Archivi categoria: Proposte Editoriali

Il complesso rapporto tra architettura e liturgia

Ѐ uscito recentemente in libreria l’interessante volume di Leonardo Servadio Architettura e liturgia. Intese, oltre i malintesi.

Il saggio, illustrato alla presenza di un folto pubblico presso la Galleria San Fedele a Milano, si propone di fare il punto su una questione non secondaria di architettura sacra, e cioè la progettazione delle nuove chiese nonché l’adeguamento di quelle preesistenti a seguito dei cambiamenti in tema di liturgia disposti a conclusione del Concilio Vaticano II. I notevoli mutamenti che hanno rivoluzionato la liturgia post-conciliare riguardano non solo la lingua delle celebrazioni liturgiche, ma anche l’intera disposizione degli elementi architettonici che costituiscono l’edificio chiesa. Per anni sono mancate agli architetti e alle commissioni diocesane esaminatrici dei nuovi progetti le disposizioni concrete per la valutazione degli stessi, per anni non si è saputo come costruire le nuove chiese. La mancanza di linee guida autorevoli ha generato a volte confusione e interpretazioni opposte.

Nel 1993 infine la Commissione per la liturgia della Conferenza Episcopale Italiana pubblica la Nota pastorale Progettazione di nuove chiese e nel 1996 la Nota pastorale L’adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica, a fornire suggerimenti non generici sulla progettazione di spazi liturgici nel loro complesso coerentemente con le disposizioni conciliari.

Servadio, giornalista, collaboratore di Avvenire ed esperto di architettura sacra, esamina ogni aspetto dello spazio liturgico, dall’altare al tabernacolo allo spazio per l’assemblea, fino allo spazio esterno, sagrato e piazza, cercando di verificare, con numerosi esempi, quanto i nuovi progetti o gli adattamenti strutturali effettuati sulle chiese preesistenti siano coerenti con le indicazioni delle note pastorali o abbiano partorito a volte eccessi o “malintesi”.

Il fulcro fondamentale della liturgia rinnovata dal Concilio Vaticano II è la centralità dell’altare, come il tabernacolo lo era per la Riforma tridentina, rivolto verso l’assemblea dei fedeli chiamati a partecipare attivamente alle celebrazioni, e per questo motivo spesso le nuove chiese  presentano una pianta centrale. Servadio trova che questo sia però uno dei intenti più difficili da realizzare, in quanto a volte l’eccesso di sedute, spesso costituite da mobilia fatta in serie, tende a dare alla chiesa l’aspetto banale di un teatro con il pubblico passivo davanti ad attori su un palcoscenico, stravolgendo quindi i veri intenti del Concilio.

Se diverse chiese contemporanee, portate a esempio nel libro, riescono comunque a raggiungere i risultati auspicati dalle note pastorali, i progetti di altri pur noti architetti ottengono gli effetti opposti, non riuscendo a conferire alle loro chiese quel quid, come lo chiamava Pier Luigi Nervi, che si trova di frequente nelle chiese antiche.

L’architettura di una chiesa trascende il mero significato terreno di edificio idoneo ad accogliere una riunione di fedeli, si tratta della costruzione di uno spazio ricco di simboli, uno spazio che occorre percepire come altro rispetto a quello mondano. Tutti gli elementi architettonici che compongono una chiesa, a cominciare dal sagrato, non a caso solitamente elevato, devono tendere a questo risultato.  Il portale di una chiesa non separa uno spazio profano da un altro altrettanto profano ma lo separa da uno spazio sacro; la semi-oscurità che ci accoglie all’ingresso rappresenta il silenzio che induce al raccoglimento, così come le finestre di una chiesa non devono solo far filtrare la luce del sole, ma devono fare filtrare la luce divina.

L’ansia di modernità ha fatto a volte, certamente non sempre, prevalere istanze architettoniche puramente materiali, tralasciando l’elemento spirituale, quel quid di cui parlava Pier Luigi Nervi, imprescindibile nell’architettura sacra.


