Archivi categoria: SCAFFALE DEGLI OZIOSI

Forza Panino!

Dovrete perdonarmi ma non posso evitare di mettere questa recensione un po’ sul piano personale. Questo perché uno degli autori del libro è un certo Elio, meglio conosciuto per la sua militanza in qualità di leader della band “Elio e le Storie Tese”, di cui sono grande estimatore.
Parto con il chiedere scusa per il titolo che non c’entra praticamente nulla con il romanzo ma, essendo scritto da un componente del gruppo, non mi veniva in mente altro modo di titolare la recensione.
Detto questo, che conosciate la sua musica o meno è ininfluente, perché Elio è comunque noto per il suo essere un poco bizzarro, bizzarria che si ritrova abbondantemente tra le pagine del suo romanzo.
Franco Losi, l’altro autore, vanta anni di esperienza nel settore delle nuove tecnologie e dell’evoluzione digitale, competenze queste, messe a disposizione dell’amico Elio per dare vita a questa storia fantascientifica.
Il titolo “Uaired” è un chiaro riferimento alla rivista statunitense “Wired”, nota come una delle migliori, se non la migliore, tra le riviste che trattano temi di carattere tecnologico. Questo perché la trama, a modo suo, ha molto di tecnologico.
Ma andiamo con ordine. Gec e il fedele amico Toni sono i protagonisti di questa storia ambientata nel pavese, dove entrambi si godono una vita spensierata a suon di serate alcoliche e di donne (queste ultime soprattutto per Toni). Una di queste serate costa però cara al povero Gec che, di ritorno a casa, si becca un fulmine a pochi metri dalla sua macchina, e tanto basta per risvegliare nella sua testa un coro di voci che gli parlano. Risvegliare perché già in passato era stato vittima di una cosa simile ma, a differenza di allora, ora le sente in modo chiaro e diretto. Ma chi è che gli parla?
Per Gec si tratta di una scoperta poco entusiasmante, che lo mette a contatto con il mondo Uaired: alieni super evoluti atterrati sulla Terra tantissimi anni addietro e custodi di tecnologie futuristiche che per gli umani sono ben lontane. Perché proprio lui? Niente spoiler per questo, visto che si tratta un po’ del fulcro del romanzo.
La storia è leggera e scorrevole, a volte anche un poco scontata, ma forse non è sulla prevedibilità della trama che i due autori hanno voluto concentrarsi, quanto forse sul mondo odierno fatto di luoghi comuni, teorie complottiste, di un linguaggio ormai inglesizzato e di una tecnologia sempre più padrona delle nostre menti. Il tutto servito ovviamente con molta, moltissima ironia, e in questo il personaggio di Toni è fondamentale.
Possibile che Gec da umile proprietario di una ferramenta, amante delle api e di una vita da ragazzo di provincia, si ritrovi di colpo ad avere in mano il destino dell’umanità? No, o forse sì, ma questa potrebbe essere un’altra storia ancora da scrivere.
Per concludere, se siete amanti veri degli E.e.l.S.T. godetevi il piacere di individuare alcuni chiari riferimenti a qualche bella canzoncina della band, secondo me qualcosina si trova tipo un… “Parco Sempione, verde e marrone, dentro la mia città”.

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Titolo: Uaired
Autori: Elio, Franco Losi
Editore: La Nave di Teseo (Collana Oceani), 2018, pp. 270
Prezzo: € 17,00
EAN: 9788893446334

Disponibile anche in ebook

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Dalle ceneri di Roma

Rivisitazione approfondita di un imperatore accusato, forse ingiustamente, di aver acceso il fuoco sbagliato.

