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Misteri in miniatura

Un mistero in un mistero dentro un altro mistero… e così via. A lettura in corso questa è la perpetua sensazione che lascia questo romanzo intitolato “Il Miniaturista”, scritto dall’autrice inglese Jessie Burton, al suo esordio letterario con quest’opera.
Il romanzo, ambientato ad Amsterdam verso la fine 1600, si ispira liberamente alla vita della giovane e ricca olandese Petronella Oortman, che ne è anche la protagonista. L’autrice ne sottolinea l’ispirazione chiarendo che non si tratta affatto di un romanzo biografico della ragazza che visse in quegli anni, pur attingendo pienamente dalla sua storia per condire le pagine del libro.

Per essere corretti però, è meglio dire che i protagonisti del romanzo sono Petronella e la sua casa in miniatura, riprodotta fedelmente da uno sfuggente personaggio e regalatale come dono di nozze dal marito, il prestigioso quanto emblematico mercante Johannes Brandt.
E dove stanno i misteri in tutto ciò? Da dove cominciare…?
Dal marito forse, o dall’austera sorella Marin magari, e perchè non dai loro servi Otto e Cornelia? O dai clienti/amici dei Brandt, i coniugi Meermans? Senza tralasciare poi la miniatura stessa e chi l’ha creata che probabilmente sono i misteri per antonomasia. Per farla breve, tra tutti i personaggi che compaiono nel libro, l’unica senza scheletri nell’armadio e segreti da custodire sembra proprio essere la protagonista, che dovrà invece rassegnarsi all’idea di dover scoprire da sola molte cose che sarebbe meglio se rimanessero nell’ombra.

Il Miniaturista è una storia che a tratti toglie il fiato da quanto la storia si infittisce e si addentra nella vita privata dei personaggi o meglio ancora nei corridoi della casa di Johannes e Petronella. Senza contare l’ambientazione in un’Amsterdam perbenista e pronta a condannare chiunque non si attenga alle rigide regole imposte dallo Stato e non meno dalla Bibbia.
La miniatura poi sembra vivere di vita propria, così come i vari decori che la compongono, quali le riproduzioni fedeli di coloro che quella casa la vivono. Non si tratta certo di bambole voodoo ma a volte a Nella (diminutivo di Petronella) sembra che quei pupazzi subiscano le stesse mutazioni fisiche delle persone reali, siano esse ferite o “altro”. Come è possibile tutto ciò? E come fa il miniaturista a sapere quel che succede in casa o, peggio, cosa vorrebbe Nella da aggiungere tra gli orpelli? Altri misteri si aggiungono.
Così fino alla fine, fino all’ultima pagina dove forse al lettore rimarranno ancora dei dubbi irrisolti… o forse no?
Questo è l’ultimo mistero che rimane da scoprire.

00 Libri Il Miniaturista******************

Titolo: Il Miniaturista
Titolo originale: The miniatuist
Autrice: Jessie Burton
Traduttore: E. Malanga
Editore: Bompiani (collana Narratori Stranieri), 2015
Pagine 439
Disponibile in ebook

Sito web

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Una Guerra che viene da lontano