Leonardo Servadio
Architettura e liturgia. Intese, oltre i malintesi.
Prefazione di monsignor Giancarlo Santi.
Introduzione di Paolo Portoghesi
Tab Edizioni, Roma
€ 20,00


(Pre)Potenza Militare

Sentendo la radio e leggendo giornali e blog devo prendere atto che genitori e insegnanti si stanno mobilitando contro quella che ritengono una militarizzazione delle scuole, sempre più spesso invitate a cerimonie o visite o iniziative promosse dalle Forze Armate, le quali in realtà queste attività le svolgono da sempre. Dunque ne è cambiata la percezione collettiva, finora genericamente pacifista, ora realmente “disarmata”, costretta a prendere coscienza della dura realtà della guerra. Negli ultimi trent’anni i nostri militari sono stati proiettati in missioni di pace (?) in terre lontane, ma impegnando a rotazione reparti formati da professionisti, con perdite esigue e un certo ritorno d’immagine. La guerra in Ucraina ora ha cambiato la scena e questo è stato un trauma per tutti. Iraq e Afghanistan sono stati dimenticati, esiste solo il buco nero di una guerra in Europa, ma chi aveva rimosso il problema ora è in crisi.
La guerra in Ucraina dura da un anno, ma nasce da lontano. Facile descrivere la scena attuale: trincee, distruzioni, armi e proclami politici, mentre il fronte rimane fermo come nella prima guerra mondiale. Meno facile capire cosa ha innescato una guerra nel centro dell’Europa dopo settant’anni di equilibri strategici armati ma nel complesso stabili (ex-Jugoslavia a parte, ma ci torneremo). Come al solito bisogna partire dalla caduta del Muro di Berlino (1989) e seguire lo sfaldamento dell’Unione Sovietica. Il vuoto di potere così creato non ha portato a un nuovo equilibrio, quanto piuttosto a uno squilibrio permanente nelle relazioni fra stati. La NATO, nata come struttura difensiva, si è allargata a Est a spese dei paesi soggetti al Patto di Varsavia, realizzando il Drang nach Osten tanto caro ai Tedeschi e suscitando le frustrazioni della Russia, in quel periodo troppo debole per reagire. L’adesione delle nazioni alla NATO è stata libera, quanto rapida è stata la loro accoglienza. Purtroppo la fine della Guerra Fredda e l’allargamento della NATO furono presentati come una vittoria sul nemico, mentre più logico sarebbe stato sciogliere un’alleanza difensiva in favore di una nuova agenzia di sicurezza che coinvolgesse anche la Russia, perlomeno la parte europea. Il resto lo sappiamo: la Russia di Putin vuole riprendersi il maltolto, ma strategicamente la guerra l’ha già persa; può vantare successi tattici, ma l’obiettivo iniziale non è stato raggiunto e per ora la situazione ricorda la prima guerra mondiale.
Ora, in Italia esiste da anni una discrasia fra una linea di Governo allineata con la NATO e un’opinione pubblica scettica o pacifista, la quale comunque poco incide sulla politica estera. Meno palese è che molte analisi puntuali e fuori del coro si devono invece proprio ai militari, in genere ufficiali superiori ora in pensione ma con lunga esperienza sul campo. Spesso esposti in prima linea, hanno informazioni di prima mano sulla realtà al di là della narrazione ufficiale e delle immagini televisive. Purtroppo il loro atteggiamento critico è privo di influenza sulle decisioni politiche nazionali. Vale però la pena di leggere i libri che scrivono. Consiglio L’uso della forza. Se vuoi la pace comprendi la guerra , del generale Carlo Jean (1996) e La NATO nei conflitti europei, ex Jugoslavia ieri, Ucraina oggi , del generale Biagio Di Grazia (2022). Il primo analizza realisticamente (e quindi senza l’ipoteca dell’ideologia) non solo cosa significhi scegliere la guerra come strumento di politica nazionale, ma il motivo per cui una classe dirigente deve per prima cosa chiarire quali sono gli interessi nazionali o internazionali. L’Italia è sempre stata opportunista, senza una condivisa strategia di lungo periodo; da qui avventure coloniali o post-coloniali, entrate in guerra decise la sera prima, guerre lampo impantanate o insabbiate per mesi a seguire e – più recente – un’ansia di presenzialismo e visibilità purché sotto comando statunitense.
Il libro del generale Di Grazia è diverso: forte della sua esperienza nell’ex-Jugoslavia, analizza i meccanismi perversi attraverso i quali l’ONU è stata scavalcata dalla NATO dopo la caduta del Muro di Berlino e oggi si permette di alimentare una guerra (in Ucraina) senza ufficialmente farla. La disgregazione della ex-Jugoslavia è stato il banco di prova durante il quale le varie missioni ONU si sono dimostrate poco capaci e prive di strumenti operativi: basti il paradosso di un Consiglio di sicurezza dove ha diritto di veto anche chi è parte in causa di un conflitto. Ma la NATO, forzando i regolamenti, in pratica si è da quel momento arrogata il diritto di gestire in proprio le crisi locali o addirittura di proiettare verso l’esterno quella che era nata come alleanza puramente difensiva, trasformando dopo l’attacco alle Torri gemelle (2001) l’articolo 5 della NATO (se un membro dell’alleanza viene attaccato tutti lo devono difendere) in un mandato in bianco per guerre contro tutti: i Serbi, il Terrorismo internazionale, Saddam, i Talebani. Con non poche incoerenze: l’indipendenza del Kosovo confligge con i principio dell’inviolabilità delle frontiere e ha dato esca legale al Donbass. Ancora: in Bosnia gli Stati Uniti hanno appoggiato uno stato islamico per poi combatterlo altrove, col risultato di impegnare per vent’anni anni tempo e risorse in paesi musulmani che nel profondo disprezziamo, refrattari come sono alle influenze esterne. La morale? L’importante è avere sempre un nemico, il che ricorda quel film di Alberto Sordi: Finché c’è guerra c’è speranza. In realtà sia la Serbia che la Russia, sia pur indeboliti, potevano essere ottimi alleati, a prescindere dal loro sistema di potere, ma per ora la saggezza non è di questo mondo.


