L’autrice libanese è la seconda donna a vincere l’International Prize for Arabic Fiction,
il premio per il miglior libro di narrativa araba. Per Hoda Barakat si
tratta del primo premio dii questo tipo, ottenuto grazie a “The Nigh
Mail”, in uscita in inglese nel 2020.
Un premio sofferto
Hoda Barakat si è da sempre
contraddistinta come una delle scrittrici e giornaliste più interessanti
del panorama Medio Orientale. Nata a Bsharre, città natale di Khalil
Gibran nel Nord del Libano, si è laureata nel 1975 a Beirut in
letteratura araba, scegliendo di rimanere nella capitale anche durante
la guerra civile. Qui, lavorando come giornalista, insegnate ed
interprete, verrà per la prima volta davvero a contatto con la società
libanese, che diventerà centrale in tutte le sue opere. Nel 1989 si
trasferirà definitivamente a Parigi dove inizierà a lavorare come
giornalista a tempo pieno.
I suoi scritti si concentrano sopratutto
sull’esilio dalla madre patria e sul difficile rapporto della società
libanese con la guerra, andando spesso a toccare personaggi scomodi. In
“The Stone of Laughter” (purtroppo non ancora tradotto in italiano), ad
esempio, affronta il conflitto interiore di un omosessuale durante quel
difficile periodo storico, diventando la prima scrittrice araba a
portare questo tipo di soggetto. Quest’anno si è aggiudicata finalmente
il premio con “The Night Post”, che vedrà la luce in inglese nel 2020.
Lettere ed esili
Il libro è una raccolta di 6 lettere
affidate ad un misterioso postino per essere trasportate dall’altra
parte dell’oceano. Un immigrato irregolare che scrive al suo amore, una
donna che aspetta un uomo in un hotel, un torturatore in fuga scrive a
sua madre, una sorella che avvisa il fratello della morte della madre e
un giovane gay che scrive a suo padre. I personaggi di questo libro
toccano l’intero immaginario arabo, mettendone in risalto i profondi
problemi interni.
“The night mail” di Hoda Barakat
Ciascuno di questi personaggi scrive al
proprio caro nel disperato tentativo di ricucire una relazione che
sembra ormai destinata alla rovina, ammettendo il proprio fallimento e
cercando in quest’ultima una sorta di rifugio.
Il libro uscirà solo fra un anno in lingua inglese, pronti a questa meravigliosa attesa?
“La donna capovolta” di Titti Marrone racconta la storia di una donna, Eleonora, anzi due perché c’è anche Alina, due storie, quella di Eleonora e quella di Alina che si intrecciano nel microcosmo quotidiano, ed ecco svilupparsi un caleidoscopio di emozioni.
Il libro inizia con la voce di Eleonora che parla intimamente di quello che le accade, si confida ci confida, allo stesso modo con la voce di Alina. Racconti personali e versioni soggettive di come vengono coinvolte da ‘Loro’, gli altri personaggi che le circondano nel momento in cui entrambi i cammini si incontrano.
Eleonora filosofa e docente di studi di genere si accorge che la madre ha i primi sintomi di Alzheimer, comprende che la vedrà lentamente svanire. Il dolore e le difficoltà quotidiane rendono ancora più evidente l’assenza del marito la cui relazione è ridotta a comunicazioni di servizio; di fatto si rende conto che non può contare su nessuna delle persone care come ad esempio la figlia Laura ventenne che studia all’estero ed è troppo presa dalla sua giovane vita per fermarsi ad osservare ciò che succede realmente a casa. La stessa Laura contribuisce a dare uno scossone alla madre deludendola nelle aspettative in quanto interrompe la sua carriera di scienziata.
Eleonora non si ritrova, non ritrova la solidità degli affetti e quella dell’ambiente intellettuale che ha scelto, un ambiente sempre più autoreferenziale che sembra di vuota apparenza. Eleonora perde il senso di sé e della sua femminilità: è rovesciata!
