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Africa: Attaccati al Potere

Africa Attaccati al Potere-velazquez-papa-innocenzo-xIl cammino per una Democrazia diffusa in Africa è pieno di insidie, indire delle elezioni non significa che poi i risultati possono essere accettati pacificamente da tutte le parti.

In Gambia si è prolungato il balletto del “me ne vado” o “resisto” del presidente uscente, Yahya Jammeh, che dopo aver governato per 22 anni in modo autoritario, sembrava volersi farsi da parte dopo il risultato a lui sfavorevole, ma ecco che annuncia di non accettare il responso delle urne e il CEDEAO (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale) si attiva per convincere il presidente ghanese a lasciare il potere.

La risposta di Jammeh, a due giorni dell’insediamento del presidente eletto Adama Barrow, si annuncia decretando lo stato di emergenza e l’Onu risponde con l’autorizzare l’Ecowas a intervenire militarmente per affermare la legittimità delle elezioni ed ecco che, sotto la pressione internazionale, Jammeh dichiara alla televisione di stato che lascerà il potere, prima però deve decidere dove andare, magari trasferirsi in Mauritania o Qatar, anche il Marocco si è offerto a dargli ospitalità, ma la sua meta finale è stata la Guinea Equatoriale, portando via con sé auto e preziose suppellettili su di un aereo cargo fornito dal Ciad, per un esilio dorato, garantito da una “buona uscita” di una decina di milioni di dollari delle casse dello Stato, e soprattutto lontano da qualsiasi commissione d’inchiesta che possa indagare sulle violazione dei diritti umani del padre-padrone del Gambia.

Mentre si consumava la sceneggiata di Jammeh che poteva portare ad un conflitto regionale, Adama Barrow, il nuovo e terzo presidente del Gambia, prestava giuramento nell’ambasciata del suo paese a Dakar (Senegal), un escamotage per non considerarsi in esilio.

Ora la situazione in Gambia, anche se Adama Barrow si è insediato, non è tranquilla con la difficile convivenza tra i soldati “fedeli” a Jammeh e le truppe dell’ECOWAS CEDEAO che sfocia in un continuo fronteggiarsi con scambio di colpi mentre le prigioni ospitano ancora gli oppositori della precedente amministrazione. Amnesty International chiede di indagare sulla morte di Solo Sandeng, esponente del Partito Democratico Stati (UDP), avvenuta dopo l’arresto e invoca la libertà per tutti i manifestanti fermati mentre chiedevano riforme elettorali, per una prova delle urne e della democrazia.

Un altro “attaccato” alla poltrona è il presidente Joseph Kabila, della RD Congo, che non sembra neanche voler indire le elezioni mentre il 92enne Mugabe si candita a succedersi, nel 2018, alla guida dello Zimbabwe.

La famiglia Kabila, in oltre dieci anni, ha creato un impero economico Africa Attaccati al Potere Kabila REUTERS1885896_Articoloche abbraccia tutti i settori dell’economia congolese e perché allora rischiare di perdere il potere sul Congo detto democratico e il controllo sull’estrazione dell’oro, diamanti, rame, cobalto e quant’altro è celato sotto la terra congolese, dando l’addio alla gratificante consuetudine di utilizzare una nazione come personale bancomat?

In Ciad il Presidente Idriss Déby per non lasciare la poltrona conquistata nel 1990 con un colpo di stato e consolidata nel 1996 con elezioni “costituzionali”, ha rimosso nel 2005 la limitazione a due mandati per poter mungere “ad libitum” le casse. Nell’aprile del 2016 è stato confermato per un quinto mandato per garantire la stabilità nell’area e combattere, grazie ai soldati della forza interregionale africana e le truppe francesi di stanza nel Ciad, i miliziani jihadisti che scorrazzano a nord sul confine libico, mentre imperversano a sud-ovest, tra Niger e Nigeria, gli integralisti islamici di Boko Haram, ma anche a est il confine con il Sudan non si può definire tranquillo.

Ancora più ad est è l’Eritrea ad essere governata con pugno di ferro da Isaias Afewerki, primo e unico presidente dal 1993, due anni dopo che il paese del Corno d’Africa conquistò l’indipendenza dall’Etiopia, che un rapporto della commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite, pubblicato l’8 giugno 2016 a Ginevra, lo ritiene autore di numerosi crimini contro l’umanità, come la riduzione in schiavitù della popolazione non solo per servire sotto le armi la dittatura, reclusione, sparizioni e tortura oltre a persecuzioni, stupri e omicidi.

