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Incontri d’Archeologia

Da gennaio ad aprile 2015 (11 e 25 gennaio, 8 febbraio, 15 e 29 marzo, 12 aprile, ore 11.00).
Il Teatro di Roma in collaborazione con la Sovraintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale con un primo ciclo di sei incontri vuole raccontare la grandiosità dell’idea di Roma, oltre che la ricchezza e unicità del suo straordinario patrimonio archeologico e dell’immaginario contenuto nei “frammenti” della città antica che ci rivela ancora la nostra storia.
Incontri che vogliono regalare emozioni e stupore ma che contribuiscono allo stesso tempo alla migliore conoscenza, valorizzazione e tutela del patrimonio che deve essere conservato come materialità ma anche come traguardo di cultura; un passato che torna nel presente non senza emozione.
“Luce sull’Archeologia” è il contributo che segna una tappa rilevante nel servizio che il Teatro di Roma vuole rendere al più vasto pubblico, un viaggio ideale dove poter incontrare le molteplici scenografie dei principali monumenti antichi e dove la natura, l’arte e la storia si uniscono insieme in una preziosa corona.
Percorsi e testimonianze antiche, segni millenari di storia e cultura sono una traccia precisa di un riconoscimento della continuità di Roma, di uno splendore in parte dissolto ma che non ha mai interrotto una relazione con la nostra civiltà moderna.
Immensa è quindi l’eredità di Roma che anche noi in questa sede siamo chiamati a custodire e tramandare quale modello culturale universale con le sue meraviglie di rara suggestione.

Ingresso libero fino ad esaurimento posti

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LUCE SULL’ARCHEOLOGIA 1 Area Sacra Argentina 02Domenica 11 gennaio 2015, ore 11
Le Idi di Marzo a Largo Argentina: L’assassinio di Giulio Cesare nella Curia del Teatro di Pompeo
Uno dei luoghi più presenti nell’immaginario collettivo, ma poco conosciuto nella sua collocazione topografica e urbanistica; la congiura ebbe luogo infatti all’interno della Curia di Pompeo, nel complesso che occupava la pianura meridionale del Campo Marzio.

Saluti Istituzionali
Presidente del Teatro di Roma Marino Sinibaldi
Direttore del Teatro di Roma Antonio Calbi

Presiede e introduce
Sovrintendente Capitolino ai Beni Culturali Claudio Parisi Presicce

Filippo Coarelli (Archeologo e Professore Emerito di Storia Romana e antichità greche e romane), Marina Mattei (Archeologo dei Musei Capitolini e direttore scientifico degli scavi dell’area sacra di Torre Argentina)

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Roma: Tre incoerenze iperboliche

C’è all’Ostiense un ponte realizzato per rendere agevole il transito ciclo-pedonale tra la riva del Tevere del teatro India e della Casa dello Studente, in attesa di essere utilizzata, con quella del museo della Montemartini e della Università Roma Tre, ma che per ora, nonostante i buoni propositi del Sindaco nel rilanciare l’impegno dell’Amministrazione per il quartiere, non porta a nulla.

Un “nulla” di oltre 5 milioni di euro che viene commentato dal segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, nel servizio del Tg R – Settimanale, insieme al cantiere finito degli ex Mercati Generali.

Un transito che s’interrompe davanti a muro di cinta di un’area d’archeologia industriale, con manufatti pericolanti che rendono il passaggio su lungotevere verso la Montemartini amletico e triste andando in direzione del Ponte di “Ferro”.
01 Roma Ostiense Un Futuro dietro ad un Muro Ponte delle Scienze Gasometro DSC_4470 webUn ponte intitolato alla Scienza con una misera targa per Rita Levi Montalcini che potrebbe essere l’occasione vitale per l’Ostiense, visto che l’asse Piramide – basilica di san Paolo non viene valorizzato attraverso il trasporto pubblico. Un asse sul quale splende il “sepolcro imbiancato” degli ex Magazzini generali che attendono il completamento dei lavori per essere trasformato nella città del divertimento adolescenziale e per la promozione culturale che non contempla la sola tinteggiatura, ma la realizzazione di nuovi manufatti, su progetto dell’architetto olandese Rem Koolhaas, per la rinascita, con la «Città dei ragazzi», dell”Ostiense.
Il recente ponte che collega la Garbatella con l’Ostiense, dalle evocazioni inquietanti con la sua cresta dinosaurica, fa da fondale all’area.
Per ora gli edifici degli ex Mercati che si affacciano sull’Ostiense sono stati tinteggiati, senza avere l’accortezza di smontare i vecchi apparati dell’area condizionata, ma dietro una voragine aspetta di essere colmata con sbalorditive strutture.
Un Polo, quello degli ex Mercati, che Rutelli voleva culturale, Veltroni lo pensava della scienza, mentre Alemanno era propenso per un fine commerciale e per Marino cosa mai sarà?
Una solitaria testimonianza di archeologia industriale convertita allo svago che continuerà a soffrire di una viabilità che alle prime gocce di pioggia va in tilt, formando laghetti che rendono la vita difficile a pedoni e mezzi, soprattutto nelle immediate vicinanze della Montemartini.
Un complesso museale quello della Montemartini che si appresta ad ampliare i suoi spazi espositivi, ma che soffre, al pari della occultata fermata della metropolitana, di una scarsa pubblicizzazione.