L’ uso della forza. Se vuoi la pace comprendi la guerra
di Carlo Jean
Editore: Laterza, 1996, pp. 140
EAN: 9788842049579
ISBN: 8842049573
Prezzo: € 7.75


La NATO nei conflitti europei. Ex Jugoslavia ieri, Ucraina oggi Condividi
Autore: Biagio Di Grazia
Editore: Delta 3, 2022, pp. 184
EAN: 9791255140481
Prezzo: € 16,00


Dentro l’Uragano con Campegiani

I veri poeti sono dei profeti, e Franco Campegiani è uno di loro. Era il 1986 quando recensivo il suo libro di poesie, non il primo nonostante la giovane età, Selvaggio Pallido, con illustrazioni di Umberto Mastroianni (Rossi & Spera). Scrivevo allora su Avvenire (9/11/1986): «…una costante sembra sempre riproporsi: una lacerante dicotomia. È come se il sorriso più radioso fosse comunque e sempre offuscato dalla più viscerale delle angosce. Una dicotomia tutta contemporanea, oserei dire, di quel contemporaneo che comunque e sempre sente aleggiare su di sé i miasmi del terzo conflitto mondiale, vuoi scatenato dall’uomo, vuoi dalla natura in rivolta». Quelle parole trovano una incredibile attualità in una visione peggiorativa perché mentre all’epoca proponevo un conflitto scatenato o da l’uomo o dalla natura, siamo arrivati oggi ad un conflitto globale. Ancora nel 1990 scrivevo, sempre su Avvenire (7/1/1990), e questa volta sulla raccolta “Cielo Amico” (Ibiskos,1990), che mentre nell’altra raccolta l’uomo era visto distinto dalla natura, qui la natura era protagonista e l’uomo, al massimo, comprimario. Sono trascorsi molti anni e Campegiani ha dato alle stampe altre raccolte poetiche ed anche testi di natura filosofica, fino all’attuale raccolta di poesie Dentro l’uragano (Pegasus Edition, 2021) ma è rimasto sostanzialmente nell’animo quello di sempre: un poeta-contadino particolarmente sensibile alle problematiche ecologiche. Ma la sua è una sensibilità che non sfocia solo in una prassi ecologista, ma entra prepotentemente nella poesia perché nasce dal profondo del suo essere che si sente parte della natura. Aldo Onorati, critico e scrittore che da sempre segue il lavoro di Campegiani, sottolinea, nella prefazione, tra l’altro, proprio il legame profondo del poeta con la terra, definendo il suo un “sentimento georgico”. Due sono i rimandi che, a mio avviso, affiorano in queste liriche. Il primo è la vicinanza ad un movimento letterario che, sebbene datato, è pur sempre vivo nella sua concezione: l’Arcadia. Il poeta si sente parte di quel mondo di pastori e pastorelle dove la vita è in assoluta simbiosi col creato, dalle forme animate a quelle inanimate. Un esempio è nella poesia “Epitaffio”: «Sto nel dolce sonno degli appassiti rami / che si ravvivano a maggio, / nell’anima del fiume che si dissangua nella foce / ed evapora dal mare in nubi cariche / che tornano sui monti per nutrire le fonti sorgive». L’altro rimando, che occhieggia a Seneca ed allo Stoicismo, è la ciclicità ineluttabile ed ineludibile dal ciclo vita-morte: «L’aldilà sprofonda nell’abisso, / scivola nel vuoto, precipita a ritroso / verso gli inizi perenni, verso l’eterna fine /, in cieli e terre senza spazio e senza tempo / da cui riparte sempre la ruota della vita…» (“L’essere è qui”). Ma le conclusioni del poeta-filosofo non sono mai nichiliste ed una sostanziale fiducia nell’Amore, sia quello umano che quello divino, non lascia mai l’uomo completamente solo. Certo il mondo futuro non sarà più quello del passato come affiora nella lirica “Lettera a Pier Paolo” (Pasolini): «S’è disseccato Pier Paolo, per sempre / il fiume del sacro primordiale» tuttavia «la palingensi è inesorabile». Campegiani lascia aperto uno spiraglio al rinnovamento, alla rinascita ed alla rigenerazione. Dentro l’uragano ha vinto il Premio Letterario Internazionale Golden Selection, 2021.


