Nel 1876 il governo italiano concesse chiesa e monastero al Regno di Spagna che vi collocò la Reale Accademia di Spagna, la residenza dell’ambasciatore e il Liceo Cervantes, istituzioni tuttora operanti.

La facciata della chiesa, di fine ‘400, in bianco travertino è visibile da molte zone della città; è divisa in due parti, con in alto un rosone, e scompartita nella parte inferiore da quattro paraste, sul portale campeggia lo stemma marmoreo dei Re di Spagna.

L’interno è a navata unica con cinque cappelle, di varie dimensioni, per lato. La prima a destra è decorata da un affresco ad olio su muro rappresentante la “Flagellazione” opera notissima di Sebastiano del Piombo, nella cappella successiva campeggia un affresco, trasportato dall’esterno, con l’effigie della “Madonna della Lettera” attribuito a Nicolò Circignani detto il Pomarancio.

La terza contiene dipinti del ‘700 mentre sull’altare della quinta il Vasari dipinse la “Conversione di San Paolo”; nel transetto grande cappella con le tombe del padre e dello zio di Papa Giulio III del Monte con statue scolpite da Bartolomeo Ammannati.

Sull’altar maggiore campeggiava fino ai primi anni dell’800 la grande pala della “Trasfigurazione” di Raffaello; fu fatta asportare da Napoleone, riportata a Roma nel 1816, dirottata nella Pinacoteca Vaticana e sostituita da una copia dipinta dal Camuccini del quadro di Guido Reni la “Crocifissione di San Pietro”. Sul retro dell’altare era stata posta la tomba di Beatrice Cenci che fu purtroppo distrutta dai soldati francesi nel 1798.

Notevole nella terza cappella di sinistra il dipinto di Antoniazzo Romano “S. Anna, la Madonna e il Bambino” mentre la seconda è opera, della metà del ‘600, del Bernini a cura e spese della famiglia Raymondi.

La prima a sinistra è stata dipinta a fine ‘500 da Giovanni De Vecchi. A fianco della chiesa il chiostro del convento che presenta su di un lato delle lunette affrescate.

Al centro il bellissimo ed armonioso tempietto rotondo del Bramante, chiese-san-pietro-in-montorio-img_20161114_162646è a pianta circolare contornato da dodici colonne doriche ed è sovrastato da una cupola a costoloni: l’interno è diviso in due parti, nella superiore una statua cinquecentesca di S. Pietro, nell’inferiore episodi della vita del Santo in stucco ed un foro che la devozione ritiene trattarsi del luogo dove fu infissa la croce dell’Apostolo.

Nell’interno dell’antico convento un altro chiostro con lunette affrescate con episodi della vita di S. Francesco. Nella piazza antistante la chiesa sorge una colonna sovrastata da una croce eretta a metà ‘600. Una strada a gradoni collega la piazza alla sottostante via Garibaldi, è decorata da una Via Crucis in terracotta policroma istallata nel 1957 in sostituzione di una precedente deteriorata.

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chiese-san-pietro-in-montorio-img_20161114_162602Chiesa di San Pietro in Montorio
piazza di San Pietro in Montorio, 2 (Gianicolo)
Roma

Informazioni:
tel. 06/5813940
Sito web

Orario:
tutti i giorni ore 8.00-12.00 / 15.00-16.00

Messe:
Festivi ore 8.00 e ore 12.00
Durante la celebrazione della Santa Messa non è possibile visitare la chiesa

Per visite guidate di gruppo è obbligatorio un preventivo appuntamento telefonico

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Due piccole chiese molto simili

chiese-ss-callisto-e-egidio-img_20161101_073055Grosso modo a destra e a sinistra della basilica di Santa Maria in Trastevere si trovano due chiese abbastanza simili per aspetto e per buona parte della loro storia: San Callisto e Sant’Egidio. La prima si trova nell’omonima piazza e sorge sul luogo dove per tradizione si ritiene sia stato martirizzato San Callisto Papa, ucciso e gettato in un pozzo durante tumulti anticristiani intorno al 220 d.C.. Si ha notizia di un originario oratorio edificato durante il pontificato di Papa Gregorio III nell’VIII secolo e più volte restaurato nel corso del medioevo.

