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Allah, la Siria, Bashar e basta?

– di Christian Elia –
Vent’anni di vita custoditi in un racconto

Solo oggi, dopo più di sette anni, si iniziano a leggere testi che davvero riescono a riguardare ai fatti dell’insurrezione in Siria del 2011 contro il regime di Bashar al-Assad con la lente della complessità e della competenza.Non che prima non siano state scritte cose degne di nota, anzi, ma inizia a esserci la distanza naturale per uno sguardo complesso, profondo. Non è ancora un bilancio, perché se sul piano militare (eccezion fatta per la ridotta di Idlib e per alcune enclavi ribelli) gli alleati di Assad hanno vinto, su quello politico e delle conseguenze il caso Siria non ha per nulla finito di riguardare la regione.

Alberto Savioli, archeologo, è uno di quelli che le cose degne di nota le ha sempre scritte, ma la pubblicazione del suo libro Allah, la Siria, Bashar e basta?, edito da Biancaevolta, è una di quelle riflessioni importanti, che mette assieme gli anni di vita personale, professionale e della rivolta. Storie piccole e grandi, intrecci, che solo chi ha frequentato la Siria fin dalla fine degli anni Novanta può fare.

Perché uno dei prezzi salati che il racconto delle rivolte arabe ha pagato è quello di tanti, troppi, che solo dal 2011 hanno iniziato a occuparsi di Siria (quando non proprio di Medio Oriente in generale) e, anche ponendosi con le migliori intenzioni di fronte a questa catastrofe umanitaria senza precedenti, han finito per non avere gli strumenti per mettere i fatti in connessione.

Non c’è bisogno di pensare a coloro che, spesso in cattiva fede, ma anche in buona fede, hanno scelto di tifare per una parte o per l’altra; bastano coloro che hanno ritenuto di potersi fare un’opinione guardando alle conseguenze di un processo politico, culturale, economico, storico che ha le sue radici – per certi versi – nel collasso dell’Impero Ottomano.

A Savioli si deve riconoscere l’onestà intellettuale e la curiosità, di chi ha vissuto per anni la vita quiotidiana di quell’inganno per i visitatori che è stata la Siria per molti anni. Inganno al quale anche Savioli non finge di non aver creduto. Eppure di inganno si trattava. 

Solo chi ha frequentato la Siria poteva conoscere quella ‘repubblica della paura’ dove oltre quindici agenzie di intelligence si spartivano il mercato della morte, della tortura, della delazione. Il cui nume tutelare è il criminale di guerra nazista Alois Brunner, ospitato e protetto dal regime a Damasco fino alla sua morte.

Un viaggio che, da professionale e personale, diventa storico. Passando per le tappe chiave della storia recente del Medio Oriente. Da quelle globali, note a tutti, come l’11 settembre 2001 e la guerra al terrorismo, passando per l’invasione dell’Iraq del 2003 e l’omicidio di Rafik Hariri a Beirut nel 2005.

Ma passando anche per la grande siccità che dal 2005 al 2008 ha lasciato senza sostentamento masse contadine che si riversavano nelle grandi città, per le liberalizzazioni scellerate in economia dell’idolo dei rossobruni anticapitalisti: il dottor Assad.

Ad una narrazione ‘alta’, Savioli accompagna sempre un vissuto fatto di comunità beduine, piccoli villaggi, pastori e contadini. Un osservatorio privilegiato di quella crisi economica che, negli ultimi anni prima della rivolta, si è saldata alla violenza come sistema di governo di Assad padre prima e di Assad figlio dopo.

Della Siria non puoi capire nulla se non conosci le speranze della società civile al momento dell’elezione di Bashar al posto del defunto padre, che invece (il grande amico della Palestina) aveva massacrato 3mila profughi palestinesi in Libano, nel campo di Tall’Zatar in Libano – solo per stroncare l’influenza politica di Arafat – nel 1979, o che aveva massacrato non meno di 40mila civili a Homs, per punire la rivolta islamista, in un decennio che portò a scomparire nel nulla circa 17mila persone.

