Un sogno lungo un porno

Le italiche luci rosse hanno una storia tutta loro: sdoganate con la rivoluzione sessuale e il rilassamento della censura ma subito sfruttate dai mercanti, sono state per anni la pietra filosofale che trasformava in oro i vili metalli di discarica. Oggi è l’epoca del porno in rete fai-da-te, ma per almeno vent’anni le piccole produzioni hanno girato a basso costo e rivenduto in VHS l’orgia (esattamente) dell’immaginario erotico maschile. Ma si è arrivati anche – anomalia tutta italiana – a promuovere Cicciolina in Parlamento col Partito dell’Amore e a ricevere Moana nei salotti buoni televisivi. E mentre nascevano nuovi eroi nazionali o immigrati, come Rocco Siffredi ed Eva Henger, negli anni ‘90 l’industria hard aprì le porte agli aspiranti per abbattere i costi di produzione e sfruttare in nero la manodopera specializzata. Questo libro infatti raccoglie un’antologia di lettere di autopresentazione di italici stalloni o sedicenti tali. Le donne – italiane e straniere – lo fanno per soldi, gli uomini sognano invece l’affermazione sociale e sperano di far l’amore gratis con donne bellissime. Rocco Siffredi è un eroe nazionale e- a giudicare dall’entusiasmo con cui ne parlano – Eva Henger ha forse lavorato oltre le cinque ore e mezza dichiarate in pubblico. E se l’italico porno è caratterizzato da cattivo gusto e bizzarra cura formale, l’immagine del suo fan club è speculare: le lettere sono deliranti, piene di strafalcioni, squilibrate tra il rozzo e il barocco:

“Scrivo questa lettera tenendo in considerazione il mio alto interesse per l’arte pornografica”

“Il sottoscritto 23nne, nubile, alto,  simpatico ed eloquace…

“Vorrei suggerire alcuni titoli di film: Ce l’ho di 28 e mi vien duro come un lingotto, Capo d’ano

“Cara Eva, non limitarti a soli 5 ragazzi , arriva almeno a 10  o  12 sarebbe stupendo” < !!  >

“Siamo 6 amici e purtroppo siamo nani, sarebbe bello se interpretassi un film tipo Biancaneve”

“Siamo disposti a trasferirci subito a Roma io e la mia ragazza, non vedo l’ora di fartela scopare”

“Rocco, scegli sempre le migliori donne belle, sia Interne che Isterni”

“Ho anche un tatuaggio vicino al pisello e uno dietro la spalla”

“Se avessi la fortuna di poter fare questo mestiere  sarei fiero di dire ‘sono un attore porno’ ”

“Trombarsi delle splendide ragazze ed essere anche pagati per farlo!”

“Ho visto tutti i tuoi film operati proprio a opere d’arte. La mia preferita è La conchiglia violata

“Mi interessa partecipare. So’ solo che farò un sacco di Miliardi e sarò un uomo Ricco”

“Ti allego una mia foto formato tessera che potrete farla vedere alle vostre delizie amiche”

“Ti stò scrivendo mentre guardo un tuo film Ti presento mia moglie

“La donna dovrebbe essere vestita elegante e non da puttana poi la diventa mentre scopa”

In appendice a questa spassosa antologia di sognatori, uno studio grafologico sul loro modo di scrivere. Operazione in fondo superflua: che gli aspiranti stalloni fossero frustrati repressi o fanatici l’avrebbe capito anche un bambino: tra le righe salta sempre fuori il desiderio di autoaffermazione sociale o semplicemente la speranza di pareggiare il conto con le ragazze mai avute prima o con la propria moglie o fidanzata, inadeguata alla propria libido e al Nuovo Mondo preconizzato dalla rivoluzione sessuale e mai realizzato se non in certi ambienti o per classi di età. Quello che è peggio, in Italia non è mai decollata una vera educazione sessuale – ma neanche un’istruzione scolastica di anatomia e fisiologia – col risultato che il porno è stato per molti la prima o unica fonte di conoscenza del corpo femminile e delle molteplici pratiche sessuali. Sorta di teatro sperimentale del sesso, se vogliamo, ma spesso irrealizzabile in privato, il sesso senza la cultura del sesso ha portato a risultati diversi: consumo sessuale delle donne, prostituzione a basso prezzo, club per coppie scambiste, prossimità con ambienti malavitosi, ma anche una certa creatività e disinvoltura nei comportamenti sociali. Sorprende però la relativa povertà degli studi su una cultura di massa ormai stabilizzata. La pornografia è dilagata senza che la società crollasse per questo, eppure l’accanimento contro la rappresentazione del sesso esplicito ha marcato decenni di censura cinematografica, trascurando invece rappresentazioni simboliche molto più pericolose, come quella della violenza. Lo scrivo a ragion veduta, avendo fatto parte per quattro anni di una commissione di revisione del Ministero e avendo a suo tempo seguito o curato i convegni cattolici in argomento, dai quali non usciva mai un rapporto diretto tra pornografia e crimine sessuale. In sostanza, la violenza sulle donne esiste solo laddove i rapporti sociali sono improntati alla violenza, il porno essendo piuttosto vissuto e rielaborato dal singolo in una dimensione tutta mentale, onirica, su cui torneremo.

