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Biblici ammonimenti

Arne Dahl, pseudonimo di Jan Arnald (1963), con Come sigillo sul tuo cuore torna a indagare, dopo l’intrigo internazionale di Brama, sull’odierna società svedese, con i suoi complessi interrogativi morali, dove i poliziotti si trovano a confrontarsi con una Svezia ben lontana da quella delle cartoline: linda e accogliente.

La Svezia descritta da Arne Dahl non è quella degli svedesi ligi e sorridenti, ma quella degli sfruttatori e sfruttati, del lavoro nero e dell’evasione fiscale.

Così un’operazione di polizia contro dei migranti si trasforma in una esecuzione e da un suicidio, consumato nell’indifferenza del vicinato e scoperto da un ladro in un appartamento, prende le mosse un’indagine su di un pluriomicida.

Il Gruppo A, dell’elite della polizia, indaga su i due atti violenti e sui poliziotti coinvolti, dividendosi tra Stoccolma, con la sua periferia, e la provincia meridionale della Scania, mettendo sotto il microscopio il passato dei due defunti che non hanno apparentemente alcun collegamento.

Come nelle indagini del commissario Kurt Wallander, nato dalla penna dallo scrittore Henning Mankell svedese, la trama vive un crescendo da thriller psicologico.

Pazientemente la matassa della trama si srotola, tra viaggi a ritroso e ammonimenti biblici, mentre su tutto la natura nordica, con le sue nuvole e la pioggia, sovrasta le indagini Kerstin Holm e il suo tormentato rapporto con Dag Lundmark.

00 Libri Come sigillo sul tuo cuore di Arne Dahl cover*************************

Titolo: Come sigillo sul tuo cuore
Autore: Arne Dahl
Traduzione: Carmen Giorgetti Cima
Editore: Marsilio, 2014
Pagine: 368
Prezzo: € 18.00
isbn: 978-88-317-2000-7

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Non è mai troppo tardi

Raramente capita di leggere romanzi che hanno per protagonista un vivace, anzi un verace, pensionato, soprattutto un pensionato del calibro di Cesare Annunziata, un napoletano dall’animo focoso come la terra in cui abita.
Cesare, 77 anni, ancora non ne vuol sapere di fare quella vita che tutti pensano che un uomo della sua età dovrebbe fare, ovvero una vita pacata ormai lontana dai vizi e dagli eccessi (come la pillola blu) per godersi in pace l’ultima fase di una lunga esistenza; anche se lui di morire non ne ha alcuna intenzione.

Questo bizzarro pensionato, nato dalla penna di Lorenzo Marone, riempie le pagine del romanzo “La tentazione di essere felici” che ha portato lo scrittore napoletano al grande salto di qualità, approdando alla casa editrice Longanesi che ne ha riconosciuto le ottime doti narrative. Il merito dell’autore è sicuramente quello di aver creato e caratterizzato un personaggio come Cesare che nonostante l’età è dotato di un carisma prorompente condito con una certa dose di cinismo che per molti lettori può risultare affascinante.

L’anziano protagonista è vedovo, padre e nonno ma nessuna di queste tre cose gli dona particolari emozioni: il rancore nei confronti della defunta moglie si trascina nel tempo per via delle responsabilità nei confronti dei figli a cui lui ha dovuto far fronte, quando invece prima si preoccupava lei. I figli invece sono un capitolo ancor più complicato: Sveva è una madre in carriera infelice della sua vita matrimoniale, mentre Diego è omosessuale anche se al padre non lo ha mai detto, tuttavia Cesare ne ha la certezza ed è questa la cosa che gli fa davvero male. E il nipotino Federico? Diciamo che fare il nonno non è il massimo delle ambizioni del protagonista, anche se tra tutti il piccolo è quello che gli dà meno problemi e più sorrisi.

E poi c’è Emma, quella del presente e quella del passato. La prima è la vicina di casa di Cesare e la seconda è un ricordo che la prima ha risvegliato. Ma se non si può vivere di ricordi lo si può fare riscoprendo se stessi grazie ad una giovane ragazza la cui realtà è molto più difficile e complicata di quella di un vecchio pensionato a cui tutto sommato la vita ha dato tutto. Dal loro incontro sul pianerottolo in poi il passato e il presente di Cesare si intrecceranno facendo luce sul perché delle molte situazioni che oggi lo circondano, rivitalizzando in lui parte di quell’affetto paterno che ai figli è da tempo negato.
La sua è la storia di un uomo che ha vissuto numerose esperienze e il cui cuore ha conosciuto parecchi amori e altrettante delusioni che poco alla volta hanno indurito il suo animo fino a renderlo l’uomo “scorbutico” che è diventato.
Capita però di incappare a volte in situazioni drammatiche che nella sventura sono proprio quelle che aiutano a riaprire il proprio cuore anche se forse questo potrebbe non bastare per risolvere tutto.