Nel 1610 per opera dell’architetto Orazio Torriani la chiesa fu completamente ricostruita e decorata sulla facciata con lo stemma di Paolo V papa regnante all’epoca, a fianco, nel Palazzo San Callisto, fu sistemato un monastero Benedettino. L’aspetto esterno è di tipo tardo cinquecentesco suddiviso in due ordini, l’inferiore è spartito da quattro paraste con al centro il portale sovrastato da un timpano.

L’interno è ad una navata con una cappella per lato: nella cappella di destra è posto un dipinto rappresentante “ San Mauro Abate” ,opera di Pier Leone Ghezzi, affiancato da due angeli ritenuti opera di Bernini e della sua bottega, in quella di sinistra il “Martirio di San Callisto” dei primi decenni del ‘600, sull’altar maggiore “San Callisto ed altri Santi adorano la Vergine” di Avanzino Nucci anch’esso dei primi del XVII secolo.

Accanto il pozzo dove fu gettato il santo. Dopo il 1870 il monastero fu confiscato ed adibito a caserma; restituito alla Santa Sede fu in parte demolito insieme ad alcune case private, fra cui quella in cui nacque Alberto Sordi; al suo posto, durante il pontificato di Papa Pio XI, fu costruito nel 1936 un imponente palazzo, nello stile dell’epoca, destinato ad accogliere uffici vaticani e godente di extraterritorialità.

La chiesa è abitualmente chiusa ma fino ad alcuni anni fa era stata affidata alla comunità copta cattolica egiziana che si è poi trasferita. Per eventuali visite ci si può rivolgere al Vicariato.

chiese-ss-callisto-e-egidio-img_20161101_072411L’altra chiesa, Sant’Egidio, si trova nell’omonima piazza ed ha anch’essa una storia molto antica; in un documento di Callisto II del 1123 risultano nella zona due chiesette citate come S. Lorenzo de Curtibus e S. Biagio de Janiculo, in seguito è nota la chiesa dei Santi Crispino e Crispiniano di proprietà della Confraternita dei Calzolai.

Nel 1610 il ricco macellaio trasteverino Agostino Lancellotti fece riedificare la chiesa dandole la nuova dedicazione a Sant’Egidio, contemporaneamente, su intercessione di una principessa Colonna, Papa Paolo V Borghese autorizzò la costruzione vicino alla chiesa di un monastero che fu affidato alle Carmelitane Scalze. Nel 1630 con l’autorizzazione di Papa Urbano VIII Barberini fu completato il monastero e ricostruita la chiesa dedicata a Sant’Egidio e alla Madonna del Carmine.

Dopo il 1870 chiesa e monastero furono confiscati ed affidati al Fondo Edifici del Culto; le monache, molto ridotte nel numero, hanno abbandonato la loro antica sede che in parte è stato destinata dal Comune di Roma ad ospitare il Museo di Roma in Trastevere che contiene numerosi reperti di vario genere illustranti la vita e la società della Roma del 7/800. Nella rimanente parte dell’edificio dal 1973 ha sede la Comunità di Sant’Egidio, meritoria associazione cattolica che si occupa del dialogo interreligioso e dell’assistenza a tutte quelle persone che le vicende della vita hanno relegato ai margini della società: poveri, disabili, migranti, senzatetto.