E qui veniamo a studi più seri. .Consiglio intanto il pratico Luci rosse: guida ragionata ai porno film, del critico cinematografico Daniele Soffiati (Nuovi Equilibri, 1998). Ogni scheda descrive e commenta un film rappresentativo di un periodo o di un genere. Anche se massificato, il porno ha avuto una continua evoluzione ed essendo il mercato ormai molto segmentato, doveroso era distinguerne le varie e spesso curiose articolazioni. Un altro libro ormai vecchiotto si deve allo studioso americano Robert J. Stoller, Il porno: miti per il XX secolo, (Feltrinelli, 1993). che ha intervistato i suoi protagonisti, partendo dall’idea che, pur a livello intuitivo, fossero loro gli unici a conoscere nel profondo i fantasmi del loro pubblico. A metà tra la sociologia e la psicologia, il libro è una lettura interessante quanto amara: attori e attrici sono e si sentono sfruttati: la recitazione passa sempre per il corpo dell’attore, ma qui il rapporto è diretto, brutale; si lavora a ritmi serrati e senz’andare per il sottile (esattamente). Estrema la specializzazione: gli uomini esistono e si proiettano esclusivamente come energia pura, come falli, quasi non esistesse il resto del corpo o si concentrasse in un punto solo. Le donne dal canto loro non sono ‘puttane’, quanto piuttosto esibizioniste: con la prostituzione in effetti guadagnerebbero molto di più, anche se è frequente il doppio lavoro. Piuttosto, sono donne precoci che tendono morbosamente a farsi notare, ammirare, accettare. Apparentemente ricettive (!), hanno in realtà bisogno di attrarre su di sé lo sguardo di un pubblico maschile. Questa tendenza esibizionistica e narcisistica è ora passata anche ai nostri adolescenti, almeno a giudicare dalla fotomania dilagante in rete e difficilmente compresa dai genitori. Ma tornando alle luci rosse: sia uomini che donne sono in realtà fragili: a parte la mancanza di contratti e coperture sindacali e sanitarie, i maschi sanno benissimo che verranno rottamati esaurito il vigore fisico, mentre per le donne c’è una fortissima concorrenza dall’Est e dal Sud del mondo. In più incombe lo spettro dell’AIDS, col risultato che le trasgressioni “extrafamiliari” sono rare. Sembra strano, ma pare ci sia molto più rispetto nell’ambiente del porno che in certi uffici privati. Dico sembra, perché parliamo di un mondo chiuso e reticente a dare informazioni, al punto che è difficile analizzarne costi e fatturato. Almeno in due occasioni ha però elaborato una riflessione su se stesso. Parlo di due film, Il Pornografo (1974) e Boogie Nights – L’altra Hollywood (1997) (1). Nel primo, ambientato negli anni ’30, un attore del muto ormai in crisi accetta di lavorare nel porno, mentre il secondo racconta l’ascesa e declino di un giovane stallone tra gli anni ’70 e ’80. Non mancano accenni espliciti a cocaina e delinquenza, tipici di quell’ambiente borderline che in entrambi i film si rivela per l’altra faccia della fabbrica dei sogni.

