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Enigma Balcani

Recentemente il Kosovo ha deciso di dotarsi di un vero esercito e questo non contribuisce certo alla stabilità dei Balcani. Una ragione in più per leggere il secondo libro del generale Biagio Di Grazia, continuazione ideale di Kosava (1) . Ora, i libri scritti dai generali in congedo sono di due tipi: quelli scritti per scaricare sugli altri le proprie responsabilità dopo una deludente campagna militare e quelli dove finalmente si possono esprimere liberamente le proprie idee. La prima serie in genere comprende corposi volumi di memorie da leggere con cautela, mentre la seconda propone opere più raccolte, ma dense di avvenimenti e riflessioni. Il nostro generale può vantare una reale esperienza sul campo (2) e il suo libro, pubblicato prima in serbo e ora in italiano, rimanda a un periodo ormai rimosso, anche se sono passati neanche vent’anni da quando gli aerei della Nato bombardarono la Serbia per due mesi. Strana guerra, al punto che un giornale francese propose di edificare un monumento ai Zero Caduti alleati, mentre dall’altra parte morirono migliaia di persone sotto le bombe, più le successive vittime dell’inquinamento ambientale. L’Italia mise a disposizione ben 19 aeroporti e partecipò anche alle operazioni di bombardamento. E siccome la nostra ambasciata rimase sempre aperta, il nostro generale (all’epoca addetto militare a Belgrado) visse l’insolita esperienza di essere di fatto bombardato dai nostri Tornado, ufficialmente ricognitori fotografici.
Ma passiamo al libro. E’ diviso in sei capitoli (Il Nuovo Ordine Mondiale; Il cammino di crisi nei Balcani; Serbia e Kosovo; Le operazioni della Nato; Giochi di guerra; Sfida all’Occidente, più le Conclusioni) strutturati secondo una logica precisa: prima l’impostazione teorica, poi la precisa narrazione degli avvenimenti, completa di mappe e allegati. Se un testo è già stato utilizzato in pubblicazioni precedenti, è marcato in corsivo. La tesi principale è che, pur accettando la versione storica ufficiale e certificata dal Tribunale dell’Aja , ovvero un intervento umanitario per frenare i massacri delle minoranze, in un conflitto entrano sempre componenti strategiche, economiche e politiche di rado espresse in chiaro, né apertamente presentabili all’opinione pubblica. In altri tempi i nazionalisti identificavano il nemico e la propaganda faceva il resto, mentre ai militari era affidata la condotta delle operazioni. Oggi non è facile giustificare una guerra, spesso le motivazioni sono deboli; cosa significa p.es. intervento umanitario? E se poi le bombe cadono proprio sui civili che si vorrebbe difendere, cosa dire alla gente? Tenendo poi presente la povertà dei Balcani, le motivazioni economiche sembrano deboli a chi consuma energia senza chiedersi da dove viene e quali paesi attraversano oleodotti e gasdotti (3). E a questo punto il nostro generale ci aiuta a superare la narrazione corrente. Come in Kosava, i documenti ufficiali sono intercalati da testimonianze personali che rendono non solo chiaro il quadro generale, ma forniscono dettagli inediti e fondamentali: in sostanza, tutte le parti in causa sono state a turno vittime e carnefici, pronte a comportarsi come chi le aveva vessate il mese prima e altrettanto sprezzanti dei controlli esterni messi in atto dalla comunità internazionale, controlli peraltro inefficaci per motivi strutturali: negoziare senza un deterrente è arduo, e la Commissione Europea ECMM , di cui Di Grazia ha fatto parte, non aveva il potere per imporsi sulle parti. D’altro canto, Milosevic dopo la ritirata da Sarajevo (1996) non realizzò la debolezza della Serbia, riprovandoci in Kosovo e scatenando nel 1999 la reazione americana, con la NATO usata di nuovo in funzione offensiva e i paesi europei (Grecia esclusa) schierati dalla parte dei “buoni” (4). La Serbia subì in due mesi circa 600 missioni aeree al giorno, che ne distrussero l’infrastruttura militare, industriale ed economica; furono usate anche munizioni a uranio impoverito, che si sarebbero dimostrate letali anche per i soldati della missione KFOR NATO e alla fine naturalmente la guerra fu vinta (10 giugno 1999). Sicuramente Milosevic’ sopravvalutava le proprie forze e sperava in una guerriglia sul terreno, ma una minaccia esterna e le sanzioni in genere ricompattano la nazione invece di indebolirla. In più i Serbi stessi, come i Croati, sarebbero stati più tardi capaci di cambiare governo da soli, attraverso regolari elezioni democratiche, mandando in pensione le classi dirigenti nazionaliste che avevano spinto alla guerra civile. Ora, che la Jugoslavia sarebbe entrata in crisi una volta morto Tito(1980) lo sapevano tutti; solo che questa disgregazione fu data per inevitabile. L’Europa poteva aiutare la Federazione Jugoslava a entrare gradualmente nel contesto europeo, e invece Germania, Austria e Vaticano nel 1991 riconobbero subito la Slovenia e la Croazia. L’Italia invece non si mosse, nonostante il momento fosse favorevole per rinegoziare il Trattato di Osimo (1975), che tutto dava in cambio di niente. La Serbia si stupì del fatto che smontassimo in pochi mesi il dispositivo militare ai confini della Venezia Giulia, e ne approfittò per rifornire di uomini e armi le milizie che avrebbero combattuto una feroce guerra civile all’interno della Federazione, mentre l’ONU e la UE si dimostrarono incapaci di gestire il conflitto e proteggere le minoranze di turno dalla “pulizia etnica” (4)