La facciata della chiesa è ad un solo ordine, scompartita da paraste giganti che terminano in un frontone aggettante; l’interno a navata unica con volta a botte ha una cappella per lato. In quella di sinistra, sull’altare, una tela di Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio, del 1610, rappresentante “Sant’Egidio abate”. Sull’altar maggiore e nel presbiterio varie icone di tipo bizantino sistemate dalla Comunità per esaltare il rapporto con le altre chiese cristiane; sull’altar maggiore l’Icona del Volto di Cristo o Mandylion, tavola dipinta di origine Russa del ‘600 riproducente un panno che avrebbe avuto impresso il volto di Cristo, nel presbiterio l’Icona della Pentecoste, moderna, e l’Icona della Madonna di Kiev del XVII secolo. Su una parete un Cristo ligneo senza braccia detto “ il Cristo dell’Impotenza”. Ai lati della porta d’ingresso due bei sepolcri seicenteschi. La chiesa è visitabile il sabato dalle 10 alle 12.

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Roma

San Calisto
Piazza di San Calisto, 16
Tel. 06/69886466 (Vicariato)-06/5895945

Sant’Egidio
Piazza di Sant’Egidio
Tel. 06/5895945

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Il magico e il sacro a Trastevere ricordando la peste

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Da Treviso ad Atene: riconnettere i fili di un’opposizione politica e sociale in Italia e in Europa