In questo momento incontra Alina che assume come badante della madre. Alina è moldava, colta e laureata con passato roseo nel suo paese che è stato poi rovesciato per cause politiche e con un presente in Italia nel quale arranca faticosamente facendo umili lavori per sostenere economicamente la famiglia lontana, coltivando la speranza di un futuro migliore.
Alina è dritta, ha capito cosa ci si aspetta da lei è un panzer: recita alla perfezione l’archetipo della badante in quanto viatico per il presente e premessa per il suo futuro. Per sopravvivere nasconde il suo vero volto che dunque è rovesciato, rivolto dentro di sé: non può essere se stessa nel mondo di fuori non può lasciarsi andare. Ha dovuto capire presto che “mostrandosi nelle vesti di entità pensante e acculturata” e invadendo i territori del sapere “non richiesti e quindi non permessi”, il maschio occidentale l’avrebbe interpretata come eccentrica e quindi disponibile “all’approccio carnale”. Anche la difficile vita di Alina viene messa in crisi: sembrano rovesciarsi le premesse per il futuro in cui aveva riposto le speranze e che le permettevano di sopportare le umiliazioni del presente.
Le protagoniste Eleonora ed Alina profondamente diverse si incontrano e si scontrano tra pregiudizi e difficoltà: entrambe nella stessa fase di vita, un rovesciamento, proprio nel momento in cui nessuna di loro può contare sugli affetti. Tutto sembra sgretolarsi, vane le lotte e pie illusioni le speranze; a ciascuna di loro non rimane altro che aggrapparsi a se stessa e rimettersi in gioco con autocritica e con il coraggio di ripartire, un coraggio tutto al femminile.
Eleonora ed Alina due donne, ma forse solo una che con Eleonora esprime lo spaesamento sociale e con Alina la solitudine interiore.
La donna capovolta di Titti Marrone riguarda tutte le donne perché in fondo tutte noi siamo capovolte.
Noi tutte abbiamo difficoltà a vivere secondo la direzione che vorremmo, non solo perché a volte gli eventi della vita ci rovesciano, ma anche perché molto spesso i codici stabiliti da questa società ci impediscono di raddrizzare il tiro.
Titti Marrone, ha dedicato il romanzo alle sue amiche, e scommetto che chi lo leggerà, entrandoci dentro tutta, sentirà che in fondo è stato dedicato anche a lei.
Dovrete perdonarmi ma non posso evitare di mettere questa recensione un po’ sul piano personale. Questo perché uno degli autori del libro è un certo Elio, meglio conosciuto per la sua militanza in qualità di leader della band “Elio e le Storie Tese”, di cui sono grande estimatore.
Parto con il chiedere scusa per il titolo che non c’entra praticamente nulla con il romanzo ma, essendo scritto da un componente del gruppo, non mi veniva in mente altro modo di titolare la recensione.
Detto questo, che conosciate la sua musica o meno è ininfluente, perché Elio è comunque noto per il suo essere un poco bizzarro, bizzarria che si ritrova abbondantemente tra le pagine del suo romanzo.
Franco Losi, l’altro autore, vanta anni di esperienza nel settore delle nuove tecnologie e dell’evoluzione digitale, competenze queste, messe a disposizione dell’amico Elio per dare vita a questa storia fantascientifica.
Il titolo “Uaired” è un chiaro riferimento alla rivista statunitense “Wired”, nota come una delle migliori, se non la migliore, tra le riviste che trattano temi di carattere tecnologico. Questo perché la trama, a modo suo, ha molto di tecnologico.
Ma andiamo con ordine. Gec e il fedele amico Toni sono i protagonisti di questa storia ambientata nel pavese, dove entrambi si godono una vita spensierata a suon di serate alcoliche e di donne (queste ultime soprattutto per Toni). Una di queste serate costa però cara al povero Gec che, di ritorno a casa, si becca un fulmine a pochi metri dalla sua macchina, e tanto basta per risvegliare nella sua testa un coro di voci che gli parlano. Risvegliare perché già in passato era stato vittima di una cosa simile ma, a differenza di allora, ora le sente in modo chiaro e diretto. Ma chi è che gli parla?
