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Un déjà vu Enciclopedico

Eh no, non ci siamo, questa volta proprio non ci siamo. Frequento Venezia da più di dieci anni e con essa le varie Biennali d’Arte o di Architettura, anno dopo anno vengono chiamate con nomi più o meno accattivanti. Quest’anno la 55. Esposizione Internazionale d’Arte ha come sottotitolo Il Palazzo Enciclopedico. Il Palazzo Enciclopedico venne ideato da Marino Auriti, artista naif auto-didatta italo-americano, venuto a mancare nel 1980 e che nel 1955 immaginò un museo che avrebbe dovuto ospitare tutto il sapere dell’umanità, raccogliendo dalla ruota al satellite le più grandi scoperte del genere umano, mai attuato praticamente. Quest’anno, però, nell’Esposizione veneziana, non solo non si è riusciti nell’intento dell’Auriti, ma ancora peggio, infatti se un rimprovero deve essere fatto, questo va ai curatori in senso lato, non tanto a chi espone. Chi espone fa il suo mestiere bello o brutto che sia. I curatori, invece, dovrebbero fare il loro mestiere consapevoli delle esposizioni e/o errori del passato. Questa volta, lo dico con cognizione di causa, avendo visitato la Biennale. Non ho mai visto un ripetersi di déjà vu, passando da padiglione a padiglione, in quelle che vengono chiamate le partecipazioni nazionali.

Un’occasione persa, perché pur essendo queste Biennali (una volta definite d’Arti visive) un concentrato di una parte dell’avanguardia o della contemporaneità, pur essendo ormai da anni un affastellarsi di performance, installazioni, videoarte e altro (ormai la Pittura e la Scultura non esistono più in questi tanto agognati luoghi espositivi, o se esistono sono in piccola percentuale rispetto a tutto il resto che pare che non ci siano), questa volta è stato solo e unicamente un noioso ripetersi di cose già viste.

Lo so creare è difficile, essere innovativi pure, ma BASTA, BASTA, BASTA con le solite proiezioni video (tra l’altro per essere originali, ho visto anche i televisori che proiettavano video sistemati al suolo, per poterli vedere bisognava letteralmente sdraiarsi per terra). Basta con le performance, con le espressioni di natura concettuale posta all’estremo.

Cito a caso, dopo i vari Schifano, dopo il new dada e la minimal Art, l’Arte povera, la bodyart, Bill Viola, bisogna fare altro. Ma se questi sedicenti artisti non sanno, più di tanto, cosa inventarsi, che si ritorni a quella sana e pura espressione d’Arte coniugata attraverso il “fare” PITTURA o il “fare” SCULTURA. Infatti in questa edizione si passa da un Charles Ray dal suo iperrealismo fuori misura (l’immagine di una donna in tailleur alta almeno tre metri), a un Damian Ortega che riunisce, a cerchio e sospesi, tanti oggetti di vita quotidiana, alle sculture viste e riviste di Duane Hanson, a Enrico Baj, a un Gianfranco Baruchello, alle rocce sospese di Phyllida Barlow, per parlare solo di alcune espressioni ‘artistiche’ ripetute già nel passato. Non si scomodi, con questo, l’idea dell’Auriti perché si poteva benissimo dare spazio a cose già viste con del nuovo così da poterli mettere a confronto. Ma forse il nuovo non c’è? E se saltassimo un’edizione, per dare il tempo di produrre qualcosa di veramente originale e perché no, di un nuovo modo di concepire la pittura nel senso più materico del termine o di nuove forme della scultura?

Negli interventi di presentazione alla stampa Massimiliano Gioni, curatore la 55.Esposizione Internazionale d’Arte, domanda quale sia il mondo degli artisti?

Comunque v’invito lo stesso a vedere questa esposizione veneziana perché ciò che ho descritto è solo un parere personale.

Mi piacerebbe, infatti, essere INTELLIGENTEMENTE smentito. So apprezzare le critiche solo se motivate e con un senso proprio.

Auguri.

