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IN UN NON LUOGO

La nozione di non luogo, fortunata definizione dell’etnologo Marc Augé si attaglia perfettamente ai film di Wim Wenders come alla narrativa di Rosa Liksom, nome d’arte di una scrittrice finlandese di origine lappone già nota in Italia per la raccolta di racconti Memorie perdute (2003). Anche la nuova raccolta, Stazioni di transito (1) presenta personaggi che in sostanza non consistono. Da un lato cioè non hanno consistenza, dall’altro non si fermano mai in nessun luogo, non lo fanno mai proprio. Rosa Liksom per questo può ben figurare in un’antologia del postmoderno, dove nulla è sicuro, dove non c’è ideologia e i rapporti tra le persone sono precari quanto quelli di lavoro o di spazio. I personaggi di Rosa Liksom ti usano ma non comunicano e per questo sono antipatici. C’è di tutto: barboni, studenti, ragazzine scappate di casa o solo cretine, globetrotter, disoccupati. Ma non è la classe sociale a unirli, né in assoluto la marginalità: alcuni hanno una casa e un lavoro, o campano – siamo negli anni 80 – dei generosi quanto inutili sussidi dello stato sociale scandinavo. A unirli è piuttosto un indistinto malessere che non riesce mai a raggiungere la massa critica di una protesta politica o almeno di un’identità collettiva. Nessuno di loro ha un progetto. Sono, tanto per capirci, quelli che per strada ti chiedono i soldi o la sigaretta e neanche ringraziano. I personaggi di Rosa Liksom troppe volte si mettono nelle condizioni di non poter essere aiutati e finiscono in questura per la sciocchezza di turno. Nel cinema abbiamo imparato a conoscere questa umanità nei film dei fratelli Kaurismaki, penso p.es. ad Arvottomat (lett.: i senza valore).

La seconda parte del libro invece ci porta nel profondo Nord, terra che l’autrice conosce bene. Qui, al contrario, nulla sembra si muova, anche se in realtà molti giovani sono andati a lavorare in Svezia (il libro – ricordiamolo – risale agli anni ’80). Se i personaggi della prima parte erano i nomadi del postmoderno, qui tutto ristagna in un universo limitato. Si narra anche di un incesto, che è un classico della povertà di contatti con l’esterno. L’autrice del resto non s’inventa niente: in quei posti ci è nata e anche la cinematografia Sami(così vogliono essere chiamati i Lapponi, ndr.) rimanda sia agli spazi aperti che alla claustrofobia invernale. Ricordo un film del 1974, Maa on syntinen laulu (lett: La terra è una canzone peccaminosa) di Rauni Mollberg, dove una storia d’amore veniva vissuta in mezzo ad alcolismo, cupa fede luterana e allevamento di bestiame.

E qui s’impone una riflessione precisa: davvero i nordici personaggi di Rosa Liksom sono diversi da Brevik, il lucido folle autore della strage di Oslo? Anche i protagonisti dei romanzi di Larsson hanno la stessa caratteristica: sono magari taciturni per anni, poi improvvisamente esplode in loro la carica dell’aggressività repressa, indirizzata verso uomini e animali, ma senza un motivo o un obiettivo razionale apparente. Noi, mediterranei passionali, siamo abituati a esternare i nostri sentimenti; magari litighiamo con tutti, ma non abbiamo di queste impreviste esplosioni di odio. Questo tipo di violenza è da anni la cifra del malessere nordico e la letteratura lo aveva capito da tempo, anticipando come sempre la cronaca.

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Stazioni di transito
Rosa Liksom
Edizioni Artemisia, 2012
145 p.,20 cm
prezzo 15 euro

Disponibile presso la libreria Fahrenheit 451° di campo de Fiori

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(1) In realtà è la prima, essendo uscita in Finlandia nel 1985. Il titolo originale, a tradurlo alla lettera significa: una notte di sosta. La traduzione delle opere di Rosa Liksom si deve all’ottima Delfina Sessa, diplomata all’Orientale di Napoli. Suppongo che sia sua anche la prefazione, non firmata.

