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Il disagio della Democrazia di Carlo Galli

Il disagio della democrazia, come chiaramente descrive Carlo Galli nel suo omonimo saggio, è un disagio oggettivo per l’inadeguatezza dell’attuale democrazia (e dei suoi istituti) a mantenere le proprie promesse, ma è anche il disagio soggettivo dei cittadini che sembrano accettare passivamente “una morte che non si può annunciare”. Siamo spettatori di un paradosso: l’occidente dalla grande tradizione democratica, ritiene la democrazia l’unica forma di organizzazione politica legittima e tuttavia ne sperimenta il disagio; i paesi caratterizzati da regimi autoritari (es Africa) invece lottano per averla. Carlo Galli, accademico e politico, auspica che ciascuno faccia il primo passo verso una “deliberata volontà di democrazia” e ci conduce quindi attraverso la storia della democrazia: in fondo la democrazia è un termine polisemico, nel quale si sono stratificate diversi significati in funzione dell’evoluzione storica e umanistica. E’ dai suoi fondamenti e dalle sue trasformazioni che possiamo porre un parziale rimedio a quel disagio, poiché ci può aiutare a realizzare la riattivazione selettiva della complessità dentro la quale stanno diverse e molteplici possibilità della democrazia a “venire”. E’ necessario però abbandonare l’insoddisfazione per l’attuale democrazia unita alla sensazione che non ci siano a questa, alternative, perché crea “spaesamento che rischia di essere costante e insuperabile, ma non produttivo”. Lasciare troppo spazio al “disincanto tecnico”, al rifugio nell’individualismo, alla sensazione di tradimento dell’ideale moderno di autenticità della democrazia, dovuta alla perdita della libertà e della piena espressività del singolo, rischia di renderci complici della sua morte.
La parola Democrazia coniata nel mondo greco si riferiva a δῆμος (démos) e κράτος (cràtos) cioè al governo del popolo (che era comunque una minoranza – non partecipavano donne, schiavi, meteci – gli stranieri residenti- ed i troppo poveri). In genere nella prassi politica greca la democrazia si riferiva ad una parte (démos) ritenuta peraltro violenta e rancorosa in contrapposizione all’altra, l’aristocrazia. Sinteticamente il pensiero greco, troviamo, solo Aristotele a interpretare la democrazia (la politeia) in termini positivi o meglio come il governo perfetto per gli imperfetti (il ceto medio ritenuto per il pensiero dell’epoca non in grado, per cultura e per necessità, di pensare a visioni di più ampio respiro relative all’intera città e al bene comune). Galli pone infine l’accento sull’ideale della democrazia espresso da Tucidide, dove “la parte” non è faziosa ma in grado di promuovere i valori multiformi di un umanesimo attivo da tenere sempre presenti per l’analisi critica della situazione attuale: “l’uguaglianza davanti alla legge, la trasparenza della politica, l’autogoverno, la tolleranza di ogni diversità dei singoli purché ciascuno riconosca il proprio obbligo verso la città nella quale lavoro e politica, pubblico e privato, parola e prassi camminano di pari passo”.
Dagli ideali degli antichi alla declinazione democratica nell’età moderna, nella quale il nodo centrale si sposta dal governo (chi governa chi: saggio, aristocratico, filosofo, guerriero) alla legislazione: è il potere generale ed universale che rappresenta tutti (sovranità) e che garantisce unità e pace tramite l’ordine artificiale delle leggi.