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55. Esposizione Internazionale d’Arte 2013

Il Palazzo Enciclopedico

Dal 2 giugno al 24 novembre 2013

Venezia

Giardini / Arsenale

Orario:

dal martedì alla domenica

dalle 10.00 alle 18.00

Ingresso:

intero 30/25 €, ridotto 22 €

Informazioni:

tel. 041/5218.828

sito web

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Biennale di Venezia Palazzo Enciclopedico Camille Henrot

Penne: l’Arte Moderna

Sono capitato a Penne quasi per caso. Sapevo che era stato inaugurato il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea (Mamec). Così appena entrato in questo, apparentemente, piccolo Museo, mi sono subito accorto della sua funzionalità. La gentile Persona che stava alla biglietteria, mi ha fatto da guida. Sono venuto a sapere così che era stato inaugurato nel 2011 dopo una serie di lavori di ristrutturazione, che hanno mantenuto i pavimenti originari attraverso un sistema veramente valido senza per questo operare interventi o demolizioni sulle murature. Così tiranti distribuiti in ogni stanza hanno fatto parte di quella scelta conservativa e, debbo dire, innovativa. Infatti, tutte le integrazioni necessarie hanno trovato collocazione al di sopra dei pavimenti esistenti coperti da una nuova pavimentazione in legno che nasconde tutto. La piattaforma, che è staccata dalle pareti, diventa un elemento aggiunto con parti apribili per la manutenzione. L’allestimento museale ha poi completato l’opera, attraverso elementi scatolari e pannellature idonee. Ogni stanza contiene un sistema di climatizzazione, illuminazione, sicurezza e antincendio. L’ultima stanza, a mio avviso, è particolarmente interessante perché allestita da pannellature scorrevoli con funzione di deposito per i quadri che sono visibili al pubblico. Stesso discorso è stato reso valido per le opere grafiche contenute in apposite cassettiere fruibili al visitatore.

La raccolta comprende pitture che vanno dal vedutismo di fine Settecento fino alla grande pittura napoletana. La ricca collezione Galluppi ci fornisce un quadro importante della pittura dell’Ottocento e della prima metà del Novecento. Tra le opere i fratelli Palizzi, Antonio Mancini, Filippo De Pisis e Mario Mafai. Nelle bellissime sale oggi è possibile ammirare anche le opere di Remo Brindisi e della collezione Fabrizio-Savini. Oltre alle opere già citate risultano esserci i ‘Costumi romani’ di Bartolomeo Pinelli, il ‘Busto di donna’ di Vincenzo Gemito, una ‘Veduta di Orvieto’ di Michele Cammarano e uno scrittoio di Filippo de Pisis. Inoltre una sezione di opere a soggetto religioso tra il XIV e il XVII secolo.

Farebbero bene, architetti e allestitori, in vena di particolari soluzioni originali, cercando con la giusta umiltà, a visitare questo Museo veramente all’avanguardia.

Un Museo dove contenitore e contenuto si valorizzano a vicenda, a differenza di grandi esempi dove il contenitore la fa da padrone sminuendo ciò che contiene. Ma so bene che l’umiltà, a volte, male si sposa con la visione individualista di certi ‘innovatori d’ambiente’ e allora consiglio a tutti voi, persone normali, di andare a visitare questo splendido Museo poco distante da Pescara.

Godibilissima visita a tutti.

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MAMEC – Museo di Arte Moderna e Contemporanea

via Muzio Pansa, 37-39

Penne (Pescara)

Orario:

dal martedì a domenica

dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.30 alle 18.30

dal lunedì al sabato

dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.30 alle 18.30

domenica è chiuso

Ingresso:

intero 5,00 €, ridotto 2,50 €

Informazioni:

tel. 085/8210160

Sito web

05 Musei Penne - Museo Arte M Brindisi 05 Musei Penne - Museo Arte M Copertina catalogo 05 Musei Penne - Museo Arte M Mafai

Chieti: un Palazzo della fine del diciassettesimo secolo

Quando nel 2004, la Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti acquisì Palazzo dè Mayo realizzato nel 1795, la destinazione che venne pensata fu quella di un’operazione a tutto tondo.

Il Palazzo, che si estende su una superficie di tremila metri quadrati, è composto da due edifici a tre piani contenenti tre corti e un ampio giardino, con stanze tappezzate di sete pregiate e volte dipinte.