Nel 1995 gli Stati Uniti entrano di peso nel conflitto mettendo in campo la NATO, ponendo fine dopo tre anni all’assedio di Sarajevo e convincendo le parti a negoziare l’accordo di Dayton (fine 1995). Come dice il nostro generale, divenuto nel frattempo responsabile della Commissione Militare Mista (JMC, Joint Military Commission) per Sarajevo (p.66, par.2.4), “il disegno cartografico del nuovo Stato era ben strano, ma risultò l’unico in grado di funzionare, almeno nell’immediato dopoguerra” . Questo non escludeva purtroppo né l’esodo delle minoranze dalle zone contese, né avrebbe stabilizzato la regione. La resa dei conti tra Serbi e Kosovari, fortemente sproporzionata a favore dei primi, inizia nel 1996 (il nostro generale nel 1997 è ora Osservatore OSCE) e nel 1999 provoca l’intervento diretto americano, preceduto da un ultimatum, che stranamente nessuno ha mai confrontato con quello analogo imposto alla Serbia nel 1914 dall’Impero austro-ungarico. Anche allora si imponevano alla sovranità nazionale limitazioni tali da risultare inaccettabili, dando pochissimo tempo per negoziare. E anche in quel caso prevalse l’orgoglio nazionale.
Le tappe della crisi sono nel libro descritte con precisione, sulla base di documenti ufficiali e di esperienze personali. Interessante la sua testimonianza da Belgrado, dove la nostra ambasciata rimaneva aperta e il nostro manteneva la delicata funzione di addetto militare. Difficile capire perché il nostro governo si mantenesse sul filo del rasoio, ma di fatto la nostra sede diplomatica poté mantenere discreti rapporti con tutte le parti, e saranno i documenti d’archivio a svelarci un giorno molti retroscena. L’autore onestamente si attiene a quello che ha visto, e ha visto molto: i bombardamenti, la dura vita della gente, la fine di Milosevic. Può anche muoversi con una certa libertà ed è testimone, p.es., del bombardamento dell’ambasciata cinese, avvenuto non certo per caso. Manda dispacci riservati, com’è prassi diplomatica, ma molte impressioni personali le terrà per sé, almeno finché sarà in servizio attivo. Ed ora può finalmente dire la sua: le basi giuridiche dell’intervento NATO erano deboli e l’uso della forza si è rivelato da subito sproporzionato. E dopo vent’anni cosa resta? Se l’Europa si è mossa in ordine sparso e secondo interessi nazionali, ma discutibile resta il ruolo degli Stati Uniti. E’ difficile stabilizzare i Balcani senza la Serbia, ma per piegarne la resistenza la strategia americana ha favorito la creazione a tavolino di piccoli stati nazionali privi di solide basi produttive: il Kosovo, ma anche la Macedonia e il Montenegro – roba da anni ’20 del secolo scorso – e in più ha incoraggiato la penetrazione islamista in piena Europa, la stessa che invece combatte altrove. Sono effetti collaterali sottovalutati, e c’è voluto Fausto Biloslavo per scoprire che la jihad si è così incistata in Bosnia e in Kosovo, nei piccoli centri lontani dalle città, fornendo in seguito foreign fighters a volontà. E in ogni caso il Kosovo resta un parente povero a carico della comunità internazionale, che mantiene truppe di interposizione (noi per primi) e finanzia il deficit di un paese povero, corrotto e sovrappopolato. Tenendo poi conto che gli irregolari dell’UCK sono poi confluiti automaticamente nelle forze di sicurezza interne, ora che saranno loro ad alimentare l’esercito regolare il futuro è gravido di nere nubi. Ma nel frattempo è cambiato lo scenario: il Nuovo Ordine Mondiale, predicato dal presidente George H.W. Bush padre, ormai è superato dalla ripresa della Russia e dall’ascesa della Cina. Era un concetto nato nell’800, misto di darwinismo ed etica religiosa, divenuto realizzabile solo alla fine della Guerra Fredda: una volta esclusa l’Unione Sovietica dalla competizione, gli Stati Uniti restavano l’unica superpotenza capace di regolare il mondo. Si trattava di mettere in sicurezza le fonti energetiche prodotte dai paesi del Golfo, di portare sotto l’egemonia americana sia gli stati satelliti dell’ex Unione Sovietica (perlomeno quelli europei) e di eliminare i c.d. paesi non allineati, ovvero la Jugoslavia di Tito. Saddam Hussein fu ridotto a più miti consigli, mentre la Polonia, le Repubbliche baltiche e la Repubblica Ceca addirittura entrarono nella NATO, l’ultima cosa che i Russi volevano e che tra l’altro neanche era nei patti. La NATO stessa è diventata una sorta di Kampfgruppe diviso per blocchi regionali e utilizzato per azioni offensive. Nel frattempo la Russia di Putin si è ripresa, l’Isis è ancora un problema e la Cina si avvia al confronto strategico con gli Stati Uniti. In più è evidente la discontinuità tra la gestione Trump e i decenni precedenti, marcati dopo il 1945 da un convinto atlantismo e dall’appoggio alla Germania. E’ un quadro geopolitico totalmente nuovo e Di Grazia lo fa giustamente notare, aggiornando l’analisi ai tempi attuali.