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FORMAZIONE DI UN ROMANZO

La calda costa della Spagna è il luogo dove ci accolgono Beatrice e Edoardo, i protagonisti di questo coinvolgente romanzo scritto dall’esordiente Riccardo Iozzolino.
L’autore con la sua prima opera intraprende un percorso di maturazione narrativa molto piacevole, che non tarda a trasmettere le prime emozioni grazie alle sue parole e ai suoi personaggi, di cui ripercorre la vita dall’infanzia fino all’età adulta.
Una particolarità del libro che val la pena sottolineare è l’apporto musicale che spesso fa da sottofondo alle avventure dei protagonisti, definendo ulteriormente la personalità di ognuno di loro.
Gli artisti e le canzoni presenti, infatti, danno vita ad un “Romanzo Musicale” meritevole di questo titolo fino all’ultima pagina, dove meglio non poteva essere espresso questo concetto.
La storia si apre come già detto in Spagna, la maggior parte di essa però si svolge in Italia, in un luogo non ben definito, dettaglio, questo, che regala a chi legge il piacere di ambientarla dove meglio crede o dove più gli sembra possibile, in base anche a quelle esperienze che non appartengono solo ai protagonisti ma anche ai lettori stessi.
Veniamo ora alla trama, due sono i personaggi principali e due sono le vite che ci vengono raccontate in un intreccio di capitoli ben costruito, un’alternanza che alza subito il ritmo del libro per la curiosità che si crea alla fine di ognuno di essi e che non si esaurisce fino a che l’intreccio non diventa una linea unica.
Due storie, quindi, viste in tutte le fasi cruciali della crescita di una persona che un po’ tutti han vissuto, come le scuole primarie, i pomeriggi all’oratorio con gli amici, l’università e il lavoro. A far da sfondo l’amore, quello delle famiglie innanzitutto, con tutti i pro e i contro ad esso legati e quello di coppia, dalle prime esperienze alle prime delusioni.
Tema dunque, che condisce il romanzo nella sua interezza senza però farla da padrone, lasciando il posto ad altre tematiche che, se vengono colte fanno luce su cosa intende l’autore con “fantastica eccezione”.
Riccardo Iozzolino rende palese lo zelo con cui si è dedicato alla stesura del romanzo, non lasciando nulla al caso ma definendo un percorso chiaro e piacevole dove è facile rivedere se stessi.
Molti dei pensieri espressi, alcuni dei quali comuni a tutti ma sul quale magari non ci si sofferma mai abbastanza, meritano invece di essere considerati più a fondo.
Oltre a ciò è inevitabile il coinvolgimento emotivo creato dall’affinità con i vari personaggi, che porta a legarsi più ad uno piuttosto che all’altro, finendo per viverne le esperienze in prima persona, come spesso capita in questo genere di libri.
Il risultato finale di tutto ciò è un romanzo dove un titolo come “Fantastica eccezione” non poteva essere più rappresentativo, una novità interessante che si inserisce meritevolmente tra i nomi più noti del suo genere senza esserne da meno.

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Titolo: Fantastica Eccezione
Autore: Riccardo Iozzolino
Editore: MJM editore
Anno: 2012
P. 312
http://www.mjmeditore.it/

Attualmente il libro con poca probabilità si trova sugli scaffali delle librerie, è però facilmente reperibile sul sito ufficiale della casa editrice, http://www.mjmeditore.it/ e in tutti i maggiori siti di vendita on-line di libri.
L’autore presenzierà alla “Fiera Internazionale del Libro” nello stand della casa editrice MJM, che avrà luogo a Milano dal 26 al 29 ottobre, data quest’ultima, in cui presenterà personalmente il romanzo.
Per conoscerlo e per alcuni cenni biografici è possibile visitare la sua pagina facebook http://www.facebook.com/ricky981 o quella twitter http://twitter.com/gricky981/.
Nel link che segue invece, trovate un’intervista avvenuta presso una tv locale dove è egli stesso a presentare il suo libro.
http://webtv.la6.tv/video/100043108

 