Dopo il 1821, il conte Levino Mayo s’impegnò a recuperare l’intera proprietà, che il proprietario non era riuscito a mantenere sovrastato dai debiti. Negli anni a seguire, oltre a residenza civile, l’edificio è stato sede delle riunite Direzioni Finanziarie della Provincia d’Abruzzo Citeriore, ha ospitato comandi militari fino ad essere dichiarato monumento nazionale nel 1934. Il Palazzo fu venduto, dall’ultima discendente dei Mayo, alla Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti. Quest’ultima avviò un particolare restauro, una ristrutturazione e consolidamento delle fondazioni, delle murature e delle volte. Con il passaggio dell’immobile alla Fondazione Carichieti, l’opera di restauro è arrivata a conclusione nel 2011.

Ora il Palazzo dè Mayo è visitabile e io l’ho fatto. Così ho potuto ammirare, non solo l’opera di restauro effettuata, ma anche quello che l’edificio contiene. Infatti, al piano terra è dedicato un ampio spazio alla biblioteca con videoteca, sala multimediale oltre alle sale di lettura. Il giardino sul retro accoglie una cavea circolare con gradinate per eventi culturali e concerti all’aperto. Superato il primo piano che ospita uffici amministrativi, il secondo accoglie un museo.

Il restauro del palazzo, ha così riconsegnato alla città e all’intero Abruzzo, uno dei più significativi esempi di architettura barocca esistenti in regione, come disse a suo tempo l’allora Presidente Arch. Mario Di Nisio. L’Architetto affermò anche che fin dalla prima fase progettuale ha voluto assegnare al Palazzo la denominazione di Cittadella della cultura. Infatti l’edificio, non solo ospita la sede della Fondazione ma anche, come ho già scritto, un museo, una biblioteca d’arte con una speciale sezione riservata ai ragazzi. Inoltre sale dedicate a mostre temporanee, l’auditorium e sale per conferenze, l’Area archeologica “via Tecta”, corti e aree all’aperto per manifestazioni culturali di ogni genere.

Il Palazzo dè Mayo infine, è anche sede del Centro Abruzzese di Studi Manzoniani e del Centro Internazionale Alessandro Valignano. Insomma una visita questa al Palazzo dè Mayo necessaria per l’accrescimento di quella particolare sfera della cultura, bisognosa sempre di essere alimentata, che è in ognuno di noi.

Ricchissima visita tutta per voi.

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Beni Culturali Chieti-Palazzo dè MayoPalazzo dè Mayo

Chieti

Largo Martiri Della Libertà 1 (66100)

Tel. 0871/359801

Email

Sito web

 

Cento anni di vita intensa

Quest’anno si compie il centenario dalla fondazione della Biblioteca Hertziana, prestigiosa istituzione culturale con sede in Roma con il fine dello studio della Storia dell’Arte. Il tutto si originò negli ultimi decenni dell’800 allorché Henriette Hertz (1846-1913) facoltosa signora tedesca di religione ebraica innamorata dell’arte italiana si trasferì a Roma acquistando in via Gregoriana un Palazzo fatto costruire quasi due secoli prima dal famoso pittore Federico Zuccari, edificio ricco di pregevoli affreschi e con un singolare ingresso su via Gregoriana fatto a forma di bocca di mostro; rapidamente la dimora della Hertz divenne un vivace centro culturale punto di attrazione di studiosi e cultori d’arte di ogni provenienza.

L’edificio ospitò ben presto una biblioteca di 8.000 volumi ed una fototeca con 12.000 fotografie. Per testamento la Hertz, anche su suggerimento del suo collaboratore Ernst Steinmann (1866-1934), istituì la fondazione Biblioteca Hertziana donandola alla società Kaiser Wihlelm che ne assicurò la gestione grazie anche a generose sovvenzioni finanziarie. La Biblioteca proseguì negli anni la sua intensa vita culturale nonostante due guerre mondiali con seguito di confische e requisizioni  fino a giungere all’attuale consistenza di circa 300.000 volumi e 800.000 foto; parallelamente crebbero gli spazi a disposizione acquistando edifici contigui tra cui il Palazzo Stroganoff costruito originariamente per il pittore e letterato napoletano Salvator Rosa alla metà del ‘600 e poi acquisito nell’800 dal principe russo. Dal secondo dopoguerra ha preso il nome di Istituto Max Planck per la Storia dell’Arte. Mezzo secolo fa per ampliare i locali fu costruito nel giardino un edificio che a distanza di anni mostrò insufficienza di spazi e carenze strutturali tali che una decina di anni fa ne fu decisa la demolizione e ricostruzione; operazione effettuata con grande maestria erigendo un edificio con ampi spazi idonei alla  conservazione dei materiali e all’accoglienza di studiosi e studenti. Un interessante lavoro è stato compiuto nei sotterranei dove sono stati conservati resti archeologici appartenenti a un ninfeo della Villa di Lucullo al Pincio. Per celebrare il centenario la Biblioteca Hertziana, la Soprintendenza Speciale per il PSAE, il Polo Museale della Città di Roma e la Direzione della Galleria d’Arte Antica di Palazzo Barberini hanno organizzato una esposizione di 43 quadri che la Hertz lasciò per testamento allo Stato Italiano e che furono destinati alla Galleria.