A partire dalla Riforma protestante, propulsiva del capitalismo industriale, cominciano a liberarsi energie soggettive individuali e si reinventa un nuovo spazio politico, che si modellerà lungo lo scorrere dell’età moderna fino collassare nell’Era della Globalizzazione. La democrazia degli antichi cede il passo ad un nuovo pensiero che dà forma alla democrazia moderna: l’uguaglianza di tutti gli uomini in natura, che quindi hanno diritto di essere uguali anche davanti alla legge. Il popolo governa e viene rappresentato tramite un intero ordinamento, che in regime di uguaglianza lo coglie non nelle sue specificità ma nella forma astratta e universale delle leggi. In questo momento trovano espressione i concetti di Stato e cittadinanza, come dimensione universale del popolo all’interno dello Stato. L’orizzonte politico inventato ex-novo dalla borghesia mantiene tuttavia le disuguaglianze materiali derivanti dalla legittimazione del nascente capitalismo industriale. Nel secondo dopoguerra la democrazia evolve nella sua figura tardomoderna, cioè il “compromesso socialdemocratico”: accanto ai diritti politici, prendono forza i diritti sociali che tendono a garantire l’uguaglianza delle condizioni. L’epoca moderna, diversamente da quella antica, funziona per separazioni e astrazioni: “è l’insieme delle condizioni formali a dare alla politica una finalità umanistica di espressività delle soggettività, che attraverso i diritti dovrebbero ricomporre la scissione tra universalità della legge e particolarità concrete”; proprio per questo è segnata dalla rivendicazione dei diritti non solo politici ma anche sociali. “Che le lotte siano state necessarie significa che la democrazia non è automatica, ma deve essere voluta nella prassi”. Se il popolo è il grande assente della democrazia moderna nel senso che vi compare come “istanza originaria costituente legittimante le istituzioni”, i partiti politici nello spazio politico dovrebbero essere portatori della pluralità. E’ proprio la partecipazione dei singoli con un’attiva “volizione” costante e continuativa che mantiene in una dialettica sana di un pluralismo sociale e nella trasparenza politica; è proprio questa partecipazione il ponte tra l’individuo e l’interesse generale, non c’è democrazia con un pensiero unico o assenza di pensiero.
Con l’avvento della Globalizzazione la grande sfida della democrazia moderna di fare unità mediando fra le parti è svanita: l’unico protagonista, il capitale (la finanziarizzazione) è fuori controllo e domina indiscusso lo scenario globale. Lo stato democratico moderno s’indebolisce e la politica sprofonda in maneggi di “oligarchie economiche affaristiche”. I partiti sono potenti ma meno collegati con la società è quindi più deboli nel senso democratico del termine, l’omogeneità culturale della nazione si fa precaria ed il dilagare dei conflitti scuote l’apparato democratico costituendo un vero e proprio detonatore per forme meno democratiche, come la democrazia autoritaria o amministrata (“dove il consenso che si attiva non è spontaneo ma passivo”) o come forme di populismo democratico che, esaltando retoricamente la centralità del popolo determinano un movimento anti-establishment. Forme di esemplificazione della realtà e di fuga non sono mai risolutive: “il popolo del populismo è tanto meno reale quanto quello della democrazia istituzionalizzata: un fantasma comunitario che vuole opporsi alla finzione della cittadinanza, un Tutti anonimo che pretende di opporsi all’anonimato della globalizzazione”. Questo “Noi inventato” del populismo “si fa strumento di una politica, che in realtà è ancora più distante dal popolo di quanto lo fosse la tradizionale” e anche se si crede d’opposizione è sempre più spesso utilizzato dai governi. “Una passività di massa mascherata da attività che esprime il pieno disagio della democrazia”.
Galli chiude l’articolata trattazione con un monito: “se è giusto riconoscere la non democraticità del tempo presente”, non ci si può ingenuamente abbandonare a soluzioni immediate o semplicistiche. Partendo dalla consapevolezza della complessità del fenomeno democratico e “in funzione della storia si può selettivamente reinterpretare la complessità e avere il coraggio di indicare ciò che di nuovo va colto e ciò che di vecchio non è più vitale”. Volontà e mediazione ma nello spazio sociale dove gli ingredienti della politica reale e dell’energia formante la democrazia sono vivi e non già nelle istituzioni della politica dove si trovano “sublimazione, stilizzazione e a volte mistificazione”.