Per Gec si tratta di una scoperta poco entusiasmante, che lo mette a contatto con il mondo Uaired: alieni super evoluti atterrati sulla Terra tantissimi anni addietro e custodi di tecnologie futuristiche che per gli umani sono ben lontane. Perché proprio lui? Niente spoiler per questo, visto che si tratta un po’ del fulcro del romanzo.
La storia è leggera e scorrevole, a volte anche un poco scontata, ma forse non è sulla prevedibilità della trama che i due autori hanno voluto concentrarsi, quanto forse sul mondo odierno fatto di luoghi comuni, teorie complottiste, di un linguaggio ormai inglesizzato e di una tecnologia sempre più padrona delle nostre menti. Il tutto servito ovviamente con molta, moltissima ironia, e in questo il personaggio di Toni è fondamentale.
Possibile che Gec da umile proprietario di una ferramenta, amante delle api e di una vita da ragazzo di provincia, si ritrovi di colpo ad avere in mano il destino dell’umanità? No, o forse sì, ma questa potrebbe essere un’altra storia ancora da scrivere.
Per concludere, se siete amanti veri degli E.e.l.S.T. godetevi il piacere di individuare alcuni chiari riferimenti a qualche bella canzoncina della band, secondo me qualcosina si trova tipo un… “Parco Sempione, verde e marrone, dentro la mia città”.
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Titolo: Uaired
Autori: Elio, Franco Losi
Editore: La Nave di Teseo (Collana Oceani), 2018, pp. 270
Prezzo: € 17,00
EAN: 9788893446334
Rivisitazione approfondita di un imperatore accusato, forse ingiustamente, di aver acceso il fuoco sbagliato.
Nerone. E’ forse uno dei nomi storici più forti da pronunciare, un nome in cui è racchiuso il potere di un uomo che rase al suolo una città come Roma, la Roma dell’Impero Romano. Ma fu davvero lui il colpevole?
La scrittrice americana Margaret George ripercorre la vita di questo notevole personaggio con un romanzo intitolato semplicemente “Nerone”, dove la figura dell’imperatore viene completamente rivisitata stravolgendo la sua immagine di despota dedito alle pazze gioie, in favore di un più mite e razionale sovrano, non privo di difetti ed eccessi, ma neanche così terribile come a lungo si è creduto. E’ l’autrice stessa nelle note finali, a spiegare come, in seguito a recenti studi ed analisi storiografiche, la figura dell’imperatore sia stata notevolmente rivisitata rispetto a quanto si sapeva di lui in precedenza.
Il romanzo parte dall’infanzia del piccolo Nerone il cui nome prima di diventare imperatore era Lucio Domizio Enobarbo, nipote di Caligola e discendente di Augusto per parte sia di padre che di madre: la famosa Agrippina minore che ne combinò di cotte e di crude e che condizionò non poco la vita del giovane. L’autrice dedica particolare attenzione alle vicende di palazzo anzi, dei palazzi, dove Nerone crebbe al seguito della madre, una grande stratega capace di costruire trame, intrighi e congiure ma, soprattutto, abile nell’infilarsi nei letti migliori.
Il carattere apparentemente influenzabile dei primi anni lasciò pian piano il posto ad una volontà più ferrea che portò Nerone ad essere maggiormente padrone di sé dimostrando che, sia nell’ambito politico che in quello strategico, egli fu un abile interprete del suo ruolo nonostante la giovane età, merito forse degli insegnamenti di Seneca e Burro, risolvendo positivamente anche alcuni duri conflitti nel vasto impero.
E i delitti a lui imputati? Tali rimangono, ma motivati da una logica, se così si può definire, che in quel tempo era più che normale per rimanere al potere, lo stesso Augusto non fu un santo in quel senso, né Claudio subito prima di Nerone.