Nerone. E’ forse uno dei nomi storici più forti da pronunciare, un nome in cui è racchiuso il potere di un uomo che rase al suolo una città come Roma, la Roma dell’Impero Romano. Ma fu davvero lui il colpevole?
La scrittrice americana Margaret George ripercorre la vita di questo notevole personaggio con un romanzo intitolato semplicemente “Nerone”, dove la figura dell’imperatore viene completamente rivisitata stravolgendo la sua immagine di despota dedito alle pazze gioie, in favore di un più mite e razionale sovrano, non privo di difetti ed eccessi, ma neanche così terribile come a lungo si è creduto. E’ l’autrice stessa nelle note finali, a spiegare come, in seguito a recenti studi ed analisi storiografiche, la figura dell’imperatore sia stata notevolmente rivisitata rispetto a quanto si sapeva di lui in precedenza.
Il romanzo parte dall’infanzia del piccolo Nerone il cui nome prima di diventare imperatore era Lucio Domizio Enobarbo, nipote di Caligola e discendente di Augusto per parte sia di padre che di madre: la famosa Agrippina minore che ne combinò di cotte e di crude e che condizionò non poco la vita del giovane. L’autrice dedica particolare attenzione alle vicende di palazzo anzi, dei palazzi, dove Nerone crebbe al seguito della madre, una grande stratega capace di costruire trame, intrighi e congiure ma, soprattutto, abile nell’infilarsi nei letti migliori.
Il carattere apparentemente influenzabile dei primi anni lasciò pian piano il posto ad una volontà più ferrea che portò Nerone ad essere maggiormente padrone di sé dimostrando che, sia nell’ambito politico che in quello strategico, egli fu un abile interprete del suo ruolo nonostante la giovane età, merito forse degli insegnamenti di Seneca e Burro, risolvendo positivamente anche alcuni duri conflitti nel vasto impero.
E i delitti a lui imputati? Tali rimangono, ma motivati da una logica, se così si può definire, che in quel tempo era più che normale per rimanere al potere, lo stesso Augusto non fu un santo in quel senso, né Claudio subito prima di Nerone.
Ma allora come si è arrivati a descriverlo come un uomo pazzo e terribile? Non che l’autrice sia in possesso di una verità assoluta, essa però sottolinea come le biografie di Nerone arrivate fino ai giorni nostri, siano state parecchio condizionate dalle correnti di pensiero degli stessi biografi: aristocratici che non vedevano di buon occhio il suo favore nei confronti del popolo, con memorie raccolte oltretutto molto tempo dopo la sua morte. Lo stesso incendio di Roma viene presentato con dinamiche diverse che potrete scoprire leggendo il libro.
La storia di Nerone non è sicuramente la prima ad aver subito modifiche e rivisitazioni nel corso degli anni ma, la presenza di dati certi, di alcuni più imprecisi e di altri frutto di elaborati studi o congetture ci permettono comunque di godere le gesta memorabili, nel bene e nel male, di personaggi che rimarranno per sempre impressi nella nostra memoria; proprio come lui, la cui mente acuta lo portò ad essere un innovatore su più fronti, purtroppo offuscati dal fuoco di un incendio dalle cui ceneri emerse l’immagine di un despota senza cuore, che probabilmente egli non fu.
Non abbiate fretta di arrivare all’epilogo e l’autrice vi spiegherà meglio il perché nelle note finali, ma godetevi piuttosto il fascino di un personaggio e del suo mondo circostante: una Roma ancora una volta magnifica e infinita, abbellita anche dall’arte che lo stesso Nerone promuoveva in ogni sua forma, dalla musica al teatro, senza dimenticare il suo interesse per l’architettura, lo sport e i giochi; che fosse questo il suo vero essere da tramandare ai posteri? Sicuramente rimane ancora qualcosa da scoprire…
Dopo Enrico VIII, Cleopatra, Elisabetta I e altri romanzi perlopiù biografici, Margaret George si cimenta ancora una volta in un romanzo storico con protagonista uno dei personaggi più intriganti del passato, senza risparmiarsi troppo sulla lunghezza resa leggera dal ritmo veloce e incalzante a cui già ci aveva abituati; del resto lei fa parte di quegli autori che la storia la fanno amare, e ancora una volta è così.

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Titolo: Nerone
Autore: Margaret George
Traduttore: F. Garlaschelli
Editore: Longanesi, 2018, pp. 544
Prezzo: € 22,00

Disponibile anche in ebook

EAN: 9788830450813

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“Le civiltà del disagio” di Mohsin Hamid

Torniamo a parlarvi di uno dei nostri scrittori preferiti in assoluto, questa volta con il suo unico saggio. Mohsin Hamid ci permetterà di entrare nella sua vita, per raccontarci davvero cosa sia la globalizzazione.