IL VIAGGIO DI ROBERTA

Roberta pensava di fuggire. Da tempo. Da sempre. Ci pensava ogni giorno; ci pensava ogni notte. La notte era il momento giusto: tutti dormivano in casa. Tutti?..Viveva sola con sua madre, o almeno quella strana donna che si diceva sua madre. Parlavano poco o niente, “quella” donna lavorava fuori tutto il giorno e per non aver problemi chiudeva Roberta in casa, a legger fumetti e a inventarsi giochi. Così la bambina giocava da sola tutto il tempo fantasticando di amici e avventure, finché “quella” tornava la sera a far da mangiare e a buttarsi sul letto guardando il soffitto e rimuginando le sue malinconie. Roberta aveva solo sette anni ma capiva bene che quella donna di poche parole e di poche carezze era triste. Ma che poteva farci? Roberta era sicura d’essere stata portata lì da qualcuno, un giorno, e che si fossero dimenticati di lei. Quella donna era un’estranea, lo sentiva. La notte, certe volte, piano piano si avvicinava a lei a vederla dormire; la guardava come se aspettasse un segno, un indizio. La guardava dormire col suo viso scontento anche nel sonno, con le rughe della sua fronte e i suoi capelli sul cuscino. No, non poteva essere sua madre. Altre volte Roberta, fuggendo dai suoi incubi, si svegliava di soprassalto con l’idea fissa d’essere osservata, custodita da esseri estranei, alieni. Forse anche quella donna, preoccupata sempre di non farla uscire da sola, di non farla giocare con gli altri bambini giù nel cortile, quella donna che guardava dormire di notte, anche lei era un’aliena venuta chissà da dove,a  tenerla con sé in quella casa silenziosa.

Così Roberta ogni notte pensava di fuggire, non sapeva dove, come, ma l’importante era lasciare quelle stanze, quei lunghi giorni a giocare da sola, quella donna che non conosceva.

Aveva nascosta una valigetta sotto il letto: ci aveva messo le sue piccole cose, i suoi disegni, un vestito, un po’ di biancheria. Così quella notte si decise. In punta di piedi andò in cucina a prendere del pane e del latte, lo ficcò nella sua valigetta. Poi si vestì piano attenta a non far rumore; si mise il cappottino. Andando di là a vedere se la donna dormiva sentiva il cuore batterle forte, le gambe tremare fin quasi a piegarsi. La donna dormiva col suo solito ansimare: forse anche i suoi sogni erano tristi, forse anche lei era prigioniera in quella casa. Coraggio!…aprire le porta, richiudere senza sbattere, fare la rampa di scale, aprire il portone. Eccola in strada con la sua valigetta tra le gambe. Non c’è nessuno. Neanche un’auto. Si sente solo un po’ di vento fischiare tra i pini del viale, il semaforo all’angolo che lampeggia muto. Vai, vai Roberta, coraggio!…è la volta buona. Cammina per due, trecento metri, guarda per terra i suoi passi, poi alza gli occhi: un’altra via, un’altra piazza. Ora è più buio. Roberta si ferma, improvvisamente non sa che fare, ha paura; ora le viene da piangere. Sì, non riesce mai ad andar oltre quella strada buia. La sua fuga si ferma sempre lì; nessuno viene in suo aiuto, nessun angelo la prende per mano. Il mondo laggiù è solo buio e silenzio. Come le altre volte Roberta, finite le sue lacrime mute, riprende la sua valigetta e torna indietro. Ha sempre con sé le chiavi di casa, come le altre volte.

Riapre il portone, rifà le scale, rientra in casa, si spoglia. La donna, di là, dorme rigirandosi tra i suoi soliti sogni. Roberta si stende sul suo lettino, tira fuori il suo pane e il latte e mangia piano. La notte è ancora lunga; sospira e chiude gli occhi abbracciando il cuscino…Un’altra volta,un’altra volta, pensa…la prossima volta riuscirò davvero ad andar via senza tornare indietro. E s’addormenta.