04 DemosKratia Il disagio della democrazia******************************

Titolo: Il disagio della democrazia
Autore: Carlo Galli
Editore : Einaudi (collana Vele), 2011
Prezzo: € 10,00

Disponibile anche usato a € 5,00 su Libraccio.it
Disponibile in eBook a € 6,99

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Homo videns

Come è cambiata l’informazione con la comunicazione di massa e con l’avvento della televisione? Non c’è bisogno di risalire alle opinioni di Pasolini, agli sketch comici di Guzzanti sul telegiornale o ancor di più alla pellicola “Videocracy”, presentata al Festival del Cinema di Venezia, per intuire cosa è avvenuto da circa cinquant’anni or sono. Ma parlare del tema è utile solo per alimentare la chiacchiera heideggeriana? Abbiamo veramente compreso la portata di certi meccanismi?
Giovanni Sartori quasi 10 anni prima di Crouch Colin punta il dito sul fenomeno del “tele-vedere” e del “video vivere”. Il politologo italiano nel suo libro “Homo videns” pretende di dimostrare, senza lasciare spazio a spiragli di ottimismo, l’effetto totalmente deleterio dello strumento televisivo.
Con una sagace dissertazione Sartori asserisce che la televisione sta producendo una metamorfosi che investe la natura stessa dell’uomo: ribalta il rapporto tra capire e vedere. “La televisione non è soltanto uno strumento di comunicazione, è anche al tempo stesso, paidèia, uno strumento «antropogenetico», un medium che genera un nuovo ànthropos, un nuovo tipo di essere umano”: l’homo videns appunto.
E’ il “prevalere del visibile sull’intellegibile che porta a vedere senza capire”, ad atrofizzare il processo cognitivo. Disabituarsi a capire e a pensare tramite il processo di astrazione che ci differenzia dagli animali, produce l’homo videns, ultimo anello della catena non evolutiva ma involutiva!. “L’homo sapiens è entrato in cri-si, in crisi di perdita di sapienza e capacità di sapere”.
In estrema sintesi l’homo videns, è un essere videodipendente non più capace di un pensiero razionale ma preda delle sensazioni emotive indotte dalle immagini e da un flusso di notizie il più delle volte inconsistenti. L’informazione che non spiega l’immagine ma è scelta in funzione dell’immagine e della sua capacità di creare “sensazione” a prescindere dal valore della notizia crea “disinformazione” e vuoto conoscitivo.
Contro i nuovi profeti della democrazia virtuale, della tecnocrazia al potere e contro tutti i “negropontini”, il nuovo Savonarola mette anche in guardia dall’uso d’internet, che potrebbe essere un nuovo mezzo di crescita culturale se, l’adolescente o l’adulto che si avvicina, non fosse stato il bambino nutrito da tanta televisione. Il cibernauta “non avendo un interesse cognitivo più sensibilizzato in chiave astraente”, naviga con obiettivi per lo più ludici, rischiando di perdere il senso del reale, cioè il confine tra vero e falso o tra esistente e immaginario.
Sartori denuncia i Murdoch e i Berlusconi – e tutti i grandi burattinai dell’informazione – che nutrono di spazzatura lo spettatore, perenne video-bambino, pilotando la sua bulimia a favore dell’accrescimento del portafoglio o e del potere.
Proprio in merito al condizionamento televisivo Sartori introduce osservazioni ancora attuali sulla trasformazione del potere politico, mediante l’uso dell’immagine televisiva.
La televisione diventa l’autorità cognitiva per eccellenza: “si esibisce come portavoce di una opinione pubblica, che è in realtà l’eco di ritorno della propria voce”.
Se da un lato l’opinione del pubblico intervistato non da luogo necessariamente ad un’azione coerente con l’opinione stessa (ad es.: l’opinione di voto politico rispetto al risultato elettorale), il sondaggio d’opinione darà risultati variabili in funzione di come verrà posta la domanda. L’homo videns ascolta il messaggio televisivo non relativizzando l’informazione che riceve, anzi a volte è indotto in errore per l’inadeguata descrizione delle rilevazioni statistiche presentate che “sono « false» nella interpretazione che ne viene data”.
Senza aderire radicalmente al pensiero di Sartori a distanza di 20 anni il panorama è desolante: colui che è stato esposto alla “disinformazione” televisiva e successivamente a quella dei quotidiani, ora deve recuperare un gap conoscitivo che non gli richiede solo sforzo di tempo e di attenzione (almeno fino a che l’informazione immagazzinata non arrivi alla sua massa critica), ma ha anche difficoltà di reperire una informazione valida ed accessibile per creare un reale bagaglio conoscitivo.
Anche dissentendo dalla linea di Sartori, è difficile non osservare come la televisione, oggi forse meno incisiva a causa dell’effetto assuefattivo, sembra aver modificato comunque i modelli di riferimento e gli stereotipi: nutrirsi d’immagine ed essere immagine. Basta apparire! fare spettacolo, essere spettacolo a tutti i costi non importa se in maniera triviale: vince chi urla più forte, l’affermazione eclatante, la posizione più eccentrica, se aggressiva meglio, lo stile più inusuale. In fondo anche i politici, che ci rappresentano sono così!
Una possibile via di uscita? Fuggire gli schemi, anche quelli della protesta e del cinismo! Ritornare sul proprio sé e solo dopo individuare le proprie scelte e il modo personale di percorrerle.