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Perché la NATO ha bombardato la Serbia nel 1999?
Generale Biagio di Grazia
Ilmiolibro.it (autoprodotto), 2018, pp. 170
Prezzo: 15 euro

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NOTE
1) Kosava. Vento di odio etnico nella ex Jugoslavia da Tito a Milosevic, 2016, recensito proprio in questa rivista (vedi)
2) A Zagabria, Capo Ufficio Operazioni della Missione Europea ECMM; a Sarajevo, Vice Comandante del Contingente Italiano nella Missione Nato IFOR; a Belgrado, Addetto alla Difesa dell’Ambasciata Italiana; a Mostar, Vice Comandante della Divisione Francese nella Missione Nato SFOR.
3) I corridoi paneuropei 5,8 e 10 passano per le zone dell’ex-Jugoslavia; in dettaglio, il 10 si interseca con l’8 a Skopje. L’8 prosegue per Tirana e quindi a Bari. Il corridoio 5 passa per Sarajevo, Ploce e congiunge il porto di Ancona.
4) Per pulizia etnica s’intende la pratica politica di trasformare una minoranza relativa in maggioranza assoluta tramite l’espulsione violenta dei diversi.
5) La Grecia giustificò la sua neutralità adducendo sacrosante affinità con la chiesa serba ortodossa e non nascondendo la sua ostilità all’Islam kosovaro.

