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Gangs of New… Laven

Come avrete notato il titolo rimanda al famoso film di Martin Scorsese, a sua volta tratto dal libro di Herbert Asbury, “Le gang di New York: una storia informale della malavita”. Citazione non casuale questa perchè è lo stesso Jon Skovron, autore del libro qui recensito, a citare il romanzo New Yorkese nei ringraziamenti.
Andando con ordine però iniziamo col dire che, a differenza del film e della storia di New York, il romanzo di Skovron intitolato “Il potere e la vendetta” è un cento per cento fantasy condito da pirati, stregoni, esseri abominevoli, sacerdoti guerrieri e chi più ne ha più ne metta. L’ambientazione poi è ovviamente immaginaria e senza tempo. Cosa c’è in comune allora con “Gangs of New York”? Bè… le Gangs appunto. In questo immaginario luogo chiamato New Laven dove è ambientata gran pare della storia, la legge se la fanno le varie Gangs che lo abiatano, da Quartiere Paradiso a Capo Martello tanto per citarne due. Ed è in mezzo a questa lotta tra gang che si incontrano i protagonisti del romanzo, Red e Hope, il primo noto come il più famoso ladro di Quartiere Paradiso, la seconda è invece una formidabile guerriera in cerca di vendetta. Vendetta contro chi? Ovviamente contro gli stregoni cattivi chiamati Biomanti che, al soldo dell’impero, si divertono a sterminare interi villaggi (tra cui quello di Hope) alla ricerca di un’arma segreta. Arma segreta? Certo, perché l’autore per non farci mancare nulla ha messo in sottofondo una misteriosa minaccia proveniente da chissà dove, anticipata ma mai spiegata, che probabilmente sarà protagonista dei prossimi due seguiti. Avete capito bene, trattasi di trilogia, la buona notizia però è che entrambi i romanzi successivi al presente sono già scritti e pubblicati in terra d’autore, si tratta quindi di aspettare traduzione e pubblicazione italiana da parte, presumibilmente, dalla stessa casa editrice Armenia che ha curato l’edizione di “Il potere e la vendetta”.
Entrando nello specifico del romanzo iniziamo col dire che, nell’ormai vastissimo panorama fantasy editoriale, è sempre piacevole trovare nuove storie con contenuti diversi e dai ritmi sostenuti, una di quelle storie dove “una pagina tira l’altra”. Sarà il caratteristico lessico inventato dall’autore di cui tra poco parleremo, saranno le avventure piratesche che hanno sempre il loro fascino, o saranno forse questi luoghi ben descritti tali da trascinare il lettore tra le vie malfamate di New Laven, insomma, con un po’ di tutto Skovron è riuscito a dare vita ad un interessante universo.
Come avrete capito la storia non si ferma mai, ed è anzi fatta di storie nella storia perché se è chiaro quale sia il fine del racconto, sono altresì belle le vicende che, prese singolarmente si susseguono collegandosi l’una con l’altra, partendo dalle storie individuali di Red e Hope fino al loro congiungimento, per proseguire poi verso un primo epilogo che apre le porte alla vera e propria lotta contro l’impero.
Si parlava del lessico perché, con tanto di vocabolario a fine racconto, l’autore ha pensato bene di inventare un modo tutto loro di parlare dei personaggi che, tra Vag, Pat, Tom, Molly, Voltolare, Pisc’inferno e chi più ne ha più ne metta, riesce anche a strappare sorrisi per il modo in cui utilizza queste parole. Val la pena di sottolineare che dopo poche pagine il vocabolario serve a ben poco perché i contesti parlano e spiegano da sé il senso di ogni parola.
Non meno interessanti dei due protagonisti sono i personaggi di contorno che si uniscono ai due nella loro imprese disperate, trai quali si evidenzia Sadie La Capra, citata anch’essa nei ringraziamenti per una presunta reale esistenza.
“Il potere e la vendetta” è un libro corposo con le sue 500 e passa pagine che scorrono veloci in capitoli abbastanza brevi e ben inframezzati dai cambi di scena. Forse non sarebbe stata malvagia come idea quella di lasciare come titolo il suo originale “Hope and Red”, ma è appunto solo un’idea che non va per nulla ad intaccare il buon prodotto finale.
Jon Skovron è nuovo sul mercato editoriale italiano ma non su quello americano, suo paese d’origine, dove ha già pubblicato in passato alcuni romanzi per ragazzi. Sarà il tempo a dirci se anche qua riuscirà a raccogliere il suo seguito, l’inizio sembra promettente.