Le civiltà del disagio

«Se la globalizzazione ha da prometterci qualcosa, qualcosa che possa spingerci ad accogliere a braccia aperte il caos che ne deriva, allora quel che ha da prometterci è questo: saremo piú liberi di inventare noi stessi». Con tale dichiarazione di intenti si apre questa raccolta di articoli e brevi saggi di uno dei piú provocatori e stimolanti narratori del nostro tempo. Ma nel mondo globalizzato abbiamo davvero la libertà di inventare noi stessi? Tutto sembra indicare il contrario, perché ogni pretesto è buono per imprigionarci in quelle «illusioni dilaganti, pericolose e potenti» che portano il nome di civiltà. Hamid lo chiama il giogo del depistaggio: «Ci viene detto di dimenticare le fonti del nostro disagio perché c’è in gioco qualcosa di piú importante: il destino della nostra civiltà».exit west

E cosí finisce per sembrarci inevitabile che provare inutilmente a respingere l’immigrazione e a sigillare le frontiere sia piú importante che porre rimedio al disordine economico e alle crescenti disparità sociali. Muovendosi fra i ricordi personali e la riflessione politica, fra la letteratura e la cronaca, Hamid guarda al mondo che ci circonda con gli occhi di uno scrittore cresciuto fra il Pakistan e gli Stati Uniti, vissuto a Londra e tornato di recente ad abitare a Lahore. E leggendolo noi scopriamo che forse è possibile liberarsi dal giogo del depistaggio, e «mettersi insieme per inventare un mondo post-civiltà, e quindi infinitamente piú civile».

Semplicemente Mohsin Hamid

Coloro che ci seguono, sanno del nostro debole per questo incredibile scrittore, uno dei pochi dei quali, siamo lieti di dirlo, abbiamo tutti i libri. La sua scrittura è magica per la capacità di essere sempre dolce e poetica anche trattando di temi spesso molto forti. “Le civiltà del disagio”, in particolare, è il suo libro più intimo in assoluto. Hamid ci invita a fare un vero e proprio percorso nella sua vita, al fine di mostrarci davvero cosa voglia dire la globalizzazione. La raccolta è divisa in 3 parti, volte ad una conoscenza sempre più graduale, atta a comprendere davvero il più possibile lo scrittore. Si parte con “Vita”, poi “Arte” e infine “Politica”, un vero e proprio esperimento psicologico, volto a metterci nei panni degli altri.

Un giorno, lungo un esile ruscello in alta montagna, un monaco e un saggista si incontrarono e si misero a conversare. I minuti passavano mentre i due se ne stavano seduti alla presenza delle libellule. A un certo punto al saggista parve evidente che la visione della vita del monaco, in precario equilibrio su un fondamento fideistico, era pronta ad essere smontata.

Il saggista sviluppò l’argomentazione necessaria con estrema minuziosità, terminando con queste parole: “Dato che non hai nessuna prova, devo concludere che ciò in cui credi non è che una tua invenzione”. “E allora?”, ribatté il monaco, con un sorriso tanto ostinato quanto sereno. “E allora? E allora tutto. Sei un monaco!”. Il monaco si tirò su la tunica e immerse nell’acqua la parte superiore di un polpaccio dalla muscolatura possente. “Sono stato io ad inventare me stesso, -disse.- fino a ieri ero un velocista olimpionico”. Il saggista lo fissò incredulo. “Inventare – spiegò il monaco – è bene”.

Mohsin Hamid
Mohsin Hamid

Uno degli elementi centrali è infatti la possibilità di “reinventarsi”, in un mondo che comunque lo farà per noi. Nemmeno l’anziano, infatti, vivrà nello stesso paese di quando era un ragazzo. Dobbiamo distaccarci dal ragionare secondo schemi e vedere il mondo nel suo complesso.

Le civiltà incoraggiano il fiorire delle nostre ipocrisie. E così facendo minano alla base l’unica promessa plausibile della globalizzazione, ovvero che saremo tutti liberi di inventare noi stessi. Perché, esattamente, un musulmano non può essere europeo? Perché una persona non religiosa non può essere pachistana? Perché un uomo non può essere donna? Perché una persona gay non può essere sposata?