Il figlio, giovane, educato in Occidente, aveva rappresentato una speranza. Il Manifesto dei 99, che chiedeva solo la fine dello stato di emergenza e libertà civili e politiche, stroncato con arresti e botte. E il giovane Assad, campione del laicismo per molti sui ammiratori, è al timone mentre lo stato profondo siriano, nella persona di Alì Mamlouk, organizza i viaggi in Iraq dei combattenti.

Il campione degli anti-imperialisti che, nel 2005, dopo Hariri, fa assassinare l’intellettuale Samir Kassir a Beirut e molti altri, per non perdere l’influenza siriana sul Libano. O che arma nel 2007 Fath al-Islam, il gruppo di Shaker al-Absi, giordano palestinese detenuto in Siria fino al 2005 e poi mandato nel campo profughi di Nahr al-Barid per destabilizzare il Libano.

E non lo dice Savioli, o qualche think tank di Washington, ma Abd al-Halim Khaddam, ex vicepresidente siriano, o il generale Manaf Tlas, alto papavero militare del regime.

Una storia lunga, che ricorda quella di tanti attori regionali, che con il fondamentalismo hanno giocato a seconda dell’agenda politica, senza volutamente pensare alle conseguenze.

Savioli, con la precisione di chi è abituato a maneggiare nomi e date, mette assieme. Mette assieme la figura di Abu al-Qa’qa’, una di quelle figure di islamista radicale passato dalle carceri di Saydnaya, Tadmur (Palmira), Mazza, Adra, per poi essere ritirato fuori quando faceva comodo.

Perché questo regime, campione del laicismo, ha lasciato andare tra il 2011 e il 2012 tanti di quelli che poi sarebbero diventati i ‘tagliagole’ che l’Occidente ha accettato di combattere sulla pelle di persone che nessuno vi racconta.

Mazin Darwish, Michel Kilo, Riyad al-Turk, Mash al-Tammu, Burhan Ghalyun, Anwar al-Bunni, il dentista Ahmad Tu’mi, il fisico Fida’ al-Hurani, lo scultore Talal Abu Dan, Alì Ferzat, vignettista satirico, il cantante Ibrahim Qashush, Yahya Sharbaji ,Gghiyath Matar, Muhammed Dibu, Abu Maryam, Abdulla Yasin e i ragazzi di Raqqa is being Slaughtered Silently, come Raqayya Hasan, Razan Zaytuna.

Il regime aveva loro come veri nemici. Le anime disarmate della rivolta che, come lo stesso Assad ha ammesso più volte, più o meno fino alla fine del 2011 è rimasta non violenta e che anche dopo ha provato forme di autogoverno e di democrazia, ha provato a lottare contro Daesh e gli altri.

A Savioli va il merito di aver aggiunto, grazie al suo percorso, un’analisi attenta del fattore beduino nella storia di una frontiera che esiste solo nei disegni coloniali prima e nazionalisti poi. Di aver raccontato, da testimone diretto, gli effetti della siccità e della scriteriata politica economica di Assad, senza mai cadere in descrizioni edulcorate o innamorate dell’una o dell’altra parte.

Ma anche e soprattutto, a Savioli, va il merito di aver tenuto memoria delle storie di chi ha solo inseguito un sogno, per non dimenticarli e per non ucciderli di nuovo, per non lasciare al regime anche la possibilità di riscrivere la storia.

Pubblicato 26 luglio 2018
Articolo originale
dal Q Code Mag

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Allah, la Siria, Bashar e basta?
Alberto Savioli
Editore: Bianca e Volta, 2018, pp. 680
Prezzo: € 18,00

EAN: 9788896400395

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Mentre a Troia entravano col Cavallo…