Dentro l’uragano
di Franco Campegiani
Editore: Pegasus Edition, 202, pp. 88
EAN: 9788872111758
ISBN: 8872111757
Prezzo: € 10.00


PUTIN lo ZAR

Fra tutti i libri usciti in argomento, questo è finora il più completo e attendibile. In quasi 800 pagine, complete di indici e centinaia di note, viene riscostruita la carriera di Putin e dei suoi collaboratori, alcuni dei quali erano finora persino ignoti. Autrice ne è la giornalista inglese Catherine Belton, già specialista del Financial Times e corrispondente da Mosca, la quale si vale di fonti tutte documentate anche se spesso coperte da anonimato per comprensibili motivi di sicurezza: la gestione Putin ha lasciato fin dall’inizio una serie di “suicidi” eccellenti. Ma proprio perché giornalista del Financial Times, la Belton segue fin dall’inizio le piste del denaro: fondi neri accumulati all’estero dal KGB (ora FSB, ma poco cambia) già al tempo dell’Unione Sovietica tramite società di comodo, intermediari e tangenti varie. All’epoca non era solo un modo per aiutare l’economia socialista, ma anche per fare pressioni su governi, partiti e movimenti dei paesi occidentali o finanziare movimenti di liberazione africani e sudamericani. Questo traffico era gestito dal KGB, che rispetto agli uomini del Partito aveva uomini più colti, preparati e inseriti nelle società capitalistiche. Anche se le versioni ufficiali sono tante, su un punto le fonti concordano: Putin ha fatto carriera in Germania Est (DDR), a stretto contatto con la STASI (i servizi di sicurezza DDR) ed è tornato a San Pietroburgo una volta caduto il Muro di Berlino, come del resto tutti i suoi colleghi. Nel frattempo, dopo le coraggiose quanto maldestre riforme di Gorbaciov il Partito Comunista (PCUS) cerca di riconquistare il potere ma non riesce neanche a fare un colpo di stato decente, col risultato di sparire del tutto e di far salire al potere Boris Eltsin. Semplificando molto, avviene in breve tempo il passaggio da un’economia socialista a un capitalismo d’assalto gestito da una ristretta cerchia di imprenditori, banchieri privati, mafiosi ed ex-dirigenti del Partito, i quali a prezzi ribassati si accaparrano gli enti di stato attraverso aste riservate, mentre i prezzi di beni e servizi finora calmierati schizzano in alto in un libero mercato, per il quale la gente non è assolutamente preparata. Lo Stato è in bancarotta e dunque cede quote di aziende e stock di materie prime a pochi oligarchi e a prezzi stracciati, mentre la gente fa la fame. Nessuno pensa ad un azionariato diffuso e di fatto proprio nella patria del Socialismo si crea una società dove pochi capitalisti detengono il monopolio delle risorse di un paese immenso quanto squilibrato. Quello che è peggio, le risorse così accumulate vengono investite all’estero o nella finanza invece che nell’economia reale e nella ricerca, col risultato che ancora oggi la Russia basa quasi tutta la sua economia sulle esportazioni di materie prime invece che sullo sviluppo di tecnologie e di industrie manifatturiere all’altezza coi prodotti occidentali.