Accennerò appena agli assalti ai rifugiati di Quinto di Treviso e di Casale San Nicola. Essi sono degli episodi (non i primi e probabilmente non gli ultimi) che meritano di essere considerati non solo per le conseguenze materiali prodotte (in primis su quei poveri uomini «trattati come cani, picchiati e insultati» ), ma soprattutto per quel che rappresentano nella attuale narrazione della politica italiana (ed europea). Attraverso il Jobs Act e la “Buona Scuola” il governo Renzi ha completato l’obiettivo perseguito da Mario Monti con la riforma Fornero e la legge sul pareggio di bilancio in Costituzione, ovvero quello di “distruggere la domanda interna”, come lo stesso Monti aveva dichiarato nella sua intervista alla CNN del 2013 . Durante la crisi, le istituzioni e i poteri dello Stato italiano hanno definitivamente dismesso quelle poche lacere vesti di enti “super partes” del conflitto sociale e si sono completamente trasformati in strumenti “privati”, immediati e arbitrari della classe sociale dominante che ha gestito la crisi e dei novelli “despoti” (ieri Berlusconi, oggi Renzi, domani Salvini?); sulle ceneri dello Stato liberale novecentesco si erge la contemporanea democrazia totalitaria, basata su governi “carismatici” e modelli politici leaderistici in cui, va riconosciuto, buona parte della società si riconosce. Una classe politica corrotta e dequalificata, aveva già denunciato Michele Ciliberto qualche anno fa , gestisce un nuovo autoritarismo di massa imperniato sull’esercizio del consenso, attraverso gli immaginari diffusi e conculcati dai media mainstream. Come hanno invece recentemente ricordato Judith Revel e Sandro Mezzadra durante il Festival Internazionale dei Beni Comuni a Chieri, la linea di demarcazione fra “pubblico” e “privato” è diventata impercettibile, a scapito della solidarietà e del concetto di “comune”. In questo contesto che ho sommariamente ricostruito, i partiti del populismo xenofobo e nazionalista (Lega Nord, Fratelli d’Italia, in parte Movimento 5 Stelle, coi loro addentellati come Casa Pound e Forza Nuova) si sono abituati a muoversi perfettamente su un terreno in cui le politiche autoritarie della “terza repubblica” e la crescita dell’individualismo e dell’egoismo sociale stanno creando (sicuramente con importanti, ma rare eccezioni) seri problemi di isolamento sociale alle idee e alle forze che si basano sull’azione collettiva, sul conflitto sociale, sulla solidarietà di classe. Nelle vuote navate di una cattedrale costituzionale ormai svuotata (basti pensare alle attualissime riforme istituzionali), si ingrossa e si moltiplica quindi la voce dei razzisti e dei “fascisti del terzo millennio”. L’aumento costante delle pressioni sociali accelerato anche dalle contraddizioni aperte dal processo di unificazione europea (il cui vero volto di operazione di strozzinaggio internazionale i fatti di Grecia hanno oggi mostrato), danno oggi rinnovato spazio a queste forze, che solo pochi anni fa erano ridotte a relazionarsi con i vari governi, come coloro che, magistralmente rappresentati da Ken Kalfus nel suo romanzo “Il compagno Astapov”, aspettavano la morte di Tolstoj per riuscire ad accaparrarsi qualche briciola del suo testamento.
Gli episodi di Treviso e di Roma Nord, come altri che l’avevano preceduto (assalto al centro rifugiati di Tor Sapienza a Roma nel novembre 2014; caccia all’uomo a Corcolle, sempre Roma, nel settembre 2014), sono sì il prodotto dello sfaldamento sociale e identitario (in termini di appartenenza di classe) del mondo del lavoro autoctono, nel quale però le bande neofasciste e xenofobe spadroneggiano, grazie alle “larghe intese” delle forze filo-austerità e all’inanità delle residue e sempre più assottigliate forze della cosiddetta “sinistra radicale”, e col sostegno ponziopilatesco dei dirigenti del M5S, come testimonia l’intervista a Di Battista del 18 luglio .
Non nutro alcuna fiducia, tanto per sgombrare il campo da possibili fraintendimenti, in eventuali provvedimenti del Governo, che anzi ha dimostrato, in epoca recente, dall’aggressione agli attivisti del Centro Sociale Dordoni di Cremona alle medaglie d’oro assegnate “per errore” agli ufficiali repubblichini, la sua continuità coi governi precedenti in tema di rimozione della memoria della Resistenza e di sostanziale impunità del neofascismo.