Sulle coste del Mediterraneo è Abdelaziz Bouteflika che, nonostante le sempre più insistenti voci sul suo precario stato di salute, ad essere presidente dell’Algeria dal 1999 e a non voler scendere dalla poltrona, ma è forse solo il Fronte di Liberazione Nazionale, il suo partito, a detenere il potere e decidere i cambi di dirigenza. Le elezioni del 4 maggio potranno dare un’indicazione sulla stabilità dello stato tra i più estesi dell’Africa, e il decimo del mondo, come “baluardo” alla diffusione di un islamismo integralista.

Anche in Tanzania non è il presidente a avere una continuità, ma il Partito della Rivoluzione che dal 1964, anno della fusione di Tanganika e Zanzibar, non ha permesso ad altre formazioni politiche di intromettersi nella gestione del potere.

Pierre Nkurunziza, in Burundi, ha giurato nel 2015 per il terzo mandato come Presidente, in elezioni giudicate non regolari dagli osservatori internazionali, che hanno causato veri e propri scontri tra l’opposizione e i governativi, portando l’allora segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon a recarsi nel paese africano per avviare un dialogo. Una crisi politica che vive a tutt’ sospesa nella speranza di una ripresa di dialogo tra governo e oppositori.

Nel vicino Ruanda è Paul Kagame, presidente dal 2000, ad annunciare la sua candidatura per un terzo mandato alle elezioni del 2017. L’accesso ad un terzo mandato possibile con la modifica costituzionale, ottenuta con la vittoria del referendum popolare, del 18 dicembre scorso, così non potrà solo rimanere al potere per altri dieci anni, ma potrà successivamente ricandidarsi ancora per altre due volte! Quindi Kagame potrebbe rimanere al potere fino al 2027, forse fino al 2034, diventando praticamente un presidente a vita. Ecco chi ha ispirato il turco Erdogan a plasmare la costituzione, ma forse lo si può perdonare nel suo farsi re, visto il ruolo svolto nella conclusione del genocidio ruandese del 1994 e, anche se non sempre positivo, nella seconda guerra del Congo.

Charles McArthur Ghankay Taylor ha governato sulla Liberia per soli sei anni, ma in compenso ha fatto danni non solo nel suo paese, ma ha messo lo zampino anche nella Guerra Civile nella vicina Sierra Leone per assicurarsi i blood diamonds (diamanti insanguinati) e per questo venne dimissionato nel 2003 per poi essere il primo ex presidente africano ad essere condannato dalla Corte Speciale per la Sierra Leone (SCSL) e dalla Corte per i Crimini internazionali de L’Aia, con sentenza definitiva 2013, a cinquant’anni di reclusione.

Il destino di Charles Taylor potrebbe essere condiviso dall’attuale presidente sudanese Omar Hasan Ahmad al-Bashīr, accusato dalla Corte Penale Internazionale per i crimini in Darfur, e sulla cui testa pende una mandato di cattura internazionale. Al-Bashīr, presidente del Sudan dal 1989, ha potuto contare su di una sorta di sbadataggine o magari della negligenza di altri governi non solo africani per sfuggire al mandato di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità emesso nel 2009 e da difese fantasiose come quella di Erdoğan basata su “un musulmano non può compiere un genocidio”.

In Mauritania Mohamed Ould Abdel Aziz è stato confermato, dopo un colpo di stato, presidente dal 2009 e nuovamente nel 2014. Ora si appresta ad indire un referendum costituzionale magari non solo per abolire il Senato, modificare la bandiera e l’inno nazionale, ma anche per trovare un escamotage per prorogare la sua presenza alla guida del paese, anche se privilegiando l’etnia arabo-berbera a cui appartiene lo stesso Abdelaziz, discriminando le etnie africane, puntando sul fatto di aver garantito sino ad ora la sicurezza del paese nonostante si trovi al centro di un’area instabile, come dimostrano le vicissitudini del vicino Mali, dove operano jihadisti di Al Qaeda nel Maghreb Islamico, formazioni indipendentiste Tuareg e criminalità comune.

Per fortuna l’Africa non è solo di governanti intenti a fare soldi e conservare ad ogni costo la poltrona, ma anche di presidenti come il namibiano Hifikepunye Pohamba che, allo scadere del suo mandato nel 2015, si è aggiudicato il premio Mo Ibrahim per il suo buon governo. Il premio è stato istituito nel 2007 dalla fondazione del milionario sudanese Mo Ibrahim ed è una speranza per Africa democratica.