E passiamo alla psicoanalisi. Stranamente pochi gli studi specifici, anche se il porno – proiezione in senso assoluto – è un vero e proprio magazzino dell’inconscio collettivo e di tutti gli archetipi possibili. Vedi: Psicoanalisi e femminalità. Gyné, la creatura che crea , di Antonio Imbasciati e altri (Franco Angeli, 1979 e ristampe). Inconscio ora modificato o piuttosto espanso e globalizzato dai mass-media e dalla Rete. Riferendosi al passaggio dalla dura società neolitica e pastorale alle prime forme di benessere, così scrive l’analista Alessandro Zannella:

Sodoma e Gomorra rappresentano le icone mitiche di questo nuovo mondo, per certi aspetti simile a quanto si va verificando oggi con il nuovo salto in avanti delle tecnologie e del tenore di vita. Si direbbe quasi che lo sviluppo della civiltà sia una condizione necessaria per una maggiore espressione dei desideri preconsci inconsci di origine utero infantile, desideri aggressivo-sessuali onto e filogenetici che passano dallo stato onirico a quello dell’attuazione concreta grazie alle migliorate condizioni di vita che consentono tempo spazio e agio per questa espressività. “Mutatis mutandis” anche oggi internet, ad esempio, insieme alle condizioni di disponibilità di tempo e di relativa sicurezza, serve anche da veicolatore e attuatore di desideri sessuali, come dimostrano i numerosi siti porno, le communities e le chat spesso usate come mezzo per conoscere nuovi partner o per fare sesso on line. Internet è quindi la moderna riedizione di Sodoma e di Gomorra, nel senso ora spiegato. (2)

I simboli? Sempre quelli da quando esiste il mondo. In più, fin troppo facile è accostare lo spettatore al bambino che assiste dall’esterno alla c.d. scena primaria, ovvero l’accoppiamento dei suoi genitori. E se la coazione a ripetere è un altro elemento delle teorie freudiane, il pubblico del porno risulta recidivo: insiste a vedere un prodotto strutturalmente ripetitivo. Comunque, proprio perché legato ad archetipi, il porno può fare a meno della scrittura, né più né meno come il genere Fantasy: nel processo di riduzione simbolica, uomini e donne sono infatti ridotti a mere funzioni. C’è poi la trasgressione che – come nell’Avanguardia – diventa ripetizione se non è capace di ricrearsi, di trovare un limite successivo. C’è infine una continua, infantile esagerazione nelle dimensioni, nelle prestazioni, nel linguaggio. Le orge sembrano invece un continuo rito di fertilità… sterile: nessuno viene mai dentro e le uniche donne incinte sono quelle relegate nell’immaginario fetish, quel sottogenere fortemente ritualizzato dove al posto dei sogni si scatenano gli incubi e il suo pubblico andrebbe protetto dai propri fantasmi invece che incoraggiato. Incubi diversi da cultura a cultura: nei film giapponesi, p.es., c’è un incredibile sadismo formalizzato, unito a fobie tutte nipponiche: il mostro tentacolare, l’inadeguatezza del maschio, compensata nella figura del Samurai che protegge (?) le bambine indifese. Non che l’angoscia di castrazione sia una fobia orientale; tutt’altro: è ovunque, compensata dalla passività della donna, domata anche quando sembra aggressiva o impegna cinque uomini insieme. Basterebbe solo questo per classificare il porno come mitologia: una forma d’arte che nel profondo non descrive la realtà ma la compensa. Ed è proprio la psicoanalisi a chiarire che quel mondo fantastico dove tutti fanno sesso con tutti è in realtà una risposta ad angosce profonde. Chiaro a questo punto che, se le cose andassero come nel porno, non si comprenderebbe la necessità di produrne. Detto in maniera più scientifica:

“Il cammino che porta dal sesso all’intelligenza, dall’Eros al Logos. è lungo e tortuoso: è costellato d’angoscia, vi si insinua l’istinto di morte; di qui la colpa, e gli aspetti sordidi, la pornografia e la violenza, la “pregenitalità”; da questo l’irriverenza e la satira, con cui spesso l’uomo, soprattutto se maschio, ha dovuto rivestire il suo interesse per le donne, come difesa contro ansie profonde”(3).

Note:

(1)  Il Pornografo (orig: The Inserts), 1974, regia di John Byrum con Richard Dreyfuss. Boogie Nights, 1997. Scritto e diretto da Thomas Paul Anderson.

(2)   Fonte http://www.psicoanalisi.it/psicoanalisi/osservatorio/articoli/osserva1138.htm

(3)   Dalla prefazione di Psicoanalisi e femminalità. Gyné, la creatura che crea , citato.

 

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