Un titolo più chiaro di così non si poteva trovare per questa recensione sul romanzo “La casa dei nomi” di Colm Tòibìn, il riferimento è chiaro e ne consegue che di quello si parlerà.
Quindi, mentre a Troia entravano col Cavallo cosa faceva a Micene la regina Clitennestra, moglie di Agamennone?
Chi conosce la mitologia sa cosa fece Agamennone per avere il favore degli dei e far girare il vento a suo favore, per chi invece non conosce bene questa storia diciamo solo che egli fu costretto a sacrificare la figlia Ifigenia. A quanto pare però, e anche questo fa parte del mito, la moglie Clitennestra non la prese bene, tant’è che al suo ritorno dalla guerra lo accolse con un coltello nascosto nell’ombra.
A darle man forte c’era l’amante Egisto, che le fu accanto mentre il marito era lontano e con cui costruì un legame tanto amoroso quanto assassino, legame che le permise di tenere lontano gli altri due figli Oreste ed Elettra al momento dell’uccisione.
E qui finisce il mito ed inizia il romanzo perché, seppur tutti i personaggi finora menzionati facevano realmente parte della storia, tutti gli altri e tutti gli avvenimenti raccontati sono tendenzialmente inventati o, forse, liberamente ispirati.
Oreste fu infatti allontanato dal palazzo durante l’assassinio del padre e su ciò che gli successe poi l’autore costruisce una storia verosimile che va poi a ricongiungersi col suo rientro a Micene fino ai fatti ripresi nel mito.
A differenza del poema omerico dove molti dei gesti compiuti da Oreste vanno interpretati, quanto qui narrato mette bene in chiaro le sue responsabilità dal momento del suo rientro a palazzo in poi, e lo stesso vale per Clitennestra ed Elettra.
Quali erano i pensieri dei tre? Quali le loro inclinazioni? Erano manipolati o manipolatori? Questo e molto altro viene allestito tra le pagine di questo libro, dove però vien da chiedersi alla fine: Chi sono i veri protagonisti? Loro o i volti, i nomi e i segreti che si nascondevano e si tramandavano tra le mura di quel palazzo?
La lettura è breve e scorrevole, con un ritmo sostenuto caratterizzato anche da numerosi colpi di scena, la narrazione è in terza persona ma si alterna tra le vicende dei tre protagonisti.
Il fascino dei costumi e delle usanze viene forse un po’ meno per dare più spazio ai viaggi introspettivi dei personaggi e per sottolineare maggiormente i fatti narrati, questa mancanza però non va per nulla ad intaccare una trama solida e ben definita.
Colm Tòibìn è un noto scrittore irlandese autore di numerose opere, molte delle quali pubblicate anche in Italia. In questo romanzo come in quelli passati sono evidenti i tratti omosessuali dei suoi personaggi, segno del suo appoggio al mondo LGBT di cui fa parte. Ancora una volta però, lo fa in modo del tutto naturale in linea con il suo intento di dimostrare che di normalità si tratta, ragion per cui è del tutto normale che questo romanzo abbia tutte le carte in tavola per piacere.

Alessandro Borghesan

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La casa dei nomi
Colm Tóibín
Traduttore: G. Granato
Editore: Einaudi, 2018, pp. 261

EAN: 9788806235789

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Parole di Musica

CB Libri c'era una volta l'amore«C’era una volta l’amore ma ho dovuto ammazzarlo» di E. Medina Reyes non è un romanzo ma un long play alla stregua di quelli registrati dai Sex Pistol o dai Nirvana in cui le note sono sostituite da parole gridate, dissacranti, lanciate con il ritmo frenetico e cadenzato, non da una penna ma dalla mitragliatrice nelle mani di un anarchico. Seppur nella finzione letteraria l’autore riesce a far traboccare di vita i suoi personaggi: essi non sono costruiti come nella “letteratura letteraria ( … ) rigidi e deambulano per la trama come vasetti di conserva sul nastro strasportatore di una fabbrica” cioè se “sono buoni e cattivi allo stesso tempo – hanno un modo inequivocabile di esserlo”. Nel protagonista ci sono tutte le contraddizioni che potrebbe avere un essere umano se si permettesse di ammetterle, e se ovviamente riuscisse ad esprimerle alla maniera di Kurt o di Vicius. Il protagonista si presenta subito: “Mi chiamo Rep, diminutivo di Reptil (…) Sono alto un metro e ottantatrè peso ottantuno chili (…), ho gli occhi neri e infossati che paiono due canne di fucile pronte a sparare, la bocca sensuale e una verga di 25 centimetri nei giorni più caldi”.