Africa Attaccati al Potere Jose-Eduardo-dos-Santos-008Un altro esempio di responsabilità può essere il presidente Jose Eduardo dos Santos che, confermato nelle ultime elezioni del 2012 in Angola con il 75 per cento dei voti, ha dichiarato di non volersi presentare alle prossime elezioni di agosto, nominando come successore Joao Lourenco. Una decisione presa dopo 37 anni al potere iniziati 1979, con la morte di Agostinho Neto

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Africa: le Donne del quotidiano
Le loro Afriche: un progetto contro la mortalità materno-infantile
Africa: i sensi di colpa del nostro consumismo
Solidarietà: il lato nascosto delle banche
I sensi di colpa del nostro consumismo
Le scelte africane

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Africa: le Donne del quotidiano

Le donne africane rappresentano, visto il ruolo bellicoso o apatico del maschio, la locomotiva della società, infatti, come viene evidenziato nel recente studio del World Farmers Organisation, il 43% dei contadini sono donne, anche se in alcuni Paesi la percentuale sale al 70%, e sono ancora le donne, secondo la Fao (agenzia Onu per l’alimentazione e l’agricoltura), a farsi carico dell’approvvigionamento del 90% della fornitura d’acqua domestica e tra il 60% e l’80% della produzione di cibo consumato e venduto dalle famiglie.

Sono sempre le donne ad essere coinvolte nell’80% delle attività di immagazzinamento del cibo e trasporto e nel 90% del lavoro richiesto nella preparazione della terra prima della semina.

Sono numeri che ben tratteggiano il ruolo cruciale della donna, nonostante che il 50% delle donne dell’Africa subsahariana non sa leggere né scrivere, nel contesto africano dove molte di esse, soprattutto le vedove, vivono in miseria.

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Foto del missionario gesuita padre Franco Martellozzo

Nel Ciad il Magis (Movimento e azione dei gesuiti italiani per lo sviluppo) sostiene i cosiddetti Orti comunitari, inseriti nel progetto “Le donne per l’agricoltura sostenibile Ciad”, rappresentano per alcune comunità la possibilità di dare un’istruzione ai figli, mentre per altre e’ la conversione dell’economia basata sulla produzione di birra di miglio (Bili Bili), e quindi uno stato cronico di alcolismo degli uomini, in riscatto sociale per svegliare il maschio dalla commiserazione.

Gli orti comunitari delle donne ciadiane non godono del sostegno finanziario della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus e dell’Unione europea, ma usufruiscono delle donazioni di persone per aiutare altre persone, senza gli ambiziosi obbiettivi di realizzare 10.000 orti, definiti dalla Fondazione: “buoni, puliti e giusti nelle scuole e nei villaggi africani significa garantire alle comunità cibo fresco e sano, ma anche formare una rete di leader consapevoli del valore della propria terra e della propria cultura; protagonisti del cambiamento e del futuro di questo continente.”

Una campagna dal grande battage pubblicitario che fa risplendere il blasone di Slow Food e offre un’occasione di riflessione sul futuro alimentare del Mondo.

Il Ciad non ha delle terre talmente fertili da far gola alla Cina e a tutti quei paesi impegnati nell’accaparramento e forse è per questo che viene ignorata sia la situazione politica che economica. E’ un luogo dove l’impegno delle donne non è solo uno stimolo ad una dignitosa vita, ma anche l’occasione di fronteggiare la desertificazione.

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Le Repiquage Opera dell’artista ciadiano Idriss Bakay

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SAalute in bicicletta

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Africa: Speciali visite a domicilio

Amref, impegnata con i suoi Dottori Volanti nell’intervenire là dove nessun’altro può, propone il video, realizzato qualche tempo fa da Geo&Geo di Rai3, la storia di un giovane ragazzo che è stato salvato grazie all’intervento dai Flying Doctors.

È da quasi 60 anni che continua la missione dei Flying Doctors, planando lì dove non c’è nessuna pista d’atterraggio, né strutture sanitarie, ma solo bisogni essenziali da curare, con controlli e operazioni chirurgiche.
I fondi che vengono raccolti grazie alle donazioni regolari sostengono il programma Mettigli le Ali di Flying Doctors assicurando regolare assistenza specialistica e chirurgica agli abitanti dei villaggi più remoti, operando in più di 150 centri sanitari. Sono 8 aerei leggeri, 2 ambulanze e 2 elicotteri, i mezzi che permettono ai Flying Doctors di svolgere la loro missione e di raggiungere quelle aree da tutti dimenticate.