 

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Titolo: Homo videns. Televisione e post-pensiero
Autore: Giovanni Sartori
Editore : Laterza (collana Economica Laterza), 2007, XVI-166 p.,
Prezzo: € 8,50

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I sondaggi da: Tunnel

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Il nuovo Paradigma contemporaneo

Sociologo francese Alain Touraine, osservando le trasformazioni in atto, individua un nuovo paradigma che potrebbe aiutarci a comprendere il mondo contemporaneo. Nel suo libro Un nouveau paradigme tradotto in Italia come La globalizzazione e la fine del sociale e nelle sue numerose interviste, Alain Tourain ci spinge a ripensare alla realtà e a leggere il mondo contemporaneo abbandonando i nostri vecchi modelli e categorie di riferimento.

Semplificando, il nostro modello di riferimento era espresso con un paradigma economico-sociale: “classi sociali e ricchezza, borghesia e proletariato, sindacati e scioperi, stratificazione e mobilità sociale, disuguaglianze e redistribuzione (..)”. Con l’avvento della globalizzazione e del capitalismo finanziario, tutte le istituzioni sociali (nazionali), che ci aiutavano a pensare e costruire la società, hanno cominciato ad essere sempre meno utilizzabili e quindi a svuotarsi di significato: “non sono in grado di controllare i sistemi economici che agiscono ad un livello più ampio”. L’economia globalizzata, e dunque sovranazionale, le ha rese di fatto marginali. Oggi la società è totalmente separata dal sistema economico ed in balìa dei conflitti provocati dalle contrapposizioni culturali e religiose.

Per Alain Tourain ne consegue la disgregazione sociale dovuta alla “dissoluzione di meccanismi di appartenenza a gruppi e istituzioni capaci di rendere stabile la propria coesione interna e di gestire le proprie trasformazioni” ci deve portare alla riformulazione del pensiero sociale, che individui altre categorie affinché l’inquietudine e l’angoscia per la perdita dei punti di riferimento abituali, non ci spinga ad accogliere posizioni regressive di tipo “pseudo-religioso”, “pseudo-politico, di “comunitarismo e ossessione dell’identità”, di “edonismo individualista sfrenato, che alimenta la psicosi e la violenza su se stessi e sugli altri”.

Questi fenomeni sono evidenti nel caso americano dopo la caduta delle torri gemelle a New York. Dal 2001 la situazione, già grave per l’aumento delle disuguaglianze e per la disgregazione della società, è peggiorata a causa della paura della violenza e della guerra. Come reazione, il presidente Bush con la sua equipe d’ideologi, ha ricreato le condizioni psico-ideologiche per condurre una vera e propria guerra santa in nome del Bene contro il Male.

Altrettanto esposta a forze disgreganti è l’Europa, dove l’indebolimento delle identità nazionali non è stato compensato dalla formazione di un’identità continentale. “L’Europa è l’esempio più probante di creazione di un insieme politico ed economico sovranazionale, ma la sua realizzazione è stata vissuta dalla popolazione come il frutto di un’iniziativa presa da dirigenti politici fermamente schierati, durante la Guerra fredda, dalla parte degli americani”. La mancanza di una legittimazione della maggioranza popolare e di una coscienza identitaria, non ha dato forza al progetto di una Costituzione che avrebbe reso almeno più facile l’esercizio di una politica internazionale comune, dando all’Europa un peso più rilevante a livello geopolitico.
Una nuova dimensione sociale, che possa fronteggiare gli aspetti della globalizzazione, può ripartire invece dall’idea di “Soggetto”: il riconoscimento del “Soggetto” nella sua dignità di essere umano, portatore di proprie specificità e di propri diritti culturali da rispettare e tutelare come quelli di ogni altro soggetto in contrapposizione alle logiche spersonalizzanti di massificazione e di mercato. Si può uscire dal mero individualismo per ritrovarsi nel sé.

Cercando di fornire dei semplici flash della trattazione profonda e complessa di Turaine, il sociologo francese ci incoraggia a prestare attenzione e dare peso ai movimenti come quello femminista o quello ecologista, che stanno avendo un ruolo di primo piano nel ritorno al soggetto.

Tourain auspica la formazione di soggetti personali, che non si sottraggano ai loro doveri sociali e che maturando una vera e propria coscienza civica si sentano responsabili della vita politica e sociale riconoscendo la superiorità della cittadinanza rispetto ai comunitarismi, che tendono a minare seriamente la base della libertà individuale.