EDITORIA AUTOPRODOTTA

Libro originale, ripercorre attraverso due biografie la storia di due confini: quello tra sudtirolesi e italiani, e quello tra italiani e sloveni. Confini ora tangibili, ora invisibili, modificati nel tempo dalla politica sino a diventare oggi i più aperti d’Europa. Ma con una lunga scia di odio, morte, diffidenza e danni alle persone. L’autore narra due storie emblematiche di gente comune: la storia di Giovanni Postal, cantoniere italiano presso Salorno (dove scorre la linea linguistica che divide da sempre italiani e tedeschi), e di Udo Grobar, pensionato della minoranza slovena di Gorizia con i parenti oltrela Casa Rossa, che all’epoca equivaleva al Muro di Berlino. Il primo salta per aria nel 1961 mentre cerca di rimuovere un ordigno messo lungo la strada dai terroristi tirolesi, l’altro si trova  nel1991 inmezzo alle sparatorie tra milizia slovena ed Esercito federale jugoslavo per il controllo dei valichi di frontiera. Due uomini comuni ed abitudinari, sconvolti e travolti dalla Storia. Di entrambi seguiamo da vicino la vita banale, regolare, fino a quel momento in cui la loro vita cambia o sparisce. Giovanni Postal e Udo Grabar si trovano in mezzo ad avvenimenti più grandi di loro e non hanno la coscienza politica o la cultura per affrontarli. Sono dunque perdenti. Conquistano però il loro posto nella storia, che non è fatta solo di episodi di guerra e trattati di pace. Ma anche nel grande romanzo storico i protagonisti si trovano sempre al momento sbagliato nel posto sbagliato, incapaci di scegliere tra la fedeltà al proprio clan e il nuovo che avanza, e soprattutto poco coscienti del cambiamento epocale. Qui, anche se malconcio, Udo Grobar almeno resta vivo, mentre Giovanni Postal paga caro il suo senso civico e anche la sua imprudenza.

La narrazione delle due storie è preceduta da due introduzioni. Una è di Majda Bratina, l’altra di Oskar Peterlini, rispettivamente per il confine Nordest e per l’Alto Adige/Sud-Tirol. Confine politico ormai disciolto al sole il primo; confine tutto interno alla nazione l’altro, ma non invisibile. Per l’Alto-Adige/Sudtirol, la lunga introduzione del senatore Oskar Peterlini (pp. 14-60) sfora ampiamente lo spazio concesso alla slovena Majda Bratina (pp.7-13), ma è una lettura illuminante. Se ne ricava non solo la storia del Tirolo, che forse pochi italiani conoscono bene, ma soprattutto il punto di vista tirolese. Quanti di noi sanno p.es. che anticamente i Tirolesi erano esentati dal servizio militare al di fuori della loro terra, ma a patto di difendere militarmente i valichi strategici, a cominciare dal Brennero? Gli Schutzen (i miliziani tirolesi) da noi non sono certo amati, ma storicamente in Europa la legalizzazione di milizie regolari autonome è stata concessa solo in casi estremi, come nelle krajne, le province militari balcaniche dell’Impero Asburgico. Questo ha dato col tempo ai Tirolesi una coscienza politica e un’identità particolari, fortemente strutturata e di fatto sottovalutate dai governi italiani che, soprattutto tra le due guerre, hanno cercato di snazionalizzare la zona. Il resto è storia, ben riassunta da Peterlini e scavata nel quotidiano da Scagnetti, che ci illustra anche retroscena poco noti. Chi scrive, se non della Feuernacht si ricorda almeno di Klotz e Burger e della ventina di italiani – militari e civili – vittime del terrorismo sudtirolese, ma anche della capillare presenza militare: c’erano soldati dappertutto. Ma solo dopo abbiamo saputo delle manovre dei nostri servizi segreti e dei circoli pangermanisti bavaresi, tra ambiguità, timori e colpi bassi. Se gestita male, poteva finire come in Irlanda del Nord. Colpisce piuttosto l’aspetto assoluto del punto di vista tirolese. Noi italiani siamo stati cacciati e snazionalizzati dall’Istria e dalla Dalmazia da un governo jugoslavo che concedeva invece l’uso della lingua e un seggio in Parlamento persino agli Zingari, per cui difficilmente riusciamo a capire di cosa possa ancora lamentarsi oggi una minoranza ricca, autonoma e protetta dal bilinguismo amministrativo e dalla riserva dei posti e delle case, che ha di fatto frenato l’immigrazione italiana e creato – almeno in certe zone – una sorta di Apartheid alla rovescia. La speculare autonomia del Trentino non deve ingannare: fu voluta da De Gasperi per bilanciare provvedimenti troppo favorevoli alla parte germanofona. Perché non è questione solo di lingua, ma di culture diverse. Né è facile capire per un italiano medio la figura di Aldo Moro, che sia verso gli Austriaci che gli Jugoslavi (senza contare i Libici) sembra aver concesso tutto in cambio di niente, sbandierando poi i rispettivi trattati come un grande successo della diplomazia italiana. In nome della Pace e su pressione dell’ONU e degli Americani, ma di fatto rafforzando quella destra nazionalista che si voleva eliminare dal gioco politico. Poi, per fortuna – ma l’on. Peterlini ne parla poco – l’unificazione europea ha di fatto superato il concetto stesso di nazione, a tutto vantaggio (paradossalmente) delle regioni storiche. Non però di quelle artificiali, come la Padania, che del Tirolo non potrà mai comprendere e mutuare le strutture profonde.