Un sostegno che permette ogni giorno di salvare centinaia di vite.

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Per vedere il filmato puoi cliccare qui

Per sostenere la nostra campagna costruendo il tuo aeroplanino di carta clicca qui http://amref.it/mettigli_le_ali_flying_doctors/index.php

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Bei Gesti Africa Amref Flying Doctors Mettigli le Ali con logo

Grégoire, un uomo che libera altri uomini

Grégoire Ahongbonon è un uomo africano che abbiamo conosciuto ad agosto durante il campo di volontariato in Benin.
Un uomo semplice con una grande forza: libera dalle catene i malati psichici soli e abbandonati, offrendo loro dignità e un’altra possibilità di vivere nelle diverse comunità che ha in Africa.
Il 9 novembre ore 18.30 sarà con noi e ci racconterà la sua incredibile storia.

Per saperne di più

Bei Gesti Magis Grégoire Ahongbonon LocandinaIl 9 novembre 2014 ore 18.30
Sala Assunta, Via degli Astalli, 17 – Roma

GREGORIE, UN UOMO CHE LIBERA ALTRI UOMINI

Incontro con

Grégoire Ahongbonon, Testimone
Lia Bambagioni, Psicologa
Cinzia Calandriello, Volontaria Campo Benin

Aperitivo conviviale

Magis

Bei Gesti Magis Grégoire Ahongbonon home

 

 

 

 

Gli Orti dell’Occidente

Il Nord del Mondo si differenzia dal cosiddetto Sud non solo per il benessere che ostenta, ma anche per il fantasioso approccio che ha nell’usare l’indispensabile come superfluo.

Un esempio è la visione che l’Occidente ha degli orti da realizzare sui balconi, negli spazi condominiali o come intervento artistico, perdendo il vitale presupposto che rende l’orto importante per intere comunità in aree povere della Terra come unica fonte di sussistenza.

È chic, oltre che utile e decorativo, realizzare degli orti sui balconi di Roma come di Milano o New York. A Parigi non sono stati realizzati solo gli orti sui terrazzi, ma anche le facciate d’interi edifici, pubblici e privati, sono stati rivestiti di vegetazione da Patrick Blanc o gli orti “comunitari” nei giardini delle scuole per educare le nuove generazioni ad un differente rapporto con la natura.

Si realizzano video per pubblicizzare gli Orti pensili come il futuro “green” per la città come quello presente sul sito del quotidiano La Stampa per ribadire la facilità con la quale degli spazi verdi possono essere non solo decorativi ma anche utili.

Michelangelo Pistoletto, in occasione del Salone del Mobile di Milano, è intervenuto su di un terrazzo con 750 metri quadrati di orto urbano. L’arte cavalca i tempi, imbrigliando l’idea degli eco sistemi nella moda, mentre l’orto per alcune comunità non è un’occasione di decoro, ma di sopravvivenza.

Con l’Expo 2015 di Milano viene proposto il tema dell’alimentazione “Nutrire il Pianeta Energia per la Vita”, affrontando marginalmente gli stili di vita che gli Orti urbani possono aver contribuito a modificare verso una maggior sensibilità per l’ambiente e come strumento contro la speculazione edilizia, ma presentando, a titolo dimostrativo, la vertical farm tutta italiana realizzata dall’Enea.

Sembra che l’Occidente sia lo sviluppo verticale come logica evoluzione dell’agricoltura integrata nel contesto urbano. Grattacieli vestiti dalle lattughe e decorati con cetrioli e pomodori o impianti industriali convertiti alle coltivazioni idroponiche, con le piante che galleggiano sotto la luce dei Led, sotto il vigile controllo del sistema informatizzato e con “contadini” in candide tute bianche.

L’Amministrazione capitolina patrocina la campagna “Porto l’Orto a Lampedusa”, come ha spiegato il sindaco dell’isola, per la creazione di orti urbani con l’obiettivo non solo di rifondare l’agricoltura, sottraendo il territorio alla cementificazione o a essere adibito a discarica dei rifiuti, ma anche nel tentativo di essere autonomi dal sostentamento del “continente”, oltre ad essere un’opportunità d’integrazione dei numerosi migranti che ogni anno sbarcano a Lampedusa.

