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Allacciati all’anello chiuso

Siamo in Puglia, a Lecce. Il film inizia con una sgradevole scena a una fermata d’autobus, dove una ragazza polemizza con un giovanotto aggressivo e razzista. Elena – questo il suo nome – lavora in un bar ed è fidanzata con Giorgio, un giovane professionista. Anche Elena è borghese; ha lasciato l’università ma frequenta un ambiente colto. Al lavoro e nella vita fa trio con Silvia – l’amica del cuore – e Fabio, il suo coinquilino gay. L’equilibrio si rompe quando Silvia presenta il suo nuovo uomo: Antonio, un meccanico palestrato ma rozzo, che altri non è che l’uomo con cui Elena ha litigato all’inizio del film. In realtà tra Elena ed Antonio nasce una fortissima attrazione sessuale, che avrà il suo culmine in una gita al mare organizzata alle spalle dei rispettivi fidanzati. Nel frattempo Elena e Fabio intendono rilevare una vecchia stazione di servizio per farne un bar alla moda, e riusciranno nel loro progetto. A questo punto il film fa un brusco salto in avanti: dal 2000 passiamo al 2013, e i due festeggiano il tredicesimo anniversario del locale, pieno di amici e di musica. Nel frattempo Elena ed Antonio si erano sposati e hanno avuto due figli, ma il matrimonio risente delle differenze sociali e culturali. E qui irrompe l’imprevisto: Elena scopre di avere un tumore al seno, da curare con la chemioterapia, e da quel momento la sua vita cambia. Amici e parenti le si stringono intorno, Antonio si chiude in sé stesso. Elena deve lasciare il lavoro e il film si sposta fra visite mediche, ospedali e terapie. Ritrova una dottoressa che frequentava il bar e fa amicizia con Egle, sua simpatica compagna di sventura. E qui assistiamo a una scena mai vista prima nel cinema italiano: Antonio ed Elena riscoprono la passione originaria e fanno l’amore in ospedale, nonostante il corpo della donna sia ormai devastato dal male. In seguito Egle muore ed Elena litiga con la dottoressa, che invece la rassicura sul futuro della terapia. Scapperà dall’ospedale e il marito, invece di ricondurvela subito, la porterà sulla stessa spiaggia dove avevano fatto l’amore tredici anni prima. E qui c’è una strana scena: lo scontro evitato per un pelo tra la moto e il suv che vediamo all’inizio del film, viene ora riproposto dal punto di vista del suv. Ma in realtà sia a bordo del suv che sulla moto ci sono gli stessi personaggi – Elena ed Antonio – più giovani / vecchi di tredici anni di loro stessi. E il film non finisce qui: una serie di flash-back chiarirà alcuni antefatti inediti nel legame tra i quattro amici/amanti. Fabio stava insieme al fratello morto di Elena, Silvia si era messa con Giorgio. Come si vede, è un film complesso, molto costruito anche se in un certo senso elementare: mette infatti in scena l’istinto anteposto al raziocinio, la carica vitale contro la morte, gli ormoni prima ancora delle leggi e delle convenzioni sociali. E nel turbine delle relazioni, c’è in realtà un ordine: ogni personaggio struttura un legame forte con un altro, lasciandosi però un ampio margine per lasciarsi andare con altri. Ma quando l’avventura diventa legame, l’equilibrio generale è ristabilito: scopriremo infatti che Silvia si era messa con Giorgio, proprio come Elena aveva fatto con Antonio.

 

La scena dello scontro evitato tra moto e suv merita un’analisi a parte. Non è un flash-back, ma piuttosto una fusione di due tempi diversi vissuti dalle stesse persone da un diverso punto di vista e da un’altra età. Procedimento raro: nel cinema la struttura del tempo non è circolare ma vettoriale, mantiene sempre uno scorrimento lineare, al massimo alternato da flash-back che interrompono ma non negano la linearità del racconto; ne costituiscono piuttosto un ampliamento. Una variante è quella usata da Krzystof Kieslowski fin dal suo saggio di scuola di cinema (Il tram, 1966), sviluppata in Destino cieco (1981) e perfezionata ne La doppia vita di Veronica (1991): due vite possibili e parallele sono offerte ad un unico personaggio. È la struttura poi volgarizzata in Sliding doors (1998) dal regista inglese Peter Howitt. Ma cercare di fermare il tempo è impossibile e in questo senso ricordo uno stupendo film ungherese, Il tempo sospeso (1982), di Péter Gothàr. Ambientato nella Budapest del 1963, mostrava una società artificialmente congelata dal regime comunista, mentre in profondità i giovani continuavano ad amarsi, a crescere, a proiettarsi nel futuro. Il tempo circolare invece è raro: a memoria d’uomo, l’unico film italiano così organizzato è Giulia e Giulia (1987), diretto da Peter Del Monte su sceneggiatura di Sandro Petraglia. Il procedimento è invece più familiare nel cinema di fantascienza: ne La jetée di Chris Marker (1962), nello stesso istante convivono un bambino di otto anni e il suo sé adulto che viene ucciso davanti ai suoi occhi. La visione della propria morte è un anacronismo e se il bambino non avesse visto questa scena, non sarebbe stato selezionato per un esperimento di viaggio nel tempo. Un altro regista, Terry Gilliam ha usato procedimenti analoghi ne L’esercito delle 12 scimmie (1995). È il paradosso temporale che potremmo chiamare anello chiuso.

 

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06 Cinema Allacciate le cinture Ferzan Özpetek Allacciate le cintureALLACCIATE LE CINTURE

Un film di Ferzan Ozpetek

Con Kasia Smutniak, Francesco Arca, Filippo Scicchitano, Francesco Scianna, Carolina Crescentini, Carla Signoris, Elena Sofia Ricci, Paola Minaccioni.

 

Commedia

durata 110 min.

Italia, 2013

01 Distribution

 

http://www.ferzanozpetek.com/

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