01 Roma Tre incoerenze iperboliche Portico d'Ottava Casa dei Vallati 7 webLascia perplessi, al pari di un ponte senza “sbocchi”, anche la scelta di realizzare provvisoriamente il Museo Shoah nell’angusto edificio dei Vallati nel Ghetto, attualmente adibito a sede amministrativa della Sovrintendenza.
La Casa dei Vallati è un esempio di rivisitazione che negli anni ’20 venne fatta di un edificio quattrocentesco, assemblando parziali strutture sopravvissute ai crolli con integrazioni di materiali recuperati nell’area.
Un edificio con scarse garanzie di accessibilità per persone con difficoltà deambulatorie per essere temporaneamente sede per il Museo della Shoah che potrà trovare la sua sede definitiva a Villa Torlonia o magari all’Eur. A luoghi carichi di storia, anche ingombrante, non sarebbe meglio optare per un edificio realizzato ex novo come si è scelto di fare in altre città europee? E poi quali garanzie ci sono che una soluzione transitoria non diventi stabile?

Google MapsAngusta è anche l’area scelta per lo stadio giallorosso a Tor di Valle, stretto tra una via del Mare e il Tevere, inserendosi nel delicato equilibrio ambientale della zona.
Una scelta solo per dare un’altra occasione alla speculazione edilizia, che prevede anche tre torri di oltre 200 metri, commettendo un grande errore per la viabilità e per l’ecosistema.
Forse il Sindaco dovrebbe cambiare i consiglieri o le dosi di ricostituente mattutino, se non pensa di verificare la possibilità di realizzare le infrastrutture necessarie alla viabilità e dare il via al restyling della linea ferroviaria Roma-Ostia più volte annunciata e poi constatare la possibile fattibilità del progetto.
Tor di Valle stadioIl progetto dello stadio comporta la realizzazione di una serie d’infrastrutture come il ponte carrabile e uno ciclopedonale sul Tevere, il prolungamento – l’adattamento – della linea B della Metro che sconvolgeranno tutta l’area, espropriandola delle sua bellezza naturalistica, seppellendola nel cemento.
Uno sconvolgimento che non è passato inosservato a Italia Nostra e suscitando divisioni nel Pd romano e all’interno della stessa Giunta Marino, oltre che nella cittadinanza, e che potrebbe far pendant con la lottizzazione di un terzo dell’area dell’ex deposito militare di Vitinia, senza prevedere il prolungamento del vecchio tracciato sino a Spinaceto.

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Qualcosa di più:

Un Sindaco di buone intenzioni
Viae Publicae Romanae
Campidoglio: ed ora cosa succede?
Un nuovo decoro adiacente alle Mura
C’è Ponte e Ponte
Un’altra Roma non solo di propositi
Sindaco nuovo vecchi problemi
Altro cemento sull’Ostiense
Infrastrutture in cambio di cemento

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Roma: Sulle tracce architettoniche del potere fascista