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Kosava: il vento dei Balcani

I NOSTRI SOLDATI NEI BALCANI

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Il Giorno della Memoria: Una speranza tra tanto odio

Nella grande Storia sono tessuti i racconti di persone che cercano di scivolare tra le trame degli eventi, per sopravvivere ed aiutare, silenziosamente, a sopravvivere.

È sopravvivere quello che una comunità circense cerca di fare, mentre le persecuzioni si trasformano in assassinii, trasformando un circo in un rifugio per l’umanità sgradita alla Germania nazista.

È il circo l’ambientazione scelta dalla scrittrice statunitense Pam Jenoff per il suo “La ragazza della neve” dove Noa viene accolta da Herr Neuhoff e dove Astrid la introduce, per sopravvivere, all’arte del trapezio. La storia delle due donne, Noa e Astrid, che imparano a fidarsi, prende ispirazione dai fatti realmente accaduti.

Noa, una giovane olandese cacciata di casa dopo la scoperta dei genitori del suo essere rimasta incita da un soldato tedesco, nella sua continua fuga salva un neonato ebreo, tra i tanti lasciati morire in un vagone nel freddo dell’inverno. Ad Astrid, ebrea virtuosa del trapezio e ripudiata dal marito ufficiale nazista, Noa non dirà della sua maternità e la rinuncia del figlio appena nato in una struttura per ragazze madri.

Un libro sui buoni sentimenti in un periodo dove si discriminavano le singole persone per la loro appartenenza ad una cultura o piuttosto che ad un’altra, distraendo il popolo da ben altri eventi.

Sono passati 80 anni dalla “Notte dei Cristalli”, passando da una strisciante vessazione ad una aperta persecuzione, prendendo a pretesto, come se i nazisti ne potevano avere bisogno, l’uccisione di un diplomatico tedesco a Parigi e farsi scudo dell’indignazione del popolo per bruciare abitazioni e negozi di ebrei e le loro sinagoghe.

E poi vennero le Leggi Razziali fasciste in gran parte dell’Europa, per rendere dei cittadini che hanno contribuito alle singole nazioni di crescere di essere declassati, emarginati, esclusi dai diritti di ogni altro cittadino.

80 anni non sono bastati per non far emergere tanto odio per i propri simili, ma per fortuna, come 80 anni fa, c’è sempre chi si adopera per salvare anche una sola persona, anche sino al sacrificio.

Un libro romanzato su storie reali che si incrociano nella tessitura dell’autrice, lasciando ancora qualche speranza in un periodo impegnato ad incolpare gli altri della propria insoddisfazione, dove lo sdoganamento dell’odio manifestato pubblicamente, ha portato ad un esondazione di cinismo e cattiveria, in una società incline all’individualismo ed all’ egoismo, facilmente mutabili in razzismo.

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La ragazza della neve
di Pam Jenoff
Traduttore: Tullia Raspini
Editore: Newton Compton, 2017, pp. 351
Prezzo: € 10.00

EAN: 9788822707727
ISBN: 8822707729

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Opinioni di un clown di Heinrich Böll