Si tratta di una raccolta di dipinti di autori italiani per lo più del Rinascimento anche se non mancano opere del tardo trecento e del 6/700; gran parte degli autori, pur pregevoli, non sono particolarmente noti anche se spiccano una Annunciazione di Filippo Lippi, un piccola, graziosa Madonna con Bambino di Giulio Romano, un’opera del Garofalo nonché due deliziosi pastelli di Rosalba Carriera e un piccolissimo dipinto del Longhi dall’anomalo formato. Parte dei quadri sono abitualmente nelle sale, parte nei depositi; in occasione della mostra sono stati tutti restaurati e riesaminati criticamente ed ora sono esposti, mescolati con la normale dotazione della Galleria, contraddistinti da un pannello azzurro che indica la loro provenienza dalla donazione Hertz. Oltre al catalogo della mostra la Biblioteca ha pubblicato due volumi, in tedesco, con la storia dell’istituzione e degli edifici nei quali è insediata. Un vivo augurio all’Hertziana per il compleanno trascorso e per i prossimi cento anni di intensa attività.

 

Mostre Cento anni Hertziana 1913–2013 IMG20130307065813505_900_700LA DONAZIONE DI ENRICHETTA HERTZ 1913-2013

Segno del mio amore verso il paese che tengo in sì alta stima

Dall’8 marzo al 23 giugno 2013

Roma

Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini

via Quattro Fontane 19

Orario:

dal martedì alla domenica

dalle 8.30 alle 19.00

Biblioteca Hertziana

via Gregoriana 28

Tel. 06/69993 227

http://biblhertz.it.mpg.de/it/

 

 

 

 

 

 

Un Inferno tutto particolare

Ignoravo che il grande scultore francese avesse prodotto una così ampia e interessante “serie” ispirata all’Inferno dantesco.

“Serie” che è il filo conduttore di una esposizione straordinaria, per la prima volta in visione a Roma, le fotoincisioni ebbero vita nel 1897 da quella casa di produzione, la Maison Goupil, pioniera delle nuove tecniche di riproduzione dell’immagine e della diffusione delle opere artistiche.

Non sapevo nemmeno che le centoventinove stampe in mostra, alcune con le annotazioni originali dello stesso Rodin, furono realizzate dallo scultore espressionista mentre lavorava all’opera, mai conclusa, “Le Porte dell’Inferno”.

A questo mia lacuna ho rimediato andando a visitare l’emozionante esposizione. Visita che mi auguro riuscirete a fare al più presto, dal momento che la mostra si conclude il 4 marzo 2013. In queste stampe, dei Disegni Neri, si può rivedere tutto il vigore e l’energia di Auguste Rodin (1840 – 1917).

Attraverso le immagini, ritornano alla mente i versi del Sommo Poeta. E allora perché perdersi questa stuzzicante mostra? Anche perché l’Accademia Reale di Spagna è collocata tra quel capolavoro dell’architettura del quindicesimo secolo: S. Pietro in Montorio di Donato Bramante e lo spettacolo di uno dei belvedere su Roma dal Gianicolo.

Quindi tanti motivi, ma non ce ne sarebbe stato comunque bisogno, per conoscere le stampe su l’Inferno di Dante del grande Rodin.

Gustosa visita a voi tutti.

 

Un’Inferno tutto particolare rodin

Auguste Rodin

l’Inferno di Dante

Fino al 4 marzo

Roma

Accademia Reale di Spagna

Piazza San Pietro in Montori o, 3

Tel. 06/58332721 – 22 -5812806

Orario: tutti i giorni dalle 10 alle 21

Ingresso libero

 

 

http://www.raer.it

http://accademiaspagnaroma.wordpress.com