Non fosse che… Oltretutto… Un bel giorno poi…

Correva l’anno 2008 e la casa editrice Fanucci lanciava sul mercato un romanzo intitolato “Il nome del vento” scritto dall’autore statunitense Patrick Rothfuss, primo capitolo della trilogia “Le cronache dell’assassino del re”. Un ottimo romanzo, corposo, ben strutturato, accolto positivamente dalla critica e dagli esperti del settore.
Il libro in chiave fantasy narra in flashback le vicende del giovane Kvothe, ora celato sotto le false vesti del taverniere Kote, il cui passato nasconde ben più di quel che il suo aspetto lascia credere.
Figlio di artisti nomadi e con ottima predisposizione all’apprendimento, Kvothe rimane orfano a causa dello sterminio della sua famiglia avvenuto per mano di oscuri e misteriosi esseri, i Chandrian.
Deciso più che mai a vendicarsi il giovane protagonista trova sulla sua strada un mentore che lo inizia alle arti “simpatiche”, una sorta di magia legata alla scienza. Da lì all’accademia il passo è breve e, passati i test di ingresso, Kvothe inizia la sua vita da studente poco modello, tra compagni altezzosi, professori diffidenti e amori mancati che, complice il suo carattere irruento, rendono non poco difficoltoso il suo percorso.
Le sue avventure dentro e fuori dall’accademia scorrono veloci tra le pagine, dove l’autore mette in mostra le sue ottime doti di narratore e il racconto si chiude lasciando presagire dei seguiti ancor più avvincenti.
Passano tre anni e nel 2011 Fanucci pubblica il secondo romanzo intitolato “La paura del saggio”, più lungo del precedente ma ancor più ricco ed avvincente, con Kvothe al suo secondo anno di accademia che viene allontanato a causa di gravi comportamenti che hanno messo in discussione la sua posizione. Il protagonista si ritrova alla corte di un ricco signore dove pian piano riesce a ritagliarsi un ruolo di spicco nell’ambiente, arrivando a svolgere anche importanti missioni. È nel corso di una di queste che incontra una dama del bosco che per un tempo indefinito lo trasporta in un mondo magico finché, ripresosi dal torpore insinuato dalla magia, riesce a tornare in sé per proseguire il suo percorso, ricco di ulteriori colpi di scena fino all’ultima pagina.
Arrivati a questo punto e grazie allo stile coinvolgente di Rothfuss, l’attesa per il terzo ed ultimo romanzo si preannuncia dura da sopportare e non resta che aspettare, con la speranza che il tempo scorra velocemente.
Le recensioni dei più esperti parlano chiaro, questa serie ha tutte le carte in tavola per ottenere un gran successo, tanto da venire paragonata alla saga di Harry Potter con tanto di possibile trasposizione televisiva o cinematografica, non fosse che…

Non fosse che passano uno, due, tre, quattro, cinque, sei e ormai sette anni ma del terzo romanzo non c’è traccia, se non qualche speculazione sul titolo prontamente smentita dall’autore. Capite? Neanche un titolo, chissà se almeno una storia… Rothfuss non ne fa parola da nessun parte, nessuna anticipazione né sul suo sito, né sui social, addirittura arriva a chiedere di non fare domande in merito. Morale? Molti pensano che il terzo libro mai arriverà e giunti a questo punto è un pensiero più che comprensibile. Oltretutto…
Oltretutto alzi la mano chi si ricorda per filo e per segno gli altri due romanzi!

