Giunti nell’inverno del nostro scontento, non ci rimane altro che lasciare alle spalle, urlatori, imbonitori, eretici, propinatori di soluzioni da videogame, e addentrarci da soli nel labirinto. Quale labirinto?! Come quale? Quello di cui sembra non si trovi la via di uscita, cioè quello riguardante l’attuale situazione storica: la crisi economico-sociale italiana complicata dall’apparente vuoto dei valori umani. Un labirinto intricato fatto di elementi che s’influenzano a vicenda con dinamiche che stanno cambiando velocemente anche a causa della globalizzazione, fenomeno dagli aspetti ambivalenti.
In un labirinto meglio seguire un filo che potremmo poi riconoscere come quello di Arianna. Un esempio: il significato di una parola. Sì perché, in quest’epoca c’è grande inflazione di parole: moltitudini di parole sparse come se non valessero per il loro profondo significato e senso storico. Non più precise parole che ci facciano comprendere o quantomeno radicare nella realtà!
Basta accendere la TV e scegliere una di quelle più usate, che irrazionalmente ci fanno simpatizzare con l’oratore: “democrazia”, “populismo”, “demagogia” oggi sono buttate in un discorso come se fossero bigiotteria usata su un vestito scadente e non come delle pietre da valutare considerando natura peso e caratura.
Andare a fondo, leggere per riuscire a reinterpretare la realtà in modi personali, forse ci potrebbe far ritrovare quel filo che ci aiuti a non perderci e non cadere banalmente nel cinismo dell’antipolitica o rifugiarci nell’illusione dell’utopia.
In genere è bene intendere quale sia la democrazia cui si riferisce un oratore: se la democrazia costituzionale, quella popolare o appunto ideale.
Nella democrazia costituzionale poiché “la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, vuol dire che la sovranità popolare trova un limite nelle norme costituzionali all’interno delle quali va inquadrata, gestita e valorizzata.
Senza risalire a Rousseau diciamo la democrazia costituzionale dovrebbe garantire l’uguaglianza dei cittadini nei diritti e doveri, tutelando le minoranze. Lo Stato è garante del bene comune di un popolo e non di un unico valore di cui può essere temporaneamente portatore il popolo stesso; e la politica è espressione mediata della rappresentatività del popolo tramite le istituzioni che costituiscono lo Stato.
Dunque, se la Democrazia non risulta essere più rappresentativa, verranno a manifestarsi due reazioni opposte di dissenso: la rinuncia alla partecipazione politica e cioè al voto o la ribellione tramite movimenti che cercheranno di forzare lo spazio politico ponendo i propri valori come superiori ad ogni altro criterio di giustizia e ad ogni regola di diritto positivo (uguaglianza e libertà), in fondo vince la forza del numero!
Storicamente nel populismo, si è sempre affermato un leader carismatico portatore vivente dei valori del popolo e non semplice portavoce del popolo, con il paradosso a volte, che, per identificazione, il popolo stesso possa alla fine legittimare la dittatura del suo leader cancellando il popolo proprio nel nome del popolo.
Anche per questo, in genere, il termine populista viene usato con una valenza negativa e associato alla demagogia con la quale ci si riferisce direttamente al tentativo di un individuo o di un gruppo di usare apparentemente il tema dei valori del popolo e cavalcare il vuoto politico per realizzare una vera e propria scalata legittimata al potere.
E’ chiaro che il fenomeno del populismo non può non far riflettere sul grado di anomia di una società: in una democrazia in cui la convinzione diffusa che le istituzioni sono così corrotte che tutti i rapporti sociali e politici si svolgano all’insegna della faziosità, per reazione svalutando la legalità, ci si può sentire giustificati nel porre la sovranità popolare al di sopra di qualsiasi principio costituzionale e far apparire legittima addirittura la volontà volta a modificare, restringere o addirittura sopprimere i diritti costituzionali fondamentali. A volte è sufficiente perseguire prassi che, anche se illegali, s’impongono di fatto.
Quindi ritornando al labirinto e al filo, andando a ritroso è utile legare un capo del filo ai valori fondanti storici e filosofici di una società, lasciando per il momento in disparte i sentimenti negativi che inevitabilmente ci assalgono. Andare avanti implica necessariamente rileggere il momento attuale.
Sono almeno dieci anni che economisti, sociologi, politologi, tentano di interpretare il presente; tra questi ci si può involontariamente imbattere con Colin Crouch che parla di “Postdemocrazia” e Alain Tourain che denuncia la “Globalizzazione e la fine del sociale”.
Senza la pretesa di approfondire un tema ampio e complesso come quello affrontato da Colin, il politopogo inglese sostiene che non ci si possa esprimere definendo semplicemente il panorama politico come “democratico o non democratico”. In Italia, come in altri paesi dell’Europa occidentale, è utile ricorrere al concetto di postdemocrazia perché da un lato non si può negare l’aspetto democratico delle “elezioni che continuano a svolgersi e condizionare i governi”, ma “il dibattito elettorale è uno spettacolo saldamente controllato, condotto da gruppi rivali di professionisti esperti nelle tecniche di persuasione e si esercita su un numero ristretto di questioni selezionate da questi gruppi”: siamo nell’epoca della comunicazione di massa.
In sintesi alle masse, tanto preziose per sondaggi elettorali o per il voto, è impedita per mancanza di strumenti informativi l’opportunità di partecipare attivamente alla definizione delle priorità della vita pubblica: la comunicazione politica è espressa con un linguaggio pubblicitario con lo scopo di indurre all’acquisto senza suscitare una discussione. Proprio per questo si fa sempre più uso della personalizzazione della politica elettorale: la personalità carismatica sostiene e garantisce il programma che risulta espresso con slogan e in maniera inadeguata a una profonda riflessione; in fondo è il personaggio politico che deve convincere, non il programma.
Rebus sic stantibus, il cittadino è spinto a “protestare o accusare, chiamare il politico a rendere conto, o mettendolo alla gogna e sottoporlo ad un esame ravvicinato della sua integrità pubblica e privata”; mentre l’aspetto positivo di partecipazione nella quale ci si riunisce in gruppi e organizzazioni per formulare richieste che poi si girano al sistema è una pratica che sta diventando meno frequente.
Da questo punto di osservazione, postdemocrazia e quindi neopopulismo sembrano concetti che in qualche modo hanno grandi aree di sovrapposizione ma, ritornando alla fonte, e cercando di essere precisi si può affermare che i termini democrazia e populismo sembrano non essere più individuabili nel contesto attuale rispetto alla loro dimensione storica originaria e, per non incorrere in una babele lessicale, occorre mettere a fuoco l’attuale scenario per individuare il nuovo paradigma contemporaneo.
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