Il mero antifascismo e antirazzismo, sebbene condizione necessaria, è però, per quanto scritto all’inizio, non sufficiente. Esso non ci mette al riparo dalle drammatiche conseguenze della macelleria sociale operata nei confronti di un mondo del lavoro ormai profondamente diverso e molto più sfaccettato e (attualmente) debole di quello novecentesco. Distruzione della domanda interna fa rima con austerità, alla quale dobbiamo saper rispondere con nuove rivendicazioni e con un nuovo modello di welfare riappropriandoci, come ha detto Toni Negri sempre nel festival di Chieri, del “comune” (inteso come sostantivo e non come aggettivo) che ci appartiene. Per fare ciò, però, dobbiamo avere chiaro che lottare contro il “nostro” Governo non sarà sufficiente e che oggi ci troviamo di fronte un soggetto – l’Unione Europea e le sue strutture, dall’Eurogruppo alla Commissione, dal Consiglio d’Europa alla BCE – che costituisce il sistema europeo dell’austerità. D’altronde, per tornare al tema iniziale, è lo stesso sistema che blinda i suoi confini e i suoi mari (dal Mediterraneo alle Alpi, dalla Manica ai Carpazi), col terrificante e vergognoso corollario di morti migranti, di pogrom razzisti, di populismo xenofobo che, come è sotto gli occhi di tutti, non riguarda solo l’Italia.
Lotta contro xenofobia, razzismo e neofascismo e lotta contro l’austerità sono quindi aspetti inscindibili, e la dimensione nazionale, sebbene immediata e inevitabile, rischia di essere depotenziante se non si inscrive nel contesto più ampio di un movimento di opposizione politica e sociale a livello europeo, se non anche mediterraneo. Di questo compito urgente non possiamo illuderci si facciano carico le continue riorganizzazioni dei settori della sinistra istituzionale eredi della tradizione del PCI (ex PD, SEL, PRC, ecc.), che, sebbene impegnati in un eterno rimescolamento delle (poche) carte che ormai hanno a disposizione non hanno alcuna intenzione di uscire dalla logica politica che vuole ricercare a tutti i costi una compatibilità fra i nuovi assetti imposti dall’austerità e dalla democrazia totalitaria e le prospettive di liberazione sociale per quel “nuovo proletariato” precario (autoctono, meticcio o immigrato che sia) che proprio dell’austerità è la prima vittima.
In ballo c’è molto e le prospettive sono francamente fosche al momento: la guerra civile in Ucraina, la destabilizzazione in tinta islamista dei Paesi del lato sud del Mediterraneo (Libia, Tunisia, Egitto), ed infine il terribile diktat imposto dall’Eurogruppo a guida germanica alla Grecia di un (alla fine) pavido Tsipras sono inquietanti avvisaglie di un processo politico in cui, nel nome della stabilità e della crescita finanziaria, si destabilizzano non solo società e popolazioni ritenute subalterne ed “inferiori”, ma si fomenta un nuovo nazionalismo che oggi assume i contorni delle contraddizioni franco-italiane a Ventimiglia o britannico-europee sull’immigrazione, oppure della follia ungherese del muro contro l’immigrazione serba, ma che, in un ipotetico quanto probabile peggioramento delle generali condizioni economiche e sociali nel continente europeo – dovute sempre a quella “distruzione della domanda interna” che sembra diventata la nuova religione del mercato – potrebbero non tardare a far deflagrare conflitti molto ben peggiori di quelle attuali.
Ecco, oggi in Italia ci si trova ad una svolta molto grave della nostra vita sociale, politica e culturale, senza avere gli strumenti necessari per capire cosa fare e come farlo. Gli avvenimenti ucraini, greci, nordafricani, ecc. sono rimasti conoscenza solo di pochi “addetti ai lavori” o militanti generosi, come testimonia la insufficiente partecipazione di massa alle manifestazioni o attività di sensibilizzazione che in questi mesi sono state organizzate.
Come ha giustamente scritto la redazione di Effimera qualche giorno fa, l’Europa è in guerra . Non solo una guerra economica “civile” dichiarata dalle élites finanziarie agli abitanti dell’UE, ma anche una guerra “di civiltà” dichiarata di fatto ai Paesi nordafricani e mediorientali, e una guerra di espansione dichiarata a Est contro la Russia attraverso la guerra civile in Ucraina. Una guerra che però si sta già ritorcendo contro la stessa fortezza Europa (come dimostrano i sanguinosi fatti di Parigi) e che potrebbe in breve, medio periodo deflagrare nel cuore stesso dell’UE, qualora la questione greca (come io credo) non dovesse risolversi per il “meglio”.
Conclusione? È sicuramente necessaria quella razionalità e quella profondità di comprensione degli avvenimenti che eviti di farci scivolare dentro una nazionalistica “opposizione anti-tedesca” (pur essendo la Germania la prima protagonista della macelleria sociale europea). Al tempo stesso è però necessario rimettere in moto intelligenza, passione e generosità per riconnettere i fili di un’opposizione politica e sociale all’austerity (e alle recrudescenze razziste e fasciste che ne sono uno dei prodotti) non solo sul piano nazionale, ma quanto meno europeo. Avendo, infine, presente che di fronte ci troviamo (e ci troveremo) un potere oligarchico continentale (e le sue propaggini nazionali) oramai divenuto una perversa commistione di potere pubblico e privato che ha di fatto svuotato, come aveva già denunciato qualche anno fa Colin Crouch, le già traballanti democrazie tradizionali attraverso una prassi politica autoritaria.

