Riccardo Garrone, come dire cinquant’anni e più di cinema nostrano. Romano, classe 1923, il nostro ha eroicamente attraversato bufere e bonacce della nostra storia cinematografara. Caratterista (atletico, disinvolto, cinico) di un imprecisato, quasi incalcolabile numero di film, il nostro simpatico Riccardo ha prestato la sua inconfondibile voce (è stato anche prezioso doppiatore) e il suo fisico prestante a infiniti personaggi di contorno a dar sapore e sostanza a storie e protagonisti che sono il libro, romanzo farsa e tragedia che in qualche modo ci racconta tutti. Garrone esordisce nel 1949 e praticamente a tutt’oggi (89 anni!) è ancora in trincea con la sua bella faccia un pò bonaria e un pò accigliata a sorridere da buon romano della vita e dei suoi problemi (è l’ameno San Pietro in pubblicità di una nota marca di caffé!). E’ stato sul set praticamente con quasi tutti i registi italiani, compagno di viaggio di grandi attori come di piccoli e piccolissimi protagonisti nel lungo percorso che lo ha portato dal tardo neorealismo dei nostri anni ‘50, ai film “peplum” in gonnellini greco—romani, all’exploit degli “spaghetti—western”, al ciclo scosciato e pecoreccio dei film “erotici” delle varie Giovannone e dimonie, fino alle “vacanze di natale” che tuttora imperversano. No; Garrone ha detto di no quasi a nessuno: da buon mestierante è stato piccolo con i piccoli ma è stato anche grande con i grandi. Appare nel “Bidone” (‘55) e nella “Dolce vita” (‘60) di Fellini, nella “Ragazza con la valigia” (‘60) di Zurlini, nella “Rimpatriata” (1962) di Damiani, in “Padri e figli”(’56) di Monicelli, ne “la Cena” (‘88) di Scola. Tutti personaggi, amari cinici o buffi, dignitosamente rappresentati. Ma ha lavorato anche con Zampa, Emmer, Bolognini, Puccini, Loy, Lattuada. E’ vero, non si è mai tirato indietro in cento e più fumetti un pò scemi e superficiali, film da spiaggia, commediole e storielle di facile consumo, “sketch” e “flash” di una Italietta corriva e becera che pure ci appartiene. Ma questa è anche la storia del nostro cinema e della nostra società attraverso la ricostruzione del dopoguerra, e poi il “Boom”, il miracolo economico, e poi la “congiuntura”, l’arrivismo, il “gallismo”, fino al rampantismo e alle crisi dei nostri giorni. Ma al buon Riccardone, grandi spalle ciondolanti e voce profonda, abbiamo sempre voluto bene. Se ha imperversato nel cinema e nella tivù in tutti questi anni, mentre noi crescevamo e invecchiavamo, gli dobbiamo l’affetto e l’amicizia che si ha a un fratellone o a un simpatico zio che ci ha insegnato a non prendere sul serio nulla, nemmeno noi stessi, lanciando un romanissimo e sonoro “Ahò!..” a tutti i guai, i prepotenti e gli impicci che ci hanno attraversato la strada.