Bastardi. Spuri. Mezzosangue. Reietti. Devianti. Eretici. Le nostre parole per dire l’ibridità sono spesso ingiuriose. Non dovrebbe essere così. L’ibridità non è necessariamente il problema.Potrebbe essere la soluzione. L’ibridità significa qualcosa di più che mera mescolanza tra gruppi. L’ibridità rivela che i confini tra i gruppi sono falsi. È questo è fondamentale, perché la creatività nasce dall’eterogeneità, dal rifiuto di una purezza mortifera. Se non ci fosse che un unico essere umano, la nostra specie si estinguerebbe.

Uno strumento per la globalizzazione

Non ci stancheremo mai di lodare i lavori di Hamid e questo libro non fa eccezione. Lo abbiamo riaperto per fare l’articolo e ne siamo rimasti folgorati. In un mondo che ormai, volenti o nolenti, è globalizzato, questo libro rappresenta una bussola fatta di ricordi, piccoli pensieri che insieme formano un uomo. Lo scrittore infatti è chiaro più e più volte: siamo formati da un insieme di esperienze, accettare eterogeneità e globalizzazione è il primo passo per operare, davvero, un cambiamento nel mondo. Per farlo, Hamid vi trasporterà nella sua vita, passata fra Lahore, New York e Londra, quella di un cittadino del mondo. Magico, come tutti i suoi libri.

del 7 febbraio 2019
Articolo originale
dal blog Medio Oriente e Dintorni

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Le civiltà del disagio
Dispacci da Lahore, New York e Londra
di Mohsin Hamid
Editore: Einaudi, 2016, pp.180
Prezzo: € 19,50

EAN:9788806225100

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“Cani sciolti” di Muhammad Aladdin

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Un romanzo paragonabile a “Gli sdraiati” di Michele Serra, un nuovo modo di guardare alla gioventù egiziana autrice delle rivolte di Tahrir.

Cani sciolti

Per guadagnarsi da vivere, Ahmed fa lo scrittore di racconti pornografici per il sito odesk.com. Ahmed ha due cari amici: El-Loul, regista televisivo fallito, che si sta rilanciando nella carriera di sceneggiatore e manager di danzatrici del ventre “di serie C”, e Abdallah, il suo amico d’infanzia, tossicodipendente, di famiglia abbiente e menefreghista nei confronti della vita.Cani sciolti

Seguendo le vite di questi tre personaggi nelle intricate e vocianti strade cairote, nei locali notturni, nelle desert-road lontane dalla grande metropoli, il lettore ha uno sguardo su una parte della popolazione egiziana: i cosiddetti “cani sciolti”, giovani lontani dalla morale tradizionalista, liberi da ogni costrizione di natura sociale e abituati a cavarsela in ogni situazione. Sono i giovani che hanno dato vita alle proteste di piazza e anche quelli che erano in piazza al soldo dei governi, come teppisti e picchiatori.

Il nuovo Egitto

Se scrittori come Nagib Mahfuz e ‘Ala al Aswani sono sopratutto raffigurazione del ‘900 egiziano, Muhammad Aladdin rappresenta gli anni 2000 e lo scontro fra generazionale. I ragazzi di Aladdin appartengono al nuovo millennio e alla disillusione che sempre di più si è fatta strada nell’Egitto.

Cani sciolti
Muhammad Aladdin

Questa generazione assomiglia molto a quella de “Gli sdraiati” di Michele Serra: dei giovani più impegnati a passare il loro tempo, meglio se nella maniera più tranquilla possibile. Muhammad Aladdin è stato colui che per primo ha smascherato davanti all’Egitto i problemi che pensava di aver nascosto, esponendoli in tutta la loro violenza.

Generazione Mubarak

Nel romanzo appare anche evidente come questa mancanza di prospettiva si sia fatta sempre più evidente negli ultimi tempi, colpendo sopratutto le ultime generazioni. Se infatti con Nasser l’Egitto ebbe uno vero e proprio salto come civiltà araba, ciò non avvenne con i suoi successori.

Cani sciolti

Il governo Mubarak in particolare puntò molto sulla stabilizzazione della ricchezza creando una disperazione sociale sempre più forte e scoppiata poi a Tahrir. Un romanzo utile per capire il nuovo Egitto e il suo futuro.