Nel momento in cui la Libia è fonte d’instabilità in seguito alla maldestra “guerra umanitaria preventiva” del 2011, è interessante capire come ci siamo entrati la prima volta, nel lontano 1911. Gli avvenimenti vengono riscostruiti da due storici, Franco Cardini e Sergio Valzania e l’analisi copre sia gli aspetti bellici che diplomatici ed economici della nostra espansione coloniale nel Mediterraneo. Molte furono infatti le forze che spinsero verso l’avventura libica: le banche, i circoli politici frustrati dall’annessione della Tunisia alle colonie francesi (1881), gli alti ufficiali, i nazionalisti. Tra i politici, Giovanni Giolitti capì sicuramente – come Francesco Crispi prima di lui – l’importanza di una trionfale impresa coloniale ai fini di politica interna: il colonialismo italiano, oltre che tardivo, è sempre stato antieconomico, ma con una forte valenza ideologica sfruttata fino in fondo dalla classe politica borghese e dai militari. Ancora nel 1936 si sarebbe giocata la carta coloniale per risolvere i problemi sociali e politici interni, anomalia tutta nostrana: le potenze europee hanno sfruttato mezzo mondo per arricchirsi, non per deflettere lo scontento sociale, collezionare medaglie o rinforzare un governo di coalizione. E siccome dopo la sconfitta di Adua (1896) pochi volevano sentir parlare di imprese coloniali, fu organizzata la macchina di propaganda. Se la classe dirigente era militarista, la popolazione era nel complesso estranea se non ostile di fronte all’idea di una guerra lontana e priva di una forte motivazione nazionale, come poteva invece essere la difesa dell’arco alpino dagli Austriaci. All’epoca era comunque ancora facile raccontar balle alle masse di contadini analfabeti e alla piccola borghesia urbana, anche se i portuali si rifiutavano di caricare i convogli per la Libia e i ferrovieri di movimentare le tradotte dei soldati. Gaetano Salvemini definì subito la Libia “lo scatolone di sabbia”, e tale rimase fino alla possibilità di estrarre il petrolio, operazione all’epoca tecnicamente prematura.
Ma c’è di più. Nel 1911 l’Italia non fece guerra a un “bey” locale, ma all’Impero Ottomano; il quale, per quanto in crisi, era pur sempre una potenza internazionale. Non prevedere le ripercussioni nei rapporti tra le potenze europee e l’estensione del conflitto ad altre zone del Mediterraneo o addirittura dei Balcani fu una leggerezza imperdonabile. La diplomazia italiana era di buon livello, ma si puntò tutto sulla forza. I Turchi in realtà erano pronti a cedere la sovranità dei porti di Tripolitania e Cirenaica – erano province povere e autonome – ma a patto di salvare la faccia. Se si pensa che l’Egitto, pur gestito dagli Inglesi, rimase sempre formalmente parte integrante dell’Impero Ottomano e addirittura entrò nella Grande Guerra a fianco degli alleati contro i Turchi, è chiaro che una soluzione diplomatica era sempre possibile. Ma Giolitti e il Re volevano proprio la guerra e i nostri marinai nel 1911 sbarcarono a Tobruk, un nome che ancora dice qualcosa a chi ha fatto l’ultima guerra. Seguì l’occupazione di Tripoli e poi di Bengasi, all’inizio con poche truppe e trascurando la reazione della popolazione islamica e la possibilità di una guerriglia alimentata dai beduini che vivono nell’enorme deserto libico. Pensare di tenere la costa senza controllare l’interno fu un errore già fatto dagli antichi Romani. Come spesso avviene nelle guerre italiane, compresa la recente seconda impresa di Libia del 2011, il paese entrò in guerra senza una strategia coerente e soprattutto senza avere una chiara consapevolezza delle sue conseguenze. Noi italiani entriamo in guerra sempre con un assetto militare sottodimensionato e poco energico nella fase iniziale, salvo poi rinforzare il contingente per necessità. La guerra di Libia non smentì questa prassi tuttora consolidata, col risultato di non sfruttare il vantaggio iniziale. Altro calcolo sbagliato fu ritenere che la popolazione oppressa dall’Impero Ottomano passasse dalla nostra parte. A parte che niente fu fatto per associare al potere almeno parte dei notabili di Tripoli e delle altre città portuali, sottovalutare l’Islam e la sua facile presa su masse totalmente analfabete fu un’imperdonabile leggerezza. La guerra santa contro gli infedeli non fu certo inventata nel 1911, e tuttora ne sappiamo qualcosa: soprattutto a Bengasi esisteva ed esiste tuttora una forte componente islamista da non sottovalutare. Alla fine l’esercito italiano si trovò letteralmente insabbiato e privo di quelle capacità di manovra che pochi anni più tardi sarebbe stata offerta dai veicoli a motore. Ma la repressione delle rivolte fu sempre dura e sanguinosa, né ci ha mai fatto onore.
Altra conseguenza fu l’estensione del conflitto fuori della Libia. Per avere Tripoli si finì per spostare il centro di gravitazione della battaglia nell’Egeo e nei Dardanelli, dove la nostra Marina fece miracoli. Ma questo inquinò i fragili equilibri tra l’Impero Ottomano e le varie nazionalità greche e balcaniche, col risultato di preoccupare giustamente Austriaci e Tedeschi. L’Italia faceva parte della Triplice Alleanza e i Turchi erano militarmente assistiti dai Tedeschi, mentre nei Balcani era da tempo iniziata la corsa dell’Impero Austro-Ungarico per subentrare come potenza egemone e frenare le spinte slave che miravano agli stessi obiettivi. Se gli Austriaci avevano sperato che la guerra di Libia stornasse le nostre mire irredentiste, ora trovarono la situazione peggiorata. Difficile capire l’inizio della prima Guerra Mondiale se non si comprende questo scontro tra faglie tettoniche in attrito tra di loro. E la piccola Italia, ultima arrivata fra le medie potenze, dichiarando guerra all’Impero Ottomano offrì per prima l’esempio della capacità di usare le forze armate per ottenere quello che voleva, salvo capire dopo che una guerra costa molto più di quanto ottiene. Giovanni Giolitti se ne rese conto tardi, ma nel 1915 non fu un interventista. Nel resto dell’Europa nessuno capì la lezione.