L’autore, Cesare e il romanzo trasmettono tra gli altri un messaggio chiaro: la felicità non è dovuta ma va ricercata. A volte magari la stessa non è voluta o si pensa che più di così non si possa avere ma anche in questi casi non è mai troppo tardi per accorgersi che i primi che possono donare felicità sono proprio gli affetti che ti circondano; del resto, proprio come si dice a Napoli: I figli so’ piezz’e core.
E Cesare? Se ne renderà conto?

Libri La tentazione di essere felici cover

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Titolo: La tentazione di essere felici
Autore: Lorenzo Marone
Editore: Longanesi (Collana la Gaja scienza), 2015
Pagine: 268
Prezzo:
Disponibile anche in ebook

Sito

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Misteri in miniatura

Un mistero in un mistero dentro un altro mistero… e così via. A lettura in corso questa è la perpetua sensazione che lascia questo romanzo intitolato “Il Miniaturista”, scritto dall’autrice inglese Jessie Burton, al suo esordio letterario con quest’opera.
Il romanzo, ambientato ad Amsterdam verso la fine 1600, si ispira liberamente alla vita della giovane e ricca olandese Petronella Oortman, che ne è anche la protagonista. L’autrice ne sottolinea l’ispirazione chiarendo che non si tratta affatto di un romanzo biografico della ragazza che visse in quegli anni, pur attingendo pienamente dalla sua storia per condire le pagine del libro.

Per essere corretti però, è meglio dire che i protagonisti del romanzo sono Petronella e la sua casa in miniatura, riprodotta fedelmente da uno sfuggente personaggio e regalatale come dono di nozze dal marito, il prestigioso quanto emblematico mercante Johannes Brandt.
E dove stanno i misteri in tutto ciò? Da dove cominciare…?
Dal marito forse, o dall’austera sorella Marin magari, e perchè non dai loro servi Otto e Cornelia? O dai clienti/amici dei Brandt, i coniugi Meermans? Senza tralasciare poi la miniatura stessa e chi l’ha creata che probabilmente sono i misteri per antonomasia. Per farla breve, tra tutti i personaggi che compaiono nel libro, l’unica senza scheletri nell’armadio e segreti da custodire sembra proprio essere la protagonista, che dovrà invece rassegnarsi all’idea di dover scoprire da sola molte cose che sarebbe meglio se rimanessero nell’ombra.

Il Miniaturista è una storia che a tratti toglie il fiato da quanto la storia si infittisce e si addentra nella vita privata dei personaggi o meglio ancora nei corridoi della casa di Johannes e Petronella. Senza contare l’ambientazione in un’Amsterdam perbenista e pronta a condannare chiunque non si attenga alle rigide regole imposte dallo Stato e non meno dalla Bibbia.
La miniatura poi sembra vivere di vita propria, così come i vari decori che la compongono, quali le riproduzioni fedeli di coloro che quella casa la vivono. Non si tratta certo di bambole voodoo ma a volte a Nella (diminutivo di Petronella) sembra che quei pupazzi subiscano le stesse mutazioni fisiche delle persone reali, siano esse ferite o “altro”. Come è possibile tutto ciò? E come fa il miniaturista a sapere quel che succede in casa o, peggio, cosa vorrebbe Nella da aggiungere tra gli orpelli? Altri misteri si aggiungono.
Così fino alla fine, fino all’ultima pagina dove forse al lettore rimarranno ancora dei dubbi irrisolti… o forse no?
Questo è l’ultimo mistero che rimane da scoprire.

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Titolo: Il Miniaturista
Titolo originale: The miniatuist
Autrice: Jessie Burton
Traduttore: E. Malanga
Editore: Bompiani (collana Narratori Stranieri), 2015
Pagine 439
Disponibile in ebook

Sito web

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Una Guerra che viene da lontano