Accanto ai diritti politici è l’idea dei diritti umani, insieme a quelli di soggetto (diritti culturali), a offrire la migliore difesa di fronte a tutte le forme di dominio sociale. I diritti culturali, sebbene specifici di categorie, possono dialogare con i diritti politici arricchendo la vita pubblica: il rispetto dei principi generali (o universali) è del tutto compatibile con l’ammissione della pluralità delle forme culturali esistenti che, ancorché minoritarie, hanno in se il germe dell’universalità. “Senza il carattere individuale di un diritto non si potrebbe trasformare la tolleranza nei confronti di certi gruppi in diritti culturali. La legge, dunque non deve riconoscere la libertà di esercizio di culto se non è in grado di proteggere colui o colei che non vuole più essere un fedele di quella chiesa, desidera uscirne o, eventualmente aderire ad un’altra religione.”
La centralità dell’universalismo del soggetto e l’esigenza etica possono far nascere un rinnovamento delle istituzioni, svuotate dal loro significato, e dare linfa vitale a una politica, che è ormai “una realtà molto degradata e travisata”.
Oggi la politica deve favorire la nascita di nuovi attori sociali passando per il soggetto e i suoi diritti; solo allora la democrazia, che oggi appare svuotata di senso, ritroverà il suo significato come espressione dei soggetti democratici.
Solo il rinnovamento della società può consentirci di mettere a punto le politiche sociali che ci permetteranno di superare l’attuale crisi, modificando obiettivi e soprattutto le nostre modalità di intervento pubblico.

(2 parte)

Parte Prima

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Alain Touraine
Un nouveau paradigme

Interviste:

Siamo tutti soli come attori in un teatro vuoto
su La Repubblica del 31 ottobre 2013

Liberarsi del neoliberismo: da vittime a soggetti
su MicroMega del 7 gennaio 2011

 

Seguendo il filo di Arianna

Giunti nell’inverno del nostro scontento, non ci rimane altro che lasciare alle spalle, urlatori, imbonitori, eretici, propinatori di soluzioni da videogame, e addentrarci da soli nel labirinto. Quale labirinto?! Come quale? Quello di cui sembra non si trovi la via di uscita, cioè quello riguardante l’attuale situazione storica: la crisi economico-sociale italiana complicata dall’apparente vuoto dei valori umani. Un labirinto intricato fatto di elementi che s’influenzano a vicenda con dinamiche che stanno cambiando velocemente anche a causa della globalizzazione, fenomeno dagli aspetti ambivalenti.
In un labirinto meglio seguire un filo che potremmo poi riconoscere come quello di Arianna. Un esempio: il significato di una parola. Sì perché, in quest’epoca c’è grande inflazione di parole: moltitudini di parole sparse come se non valessero per il loro profondo significato e senso storico. Non più precise parole che ci facciano comprendere o quantomeno radicare nella realtà!
Basta accendere la TV e scegliere una di quelle più usate, che irrazionalmente ci fanno simpatizzare con l’oratore: “democrazia”, “populismo”, “demagogia” oggi sono buttate in un discorso come se fossero bigiotteria usata su un vestito scadente e non come delle pietre da valutare considerando natura peso e caratura.
Andare a fondo, leggere per riuscire a reinterpretare la realtà in modi personali, forse ci potrebbe far ritrovare quel filo che ci aiuti a non perderci e non cadere banalmente nel cinismo dell’antipolitica o rifugiarci nell’illusione dell’utopia.
In genere è bene intendere quale sia la democrazia cui si riferisce un oratore: se la democrazia costituzionale, quella popolare o appunto ideale.
Nella democrazia costituzionale poiché “la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, vuol dire che la sovranità popolare trova un limite nelle norme costituzionali all’interno delle quali va inquadrata, gestita e valorizzata.
Senza risalire a Rousseau diciamo la democrazia costituzionale dovrebbe garantire l’uguaglianza dei cittadini nei diritti e doveri, tutelando le minoranze. Lo Stato è garante del bene comune di un popolo e non di un unico valore di cui può essere temporaneamente portatore il popolo stesso; e la politica è espressione mediata della rappresentatività del popolo tramite le istituzioni che costituiscono lo Stato.
Dunque, se la Democrazia non risulta essere più rappresentativa, verranno a manifestarsi due reazioni opposte di dissenso: la rinuncia alla partecipazione politica e cioè al voto o la ribellione tramite movimenti che cercheranno di forzare lo spazio politico ponendo i propri valori come superiori ad ogni altro criterio di giustizia e ad ogni regola di diritto positivo (uguaglianza e libertà), in fondo vince la forza del numero!