Un’agricoltura che non si limita a decorare il panorama urbano, ma soddisfa anche la ricerca di una moda gastronomica e soprattutto contribuisce ad assorbire l’emissione di Co2.

Finalità purtroppo ben lontane dall’essere comprese da quelle popolazioni continuamente in conflitto con la natura per poter strappare alla Terra quello stretto necessario per sopravvivere in habitat ostili come nelle zone sub sahariana e in particolare nel Ciad, dove da anni padre Franco Martellozzo sta portando avanti il progetto degli orti comunitari, iniziato con la realizzazione di pozzi e la messa a dimora di alberi. Trovare l’acqua nel sottosuolo e piantare gli alberi permetteranno un’agricoltura fuori dai condizionamenti delle precipitazioni atmosferiche.

Un lavoro che continua a richiedere non solo pazienza, ma soprattutto caparbietà nello strappare metro dopo metro la terra al deserto, nella regione di Guera.

Sono pochi i metri quadrati coltivati dalle donne associate in gruppi non solo per nutrire le loro famiglie, ma con la speranza di superare la pura agricoltura di sussistenza per avere anche qualcosa da barattare al mercato.

Un’orticoltura che supera l’agricoltura del miglio e dell’arachide, unico sostentamento per oltre l’80% della popolazione, per coltivare ortaggi, come pomodori e insalate, migliorando la dieta con l’arricchimento di vitamine, per poi realizzare vivai per contrastare i processi di desertificazione.

È il Sahara che vuol estendersi da est a ovest ad essere uno dei maggiori ostacoli alla sopravvivenza delle comunità ciadiane, senza dimenticare i conflitti al di là delle frontiere del Ciad in Sudan – Darfour e nella Repubblica Centrafricana, oltre all’instabilità politica in Libia.

Centinaia di pozzi che hanno favorito l’accesso all’acqua e con allestimento dei barrage (piccole dighe) per rallentare il deflusso dell’acqua piovana e favorire la penetrazione nel terreno per alimentare la falda acquifera.

Non solo i pozzi per scongiurare le carestie, ma anche la costituzione delle banche di cereali, gestite direttamente dai villaggi, per avere sempre delle scorte e calmierare i prezzi del miglio e del sorgo.

L’Occidente investe in titoli di stato, in Ciad nel “conto miglio”, grazie all’idea di P. Franco Martellozzo di realizzare le banche dei cereali non solo come baratto tra merci, ma anche per salvaguardare l’unicità delle culture dall’imperante politica di una produzione agricola uniformata alle esigenze delle multinazionali a discapito della sopravvivenza delle piccole comunità. Nella diocesi di Mongo, nel centro del paese, non ci sono istituti di credito che remunerano la liquidità perché il bene più prezioso è il raccolto nei campi, basando l’erogazione di prestiti, quasi esclusivamente in natura, avviando la cultura del lavoro, dell’autosufficienza, dell’impegno contrattuale e della solidarietà. I nuovi animatori si uniranno al già folto gruppo di persone che è deciso a passare da un livello di sopravvivenza incerta e costantemente a rischio verso una sicurezza di vita e un miglioramento della sua qualità.

È interessante come l’Occidente mistificatore rende ordinario ciò che è l’indispensabile per alcune comunità, trasformando un modo di vivere superfluo in impegno per la salvaguardia dell’ambiente. Un’opulenza che si autoassolve e placa il suo senso di colpa per lo spreco alimentare perpetrato sistematicamente (ogni anno in Europa sprecano 89 milioni di tonnellate di cibo), dimostrandosi sensibile agli sforzi di un manipolo di persone con iniziative del tipo Last minute market. Un Occidente incapace di valutare l’importanza di un fazzoletto di terra da coltivare per non morire, o dell’acqua che scorre a perdere dalle fontane e fontanelle delle città europee, mentre in Africa si devono scavare pozzi e raccogliere quella rara pioggia per dissetarsi, senza alcuna misura sanitaria. Il risparmio dell’acqua come degli alimenti, certo non garantirebbe un miglioramento della vita nei luoghi disagiati del Pianeta, ma i fortunati del Pianeta assumerebbero una posizione etica e di rispetto verso gli sventurati.

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Gli Orti dell'Occidente 20140513_164245_1 Gli Orti dell'Occidente giardini_verticali1I giardini verticali di Patrick Blanc il muro vegetale alla conquista della città Fuorisalone:'SuperOrtoPiù', orto urbano sui tetti di Milano PENTAX DIGITAL CAMERA