Un bel giorno poi… Un bel giorno poi (2016) Mondadori salta fuori con la riedizione del primo romanzo passato sotto le sue grinfie, seguito a ruota a ottobre 2017 dal secondo romanzo. Al che sorge spontanea una domanda… Mondadori sa qualcosa che noi non sappiamo? È forse in arrivo un terzo romanzo? Dall’America nessuna notizia e nessun indizio.
Risposta: per non rischiare meglio non comprarne nessuno dei due perché, per quanto belli, il rischio che l’elenco dei lettori delusi si allunghi è alto. Consiglio: prendete nota e state all’erta, dovesse uscire il terzo sarà quello il momento giusto per comprarli tutti e tre. Fino ad allora potete unirvi anche voi al coro di voci che sui social dell’autore spinge per avere risposte e, soprattutto, pagine!

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Serie: Le cronache dell’assassino del re
(The Kingkiller Chronicles)
Autore: Patrick Rothfuss
Editore: Fanucci, 2008/2011 – Mondadori, 2016/2017

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Meglio soli che…

Trovi un romanzo intitolato “La solitudine del ghiaccio” e pensi di leggere un libro ambientato in luoghi come la Groenlandia, o l’Alaska magari. Invece no, l’ambientazione spazia ampiamente, partendo da Vancouver, per poi andare in montagna tra la neve, in una riserva naturale e perfino in mare, nell’oceano; di ghiaccio insomma, molto ma molto poco.
Al che torni al titolo e ti chiedi: “Ma quindi dove sta questa fredda solitudine?”.
La risposta, o le risposte, stanno tutte nella protagonista di questa storia che è anche la narratrice, Nora Watts, quarantenne, receptionist e assistente di un giornalista e di un investigatore privato che condividono lo stesso studio. Segni particolari: lineamenti da nativa americana il cui aspetto insignificante la rende invisibile agli occhi della gente, o almeno lei lo crede.
Per come si racconta fin dall’inizio si capisce da subito che la protagonista è l’emblema della solitudine, tale status le appartiene completamente salvo la strana compagnia del suo cane, altro personaggio molto interessante. Pagina dopo pagina diviene sempre più evidente che passato e presente si fondono in questa condizione che sempre ha afflitto Nora, abbandonata dalla madre, con un padre defunto e rifiutata dalla sorella. Non dimentichiamoci però della figlia data in affidamento subito dopo la nascita, anche perchè quest’ultimo fattore è quello intorno a cui gira tutto il romanzo, del resto si sa, il passato torna sempre a bussare alla tua porta e quando lo fa per dirti che tua figlia è scomparsa la questione diventa seria, soprattutto se a farlo sono i genitori che l’hanno adottata e cresciuta.
Da quel che inizialmente può sembrare un caso di scomparsa per problemi in famiglia, la situazione inizia a ingigantirsi quando saltano fuori società di sicurezza e investigazione privata, industrie di estrazione mineraria e, peggio di tutto, giornalisti assassinati.
La storia di Nora è triste e lei non risparmia i dettagli nel raccontarla e il più importante di questi, lo stupro subito da giovane, è il filo conduttore di tutta la storia, è la genesi di una ricerca che ha riportato i genitori adottivi a lei, i rapitori alla figlia e i mandanti a entrambe. Il romanzo è talmente ben scritto che sarebbe un peccato anticipare qui tutti i motivi che hanno portato la protagonista ad adottare quel suo stile di vita, così come i punti di forza su cui l’autrice ha costruito la trama.
Eh già c’è anche un autrice, ma è stata talmente convincente nel raccontare la storia che alla fine Nora sembra reale, rendendo il romanzo quasi autobiografico.
L’autrice si chiama Sheena Kamal ed è al suo debutto editoriale. Nata ai Caraibi e cresciuta in Canada la scrittrice ha lavorato come giornalista investigativa, il che rende chiare le tematiche scelte nel suo romanzo così come è evidente tra le righe il suo attivismo in favore dei senzatetto. Ebbene sì, nel passato della protagonista c’è anche quello.
Come vedete di cose da leggere ce ne sono tante nelle pagine di questo romanzo dall’aspetto noir e avvolto in una cupa atmosfera che riesce comunque a strappare anche qualche sorriso. Il carattere della protagonista è tutto fuorché amorevole, eppure riesce a suo modo a farsi apprezzare, complice forse la narrazione in prima persona.
Ci sono ovviamente anche altri personaggi che accompagnano Nora nella sua vicenda ma elencarli qua non ha senso. Meglio scoprire pagina per pagina chi sono i suoi datori di lavoro, il suo sponsor, sua figlia, i buoni e i cattivi.
Rimane da capire dove collocare la parola “ghiaccio” che tanto colpisce nel titolo… Buona lettura.