La minoranza slovena è  invece meno numerosa e meno ricca e istruita di quella sudtirolese, per cui ha una storia diversa, fatta di contadini del Carso, montanari di Carnia e operai inurbati, magari anche agguerriti, ma privi di istruzione superiore. In più, dopo l’ultima guerra questa comunità è rimasta a cavallo della frontiera, politicamente divisa tra Cominformisti (= stalinisti) e titini, osteggiata dai nazionalisti italiani e vista come quinta colonna di un’invasione jugoslava, pur godendo comunque di tutele maggiori di quelle concesse alla minoranza italiana oltreconfine. Attualmente la ricchezza economica raggiunta dalla Slovenia e lo sviluppo del porto di Capodistria stanno modificando i rapporti di forza tradizionali, ma per anni non è stata così. E infatti Udo Grobar lavorava in ospedale a Trieste come umile operaio, prima di tornare – impoverito – al suo borgo sloveno in quel di Gorizia. E’ italiano, ma di serie B. Approfitta della carne e benzina jugo e dei valichi secondari per andare dai parenti, ma non si rende conto della situazione che cambia, anzi precipita. In fondo, nella Guerra Fredda aveva come tanti trovato un equilibrio. Minimalista, ma stabile. Il suo errore è lo stesso delle gerarchie politiche dell’epoca: pensare che tutto questo durasse in eterno, mentre dopo il9 novembre 1989– quando crolla il Muro di Berlino – l’Europa è cambiata per sempre.

Unica nota negativa: l’impianto tipografico. Per un malinteso con l’editore (come abbiamo appurato scrivendogli direttamente) l’impaginazione riproduce in scala la struttura delle bozze in Word, con gli stessi margini e interlinea e microscopiche note in calce. Peccato, perché la distribuzione affidata alle librerie Feltrinelli ha risolto invece il problema di sempre: quante volte un buon libro è rimasto in magazzino per mancanza di una rete distributiva!

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ACCADDE AL CONFINE: STORIE DI GIOVANNI POSTAL E UDO GROBAR
di Scagnetti Gianluca
€ 14,50
Editore Pubblicato dall’Autore, 2012
Collana La community di ilmiolibro.it
5a edizione
pagine 272
Isbn:9788891015044

http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=758222

 