Ma allora come si è arrivati a descriverlo come un uomo pazzo e terribile? Non che l’autrice sia in possesso di una verità assoluta, essa però sottolinea come le biografie di Nerone arrivate fino ai giorni nostri, siano state parecchio condizionate dalle correnti di pensiero degli stessi biografi: aristocratici che non vedevano di buon occhio il suo favore nei confronti del popolo, con memorie raccolte oltretutto molto tempo dopo la sua morte. Lo stesso incendio di Roma viene presentato con dinamiche diverse che potrete scoprire leggendo il libro.
La storia di Nerone non è sicuramente la prima ad aver subito modifiche e rivisitazioni nel corso degli anni ma, la presenza di dati certi, di alcuni più imprecisi e di altri frutto di elaborati studi o congetture ci permettono comunque di godere le gesta memorabili, nel bene e nel male, di personaggi che rimarranno per sempre impressi nella nostra memoria; proprio come lui, la cui mente acuta lo portò ad essere un innovatore su più fronti, purtroppo offuscati dal fuoco di un incendio dalle cui ceneri emerse l’immagine di un despota senza cuore, che probabilmente egli non fu.
Non abbiate fretta di arrivare all’epilogo e l’autrice vi spiegherà meglio il perché nelle note finali, ma godetevi piuttosto il fascino di un personaggio e del suo mondo circostante: una Roma ancora una volta magnifica e infinita, abbellita anche dall’arte che lo stesso Nerone promuoveva in ogni sua forma, dalla musica al teatro, senza dimenticare il suo interesse per l’architettura, lo sport e i giochi; che fosse questo il suo vero essere da tramandare ai posteri? Sicuramente rimane ancora qualcosa da scoprire…
Dopo Enrico VIII, Cleopatra, Elisabetta I e altri romanzi perlopiù biografici, Margaret George si cimenta ancora una volta in un romanzo storico con protagonista uno dei personaggi più intriganti del passato, senza risparmiarsi troppo sulla lunghezza resa leggera dal ritmo veloce e incalzante a cui già ci aveva abituati; del resto lei fa parte di quegli autori che la storia la fanno amare, e ancora una volta è così.
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Titolo: Nerone
Autore: Margaret George
Traduttore: F. Garlaschelli
Editore: Longanesi, 2018, pp. 544
Prezzo: € 22,00
Torniamo a parlarvi di uno dei nostri scrittori preferiti in assoluto, questa volta con il suo unico saggio. Mohsin Hamid ci permetterà di entrare nella sua vita, per raccontarci davvero cosa sia la globalizzazione.
Le civiltà del disagio
«Se la globalizzazione ha da prometterci qualcosa, qualcosa che possa spingerci ad accogliere a braccia aperte il caos che ne deriva, allora quel che ha da prometterci è questo: saremo piú liberi di inventare noi stessi». Con tale dichiarazione di intenti si apre questa raccolta di articoli e brevi saggi di uno dei piú provocatori e stimolanti narratori del nostro tempo. Ma nel mondo globalizzato abbiamo davvero la libertà di inventare noi stessi? Tutto sembra indicare il contrario, perché ogni pretesto è buono per imprigionarci in quelle «illusioni dilaganti, pericolose e potenti» che portano il nome di civiltà. Hamid lo chiama il giogo del depistaggio: «Ci viene detto di dimenticare le fonti del nostro disagio perché c’è in gioco qualcosa di piú importante: il destino della nostra civiltà».
E cosí finisce per sembrarci inevitabile che provare inutilmente a respingere l’immigrazione e a sigillare le frontiere sia piú importante che porre rimedio al disordine economico e alle crescenti disparità sociali. Muovendosi fra i ricordi personali e la riflessione politica, fra la letteratura e la cronaca, Hamid guarda al mondo che ci circonda con gli occhi di uno scrittore cresciuto fra il Pakistan e gli Stati Uniti, vissuto a Londra e tornato di recente ad abitare a Lahore. E leggendolo noi scopriamo che forse è possibile liberarsi dal giogo del depistaggio, e «mettersi insieme per inventare un mondo post-civiltà, e quindi infinitamente piú civile».