00 Libri  La scintilla Guerra di Libia*************************

LA SCINTILLA
Da Tripoli a Sarajevo: come l’Italia provocò la prima guerra mondiale
Franco Cardini – Sergio Valzania

Editore: Mondatori, 2014 – 2015
Prezzo: € 19,00
Pagine: 200
ISBN 9788804648307
EAN:9788804636489

Leggi il primo capitolo
Disponibile come ebook

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In tempi oscuri Ivana Della Portella racconta una favola vera della campagna romana

In un mondo dove tutto deve essere piccolo,
come l’oggetto, nell’angusta “essenzialità” della casa moderna,
si teme ogni cosa che possa sottrarre tempo e spazio mentale
alla vorticosa monotonia dell’umana giornata.
Ed è così che in tempi oscuri, tanto più per la cultura,
accade di guardare con timore un libro che superi le trecento pagine.
Nel caso di questo “VIAGGIO SENTIMENTALE NEI DINTORNI DI ROMA”
possiamo affermare che non si tratta di un libro grande
bensì di un grande libro necessario realizzato su 471 pagine,
con sapiente leggerezza, da IVANA DELLA PORTRELLA.
Pagine essenziali che volano via come in ogni buon libro d’avventure
e in questo caso andremo a caccia di bellezze naturali
e di Opere d’Arte di valore inestimabile a noi vicine, spesso sconosciute.
Il VIAGGIO si apre sull’ immagine maestosa di Carlo Borgogno,
dove i pini di Roma, gonfi di vento e delle note di Respighi,
conversano d’amore con gli archi dell’Acquedotto.
Dopo l’essenziale presentazione di Vittorio Emiliani e prefazione dell’autrice,
inizia una sequenza di 120 preziosi cammei descrittivi dei luoghi,
pari ad altrettanti comuni del circondario di Roma che…
dalle meraviglie dell’AGER TIBURTINUS
iniziano ad arricchire il lettore fino ai saporosi versi conclusivi
che parlano ancora dall’antico portale di Carpineto Romano.
Insomma, attraverso questo libro necessario e piacevolissimo
si “visitano” e si scoprono o riscoprono con stupore:
MERAVIGLIE SPESSO IGNOTE DELLA “CAMPAGNA ROMANA”
E dunque si tratta anche di un “giallo” che tra colpi di scena e sorprese
contagia una gran voglia di ritrovare il piacere, magari con colazione al sacco,
dell’ormai leggendario “VIAGGIO FUORI PORTA”.
Sarà così che attraversando il bosco sacro a Diana, potrà accadere…
di sorprendere la dea ancora intenta a specchiarsi nel lago di Nemi.
E quante impensabili visioni ancora tra Colli Albani, Ariccia e poi…
la Tolfa suggestiva con le sue storie di minatori di Allumiere
e tanti e tanti luoghi favolosi ben noti e “sconosciuti”.
In conclusione, non solo un libro ma tanti modi sapienti di raccontare
dove evocazioni di intatte bellezze naturali e capolavori d’arte
si intrecciano a folgorazioni poetiche straordinarie:
memorie storiche e appunti letterari da Svetonio a Orazio,
da Goethe a Stendhal, da Montesquieu a Brandi fino al grande Frazer…
e poi ancora Levi, Pasolini, Lawrence, Turner, Piovene
e molti altri “cantori del bello” per arrivare a Fagiolo dell’Arco.
Preziose e suggestive inoltre le antiche carte che accompagnano i testi.
Insomma: un viaggio non solo sentimentale, ma appetitoso e in buona
compagnia,
alla riscoperta del grande patrimonio di questo nostro Paese
che se compreso, amato e ben amministrato, potrà vivere e prosperare,
essenzialmente, attraverso la Cultura.