04 CB Libri Opinioni di un clownHans si presenta: sono un clown. Il protagonista del romanzo proviene da una famiglia della borghesia in vista della cittadina di Bonn: gli Schnier. Gli Schnier sono “quasi nobili”, sono la famiglia del carbone della cui ricchezza però, i figli non hanno ricevuto niente, neppure da mangiare: risparmio ossessivo su qualsiasi cosa che non avesse una portata sociale; alla fine Hans mangiava meglio nel vitto del collegio!
Hans rifiuta il percorso di carriera che gli viene offerto dalla famiglia e decide di vivere facendo il clown. In fondo quando la distanza tra i principi morali e l’etica supera l’umana contraddizione, la realtà si trasforma in una farsa grottesca e un clown nella sua pantomima riesce a partecipare al gioco folle della vita. Hans vive girovago mettendo in scena “Predica cattolica e predica evangelica”, “Seduta di consiglio d’amministrazione”, “Traffico”.
Hans nasce e cresce non comprendendo le dinamiche del mondo contemporaneo. L’ipocrisia ferisce, e ferisce ancor di più quando per giustificare un comportamento, ci si costruisce sopra una morale a cui comunque può succederne un’altra se la prima non è più alla moda, così, senza alcuna responsabilità come “come se niente fosse”. Feriscono affermazioni prive di una qualunque umanità. In epoca nazista la sorella Henriette sedicenne viene mandata dalla madre, per il credo nazista, come volontaria nella Flak, incontro a morte certa; dopo la guerra la madre rinnega posizioni precedenti divenendo peraltro presidente di una società per la conciliazione dei contrasti razziali e la figlia non viene più nominata; alla morte di Georg, ragazzino saltato in aria nell’esercitazione con il “Panzerfaust” sente dire: “per fortuna che era orfano”.
Le ferite proseguono e tutto viene letto allo stesso modo: meglio essere un clown dalla vita anarchica libera dai cliché sociali o dagli obblighi formali imposti da una religione. Hans soffre, ora soffre soprattutto per la fine della relazione con Maria. Maria se ne è andata: dopo anni di convivenza e di amore non riusciva ancora ad accettare una vita non consacrata nel matrimonio.
Opinioni di un Clown o confessioni di un uomo che non si trova nel mondo che gli è toccato vivere. Non descriverò come conclude questo capolavoro: che i curiosi vadano fino in fondo e lo leggano per intero; per i pigri, genialmente l’autore Heinrich Böll, svela tutto nell’incipit: «Coloro ai quali non è stato annunciato nulla di Lui, lo vedranno; e coloro che non ne hanno udito parlare, lo intenderanno. “Romani”, 15, 21». Buona lettura!

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Opinioni di un clown
Heinrich Böll
Traduttore: A. Pandolfi
Editore: Mondadori, 2016, pp. XVI-232