Camminare per Roma e non vedere i luoghi come sono oggi, come ce li hanno consegnati il cinema prima e poi la televisione; vederli invece com’erano negli anni venti, feriti e sanguinanti, scovarne le tracce nascoste: è questo l’obiettivo degli itinerari ricostruiti in questa guida da Anthony Majanlahti e Amedeo Osti Guerrazzi, la cui ricerca non ha lasciato inesplorato alcun palazzo, vicolo, quartiere. La Prima guerra mondiale non fu gentile con l’Italia. E con Roma in particolare. Esaurita la disponibilità di case popolari, gli immigrati e i poveri che affluivano ogni giorno nella capitale, già sovraffollata e irrequieta, costruirono baracche accanto agli acquedotti e alle vecchie torri fuori le mura. Erano agglomerati miseri, squallidi, pericolosi ai quali il governo e la nuova classe media guardavano con sospetto. L’indolente e soleggiata città dei cesari e dei papi si scrollò di dosso secoli di immobilismo con un sussulto violento, e ne risultarono spaccature profonde. La disillusione generata dalla pace di Parigi, incarnata dal mito dannunziano della «vittoria mutilata», non fece che esacerbare le divisioni e i contrasti – fra ricca borghesia e indigenti, fra studenti e forze dell’ordine –, finché nel 1919 una nuova, dolorosa lacerazione si aprì nel tessuto sociale urbano: quella del fascismo. Eppure la Storia sembra aver dimenticato le ferite che lo squadrismo inferse a Roma: non c’è traccia degli scontri che insanguinarono i rioni popolari di San Lorenzo e del Trionfale, nessun monumento ricorda i massacri perpetrati dalle Camicie nere, nessuna targa commemora i nomi delle vittime. A recuperare questa memoria dolorosa ma essenziale interviene Roma divisa. I suoi dettagliati percorsi ci conducono nei luoghi da cui il tempo e la negligenza hanno lavato via i segni di quegli anni tumultuosi e contraddittori, come la sede del sindacato dei fornaciai su via Tolemaide, dove si concentrarono – subito dopo la Marcia su Roma – gli attacchi dei fascisti che volevano «dare una lezione» ai lavoratori; o come il caffè Aragno, animato centro culturale frequentato fra gli altri da Vincenzo Cardarelli, Filippo Tommaso Marinetti e Leonardo Sinisgalli, dove nel 1921 l’onorevole socialista Alceste Della Seta fu bastonato duramente da alcuni irriducibili mussoliniani. O ancora come largo Chigi, a pochi metri da dove fu orchestrato il delitto di Giacomo Matteotti. Una guida per non dimenticare, ancora una volta, che il fascismo non avrebbe mai potuto stroncare l’opposizione popolare senza un alleato quanto mai fedele, lo Stato italiano, e per vedere Roma con occhi diversi.

Un libro che segue quello dedicato da Rino Bianchi e Igiaba Scego alla Roma negata (Editore Ediesse, 2014) di Passeggiate coloniali.

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Il libro verrà presentato
Giovedì 27 novembre 2014
Presso i Musei Capitolini

Invito_Roma divisa_Roma

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Invito_Roma divisa_Roma coverROMA DIVISA 1919 – 1925
Itinerari, storie, immagini
di Anthony Majanlahti e Amedeo Osti Guerrazzi

Editore: Il Saggiatore, 2014
Pagine: 320
Prezzo: € 19,50
ISBN 9788842820109
EAN:9788842820109
E-book € 10,99

 

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Anthony Majanlahti (Montréal, 1968) è docente universitario di Storia e urbanistica di Roma e associato dell’Accademia Britannica. Nel 2007 ha pubblicato Guida alle grandi famiglie che fecero Roma (Vallardi, 2007), tradotto in diversi paesi.

Amedeo Osti Guerrazzi (Roma, 1967) collabora con l’Istituto storico germanico di Roma. Tra le sue ultime opere ricordiamo: Noi non sappiamo odiare. L’esercito italiano tra fascismo e democrazia (Utet, 2010), L’esercito italiano in Slovenia, 1941-1943. Strategie di repressione antipartigiana (Viella, 2011) e Storia della Repubblica sociale italiana (Carocci, 2012).

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I soldati austriaci di lingua italiana, 1914-1919

Che l’Italia non sia un paese ancora unito lo dimostrano le iniziative prese dalla provincia autonoma del Trentino/Alto-Adige e dal comune di Trieste: partono treni pieni di studenti, studiosi e cittadini verso i campi di Galizia e nessuno nel resto d’Italia ne sa niente; magari si confonde pure la regione oggi parte della Polonia con l’omonima provincia di Spagna. In realtà per molti italiani la Guerra Mondiale è cominciata nell’agosto del 1914. Sono le storie di tutti quei soldati trentini, ampezzani, veneti, friulani, triestini e istriani arruolati nell’Imperial-Regio Esercito Austro-ungarico e mandati a combattere sul fronte orientale. Tutti parlavano l’italiano o un dialetto italofono, molti sono morti e le loro vedove non hanno mai ricevuto una pensione. Chi è tornato a casa non poteva fare altro che chiudersi nel silenzio: per gli irredentisti chi aveva combattuto per gli Austriaci era un traditore, anche se molti non avevano avuto la possibilità di scegliere, soprattutto i contadini e i montanari dell’arco alpino. Ed è impressionante leggere che l’iniziativa di recuperare questa memoria è – testuale – “un contributo alla storia dell’Euregio Trentino/Alto.Adige/Tirolo”, come si legge nei notiziari ufficiali della provincia autonoma di Bolzano. Dunque non abbiamo più una memoria condivisa e le nostalgie asburgiche triestine sono in sintonia con gli umori del Tirolo storico. Tutto questo nel silenzio assoluto – dovuto a ignoranza – del resto dell’Italia.