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Layout 1Viaggio sentimentale nei dintorni di Roma
Ivana Della Portella

Editore: Palombi, 2014
Prezzo: € 19,00
472 pagine
ISBN 978-88-6060-552-8

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Ivana Della Portella
Storica dell’ arte, critica d’arte, pubblicista
I suoi libri sono tradotti in varie lingue
Dagli anni ’90 ha ricoperto cariche pubbliche

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Attenti agli sgambetti

La discriminazione è un male che di generazione in generazione non ha mai abbandonato l’uomo nel suo lato più malvagio. Una delle peggiori è quella nei confronti di coloro che a causa di evidenti difetti fisici vengono ritenuti da molti “diversi” e per questo molto spesso maltrattati. Può capitare però che siano persone con questi difetti le prime a discriminarsi senza pensare che non tutti vedono diversità in loro.
E’ questo il caso di Germain, il protagonista del romanzo di Vincent Maston che, afflitto da balbuzie fin dalla nascita, è convinto di essere discriminato da tutti e gode nello sfogare il suo rancore nei confronti delle persone che ai suoi occhi risultano normali, come per punirli della loro indifferenza.
Seppur il suo modus operandi in questo senso non sia particolarmente nocivo per gli altri, visto che egli si limita solamente ad urtarli “accidentalmente” all’interno dei treni nella metro di Parigi, il rischio è che alla lunga questa abitudine gli si rivolti contro mettendolo nei guai. Ed è ovviamente ciò che gli succede quando, dopo una serie di eventi tutto sommato positivi, si ritrova a far parte di un gruppo di persone che fanno il suo stesso gioco per puro svago ma, come è ben noto, non si gioca col fuoco e infatti la situazione degenera quando uno dei suoi compari dà di matto arrivando a fare del male agli ignari passeggeri, mettendo così Germain in una situazione molto scomoda che lo obbligherà a ricominciare tutto daccapo.

Trama semplice nel suo svolgimento come semplice ma profonda è la morale che vuole trasmettere: accettare ed accettarsi. Una morale sentita e risentita, ma che mai si ascolta o si comprende abbastanza come la società di oggi ci ricorda ogni giorno per i continui atti di discriminazione, di bullismo o di maltrattamenti nei confronti di altri.
Germain balbetta ma questo non gli vieta di avere degli amici o una donna oppure di divertirsi e a voler guardare ciò che lui definisce un difetto non è poi così limitativo nella vita di tutti i giorni. Ciò che accadrà al protagonista sarà utile ad insegnarli il rispetto verso gli altri e la salvaguardia di se stessi, partendo proprio dall’accettarsi come strumento utile per vedere che ci sono persone che sono più in difficoltà di noi che, invece di essere maltrattate, meritano più aiuto di quanto loro sembrano chiederne.

Romanzo d’esordio di Vincent Maston che decide di iniziare la sua carriera letteraria con un libro non troppo impegnativo ma con un risultato tutto sommato soddisfacente, che offre una lettura piacevole e senza troppe pretese, una commedia utile a ricordare che il rispetto per la vita di tutti è il comune denominatore per una convivenza pacifica con se stessi e con gli altri.