Ma questo si sapeva. Quello che non era chiaro era il modo in cui l’élite del KGB si è ripresa lo Stato non solo occupando il vuoto lasciato dal Partito, ma soprattutto levando di mezzo gli arricchiti nel momento in cui costoro sono entrati in politica e oltre i soldi vogliono anche il potere. E qui il contesto diventa quello di un romanzo criminale: Putin e i suoi non vanno mai per il sottile quando si tratta di richiedere indietro il maltolto, sembra anzi di seguire le gesta di una banda mafiosa. Forte poi dell’appoggio popolare, che vede in lui la rivalsa per ricostruire la Nazione se non l’Impero e ridistribuire le risorse alla popolazione. Promette benessere, purché nessuno si metta in politica. Presto i giornali e le istituzioni culturali scomode sono chiuse una dopo l’altra, tutto sommato senza una vera opposizione popolare. La cronica debolezza della società civile russa in questo aiuta Putin e i suoi, altrimenti non avrebbe potuto sospendere l’eleggibilità dei governatori di provincia (che era riconosciuta dallo Zar) e indebolire l’indipendenza della magistratura. La repressione del terrorismo ceceno (provocato?) fa il resto: per la sicurezza dello Stato diventano legali anche mezzi che in Europa noi non lo diventeranno mai. Questo in una società che, Mosca e San Pietroburgo a parte – città di cui Putin sarà anche sindaco – è sostanzialmente solidale con Putin, il quale conosce bene le aspirazioni profonde del suo popolo – lui stesso se vogliamo è “primordiale” – e si appoggia alla classe dei “siloviki”, i fedeli ed esperti funzionari ereditati dalla burocrazia sovietica e da sempre l’ossatura dello Stato.
Questo per la Russia. La seconda parte del programma di Putin ci riguarda da vicino: il fiume di denaro così recuperato si è riversato nella city londinese e in attività speculative di ogni tipo ed è diventato mezzo di pressione politica. Nell’affare ci sono dentro tutti, anche Berlusconi, Salvini e i Cinque Stelle per quello che ci riguarda, e le conseguenze di tale dipendenza da materie prime e finanza russa le vediamo adesso che in Europa c’è una guerra in corso. Detto questo, Putin ha un futuro? E’ riuscito a mantenere il potere e il consenso per anni, ma nessun regime sopravvive a una guerra persa o in stallo senza mutamenti nella struttura del suo gruppo dirigente.
Ottimi gli indici, centinaia le note, accessibile il prezzo: 17 euro.


Gli uomini di Putin. Come il KGB si è ripreso la Russia e sta conquistando l’Occidente
Autore: Catherine Belton
Traduttore: Alberto Cristofori
Editore: La nave di Teseo, 2022, pp. 648
EAN: 9788834610688
Prezzo: 17,00 €


Nuovi Respiri nella Poesia Ticinese

  • dalla presentazione di Marco Falchetti –

All’interno di questa esile e maneggevole antologia, Respiri in divenire, edita presso alla chiara fonte di Lugano, sono raccolte le voci di nove giovani autori provenienti dalla Svizzera italiana. Il felice titolo attribuitole porta con sé, in limine, i segni di una possibile soluzione interpretativa, quali il flusso e la trasformazione. Seppure in ‘stagioni’ della vita diverse, infatti, tutti gli autori qui riuniti hanno scelto di spostarsi dal Ticino (senza dimenticare l’origine) per questioni legate agli studi accademici: chi verso le Università di Friborgo, di Losanna e di Neuchâtel, situate nella Svizzera francese, chi verso un’esperienza oltre confine, presso l’ateneo di Bologna (giova ricordare che queste città – in particolare la perla sulla Sarine e il capoluogo dell’Emilia-Romagna – sono legate sul piano istituzionale da una vivace mobilità accademica).