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Titolo: La solitudine del ghiaccio
Titolo originale: The lost ones
Autrice: Sheena Kamal
Traduttore: S. Arieti

Editore: HarperCollins Italia, 2017, pp. 379

ISBN-10: 8869052648
ISBN-13: 9788869052644

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Campo de’ Fiori: La Movida (2)

Una sera a casa di amici, ormai quasi tutti in età di pensione. Ognuno di noi abita all’altro capo di Roma – ma è ancora Roma? – e ogni tanto si organizza una rimpatriata; ormai i figli son grandi e vanno per conto loro. Stasera anche gente nuova, un paio di amiche di un’amica di mia moglie. Si chiacchiera, si commenta la cronaca. Si parla anche dei due carabinieri coglioni che a Firenze si sono approfittati delle due studentesse americane ubriache. Questa signora si ricorda pure di aver sentito da un’amica la storia di due ragazze canadesi che trent’anni anni prima si erano fatte sbattere a una festa da qualche parte a Campo de’ Fiori. E qui drizzo le orecchie: al Campo ci ho vissuto per anni prima di sposarmi. In più, sapendo bene l’inglese, ho spesso lavorato proprio con studenti americani. Brutta storia: le avevano fatte bere o molto probabilmente quelle avevano alzato il gomito da sole, ma c’era pure qualche canna di mezzo. La voce narrante quella serata se la ricordava benissimo: sul tardi era sconfinata in un “mezzo” stupro. Anche lei aveva bevuto, ma certo meno delle due straniere. Tanto per capirci, in genere sono brave ragazze, spesso figlie di professionisti, ma quando arrivano in Italia scoprono che possono bere tutto l’alcool che vogliono a qualsiasi ora e in qualsiasi quantità, col risultato di mettersi spesso nei guai.