Storicamente nel populismo, si è sempre affermato un leader carismatico portatore vivente dei valori del popolo e non semplice portavoce del popolo, con il paradosso a volte, che, per identificazione, il popolo stesso possa alla fine legittimare la dittatura del suo leader cancellando il popolo proprio nel nome del popolo.
Anche per questo, in genere, il termine populista viene usato con una valenza negativa e associato alla demagogia con la quale ci si riferisce direttamente al tentativo di un individuo o di un gruppo di usare apparentemente il tema dei valori del popolo e cavalcare il vuoto politico per realizzare una vera e propria scalata legittimata al potere.
E’ chiaro che il fenomeno del populismo non può non far riflettere sul grado di anomia di una società: in una democrazia in cui la convinzione diffusa che le istituzioni sono così corrotte che tutti i rapporti sociali e politici si svolgano all’insegna della faziosità, per reazione svalutando la legalità, ci si può sentire giustificati nel porre la sovranità popolare al di sopra di qualsiasi principio costituzionale e far apparire legittima addirittura la volontà volta a modificare, restringere o addirittura sopprimere i diritti costituzionali fondamentali. A volte è sufficiente perseguire prassi che, anche se illegali, s’impongono di fatto.

Quindi ritornando al labirinto e al filo, andando a ritroso è utile legare un capo del filo ai valori fondanti storici e filosofici di una società, lasciando per il momento in disparte i sentimenti negativi che inevitabilmente ci assalgono. Andare avanti implica necessariamente rileggere il momento attuale.
Sono almeno dieci anni che economisti, sociologi, politologi, tentano di interpretare il presente; tra questi ci si può involontariamente imbattere con Colin Crouch che parla di “Postdemocrazia” e Alain Tourain che denuncia la “Globalizzazione e la fine del sociale”.
Senza la pretesa di approfondire un tema ampio e complesso come quello affrontato da Colin, il politopogo inglese sostiene che non ci si possa esprimere definendo semplicemente il panorama politico come “democratico o non democratico”. In Italia, come in altri paesi dell’Europa occidentale, è utile ricorrere al concetto di postdemocrazia perché da un lato non si può negare l’aspetto democratico delle “elezioni che continuano a svolgersi e condizionare i governi”, ma “il dibattito elettorale è uno spettacolo saldamente controllato, condotto da gruppi rivali di professionisti esperti nelle tecniche di persuasione e si esercita su un numero ristretto di questioni selezionate da questi gruppi”: siamo nell’epoca della comunicazione di massa.
In sintesi alle masse, tanto preziose per sondaggi elettorali o per il voto, è impedita per mancanza di strumenti informativi l’opportunità di partecipare attivamente alla definizione delle priorità della vita pubblica: la comunicazione politica è espressa con un linguaggio pubblicitario con lo scopo di indurre all’acquisto senza suscitare una discussione. Proprio per questo si fa sempre più uso della personalizzazione della politica elettorale: la personalità carismatica sostiene e garantisce il programma che risulta espresso con slogan e in maniera inadeguata a una profonda riflessione; in fondo è il personaggio politico che deve convincere, non il programma.
Rebus sic stantibus, il cittadino è spinto a “protestare o accusare, chiamare il politico a rendere conto, o mettendolo alla gogna e sottoporlo ad un esame ravvicinato della sua integrità pubblica e privata”; mentre l’aspetto positivo di partecipazione nella quale ci si riunisce in gruppi e organizzazioni per formulare richieste che poi si girano al sistema è una pratica che sta diventando meno frequente.
Da questo punto di osservazione, postdemocrazia e quindi neopopulismo sembrano concetti che in qualche modo hanno grandi aree di sovrapposizione ma, ritornando alla fonte, e cercando di essere precisi si può affermare che i termini democrazia e populismo sembrano non essere più individuabili nel contesto attuale rispetto alla loro dimensione storica originaria e, per non incorrere in una babele lessicale, occorre mettere a fuoco l’attuale scenario per individuare il nuovo paradigma contemporaneo.

(1 parte)

Colin Crouch cover rid

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il filo di Ariannna 1 parte (1) MAYK-populism

 

 

Il filo di Ariannna 1 parte (1) spettro_populismo