Nel momento in cui la Libia è fonte d’instabilità in seguito alla maldestra “guerra umanitaria preventiva” del 2011, è interessante capire come ci siamo entrati la prima volta, nel lontano 1911. Gli avvenimenti vengono riscostruiti da due storici, Franco Cardini e Sergio Valzania e l’analisi copre sia gli aspetti bellici che diplomatici ed economici della nostra espansione coloniale nel Mediterraneo. Molte furono infatti le forze che spinsero verso l’avventura libica: le banche, i circoli politici frustrati dall’annessione della Tunisia alle colonie francesi (1881), gli alti ufficiali, i nazionalisti. Tra i politici, Giovanni Giolitti capì sicuramente – come Francesco Crispi prima di lui – l’importanza di una trionfale impresa coloniale ai fini di politica interna: il colonialismo italiano, oltre che tardivo, è sempre stato antieconomico, ma con una forte valenza ideologica sfruttata fino in fondo dalla classe politica borghese e dai militari. Ancora nel 1936 si sarebbe giocata la carta coloniale per risolvere i problemi sociali e politici interni, anomalia tutta nostrana: le potenze europee hanno sfruttato mezzo mondo per arricchirsi, non per deflettere lo scontento sociale, collezionare medaglie o rinforzare un governo di coalizione. E siccome dopo la sconfitta di Adua (1896) pochi volevano sentir parlare di imprese coloniali, fu organizzata la macchina di propaganda. Se la classe dirigente era militarista, la popolazione era nel complesso estranea se non ostile di fronte all’idea di una guerra lontana e priva di una forte motivazione nazionale, come poteva invece essere la difesa dell’arco alpino dagli Austriaci. All’epoca era comunque ancora facile raccontar balle alle masse di contadini analfabeti e alla piccola borghesia urbana, anche se i portuali si rifiutavano di caricare i convogli per la Libia e i ferrovieri di movimentare le tradotte dei soldati. Gaetano Salvemini definì subito la Libia “lo scatolone di sabbia”, e tale rimase fino alla possibilità di estrarre il petrolio, operazione all’epoca tecnicamente prematura.
Ma c’è di più. Nel 1911 l’Italia non fece guerra a un “bey” locale, ma all’Impero Ottomano; il quale, per quanto in crisi, era pur sempre una potenza internazionale. Non prevedere le ripercussioni nei rapporti tra le potenze europee e l’estensione del conflitto ad altre zone del Mediterraneo o addirittura dei Balcani fu una leggerezza imperdonabile. La diplomazia italiana era di buon livello, ma si puntò tutto sulla forza. I Turchi in realtà erano pronti a cedere la sovranità dei porti di Tripolitania e Cirenaica – erano province povere e autonome – ma a patto di salvare la faccia. Se si pensa che l’Egitto, pur gestito dagli Inglesi, rimase sempre formalmente parte integrante dell’Impero Ottomano e addirittura entrò nella Grande Guerra a fianco degli alleati contro i Turchi, è chiaro che una soluzione diplomatica era sempre possibile. Ma Giolitti e il Re volevano proprio la guerra e i nostri marinai nel 1911 sbarcarono a Tobruk, un nome che ancora dice qualcosa a chi ha fatto l’ultima guerra. Seguì l’occupazione di Tripoli e poi di Bengasi, all’inizio con poche truppe e trascurando la reazione della popolazione islamica e la possibilità di una guerriglia alimentata dai beduini che vivono nell’enorme deserto libico. Pensare di tenere la costa senza controllare l’interno fu un errore già fatto dagli antichi Romani. Come spesso avviene nelle guerre italiane, compresa la recente seconda impresa di Libia del 2011, il paese entrò in guerra senza una strategia coerente e soprattutto senza avere una chiara consapevolezza delle sue conseguenze. Noi italiani entriamo in guerra sempre con un assetto militare sottodimensionato e poco energico nella fase iniziale, salvo poi rinforzare il contingente per necessità. La guerra di Libia non smentì questa prassi tuttora consolidata, col risultato di non sfruttare il vantaggio iniziale. Altro calcolo sbagliato fu ritenere che la popolazione oppressa dall’Impero Ottomano passasse dalla nostra parte. A parte che niente fu fatto per associare al potere almeno parte dei notabili di Tripoli e delle altre città portuali, sottovalutare l’Islam e la sua facile presa su masse totalmente analfabete fu un’imperdonabile leggerezza. La guerra santa contro gli infedeli non fu certo inventata nel 1911, e tuttora ne sappiamo qualcosa: soprattutto a Bengasi esisteva ed esiste tuttora una forte componente islamista da non sottovalutare. Alla fine l’esercito italiano si trovò letteralmente insabbiato e privo di quelle capacità di manovra che pochi anni più tardi sarebbe stata offerta dai veicoli a motore. Ma la repressione delle rivolte fu sempre dura e sanguinosa, né ci ha mai fatto onore.
Altra conseguenza fu l’estensione del conflitto fuori della Libia. Per avere Tripoli si finì per spostare il centro di gravitazione della battaglia nell’Egeo e nei Dardanelli, dove la nostra Marina fece miracoli. Ma questo inquinò i fragili equilibri tra l’Impero Ottomano e le varie nazionalità greche e balcaniche, col risultato di preoccupare giustamente Austriaci e Tedeschi. L’Italia faceva parte della Triplice Alleanza e i Turchi erano militarmente assistiti dai Tedeschi, mentre nei Balcani era da tempo iniziata la corsa dell’Impero Austro-Ungarico per subentrare come potenza egemone e frenare le spinte slave che miravano agli stessi obiettivi. Se gli Austriaci avevano sperato che la guerra di Libia stornasse le nostre mire irredentiste, ora trovarono la situazione peggiorata. Difficile capire l’inizio della prima Guerra Mondiale se non si comprende questo scontro tra faglie tettoniche in attrito tra di loro. E la piccola Italia, ultima arrivata fra le medie potenze, dichiarando guerra all’Impero Ottomano offrì per prima l’esempio della capacità di usare le forze armate per ottenere quello che voleva, salvo capire dopo che una guerra costa molto più di quanto ottiene. Giovanni Giolitti se ne rese conto tardi, ma nel 1915 non fu un interventista. Nel resto dell’Europa nessuno capì la lezione.