E quella sera da Jane si era bevuto: sangrìa per la precisione, ma fatta in casa sul momento, quindi mescolando senza controllo. Jane era una brava giornalista inglese che viveva dietro ai Giubbonari, in un appartamento a stanzoni dove transitava di tutto: ospiti, amanti, più i colleghi della stampa estera. Di quella sera ricordo anche un paio di canne: se le passava un gruppo sbracato sul divano, mentre uno di noi cambiava i dischi. Quanto alle due canadesi, una delle due di certo si era già appartata con il fico di turno, li avevamo visti andare verso un’altra stanza. Ma l’amico non aveva perso tempo: afferrata per un braccio l’altra ragazza mentre era seduta a chiacchierare con uno studente italiano, la invitava a seguirlo. Quella non oppose resistenza, sia perché mezza ubriaca, sia per non lasciare l’amica da sola. Sparirono quindi nella stanza di cui sopra e chiusero la porta. Si sentivano voci e rumori, ma nessuno ci badava, complice anche un disco dei Led Zeppelin a volume alto. Chi raccontava questa storia ancora ricordava la faccia dell’italiano rimasto di merda quando gli avevano soffiato la “sua” canadese. Si ricordava persino i nomi. Anne era quella salita per prima, Juliette era invece quella sfilata sotto il naso allo studente. I due compari erano rimorchiatori navigati, lui sapeva parlar francese ma era troppo timido per farcela. Ovvero, forse gli poteva pure andar bene se non fosse salita altra gente, il che era improbabile: all’epoca gli stranieri residenti al Campo e a Trastevere – soprattutto americani, inglesi e australiani – il dollaro era alto – ma anche tedeschi, olandesi e qualche sudamericano – avevano casa sempre aperta, era normale sentir suonare alla porta alle ore più disparate: amici di passaggio, italiani in caccia, cinematografari, mezzi giornalisti e scrittori, gente che andava a cena con gli amici o ne ritornava. A questa fauna si aggiungevano mezzi artisti e morti di fame vari, spesso fidanzati con straniere, chi per un mese, chi da anni. Quelli che avevano suonato alla porta erano i classici italiani che piacciono alle straniere: belli (per loro), simpatici e un po’ mascalzoni. Né sfuggiva a un osservatore esterno la profonda attrazione che certe ragazze provavano per quel tipo di uomini.

Quella storia e soprattutto i dettagli non li avevo mai raccontati a nessuno: il timido studente rimasto in bianco ovviamente ero io. Ormai non lego più con le americane, forse proprio perché ci ho lavorato per anni: sono superficiali e trovo insopportabile il loro modo di parlare sguaiato e tanto simile ai cartoni animati. Ma all’epoca stavo dietro alle straniere mie coetanee, senza badare al passaporto: erano più libere delle compagne di scuola, non è come adesso. Ma torniamo indietro: una volta sentite le urla al piano di sopra e il trambusto che ne seguiva – più che altro una gran piazzata – me la filai all’inglese, temendo che un vicino chiamasse la polizia o che le due ragazze denunciassero tutti quanti. Ricordo ancora la frase idiota di una che stava in salotto: “che vai via?”. Che se la vedessero tra di loro: ero più deluso che incazzato e ormai la cosa non mi riguardava. La mia uscita di scena non la notò nessuno: nel frattempo chi si era accoppiato, chi sentiva la musica, chi fumava. Del resto a quei tempi era normale che i gruppi fossero molto mobili, stavo per dire liquidi, anche se poi qualcuno metteva pure su famiglia, come un calabrese che tenacemente otteneva dal governo danese l’ennesima borsa di studio. Era regolarmente fidanzato con una ragazzona bionda e anche simpatica e so che in seguito hanno avuto due figli. Ma da quel giorno divenni prudente: evitai per qualche tempo quella casa né parlai mai con alcuno di quella serata. Juliette poi che andasse aff.. : con me faceva la sostenuta e poi si era fatta sbattere da un altro. Neanche mi venne in mente che quella sera era stata violentata. Per tanti anni ho anche cercato di immaginare il giorno in cui qualcuno avrebbe rievocato quella storia, e quella persona ora stava davanti a me. Quella notte dunque era presente pure lei ma ora non mi aveva riconosciuto: col tempo un uomo perde i capelli e si veste in modo diverso. Ma neanche lei era riconoscibile, salvo far caso al tono della voce e a certe sue movenze ormai fuori moda, ma tipiche dei nostri bei tempi. Delle due canadesi aveva perso anche lei le tracce: erano poi ripartite, si erano scritte un paio di lettere e poi basta, nessun contatto.

A questo punto incrocio lo sguardo di mia moglie: capisce che le avevo nascosto qualcosa. A casa faremo i conti, anzi già in macchina.