Che esistesse un reggimento austro-ungarico formato da italiani a dire il vero l’ho appreso solo nel 2008, quando Trieste celebrava i cent’anni di annessione all’Italia e riteneva giusto documentare la situazione anteriore al 1918. Fu così che mi incuriosì un distintivo reggimentale con un numero : 97. Era il reggimento triestino, reclutato tra gli italiani e gli sloveni del litorale. Dal canto loro le comunità trentine e ampezzane non avevano perso tempo. Sappiamo tutto degli alpini in Russia perché le comunità montane mantengono viva la memoria di chi vive da sempre nelle stesse zone e ha scarsa mobilità sociale. Ed è così che sono uscite fuori le storie di 20.000 tra alpini austriaci e milizie tirolesi, di cui almeno un quinto di loro non è tornato a casa. Ma forse è il caso di dare qualche informazione storica, magari aprendo la pagina di un buon atlante d’Europa.

Intanto, l’esercito austro-ungarico era diverso dagli altri : più che alla nazione, i soldati erano fedeli all’Imperatore Francesco Giuseppe, che nelle nostre cartoline viene invece visto come un vecchio rimbambito. Struttura e armi erano in linea con gli standard europei, ma la truppa era reclutata fra quindici etnìe diverse e le lingue usate erano nove. Anche se gli ufficiali erano tenuti a conoscere un paio di lingue, il reclutamento regionale era una necessità, pena il caos. Dunque gli italiani e sloveni del litorale giuliano e istriano furono inquadrati nel 97° reggimento, mentre le comunità dal Trentino al Friuli vennero assegnate ai reggimenti alpini, i Kaiserjaeger, oppure alla milizia tirolese, gli Schutzen. Questi ultimi dovevano difendere il Tirolo, mentre tutti gli altri furono spediti nella Polonia austriaca contro i Russi. La zona chiamata Galizia è compresa oggi fra Polonia e Ucraina ed era una landa bassa e sottosviluppata, né ora ha fatto molti progressi, e l’asse ferroviario rimane lo stesso: da Cracovia a Leopoli, dove abbiamo combattuto anche nella guerra mondiale successiva. In mezzo, una città-fortezza dal nome impronunciabile: Przemysl. I reggimenti di montagna invece erano più sul crinale dei Carpazi – i monti sotto la Galizia – e dovevano coprire la sella fra la pianura polacca e quella ungherese. Riassumendo molto, diremo che il primo anno di guerra vide austriaci e russi perdere ognuno quasi un milione di soldati tra battaglie e assedi. Solo che i Russi avevano più spazio e avevano mobilitato dodici milioni di soldati, quindi possiamo dire che l’Impero Austro-ungarico aveva perso la guerra già nel 1915. Se ha resistito fino al 1918 è perché il fronte italiano era favorevole alla difensiva assai più che la pianura polacca. Ho visto all’istituto Austriaco di Roma le loro immagini di propaganda: si vedono i loro soldati che dall’alto delle vette alpine scrutano olimpicamente la vallata in attesa che gli italiani traditori scalino la montagna.

Ma torniamo in Galizia. Il reggimento italiano fu poco efficiente e dopo aver perso la metà degli effettivi davanti a Leopoli (Lemberg per gli austriaci) fu assegnato alle brigate ungheresi, più forti, e in parte mandato nel 1917 sull’Isonzo, uno dei pochi posti dopo Cortina dove gli italiani combatterono contro altri italiani. Ma sui motivi dello scarso rendimento degli italiani c’è da metter ordine. La propaganda irredentista ce l’aveva con loro, mentre quella austriaca li disprezzava. Nella realtà quel reparto era poco coeso perché non difendeva casa propria e perché formato da cittadini, laddove i migliori reggimenti erano quelli dove si ripeteva sul campo la struttura semifeudale della società (come nei reggimenti tirolesi) o addirittura una cultura tribale, come in quelli bosniaci. E va anche detto che sia gli Austriaci che i Russi usavano tattiche superate. Nelle immagini d’epoca che ho comprato sul mercato antiquario è impressionante l’ammassamento della truppa. Ormai c’erano le mitragliatrici e i fucili a ripetizione e i cannoni a tiro rapido, ma i reggimenti si muovevano ancora come ai tempi di Napoleone. Niente di strano che morissero tutti come mosche.