00 Libri  La scintilla Guerra di Libia*************************

LA SCINTILLA
Da Tripoli a Sarajevo: come l’Italia provocò la prima guerra mondiale
Franco Cardini – Sergio Valzania

Editore: Mondatori, 2014 – 2015
Prezzo: € 19,00
Pagine: 200
ISBN 9788804648307
EAN:9788804636489

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Disponibile come ebook

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In tempi oscuri Ivana Della Portella racconta una favola vera della campagna romana

In un mondo dove tutto deve essere piccolo,
come l’oggetto, nell’angusta “essenzialità” della casa moderna,
si teme ogni cosa che possa sottrarre tempo e spazio mentale
alla vorticosa monotonia dell’umana giornata.
Ed è così che in tempi oscuri, tanto più per la cultura,
accade di guardare con timore un libro che superi le trecento pagine.
Nel caso di questo “VIAGGIO SENTIMENTALE NEI DINTORNI DI ROMA”
possiamo affermare che non si tratta di un libro grande
bensì di un grande libro necessario realizzato su 471 pagine,
con sapiente leggerezza, da IVANA DELLA PORTRELLA.
Pagine essenziali che volano via come in ogni buon libro d’avventure
e in questo caso andremo a caccia di bellezze naturali
e di Opere d’Arte di valore inestimabile a noi vicine, spesso sconosciute.
Il VIAGGIO si apre sull’ immagine maestosa di Carlo Borgogno,
dove i pini di Roma, gonfi di vento e delle note di Respighi,
conversano d’amore con gli archi dell’Acquedotto.
Dopo l’essenziale presentazione di Vittorio Emiliani e prefazione dell’autrice,
inizia una sequenza di 120 preziosi cammei descrittivi dei luoghi,
pari ad altrettanti comuni del circondario di Roma che…
dalle meraviglie dell’AGER TIBURTINUS
iniziano ad arricchire il lettore fino ai saporosi versi conclusivi
che parlano ancora dall’antico portale di Carpineto Romano.
Insomma, attraverso questo libro necessario e piacevolissimo
si “visitano” e si scoprono o riscoprono con stupore:
MERAVIGLIE SPESSO IGNOTE DELLA “CAMPAGNA ROMANA”
E dunque si tratta anche di un “giallo” che tra colpi di scena e sorprese
contagia una gran voglia di ritrovare il piacere, magari con colazione al sacco,
dell’ormai leggendario “VIAGGIO FUORI PORTA”.
Sarà così che attraversando il bosco sacro a Diana, potrà accadere…
di sorprendere la dea ancora intenta a specchiarsi nel lago di Nemi.
E quante impensabili visioni ancora tra Colli Albani, Ariccia e poi…
la Tolfa suggestiva con le sue storie di minatori di Allumiere
e tanti e tanti luoghi favolosi ben noti e “sconosciuti”.
In conclusione, non solo un libro ma tanti modi sapienti di raccontare
dove evocazioni di intatte bellezze naturali e capolavori d’arte
si intrecciano a folgorazioni poetiche straordinarie:
memorie storiche e appunti letterari da Svetonio a Orazio,
da Goethe a Stendhal, da Montesquieu a Brandi fino al grande Frazer…
e poi ancora Levi, Pasolini, Lawrence, Turner, Piovene
e molti altri “cantori del bello” per arrivare a Fagiolo dell’Arco.
Preziose e suggestive inoltre le antiche carte che accompagnano i testi.
Insomma: un viaggio non solo sentimentale, ma appetitoso e in buona
compagnia,
alla riscoperta del grande patrimonio di questo nostro Paese
che se compreso, amato e ben amministrato, potrà vivere e prosperare,
essenzialmente, attraverso la Cultura.

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Layout 1Viaggio sentimentale nei dintorni di Roma
Ivana Della Portella

Editore: Palombi, 2014
Prezzo: € 19,00
472 pagine
ISBN 978-88-6060-552-8

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Ivana Della Portella
Storica dell’ arte, critica d’arte, pubblicista
I suoi libri sono tradotti in varie lingue
Dagli anni ’90 ha ricoperto cariche pubbliche

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