Roma. Una volta, molti secoli fa, era “caput mundi” perché i romani di allora (“tosti” e precisi come svizzeri tedeschi) ne avevano fatto una città che era davvero una grande nazione, un immenso lago dove confluivano razze, religioni, acque, merci, culture, in una specie di accogliente e trionfale pentolone che le amalgamava tutte genialmente.
Finita la gloria politica e militare nel Medioevo Roma ritorna però ad essere “caput mundi” ma stavolta per ragioni mistiche o pseudo—mistiche-politiche; insomma è il fulcro del cristianesimo con tutti i suoi complicati e anche misteriosi traffici. In effetti il “mercato” delle reliquie, vere o false che fossero, toccò allora vertici incredibili imputati molto all’ignoranza scientifica pressoché totale e alla immensa buona fede che sconfinava nella superstizione del popolino, convenientemente diretta e ammaestrata dal clero imperante.
Da allora molte reliquie o presunte tali, all’esame di archeologi e chimici sempre più severi, sono pateticamente scomparse nel nulla o ne è rimasta traccia come di favole ingenue. Ma pur tra le reliquie oggi ancor maggiormente “accreditate” ci piace rievocare l’avventuroso viaggio della onorata reliquia di S.Andrea (l’apostolo fratello di Pietro). Da Patrasso in fuga dai turchi, ad Ancona, poi per via di terra a Narni e poi lungo il Tevere, la Santa Testa dell’apostolo approdò finalmente nei pressi di ponte Milvio dove il papa Pio II la ricevette “brevi manu”, con adeguata cerimonia, dal cardinal Bessarione.
Il fatto accadde l’11 aprile del 1462 e dell’avvenimento (pochi lo ricordano) ne fa fede e testimonianza una edicola con debita iscrizione, poggiata su quattro colonne, dove si erge la statua del Santo (chi dice scolpita da tal Paolo Taccone, chi dice da tali Varrone e Niccolò, fiorentini).
Un altro papa, Pio V, eresse e concesse in seguito nel 1566 alla Confraternita della Trinità dei Pellegrini un oratorio con annesso piccolo cimitero per i pellegrini defunti nella città santa. L’oratorio, pur dimesso e trascurato, è tuttora visibile oltre alcune lapidi dell’antico cimitero. Notevole il fatto che l’edicola di S.Andrea subì la rovina di un fulmine nel 1866 e una conseguente ricostruzione.
Naturalmente la preziosa reliquia del Santo, una volta approdata, non rimase nei paraggi allora erbosi e disabitati, ma si incamminò con solenne processione lungo la via Flaminia sino alla definitiva deposizione in S.Andrea della Valle.
Il piccolo oratorio colà rimasto, oggi purtroppo gravemente negletto (graffiti osceni, parcheggi e altro sudiciume), pur rielaborato dal Valadier nel 1803, è in fiduciosa attesa di un’adeguata se pur modesta valorizzazione.
Più oltre, procedendo sulla via Flaminia si noti la piccola chiesa-tempietto dedicata anche questa a S.Andrea dell’architetto Vignola (l533) ma con diverso antefatto: pare che Giulio III per commemorare la sua miracolosa fuga durante il Sacco di Roma (1427), allora ancor cardinale, la fece in seguito erigere in ricordo di quel giorno memorabile che guardacaso era un 30 novembre, dedicato a S.Andrea; una specie di cappella votiva, rurale e fuor di porta, pur nei paraggi della “sua” altrimenti splendida e fastosa Villa Giulia.