00 Libri io te ela vita degli altri

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Titolo: Io, te e la vita degli altri
Titolo originale: Germain dans le métro
Autore: Vincent Maston
Traduttore: Michela Finassi Parolo
Disponibile in ebook

Editore: Salani, 2014
Prezzo: € 13,90
EAN:9788867158577

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Islamia: Tattiche e metodi di combattimento

Uscito dieci anni fa, questo libro resta forse l’unico studio organico in argomento; non so se i militari italiani lo conoscono, ma comunque farebbero bene a studiarlo. Scritto da un colonnello dei Marines con lunga esperienza operativa dal Vietnam in poi, analizza il modo di combattere della guerriglia islamista, non necessariamente formata solo da terroristi. Può infatti sorprendere la rapidità con cui non solo l’ISIS ha sconfitto l’esercito regolare iracheno, ma ha creato una vera e propria entità statale, il Califfato, che ora si espande a macchia d’olio fra Siria e Iraq e di fatto ricompone gli equilibri geopolitici fissati un secolo fa da Francia e Gran Bretagna dopo la dissoluzione dell’Impero Ottomano. L’autore è un militare di carriera e analizza esclusivamente il campo di sua competenza, per dedurne che la risposta militare data nel corso del tempo dagli eserciti occidentali non tiene conto proprio degli elementi di base del modo di combattere tipico delle società islamiche, il quale è basato essenzialmente sull’azione coordinata di milizie tribali o semitribali fedeli al proprio capo, armate in modo leggero ma capaci di grande mobilità e adatte quindi alla guerriglia. L’addestramento si adatta alla situazione e la tattica pure. In più conta molto la motivazione: per l’Islam la guerra è un valore e da sempre questo tiene alto il morale dei guerrieri. Mobilità, addestramento e motivazione sono quindi i fattori vincenti di queste forze.

Due parole sul metodo seguito dall’autore. Le tattiche e il modo di combattere della guerriglia islamica vengono analizzati con una serie di esempi storici o attuali ma ben documentati, che vanno dal Libano alla Cecenia, dall’Iraq all’Afghanistan. E’ il classico esempio NATO di “case study”: invece di discutere dei massimi sistemi, si prendono in esame fatti reali documentati, si analizzano e poi si discutono insieme. Queste dunque le conclusioni:
• Il combattente islamico ha una forte motivazione legata alla fede religiosa.
• Il legame gerarchico con il proprio capo tribale è molto forte.
• L’addestramento è strutturato in modo poco accademico ma efficace.
• Viene lasciato ampio margine all’iniziativa personale.
• Armi ed equipaggiamento sono di regola leggeri e la logistica semplificata.
• In attacco si dà la massima importanza alla velocità e alla sorpresa.
• Raramente si attacca in campo aperto un nemico superiore per forze.
• E’ normale ritirarsi momentaneamente per riorganizzarsi dietro le linee.
• Anche storicamente si è spesso registrata la migrazione di guerrieri da un fronte all’altro in nome della Jihad. I “foreign fighters” non sono una novità, la vera novità è che usano l’internet, vivono in Europa e prendono l’aereo.
• La risposta tattica può essere solo l’uso della fanteria leggera.
Viceversa, gli eserciti occidentali – ma sarebbe più giusto definirli “strutturati” – hanno nel loro insieme una mancanza di elasticità mentale e addestrativa e un sovraccarico logistico che li rende poco adatti a combattere unità irregolari mobili. La NATO e il Patto di Varsavia si sono confrontati per anni in maniera simmetrica e le rispettive strutture militari erano state organizzate per un certo tipo di guerra e solo quella. Il problema è che un carro armato da 52 tonnellate e un munizionamento buono per demolire un quartiere risultano poco efficaci o addirittura controproducenti in un ambiente di guerriglia dove risiede anche la popolazione civile o dove l’obiettivo è limitato. E se invece che sulla potenza di fuoco ci si vuole basare sulla sorpresa, difficilmente i nostri eserciti passano inosservati. Per non parlare dei costi di una moderna operazione militare, rispetto ai mezzi tutto sommato modesti usati dall’insorgenza. Mandare un aereo a bombardare una jeep con una mitragliera montata sul cassone costa cento volte più dell’obiettivo distrutto e facilmente rimpiazzabile E infatti l’autore insiste sulla necessità di una fanteria leggera.