Pubblicato 26 novembre 2018
Articolo originale
da Medio Oriente e Dintorni

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Cani sciolti
Muhammad Aladdin
Traduttore: Barbara Benini
Editore: Il Sirente, 2015, p. 105
Prezzo: € 15,00

EAN: 9788887847499

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Enigma Balcani

Recentemente il Kosovo ha deciso di dotarsi di un vero esercito e questo non contribuisce certo alla stabilità dei Balcani. Una ragione in più per leggere il secondo libro del generale Biagio Di Grazia, continuazione ideale di Kosava (1) . Ora, i libri scritti dai generali in congedo sono di due tipi: quelli scritti per scaricare sugli altri le proprie responsabilità dopo una deludente campagna militare e quelli dove finalmente si possono esprimere liberamente le proprie idee. La prima serie in genere comprende corposi volumi di memorie da leggere con cautela, mentre la seconda propone opere più raccolte, ma dense di avvenimenti e riflessioni. Il nostro generale può vantare una reale esperienza sul campo (2) e il suo libro, pubblicato prima in serbo e ora in italiano, rimanda a un periodo ormai rimosso, anche se sono passati neanche vent’anni da quando gli aerei della Nato bombardarono la Serbia per due mesi. Strana guerra, al punto che un giornale francese propose di edificare un monumento ai Zero Caduti alleati, mentre dall’altra parte morirono migliaia di persone sotto le bombe, più le successive vittime dell’inquinamento ambientale. L’Italia mise a disposizione ben 19 aeroporti e partecipò anche alle operazioni di bombardamento. E siccome la nostra ambasciata rimase sempre aperta, il nostro generale (all’epoca addetto militare a Belgrado) visse l’insolita esperienza di essere di fatto bombardato dai nostri Tornado, ufficialmente ricognitori fotografici.
Ma passiamo al libro. E’ diviso in sei capitoli (Il Nuovo Ordine Mondiale; Il cammino di crisi nei Balcani; Serbia e Kosovo; Le operazioni della Nato; Giochi di guerra; Sfida all’Occidente, più le Conclusioni) strutturati secondo una logica precisa: prima l’impostazione teorica, poi la precisa narrazione degli avvenimenti, completa di mappe e allegati. Se un testo è già stato utilizzato in pubblicazioni precedenti, è marcato in corsivo. La tesi principale è che, pur accettando la versione storica ufficiale e certificata dal Tribunale dell’Aja , ovvero un intervento umanitario per frenare i massacri delle minoranze, in un conflitto entrano sempre componenti strategiche, economiche e politiche di rado espresse in chiaro, né apertamente presentabili all’opinione pubblica. In altri tempi i nazionalisti identificavano il nemico e la propaganda faceva il resto, mentre ai militari era affidata la condotta delle operazioni. Oggi non è facile giustificare una guerra, spesso le motivazioni sono deboli; cosa significa p.es. intervento umanitario? E se poi le bombe cadono proprio sui civili che si vorrebbe difendere, cosa dire alla gente? Tenendo poi presente la povertà dei Balcani, le motivazioni economiche sembrano deboli a chi consuma energia senza chiedersi da dove viene e quali paesi attraversano oleodotti e gasdotti (3). E a questo punto il nostro generale ci aiuta a superare la narrazione corrente. Come in Kosava, i documenti ufficiali sono intercalati da testimonianze personali che rendono non solo chiaro il quadro generale, ma forniscono dettagli inediti e fondamentali: in sostanza, tutte le parti in causa sono state a turno vittime e carnefici, pronte a comportarsi come chi le aveva vessate il mese prima e altrettanto sprezzanti dei controlli esterni messi in atto dalla comunità internazionale, controlli peraltro inefficaci per motivi strutturali: negoziare senza un deterrente è arduo, e la Commissione Europea ECMM , di cui Di Grazia ha fatto parte, non aveva il potere per imporsi sulle parti. D’altro canto, Milosevic dopo la ritirata da Sarajevo (1996) non realizzò la debolezza della Serbia, riprovandoci in Kosovo e scatenando nel 1999 la reazione americana, con la NATO usata di nuovo in funzione offensiva e i paesi europei (Grecia esclusa) schierati dalla parte dei “buoni” (4). La Serbia subì in due mesi circa 600 missioni aeree al giorno, che ne distrussero l’infrastruttura militare, industriale ed economica; furono usate anche munizioni a uranio impoverito, che si sarebbero dimostrate letali anche per i soldati della missione KFOR NATO e alla fine naturalmente la guerra fu vinta (10 giugno 1999). Sicuramente Milosevic’ sopravvalutava le proprie forze e sperava in una guerriglia sul terreno, ma una minaccia esterna e le sanzioni in genere ricompattano la nazione invece di indebolirla. In più i Serbi stessi, come i Croati, sarebbero stati più tardi capaci di cambiare governo da soli, attraverso regolari elezioni democratiche, mandando in pensione le classi dirigenti nazionaliste che avevano spinto alla guerra civile. Ora, che la Jugoslavia sarebbe entrata in crisi una volta morto Tito(1980) lo sapevano tutti; solo che questa disgregazione fu data per inevitabile. L’Europa poteva aiutare la Federazione Jugoslava a entrare gradualmente nel contesto europeo, e invece Germania, Austria e Vaticano nel 1991 riconobbero subito la Slovenia e la Croazia. L’Italia invece non si mosse, nonostante il momento fosse favorevole per rinegoziare il Trattato di Osimo (1975), che tutto dava in cambio di niente. La Serbia si stupì del fatto che smontassimo in pochi mesi il dispositivo militare ai confini della Venezia Giulia, e ne approfittò per rifornire di uomini e armi le milizie che avrebbero combattuto una feroce guerra civile all’interno della Federazione, mentre l’ONU e la UE si dimostrarono incapaci di gestire il conflitto e proteggere le minoranze di turno dalla “pulizia etnica” (4)