Italia Da Treviso ad Atene un'opposizione politica e sociale in Italia e in Europa Grecia a nuova resistenza oxi_3364182b Italia Da Treviso ad Atene un'opposizione politica e sociale in Italia e in Europa

 

Quirinale: Nuovi itinerari

Poco dopo la sua elezione il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella annunciò che si sarebbe adoperato per fare in modo che il Palazzo del Quirinale fosse aperto alle visite anche durante i giorni feriali e che la parte visitabile sarebbe stata molto ampliata; la promessa è stata mantenuta.
Dal 23 giugno si può accedere al Quirinale con visite guidate, in gruppi di trenta persone, nei giorni di martedì, mercoledì, venerdì, sabato e domenica dalle 9,30 alle 16,00 esclusi il periodo delle feste natalizie, il 2 giugno ed il mese di agosto. Impegni istituzionali che interessino il palazzo possono far sospendere le visite che verranno riprogrammate; la prenotazione dovrà avvenire con un anticipo di almeno cinque giorni o on line o tramite call center 06.39967557 oppure all’INFOPOINT sito in Palazzo Sant’Andrea, via del Quirinale 30, aperto nei giorni di visita dalle 9,00 alle 19,00. La visita può articolarsi su due percorsi; il primo, della durata di 1 h e 20,’ interessa il Piano Nobile e il Piano Terra, il secondo, della durata di 2 h e 30,’ anche i Giardini, la Vasella, le Carrozze. Il primo itinerario è gratuito con pagamento di 1 euro e 50 cent. di diritto di prenotazione, il secondo ha il costo di euro 10 ridotto a 5 per i visitatori tra i 18 e i 25 anni e per quelli sopra i 65.
Il pagamento, contestuale alla prenotazione, deve essere effettuato con carta di credito per prenotazione on line, con carta o bonifico bancario per prenotazione tramite call center, con carta, bancomat o contanti all’INFOPOINT.
La visita è guidata da personale volontario ben preparato ad illustrare quanto si vede nel percorso. Parte di questo era già aperto da anni per le visite domenicali ma ad esso si aggiungono numerosi altri locali precedentemente, in parte, occupati da uffici trasferiti in altre zone.
Al Piano Nobile si possono percorrere la Sala della Musica, le Sale Neoclassiche, la Sala del Bronzino, la Biblioteca del Piffetti, splendido capolavoro di ebanisteria proveniente da un castello sabaudo, la Sala degli Arazzi di Lilla, settecenteschi, la Sala degli Scrigni con stipi in legno di varie epoche e in vari stili. Si rientra nel precedente percorso e si traversa la galleria che Alessandro VII fece ideare e dipingere da Pietro da Cortona e che fu divisa in tre grandi sale in epoca napoleonica per adattarla ad una possibile, e mai avvenuta, visita dell’imperatore; recenti restauri hanno riportato alla luce il primitivo allestimento pittorico che prevedeva un grande colonnato lungo le pareti che desse l’impressione di un percorso entro un giardino porticato. Si scende al piano terra che in alcune sale ospita mostre sulla storia del Quirinale e su chi lo abitò: Papi, Re e Presidenti della Repubblica con esposizione di molti cimeli tra cui la Costituzione e lo Statuto Albertino. Fruendo del secondo itinerario si passa a visitare la “Vasella” cioè il complesso storico dei servizi da tavola, si tratta di 38.000 pezzi, comprese le argenterie, per lo più porcellane Ginori, Sevres e Meissen provenienti da residenze sabaude e dalle regge dei sovrani degli stati preunitari. Si traversano i giardini allietati da belle fontane passando davanti alla Coffe House fatta costruire da Benedetto XIV purtroppo non visitabile per piccolezza e delicatezza della struttura e si giunge alle scuderie erette all’epoca di Vittorio Emanuele II.
Contengono carrozze utilizzate dai Savoia dai primi dell’800; spiccano alcune particolarmente imponenti e dalle ricchissime decorazioni come l’Egiziana e la Telemaco. In altri locali carrozze appena più modeste e moderne insieme a finimenti e ad uniformi di cocchieri e palafrenieri. I due itinerari, soprattutto il secondo, costituiscono un lungo e affascinante viaggio attraverso secoli di storia e di arte.

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INFOPOINT
Palazzo Sant’Andrea
via del Quirinale 30
aperto nei giorni di visita
dalle 9,00 alle 19,00

La visita può articolarsi su due percorsi:
Primo itinerario – Piano Nobile e il Piano Terra – della durata di 1 h e 20
Secondo itinerario – anche i Giardini, la Vasella, le Carrozze – della durata di 2 h e 30′

Il primo itinerario è gratuito con pagamento di 1 euro e 50 cent. di diritto di prenotazione, il secondo ha il costo di euro 10 ridotto a 5 per i visitatori tra i 18 e i 25 anni e per quelli sopra i 65

Informazioni e prenotazioni:
call center 06.39967557
Sito prenotazioni

Sito web

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