Rep si muove tra Bogotà e la Città Immobile; Rep ha un occhio sempre rivolto a New York, città alla quale sente di appartenere e alle star che ama. In “C’era una volta l’amore ma ho dovuto ammazzarlo” E. Medina Reyes in meno di 200 pagine parla del rimpianto amore di Rep per “una certa ragazza” e della sua vita inquieta e stretta nel suo paese e del suo di sentire che il lettore potrebbe banalizzare o stigmatizzare. E perché, no? In fondo, come esprime l’autore, i media per comunicare la morte di Kurt al pubblico ha fornito stupide interviste dalle quali trarre solo il rotocalco drammatico delle possibili cause delle fine prematura dell’artista. Personaggi di un romanzo o uomini fatti star che vengono trasformati in personaggi. Indagare più a fondo vuol dire superare il limite di quella superficie che per il mondo non avrebbe senso: in fondo “nessun mondo sarà sommerso da lacrime che non abbiamo mai visto scendere per un dolore che mai nessuno ha condiviso”.

Sentimenti concreti e reali espressi in una maniera semplice portano il lettore che naviga nella trama grunge ad assaporare momenti unici di profondità e poesia. La chitarra invisibile di Kurt, il percepire dell’artista in “bilico su un sottile steccato” che lo isola nel suo percepire e vivere il quotidiano. Ma l’autore incita: “Come as you are” vieni come sei, mettiti a nudo, fottitene del resto e lì comprenderai l’esistenza: “il peggior delitto è fingere”.

“Per vedere le mie cicatrici e ascoltare il mio cuore bisogna pagare il biglietto (…)” da qui lo splendido romanzo: acquistatelo, ma per favore leggetelo anche con il vostro occhio invisibile.

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C’era una volta l’amore ma ho dovuto ammazzarlo
(Musica dei Sex Pistols e dei Nirvana)
di Efraim Medina Reyes
Traduttore: G. Maneri
Editore: Feltrinelli, 2008, pp. 173

EAN:9788807720475

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https://www.youtube.com/watch?v=bucVwI0RfEg
https://www.youtube.com/watch?v=1G8V6ta9Auk&start_radio=1&list=RD1G8V6ta9Auk&t=0

Digitale analogico materiale

Ascoltando un commentatore radiofonico stamane risento una importante considerazione da me ribadita già da un bel po’. Naturalmente si riparla del digitale, della rete o come volete chiamarla: già dissi come fosse un sorprendente paradosso che una odierna tecnologia stellare mettesse (come mai nella storia dell’umanità) a disposizione di chiunque e con estrema facilità una infinità di possibilità, informazioni, approfondimenti, ricerche, nozioni e commenti, insomma di cultura, e dall’altra che questa preziosa disponibilità non fosse affatto fruita dalla stragrande parte dei cultori della rete.

Come avere a disposizione una biblioteca planetaria di cui poi pochissimi ne approfittano. Diciamola tutta: il livello culturale con queste straordinarie sollecitazioni si è evoluto?.. No, affatto. E’ la rivincita del libro? E’ il trionfo della superficialità e della stupidità? E’ come avere le chiavi di una Ferrari e usarla solo per fare il giro dell’isolato!

Vedendo il traffico enorme delle comunicazioni inutili, volgari e delle risibili infinite sciocchezze e constatando (anche da interviste, risposte assurde anche a semplici quesiti e ridicoli commenti della cosiddetta gente comune) la bassissima, come non mai, qualità culturale che ci circonda, ci viene da chiedere perché questo accada.

A che serve la conoscenza a portata di tutti se poi il palazzo del sapere rimane deserto?… Sì, è la rivincita del libro, ma ahimè sempre per pochi.