Ma la storia non finisce qui. Finita la guerra, i prigionieri dei Russi si trovarono isolati dalla Rivoluzione e dovettero valersi della ferrovia Transiberiana per arrivare prima o poi a Vladivostok, dove i Cechi e gli Slovacchi furono imbarcati su mercantili americani. Gli italiani invece furono dirottati in Manciuria e acquartierati nella concessione cinese internazionale del Tien-Tsin, presidiata dal Battaglione San Marco. Lì chi voleva si arruolò nella Legione Dalmata Irredenta , che fu mandata a combattere i Bolscevichi. Infatti fino al 1919 le potenze europee si schierarono con i Bianchi, fin quando tutti si ritirarono da una guerra che non li riguardava e che ormai era persa a favore delle nuove forze rivoluzionarie. Ma anche questo è un capitolo di storia ancora da studiare.

 

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Un aereoplanino per volare

Nel grembo ovattato di questa (in)felice società prona, immersa, stravolta, affogata nello strapotere totale, assoluto, della tirannia virtual/digital/irreale, laddove nelle nostre metropoli si aggira una (dis)umanità inebetita fino all’autoipnosi da straniamento in spazi illusori, laddove masse apocalittiche di genti ormai aliene a sé stesse e agli altri non alzano nemmeno più gli occhi non dico al cielo (mai più così lontano ed estraneo) ma almeno all’altro incauto viandante autoipnotizzato, tanto da causare buffi e ripetuti scontri di teste intronate tra i cupi schiavi della irrealtà elettronica… Dicevo, in questo pentolone da incubo fantascientifico (ma siamo noi o sono già arrivati i baccelloni—invasori?)… Ecco, all’improvviso, Dio ti ringrazio! Uno squarcio d’azzurro, un caldo raggio di sole, una brezza odorosa e fragrante che mi rievoca genti e sentimenti tanto arcaici quanto affettuosi e rassicuranti!.. Cioé?… In che forma e qualità si è manifestato questo sorriso che mi incoraggia ancora a sperare?… La forma di un aeroplanino di carta, signori miei, eccotutto!… Vi par poco?… Ma pensate! Aggirandomi per strada, tra i soliti musi intenti in frenetici e muti giochi solitari o a spendersi in monologhi terrificanti… ecco che costeggiando l’esterno di una scuola gremita chissà da quanti diabolici marchingegni multiuso, nell’infuriare di bip—bip, trilli e twitter e sms, autoscatti e quant’altro, tra tablet, IPod, IPhone, PlayStation, smartphone, XBox, nella rissa quotidiana e travolgente di questa nevrosi collettiva, anzi planetaria, cosmica… Vedo volare da una finestra, candido, irridente e gentile nientemeno un aeroplanino di carta, volteggiare come un fiore in graziose spirali e planarmi davanti. Testimone innocentemente trasgressivo di una umanità non immemore di naturali radici eppur fantasiose, di un divagare legittimo trasmesso da avi antichi, da fanciulli remoti che guardavano e reinventavano il mondo con occhi limpidi, con giochi e favole che rimandavano all’essere stesso primitivo dell’uomo, al mito elementare e gioioso di chi per primo si è beato dello spettacolo meraviglioso dell’esistere, nel raccontarlo a misura del suo stupore per sé e per le innumerevoli generazioni avvenire… Possibile tutto questo, voi direte, in un banale, semplice pezzettino di carta a rudimentale forma aerodinamica?… Sì, perché quel benedetto pezzettino di carta stracciato da un quaderno di scuola e lanciato in aria da mani giovani eppur antichissime ci racconta di una speranza, forse una tenace certezza, che il nuovo, invasivo, seducente mondo offertoci su un piatto rilucente e sonoro, con tutti i suoi fili, fischi, zapping e brillar di labirinti policromi, non vale quel piccolo, semplice, aeroplanino di carta che riemerge da elementari, graziose invenzioni per raccontarci di memorie ed emozioni che ancora ci appartengono, di un tempo fatto di nuvole e onde e frutti meravigliosi che ci lasciavano senza fiato, con nulla in tasca e tutto un mondo da spendere!

01 Italia UN AEROPLANINO PER VOLARE web