Nel 1995 gli Stati Uniti entrano di peso nel conflitto mettendo in campo la NATO, ponendo fine dopo tre anni all’assedio di Sarajevo e convincendo le parti a negoziare l’accordo di Dayton (fine 1995). Come dice il nostro generale, divenuto nel frattempo responsabile della Commissione Militare Mista (JMC, Joint Military Commission) per Sarajevo (p.66, par.2.4), “il disegno cartografico del nuovo Stato era ben strano, ma risultò l’unico in grado di funzionare, almeno nell’immediato dopoguerra” . Questo non escludeva purtroppo né l’esodo delle minoranze dalle zone contese, né avrebbe stabilizzato la regione. La resa dei conti tra Serbi e Kosovari, fortemente sproporzionata a favore dei primi, inizia nel 1996 (il nostro generale nel 1997 è ora Osservatore OSCE) e nel 1999 provoca l’intervento diretto americano, preceduto da un ultimatum, che stranamente nessuno ha mai confrontato con quello analogo imposto alla Serbia nel 1914 dall’Impero austro-ungarico. Anche allora si imponevano alla sovranità nazionale limitazioni tali da risultare inaccettabili, dando pochissimo tempo per negoziare. E anche in quel caso prevalse l’orgoglio nazionale.
Le tappe della crisi sono nel libro descritte con precisione, sulla base di documenti ufficiali e di esperienze personali. Interessante la sua testimonianza da Belgrado, dove la nostra ambasciata rimaneva aperta e il nostro manteneva la delicata funzione di addetto militare. Difficile capire perché il nostro governo si mantenesse sul filo del rasoio, ma di fatto la nostra sede diplomatica poté mantenere discreti rapporti con tutte le parti, e saranno i documenti d’archivio a svelarci un giorno molti retroscena. L’autore onestamente si attiene a quello che ha visto, e ha visto molto: i bombardamenti, la dura vita della gente, la fine di Milosevic. Può anche muoversi con una certa libertà ed è testimone, p.es., del bombardamento dell’ambasciata cinese, avvenuto non certo per caso. Manda dispacci riservati, com’è prassi diplomatica, ma molte impressioni personali le terrà per sé, almeno finché sarà in servizio attivo. Ed ora può finalmente dire la sua: le basi giuridiche dell’intervento NATO erano deboli e l’uso della forza si è rivelato da subito sproporzionato. E dopo vent’anni cosa resta? Se l’Europa si è mossa in ordine sparso e secondo interessi nazionali, ma discutibile resta il ruolo degli Stati Uniti. E’ difficile stabilizzare i Balcani senza la Serbia, ma per piegarne la resistenza la strategia americana ha favorito la creazione a tavolino di piccoli stati nazionali privi di solide basi produttive: il Kosovo, ma anche la Macedonia e il Montenegro – roba da anni ’20 del secolo scorso – e in più ha incoraggiato la penetrazione islamista in piena Europa, la stessa che invece combatte altrove. Sono effetti collaterali sottovalutati, e c’è voluto Fausto Biloslavo per scoprire che la jihad si è così incistata in Bosnia e in Kosovo, nei piccoli centri lontani dalle città, fornendo in seguito foreign fighters a volontà. E in ogni caso il Kosovo resta un parente povero a carico della comunità internazionale, che mantiene truppe di interposizione (noi per primi) e finanzia il deficit di un paese povero, corrotto e sovrappopolato. Tenendo poi conto che gli irregolari dell’UCK sono poi confluiti automaticamente nelle forze di sicurezza interne, ora che saranno loro ad alimentare l’esercito regolare il futuro è gravido di nere nubi. Ma nel frattempo è cambiato lo scenario: il Nuovo Ordine Mondiale, predicato dal presidente George H.W. Bush padre, ormai è superato dalla ripresa della Russia e dall’ascesa della Cina. Era un concetto nato nell’800, misto di darwinismo ed etica religiosa, divenuto realizzabile solo alla fine della Guerra Fredda: una volta esclusa l’Unione Sovietica dalla competizione, gli Stati Uniti restavano l’unica superpotenza capace di regolare il mondo. Si trattava di mettere in sicurezza le fonti energetiche prodotte dai paesi del Golfo, di portare sotto l’egemonia americana sia gli stati satelliti dell’ex Unione Sovietica (perlomeno quelli europei) e di eliminare i c.d. paesi non allineati, ovvero la Jugoslavia di Tito. Saddam Hussein fu ridotto a più miti consigli, mentre la Polonia, le Repubbliche baltiche e la Repubblica Ceca addirittura entrarono nella NATO, l’ultima cosa che i Russi volevano e che tra l’altro neanche era nei patti. La NATO stessa è diventata una sorta di Kampfgruppe diviso per blocchi regionali e utilizzato per azioni offensive. Nel frattempo la Russia di Putin si è ripresa, l’Isis è ancora un problema e la Cina si avvia al confronto strategico con gli Stati Uniti. In più è evidente la discontinuità tra la gestione Trump e i decenni precedenti, marcati dopo il 1945 da un convinto atlantismo e dall’appoggio alla Germania. E’ un quadro geopolitico totalmente nuovo e Di Grazia lo fa giustamente notare, aggiornando l’analisi ai tempi attuali.