EAN: 9788804670834

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La magia degli Elementi

Sono passati otto anni da quando Cecilia Randall uscì in libreria con il romanzo Gens Arcana, al termine del quale l’autrice mise subito in chiaro ai propri lettori di non aspettarsi seguiti, trilogie o altro in quel momento. Il romanzo ebbe però un buon successo editoriale e i fan da allora non hanno mai abbandonato la speranza di rivedere Valiano e gli altri protagonisti in una nuova avventura, speranza fortemente palesata all’autrice.
E ora siamo qua, otto anni dopo appunto, con il tanto atteso seguito che ha tutti gli ingredienti necessari per fare onore ancora una volta al talento dell’autrice modenese.
Se il tempo è passato per noi lo stesso non vale per i personaggi di questo mondo semi-reale ambientato nella nostra cara penisola nel 1480. I protagonisti Valiano, Selvaggia e Manente li ritroviamo a pochi mesi dai fatti narrati nel primo romanzo, ancora insieme, ma non più in Toscana. Valiano ha infatti deciso di spostarsi momentaneamente a Venezia, luogo da lui scelto per poter esercitare il suo ruolo di primo arcano d’Italia. Chi sono gli arcani? Bè, per rispondere a ciò sarebbe più corretto partire dal primo romanzo, che oltretutto è stato riproposto in libreria con una nuova veste grafica per accompagnare l’uscita del suo seguito. Detto questo però, una risposta può essere semplicemente che gli arcani sono esseri umani dotati di particolari poteri “mistici” che permettono loro di interagire con gli elementi, terra, aria, acqua e fuoco, trasformandoli in armi di notevole efficacia.
La spiegazione, lo ammetto, è un po’ povera e una lettura approfondita del romanzo (o dei romanzi) ve lo confermerà, ma è utile giusto per dare un idea a chi ancora non conosce la saga per sapere bene o male quale è il genere trattato.
Per chi volesse leggere entrambi i libri un breve quadro può essere il seguente: in Gens Arcana il protagonista Valiano non ne vuole proprio sapere dei suoi poteri ed è costretto a difendersi da chi lo vuole eliminare per accaparrarsi il suo diritto ereditario in vetta agli Arcani; in Magister Aetheris invece il cattivo misterioso ha più o meno la stessa ambizione, ma Valiano questa volta è un poco più preparato a combattere.
Non mancano ovviamente i cari vecchi elementali e nemmeno i simulacri, a cui si aggiunge un agguerrita Santa Milizia che ha più meno lo stesso modus operandi dell’Inquisizione.
Le differenze tra i due romanzi non si limitano però alla sola trama: se infatti nel primo era ben chiaro chi fossero i buoni e chi i cattivi e il percorso del protagonista era piuttosto lineare, nel secondo c’è molto più mistero, accentuato da una Venezia che grazie alla sua conformazione non è certo povera di segreti, e in questo l’autrice ha saputo sfruttare la città molto bene. Non spaventatevi quindi se, a più di metà romanzo, ancora non sapete dove si andrà a parare perchè, se c’è una cosa che proprio non manca, è la suspense.
L’intreccio tra i personaggi si rivela ancora una volta avvincente, ed ognuno di loro grazie al suo carattere ben definito riesce a dare il suo contributo ad una storia che scorre veloce tra i capitoli, ricca di colpi di scena e con combattimenti che tolgono il fiato.
L’abilità di Cecilia Randall nel giocare con la storia non è una sorpresa dopo il notevole successo della saga di Hyperversum e, se dopo tanti romanzi, l’autrice riesce ancora a catturare il lettore per il taglio mistico che riesce a dare a periodi così importanti del passato, c’è da sperare che la sua vena creativa abbia ancora in serbo storie del calibro di Magister Aetheris.
Lasciatevi quindi catturare anche voi dal suo mondo partendo magari dal principio con Gens Arcana, potreste finire con il ritrovarvi tra le mani due romanzi di ottima fattura che ben si inseriscono nell’universo fantasy attuale. Non vi piacerebbe forse domare un elementale o scatenare una bella tempesta di fuoco? Scopritelo.

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Titolo: Magister Aetheris
Autrice: Cecilia Randall
Anno: 2018
Editore: Giunti Editore (Collana Waves)
Pagine: 592

 

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03a AB Libri magister aetheris 2

Titolo: Gens Arcana
Autrice: Cecilia Randall
Anno: 2018 (2010)
Editore: Giunti Editore (Collana Waves)
Pagine: 752

 

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Dietro ai dipinti e alle sculture: i mostri sacri del Rinascimento

