Gli Stati uniti, anche con questo presidente, proseguono nella politica di far fare il lavoro sporco a quei governi che “democraticamente” hanno le mani libere, ma se con Barack Obama si chiedeva di non utilizzare certe armi proibite sui civili, con Trump non ci sono pubbliche remore e si fornisce armamentario per 110 miliardi di dollari all’Arabia saudita, anche se sarà usato sulle popolazioni dell’Yemen.
Nel primo viaggio di Trump in Medio oriente lo si vuole far apparire come uno “statista” impegnato nella rappacificazione israelopalestinese. Nessun altro aveva mai osato tanta spavalderia, ma forse viaggiare tra l’Arabia e Israele potrebbe portare ad una ripresa dei colloqui di pace, se non per umanità, certamente per convenienza politica.
Nella valigetta di Trump non ci sono soluzioni ma una serie di contratti per vendere armamenti di ogni genere e dopo aver ottenuto buone commesse con i Paesi del golfo, è la volta di Israele che non dovrebbe essere da meno, perché non basta chiamare gli stati arabi sunniti alla guerra al terrorismo e fare muro contro l’Iran sciita.
Nella sua valigetta ha anche delle proposte commerciali saudite per Israele, in cambio della sospensione di nuovi insediamenti nei territori occupati, tentando di coalizzare gli stati arabi sunniti e gli israeliani contro l’Iran sciita, oltre al terrorismo che fa male ad una parte degli affari.
Più che uno statista appare simile al disinibito “commesso viaggiatore” Alberto Sordi in Finché c’è guerra c’è speranza (1974), un commesso viaggiatore che fa l’unica cosa che gli riesce meglio: vendere.
Un commesso viaggiatore che a Riyadh trova a attenderlo non solo il re saudita Salman bin Abdulaz, ma anche il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi per dar vita ad una delle più inquietanti, quanto esilaranti, foto di gruppo dove i tre poggiano le mani su di una sfera luminescente, in una sorta di seduta spiritica o di delirante intesa per impossessarsi del mondo, mentre migliaia di volti si intravedono nell’oscurità, come testimoni di uno scellerato patto.
Trump vende armi agli arabi per poi sollecitare l’attenzione di Israele sulle sue offerte di fornire altri armamenti più potenti e minacciare, indirettamente, gli iraniani.
Nella campagna elettorale, Trump, propugnava una politica estera non certo propensa all’islam, ma con gli arabi così danarosi è un altro discorso, tanto è vero che progettava anche di strappare l’accordo sul nucleare con l’Iran, ma per ora si limita a monitorarne l’applicazione.
Gli affari sono affari e anche se nel vocabolario dei Paesi del golfo non è contemplato il termine democrazia, sono meglio dell’Iran dove, nonostante i numerosi filtri e ostacoli alle libertà fondamentali, si può andare a votare e scegliere, con moderazione, da chi essere governati.
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