Semplicemente Mohsin Hamid
Coloro che ci seguono, sanno del nostro debole per questo incredibile scrittore, uno dei pochi dei quali, siamo lieti di dirlo, abbiamo tutti i libri. La sua scrittura è magica per la capacità di essere sempre dolce e poetica anche trattando di temi spesso molto forti. “Le civiltà del disagio”, in particolare, è il suo libro più intimo in assoluto. Hamid ci invita a fare un vero e proprio percorso nella sua vita, al fine di mostrarci davvero cosa voglia dire la globalizzazione. La raccolta è divisa in 3 parti, volte ad una conoscenza sempre più graduale, atta a comprendere davvero il più possibile lo scrittore. Si parte con “Vita”, poi “Arte” e infine “Politica”, un vero e proprio esperimento psicologico, volto a metterci nei panni degli altri.
Un giorno, lungo un esile ruscello in alta montagna, un monaco e un saggista si incontrarono e si misero a conversare. I minuti passavano mentre i due se ne stavano seduti alla presenza delle libellule. A un certo punto al saggista parve evidente che la visione della vita del monaco, in precario equilibrio su un fondamento fideistico, era pronta ad essere smontata.
Il saggista sviluppò l’argomentazione necessaria con estrema minuziosità, terminando con queste parole: “Dato che non hai nessuna prova, devo concludere che ciò in cui credi non è che una tua invenzione”. “E allora?”, ribatté il monaco, con un sorriso tanto ostinato quanto sereno. “E allora? E allora tutto. Sei un monaco!”. Il monaco si tirò su la tunica e immerse nell’acqua la parte superiore di un polpaccio dalla muscolatura possente. “Sono stato io ad inventare me stesso, -disse.- fino a ieri ero un velocista olimpionico”. Il saggista lo fissò incredulo. “Inventare – spiegò il monaco – è bene”.
Mohsin Hamid
Uno degli elementi centrali è infatti la possibilità di “reinventarsi”, in un mondo che comunque lo farà per noi. Nemmeno l’anziano, infatti, vivrà nello stesso paese di quando era un ragazzo. Dobbiamo distaccarci dal ragionare secondo schemi e vedere il mondo nel suo complesso.
Le civiltà incoraggiano il fiorire delle nostre ipocrisie. E così facendo minano alla base l’unica promessa plausibile della globalizzazione, ovvero che saremo tutti liberi di inventare noi stessi. Perché, esattamente, un musulmano non può essere europeo? Perché una persona non religiosa non può essere pachistana? Perché un uomo non può essere donna? Perché una persona gay non può essere sposata?
Bastardi. Spuri. Mezzosangue. Reietti. Devianti. Eretici. Le nostre parole per dire l’ibridità sono spesso ingiuriose. Non dovrebbe essere così. L’ibridità non è necessariamente il problema.Potrebbe essere la soluzione. L’ibridità significa qualcosa di più che mera mescolanza tra gruppi. L’ibridità rivela che i confini tra i gruppi sono falsi. È questo è fondamentale, perché la creatività nasce dall’eterogeneità, dal rifiuto di una purezza mortifera. Se non ci fosse che un unico essere umano, la nostra specie si estinguerebbe.
Uno strumento per la globalizzazione
Non ci stancheremo mai di lodare i lavori di Hamid e questo libro non fa eccezione. Lo abbiamo riaperto per fare l’articolo e ne siamo rimasti folgorati. In un mondo che ormai, volenti o nolenti, è globalizzato, questo libro rappresenta una bussola fatta di ricordi, piccoli pensieri che insieme formano un uomo. Lo scrittore infatti è chiaro più e più volte: siamo formati da un insieme di esperienze, accettare eterogeneità e globalizzazione è il primo passo per operare, davvero, un cambiamento nel mondo. Per farlo, Hamid vi trasporterà nella sua vita, passata fra Lahore, New York e Londra, quella di un cittadino del mondo. Magico, come tutti i suoi libri.
Le civiltà del disagio
Dispacci da Lahore, New York e Londra
di Mohsin Hamid
Editore: Einaudi, 2016, pp.180
Prezzo: € 19,50
EAN:9788806225100
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