Cleopatra tra realtà e divinità (ma anche un po’ di fantasia)

Sentita e risentita, studiata e ristudiata, vista e rivista… Andiamo avanti? In una parola anzi, in un nome, Cleopatra. Esiste forse qualcuno che non abbia la minima idea di chi fu questa donna? Difficile. Ciò che lei fece per l’Egitto e quelle “due storielle” d’amore di cui fu protagonista sono senza dubbio alla portata di tutti. Ma per chi non sa, per chi vuole maggiori dettagli o per gli appassionati, ci pensa lo scrittore francese Christian Jacq a raccontare in modo piacevole la storia di colei che ad oggi risulta essere probabilmente la più famosa (nonché l’ultima) dei sovrani dell’antico Egitto (o tra i più famosi per non far torto agli esperti).
Di certo non si tratta del primo romanzo sulla regina e non sarà l’ultimo, ma se temete i romanzi “troppo storici” e preferite storie più leggere questo è il libro che fa per voi.
Il racconto inizia qualche anno dopo la morte del padre di lei, con una Cleopatra già ventenne e già contestata dai fedeli del fratello minore, che minacciano la guerra civile per estromettere la regina e portare al trono come unico faraone il piccolo Tolomeo XIII, neanche quindicenne.
La storia prosegue vivendo passo per passo tutta la guerra Alessandrina, dando ampio spazio all’arrivo di Gneo Pompeo prima e di Giulio Cesare poi, con quest’ultimo che si rese grande protagonista dell’ascesa al trono di Cleopatra di cui fu grande alleato e amante. Numerose pagine vengono dedicate alla loro relazione soffermandosi spesso sui dettagli di ciò che li accomunava, rendendo evidente l’intesa che permise loro di raggiungere i grandi traguardi qui narrati.
Non mancano ovviamente i personaggi chiave della Storia, a partire da Fotino e Teodoto, rispettivamente capo del governo e precettore del piccolo re, seguiti dallo spietato generale Achilla, capo dell’esercito e alleato degli altri due. Ad essi l’autore accompagna personaggi di fantasia, alcuni dei quali “liberamente ispirati” ad altri sicuramente esistiti e non noti, che ben si sposano con la storia e si inseriscono nel contesto degli avvenimenti.
I capitoli brevi dal ritmo serrato trasportano il lettore nella splendida Alessandria d’Egitto, la gloriosa città costruita da Alessandro Magno e resa magnifica dai suoi successori, luogo di studi e di culto che divenne il punto di partenza del prestigioso regno di Cleopatra. I costumi e le usanze di quel popolo vengono resi evidenti con descrizioni ricche di particolari, tra sacerdoti e riti propiziatori che, almeno apparentemente, hanno aiutato la sovrana ad ottenere il successo.
La bellezza della regina viene raccontata attraverso il suo corpo, il suo carattere e le sue ambizioni così come i tratti noti di Cesare vengono, ancora una volta, sottolineati come egli merita.
Christian Jacq non è nuovo nell’ambiente letterario, le sue opere riscuotono sempre molto successo grazie anche al suo stile che raccoglie elementi noti e li ripropone in modo avvincente, rendendo le sue letture piacevoli. Se a scuola la storia fosse raccontata tutta così forse si studierebbe più volentieri ma, forse, si perderebbe il piacere di leggere ogni tanto romanzi come questo.
A differenza di altre saghe scritte dall’autore e suddivise in più romanzi, “Cleopatra” resterà un libro a sé, collegabile per tematiche soltanto ad un altro romanzo da lui dedicato ad una delle donne che hanno fatto la storia dell’Egitto: Nefertiti.
Visto che da cosa nasce cosa, chissà mai che non venga voglia di leggerli entrambi…

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Titolo: Cleopatra, l’ultima regina d’Egitto
Titolo originale: Le Dernier Rêve de Cléopâtre

di Christian Jacq
Traduttore: Maddalena Togliani
Editore: Tre60 (collana Tre60), 2017, pp. 336

Prezzo: € 9,90
EAN: 9788867023868

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