Antonio Forcellino torna sul mercato editoriale con l’opera prima di una trilogia dedicata ai grandi protagonisti del Rinascimento. Se non conoscete l’autore provate ad immaginarlo come una sorta di Giorgio Vasari dei giorni nostri, se poi non conoscete neanche il Vasari beh, probabilmente non vi piacciono l’arte e la storia. (Non me ne vogliano gli esperti per questo paragone).
Forcellino si è occupato in passato di numerosi saggi dedicati alla vita e alle opere dei tre Maestri assoluti del Rinascimento dove, “tre Maestri assoluti” sta a Leonardo, Michelangelo e Raffaello.
Con l’opera qui recensita l’autore abbandona la saggistica per dedicarsi agli stessi temi sotto forma di romanzo, ridando vita ai protagonisti di quel periodo magico e tanto importante sia sotto il punto di vista artistico che sotto quello politico. Oltre ai tre artisti sopra menzionati infatti, le pagine ripercorrono in modo dettagliato le trame politiche dell’Italia rinascimentale, con personaggi di spicco come Rodrigo Borgia, Lorenzo il Magnifico, Ludovico il Moro e tanti altri ancora tra cui alcune donne di pari valore come Giulia Farnese e Lucrezia Borgia giusto per citarne un paio.
Il romanzo inizia narrando ciò che avvenne in un pomeriggio dell’estate del 1451 quando ser Piero da Vinci, passeggiando nella campagna nei pressi del suo paese, incontrò la giovane Caterina a cui non seppe resistere e che decise di possedere lì in quel momento. Momento che fu cruciale per l’Italia intera e per le generazioni a venire perché, citando il romanzo: “presto il frutto di quello stupro avrebbe abbandonato il borgo e la campagna per andare a cambiare il mondo”.
E così prende il via un racconto strutturato in modo lineare seguendo la linea di successione dei Papi, partendo da Niccolò V per arrivare fino ad Alessandro VI, in un susseguirsi di avvicendamenti alla guida della Chiesa, tra lotte intestine su tutto il territorio italiano dove i più grandi nobili del rinascimento si combattevano, si alleavano e si tradivano per assicurarsi la prosperità dei propri casati, con i turchi e i francesi alle porte e pronti ad invadere l’Italia per inserirsi tra i contendenti.
A tutto ciò si affianca la carriera artistica, scientifica e chi più ne ha più ne metta di Leonardo da Vinci, il primo vero protagonista di questa storia, quello a cui sono dedicate più pagine, pagine dove viene disegnato il suo carattere bizzarro e inconcludente. Proprio così, inconcludente. Se pensate infatti che egli ha lasciato ai posteri alcune tra le opere più belle mai concepite dall’uomo, dovete anche sapere che la sua mente piena di idee era ossessionata dalla smania di approfondirle, facendo si che i suoi lavori si protraessero all’infinito tanto da non concluderne molti, come i disegni dei suoi progetti rinvenuti dimostrano, primo tra tutti quel famoso cavallo di bronzo…
Proseguendo nella lettura e arrivati nel periodo della maturità artistica di Leonardo, ecco apparire a Firenze la famiglia Buonarroti guidata dal patriarca Ludovico e tra la cui prole figura un tale Michelangelo, giovane e promettente artista abile tanto nella pittura quanto nella scultura. Poche ancora le pagine a lui dedicate, sufficienti però a far capire quale futuro si prospetta a colui che si presenta alla corte di Roma con una scultura chiamata Pietà.
Ancor meno sono le righe dedicate all’ultimo dei tre maestri, quel Raffaello da Urbino menzionato per ora solo come allievo di altri grandi artisti di allora. C’è da aspettarsi che saranno quest’ultimo e il Buonarroti a contendersi il ruolo di protagonista nel seguito di questa prima opera, senza contare che lo stesso Leonardo avrà ancora molto da dire.
Se ancora non vi è chiaro il romanzo merita attenzione e c’è da fidarsi nell’affermare che non servono le americanate in stile “Codice Da Vinci” per appassionarsi alla storia perché, quando si è in grado di raccontarla nel modo giusto, la storia appassiona per quello che è.
Antonio Forcellino non è certamente una sorpresa come storico ma lo è forse come romanziere dove mette in luce doti narrative di tutto rispetto e, se la premessa è questa, non sarebbe male sentirne parecchi altri di racconti nati dalla sua conoscenza. Iniziamo per ora a goderci questo secolo dei giganti.

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Il cavallo di bronzo. Il secolo dei giganti
Antonio Forcellino
Editore: HarperCollins Italia, 2018, pp. 528
Prezzo: € 14,90

EAN: 9788869053672

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