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Perché la NATO ha bombardato la Serbia nel 1999?
Generale Biagio di Grazia
Ilmiolibro.it (autoprodotto), 2018, pp. 170
Prezzo: 15 euro

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NOTE
1) Kosava. Vento di odio etnico nella ex Jugoslavia da Tito a Milosevic, 2016, recensito proprio in questa rivista (vedi)
2) A Zagabria, Capo Ufficio Operazioni della Missione Europea ECMM; a Sarajevo, Vice Comandante del Contingente Italiano nella Missione Nato IFOR; a Belgrado, Addetto alla Difesa dell’Ambasciata Italiana; a Mostar, Vice Comandante della Divisione Francese nella Missione Nato SFOR.
3) I corridoi paneuropei 5,8 e 10 passano per le zone dell’ex-Jugoslavia; in dettaglio, il 10 si interseca con l’8 a Skopje. L’8 prosegue per Tirana e quindi a Bari. Il corridoio 5 passa per Sarajevo, Ploce e congiunge il porto di Ancona.
4) Per pulizia etnica s’intende la pratica politica di trasformare una minoranza relativa in maggioranza assoluta tramite l’espulsione violenta dei diversi.
5) La Grecia giustificò la sua neutralità adducendo sacrosante affinità con la chiesa serba ortodossa e non nascondendo la sua ostilità all’Islam kosovaro.

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Kosava: il vento dei Balcani

I NOSTRI SOLDATI NEI BALCANI

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