LMB Libri Digitale analogico e materiale cover****************************

Reader, Come Home

Maryanne Wolf

Harper Collins, 2018, pp. 272
Prezzo: 24,99$

A fine settembre in italiano per l’edizioni Vita e Pensiero

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Digitare la conoscenza

Biblioteche: La carta in Rete

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Il futuro della democrazia

“Dove manca il ‘capitale sociale’, dove l’integrazione e l’impegno dei cittadini nelle formazioni sociali volontaristiche è debole, manca la cultura politica necessaria alla democrazia”.

 Questo piccolo libro di scienze politiche raccoglie i contributi di un convegno svolto nel 2009, ma sembra scritto in un’altra epoca e la lunga prefazione di Gianfranco Fini fa rimpiangere quella Destra laureata capace di portare avanti una politica nel rispetto della Costituzione. Il convegno fu un’occasione per conoscere il pensiero dei teorici di cultura germanica, e a organizzarlo presso Como furono la Fondazione Farefuturo (leggi: Fini) e la Konrad Adenauer Stiftung, che ha all’attivo almeno una trentina di opere pubblicate in italiano. I contributi di questo convegno hanno il testo tedesco a fronte e recano le firme di Hans Jorg Henneke (relazione introduttiva): Dietmar Helper (il futuro della democrazia – osservazioni e diagnosi dall’ottica austriaca); Markus Krienke (Democrazia e religione); Agoston Samuel Mraz (Sulla democrazia in Ungheria). Forse pochi conoscono questi studiosi, come è difficile che conoscano le opere di Hans-Peter Schwarz – citato nel convegno a p.37 – visto che nessuna delle oltre sue cinquanta monografie è mai stata tradotta in italiano, il che dimostra quanta strada c’è ancora da fare per l’integrazione europea.

Molti e pregnanti gli argomenti trattati: il limite della rappresentatività dei partiti politici tradizionali, le forme di partecipazione diretta, le varie forme di legge elettorale, il ritardo delle istituzioni rispetto alle esigenze sociali, la democrazia parlamentare e quella presidenziale, gli strumenti della democrazia deliberativa e soprattutto lo sviluppo delle istituzioni indipendenti nella costruzione e gestione della democrazia. Notare che all’epoca ancora non si parlava di democrazia diretta e non erano esplosi i social come nuovo mezzo di espressione e pressione politica. Nessuno avrebbe previsto che Facebook potesse diventar anche un’agenzia stampa governativa e che il presidente degli USA usasse i Tweet come ufficio stampa della Casa Bianca.

Interessanti poi i due contributi, austriaco e ungherese, soprattutto alla luce di quanto avviene oggi. Per l’Austria si nota il tentativo di riformare strutture che nel corso del tempo non hanno saputo rinnovarsi, complice anche il sistema proporzionale. Per l’Ungheria invece il contrario: le strutture della democrazia hanno una ventina d’anni e non si sono ancora stabilizzate. E quello che vediamo oggi con Orbàn, al centro del potere c’è il Presidente dei Ministri, che se viene sostenuto dalla maggioranza di Governo (almeno 194 dei 386 parlamentari) non c’è nessun’altra istituzione che possa limitarne il potere. E infatti si è visto.

MP Libri Il futuro della democrazia

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Il futuro della democrazia
Ediz. italiana e tedesca Vol. 5
di Mario Ciampi, Wilhelm Staudacher

Prezzo: € 10,00
Editore: Rubbettino, 2009, pp, 115

EAN:9788849828658

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Magazine di Spunti & Riflessioni sugli accadimenti culturali e sociali per confrontarsi e crescere con gli Altri con delle rubriche dedicate a: Roma che vivi e desideri – Oltre Roma che va verso il Mediterranea e Oltre l’Occidente, nel Mondo LatinoAmericano e informando sui Percorsi Italiani – Altri di Noi – Multimedialità tra Fotografia e Video, Mostre & Musei, Musica e Cinema, Danza e Teatro Scaffale – Bei Gesti