L’ULTIMO COMUNISTA

Forse riuscirò a morire coi miei capelli in testa. Pochi, pochi, ma quanto basta per far finta d’avere un ciuffo e darmi un’aria furba,sfacciata se non (ahimè!) addirittura “giovanile”, lietamente strapazzata..Intrigante? Intrigante poi per chi? Perché? Quali intrighi? Autogratificazione? come si dice? Prendersi per il culo. Ma i molti capelli servivano a far la rivoluzione. Unavolta ero il re dei cortei,il fanatico delle barricate. Sprezzante, coraggioso, sempre avanti a tutti. Lacrimogeni e manganelli mi eccitavano. “El pueblo unido jamà serò. vencido!” Che tempi! Io coi miei capelli arruffati e nerissimi,da corvo, la pelle olivastra e i miei occhi scuri e ben tagliati. Sei messicano? Mi dicevano. Brasiliano? Siriano? Eschimo e “mezzo” toscano. Sì, il “mezzo” toscano sfigurava un pò, allora non “usava”, sembrava roba da vecchi, da osteria. l’avevo ripreso da mio nonno, anima santa d’anarchico,quando correvo a portarglielo dal tabacchino. Ma adesso vino e toscano “tirano”, fanno moda, così ora il “mezzo” ce 1’hanno in bocca froci, papponi e portaborse. Il mio “mezzo”! Non lo mollavo mai fino a scottarmi la bocca, mi sentivo mezzo pistolero alla Clint, anche se i compagni più “fichi” rollavano cartina e tabacco, sempre stretto tra i denti, masticando saliva acidula. Perché si mastica il “mezzo”, non si succhia pendulo come fanno adesso i ricchioni e i ruffiani in cravatta e abbronzatura da lampada. Incominciai a perdere i capelli a 40 anni, quando smisi coi cortei e le mazzate, ma il colpo finale me lo diede Laura quando mi lasciò due anni fa. Quando si va parecchio giù va tutto in pezzi; i capelli che resistevano eroicamente in trincea incominciarono ad arrendersi in massa. Intravidi la “pelata” come l’orribile cadavere di un amico! Era finita. “L’ultimo comunista!”, mi rise in faccia Laura prima di andarsene, come volesse espormi alle beffe di un pubblico divertito; “…Eccolo lì!..” L’ultimo illuso voleva dire, anzi l’ultimo coglione. E meno male che mi risparmiò la frase fatidica: “Quando decidi di crescere?” Già, crescere per una donna in smania di riproduzione significa schiaffarsi sulle spalle sacchi e sporte di responsabilità, fatica, umiliazioni, correr dietro ai soldi contati, e poila famiglia. La famiglia è tutto ti dicono! Figli tra cacca e vomito, poi lacrime, pene, sangue, e magari se ce la fai arranchi a giocare coi nipotini, poi farsi mettere da parte a calci in culo come un inutile fuco spompato e coronare la “crescita” virile e responsabile con un fatidico e opportuno infarto. Quello sì che è un uomo! Al diavolo la famiglia! Le beghe, le corna, il fiato corto, ninna carrozzine e addormentati sugli “straordinari” e magari ti capita di ritrovarti con dei figli più stronzi di te. No. Io volevo il mondo per famiglia, la lotta da fare coi compagni, dividersi lacrime, risa, botte, vino. Andare per il mondo inseguendo la luce che ogni giorno va via: l’avventura, il sogno da rifare,la rabbia che ti monta il sangue, l’amore perduto e ritrovato. Il grande gioco da giocare con altri pazzi come te. I giorni erano pieni allora, pieni da scoppiare, le donne ti prendevano e ti lascia vano,e tu le prendevi e le lasciavi. Sole e pioggia, estate e inverno erano densi e forti, ti ubriacavano come liquori. La morte la prendevamo a calci quando veniva a metterci in tasca malinconie. L’ultimo comunista! Un peccato? Una malattia? Non voglio dimenticarmi dei sogni, dei pugni, degli urli in sezione, i discorsi tirati fino all’alba, fino alle lacrime agli occhi. Sentirsi dentro i giorni che erano per noi, solo per noi. Sentirsi e chiamarci e trovarci, prenderci per il bavero, picchiarci e volerci bene. Eravamo qualcosa,e sapevamo dove andare. E l’amore, l’amore … preso e rubato, a morsi profondi, affamati. Non voglio dimenticarmi di quel ragazzo che ero, pieno di capelli, di rabbia,di speranze assurde e bellissime. Voglio che quel ragazzo resti con me fino alla fine. No. Non voglio “crescere” per i due cuori nella tua capanna, per le tue culle, i tuoi mutui, i tuoi debiti per le vacanze, le tue domeniche intorno a un tavolo con i tovaglioli ripiegati,e magari la scopata il sabato sera dopo la partita in televisione. Non voglio essere il tuo uomo Anna, Francesca, Paola, Daniela o come accidenti vi chiamavate! Voglio morire senza invecchiare, rivoglio i miei capelli,datemi l’eschimo e il “mezzo” da masticare. Voglio uscire e andarmene via. Tieni, riprenditi le tue stramaledette lacrime e tutte le mie piante per te! Ti strappo dai miei occhi e m’innamoro del mondo… fottiti Laura!

http://youtu.be/GQAWJHITdhg