Il problema è capire cosa s’intende per fanteria leggera. La US Army sostanzialmente non ne ha. La stessa 7th Light Infantry Division è tale per gli Americani, ma non lo sarebbe per noi italiani. Non ha carri pesanti, ma la sua motorizzazione è ben al di sopra dei nostri standard e la logistica è complessa. Ma non si può considerare fanteria leggera nemmeno l’insieme dei corpi speciali dei vari eserciti: gli incursori possono fare rapidi colpi di mano, ma non sono in grado di tenere il terreno. In più, sono costretti a portare a spalla anche trenta chili di equipaggiamento, il che contraddice lo stesso concetto di leggerezza. Né la fanteria può essere composta solo dagli elementi migliori sottratti ai reparti, col risultato di indebolirne la capacità tattica. Quello che penalizza gli eserciti occidentali in realtà è la loro struttura complessa, organizzata per un conflitto convenzionale e simmetrico. Sui monti dell’Afghanistan i carri armati servono a poco e nei centri abitati è facile uccidere i civili innocenti. D’altro canto, un fucile pensato per sviluppare un alto volume di fuoco sulle brevi distanze (come l’M16 americano) in Afghanistan risulta inferiore a un vecchio Kalashnikov, di calibro superiore e quindi adatto a impegnare il combattimento da un chilometro. In più, a trattare con i civili i nostri Carabinieri sicuramente se la cavano meglio dei Marines. Come si vede, il conflitto asimmetrico richiede una buona capacità di adattamento, diversamente dalla routine dell’addestramento di caserma. Questo è evidente p.es. in un video di Al-Jazeera girato a fine 2014 da un operatore “embedded” tra i guerrieri che assediano Kobane: si vede benissimo come essi siano capaci di abbandonare una posizione dopo il contrattacco curdo, salvo riorganizzarsi mezz’ora dopo. Da notare però che proprio a Kobane i peshmerga curdi stanno realmente tenendo testa ai guerrieri dell’ISIS perché li ricambiano con la stessa moneta, il che dovrebbe dare un’indicazione precisa per il futuro: le milizie tribali vanno combattute da formazioni a loro simili e noi occidentali dovremmo limitarci a fornir loro il contributo della tecnologia, ovvero quelle funzioni di supporto elettronico, sanitario, di fuoco e di comunicazioni che loro non hanno, senza mandare sul terreno fanterie inadatte a quel tipo di guerra. Un’intuizione del genere la ebbe il gen. Petraeus in Iraq quando affidò il controllo del territorio alle milizie tribali sunnite invece che allo scoordinato esercito iracheno.

Infine, un aspetto che sfugge invece totalmente all’autore ma non al lettore italiano è l’affinità tra la guerriglia islamista e la mafia. Per carità, non fraintendete: le motivazioni sono ovviamente diverse, ma abbiamo una struttura piramidale e spesso segreta, più quell’insieme di connivenza, onore, affiliazione familiare, maschilismo e uso della violenza e dell’intimidazione per convincere gli indecisi e creare così una zona di sicurezza interna che rafforza il controllo del territorio. Questo non significa che la guerriglia islamica sia formata da delinquenti, ma solo che strutture e modalità di azione possono essere simili a quelle mafiose e per questo difficili da combattere. Ma purtroppo l’autore, un militare di carriera, poco ne capisce di politica. Il problema è che l’insorgenza si combatte solo con l’appoggio della popolazione locale, per cui bisogna anche essere capaci di capire un’ideologia.

 

00 Lbri Tactics of the Crescent Moon cover

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TACTICS OF THE CRESCENT MOON:
Militant Muslim combat methods
by H. John Poole
Publisher: Posterity Press (NC)
Date published: 2005
Price: $14.95

ISBN-13: 9780963869579 ISBN: 0963869574

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