Malgrado questa dispersione geografica, in tempi recenti – grazie anche alla tecnologia quale strumento di mantenimento del contatto in absentia – i componenti del gruppo sono sempre più divenuti lettori l’uno dell’altra, condividendo tra di loro scartafacci, dattiloscritti e abbozzi, così come dubbi stilistici e interpretazioni testuali della propria ricerca poetica: è in questo modo emersa dal profondo la comune passione per la scrittura. Come in una sorta di successio naturalis all’interno di un progressivo moto d’accostamento, le voci d’ognuno si sono disposte concentricamente, e si sono riconosciute nella figura geometrica del cerchio, rifiutando qualsiasi rapporto di subordinazione tra di loro. Non si tratta dunque di un assetto piramidale dalla cui sommità discende un modello da imitare e ripetere, ma del trionfo, in campo artistico, dell’equità, dell’amicizia.

Per impiegare una metafora tratta dall’ambito musicale, ogni nota dello spartito si è rispecchiata vicendevolmente nei testi qui raccolti, nella modalità di un tema con variazioni, e in molti di questi ha ritrovato un frammento di sé, oppure ha avuto l’occasione di lasciarsi suggestionare nell’immaginazione, e di cogliere poi un residuo di parola, rielaborandolo attraverso un lento solfeggio volto alla scoperta di una propria personale intonazione. Così operando l’antologia si regge su due fondamentali atti, quali il superamento di qualsiasi ‘privatizzazione’ del canto poetico da un lato, e la condivisione spontanea della propria creazione artistica dall’altro: cioè, più in generale, sulla «facoltà di raccogliere gli altri, e se stessi con gli altri, attorno a qualcosa», come ricorda Sereni in un’intervista del 1975.

Se ogni singolare voce poetica si salda e si lega insieme alle altre, completandosi di rilettura in rilettura, vero è anche che il valore aggiunto di Respiri in divenire risiede nella riscontrabile eterogeneità dei contenuti proposti. L’attenzione fornita ai dati della realtà, il recupero dal fondo della memoria – così come il suo ruolo nella scrittura poetica –, la ricerca dell’universalità del sentimento, il confronto con il proprio luogo d’origine, l’estinzione di un vecchio debito con il passato, e il viaggio sono solo alcuni dei tanti temi che emergono e attraversano, come una sorta di fil rouge, il variopinto panorama delineato nei diversi testi della raccolta.

Ma al di là di questa diversità di soluzioni impresse sulla carta – termometro delle differenti cifre stilistiche qui riunite –, che pur rimane un fattore al quale prestare attenzione, perché in sé racchiude i principali modelli di riferimento di ognuno, ciò che veramente conta mettere in rilievo è lo sguardo degli autori, interamente volto verso un comune orizzonte culturale entro il quale si compie la scrittura poetica – facendo così convergere il particolare modus operandi di ogni tessera del mosaico verso lo stesso epicentro: è sopra questo terreno che sorge una piccola fucina, all’interno della quale prima ogni componente del gruppo plasma e forgia le immagini, poi attende una visita, adopera il pettine fine, e in seguito restituisce la parola alla pagina – al lettore – intrisa della propria insostituibile sensibilità.

Prefazione di Marco Falchetti


113 Respiri in divenire – Generazione nuova

Raccolta di poesie di 9 autori ticinesi 20/30enni: Evan Bernasconi, Piera Biondina, Ottavia Bulloni, Marco Falchetti, Stefano Minotti, Enea Savio, Stefano Scandella, Serena Travaglini, Estelle Vezzoli

Illustrazione di Arianna de Angelis

Edizioni: alla chiara fonte


martedì 7 febbraio 2023 alle ore 18
sarà presentato il libro presso la

Biblioteca Salita dei Frati
Salita dei Frati 4a
6900 Lugano