Archivi tag: America Latina

Dalla A alla V l’insofferenza di un Continente

È il Venezuela, quando l’informazione si ricorda della sua esistenza nel mondo latino americano, a oscurare ogni altra notizia del Continente. È l’inconsistenza di una leadership come quella di Maduro a far notizia con il suo annaspare, scatenando la violenza, nel tentativo di rimanere su quella poltrona che fu di Chavez.
È il coinvolgimento della numerosa comunità italiana che permette di superare l’indifferenza attraverso le rare notizie dal Venezuela con le continue violenze e le sue vittime, in un paese sempre più in crisi di libertà e di benessere. Sembra che Maduro abbia sperperato non solo il consenso popolare per il socialismo in chiave chavista, ma soprattutto quello dei profitti petroliferi.

L’inflazione galoppa a oltre il 50%, mentre scarseggiano i generi alimentari e Maduro sventola lo spauracchio di un golpe fascista accusando gli Stati uniti di fomentare le continue manifestazioni che trasformano la capitale, come altri centri urbani, in campi di battaglia, con violenti scontri, morti e feriti.

Un momento difficile per il Venezuela, a un anno dalla morte di Hugo Chavez, attraversato dallo scontento che Maduro fronteggia in modo sconclusionato. L’intransigenza autoritaria riservata alle manifestazioni di piazza, viene alternata a timidi segni di dialogo con l’opposizione politica. Mentre le presunte ingerenze degli Stati uniti gli causano improvvisi eccessi d’ira, sino a dare in escandescenze ascoltando la musica di Arcangel, tanto da limitare le ore di trasmissione a tutto il reggaeton. Un genere di musica messa sotto accusa perché le canzoni sono messaggere di denuncia sociale ed è proprio a suon di rap, Musica para Maduro – Venezuela Resistencia, che Maduro sceglie di rispondere agli Stati uniti.

Nella punta più estrema del Continente Sud America è l’Argentina che sta attraversando la stessa fase di protesta e crisi economica. Una crisi che passa inosservata sui media eppure la presenza italiana a Buenos Aires, come in tutto il paese, non sfigura con quella in Venezuela. Una distrazione dell’informazione italiana, come della politica, che nella presidenta peronista Cristina Fernandez de Kirchner ha trovato un interlocutore più affidabile del chiavista Maduro nello scambio commerciale e sino a quando gli interessi dei numerosi imprenditori italiani non saranno in pericolo si cercherà di glissare sullo sciopero generale dei trasporti che ha paralizzato il Paese lo scorso 10 aprile.

Uno scontento argentino in crescita e non solo per l’inflazione e la disoccupazione, ma anche per il pugno di ferro, ben più credibile di quello venezuelano, con il quale la Kirchner guida il Paese e riesce a minimizzare la protesta.

La disparità tra ricchi e poveri è sempre più evidente nei paesi che vivono una crisi economica, dove i poveri diventano sempre più poveri – trascinando nell’indigenza anche quella fascia fino a quel momento considerata agiata – e i ricchi sempre più ricchi, godendo, pur essendo la minoranza della popolazione, delle più espansive attenzioni dei diversi governanti.

Dal nord al sud del continente latino americano gli indios vengono emarginati e defraudati delle loro terre, anche nella Bolivia di Evo Morales, il primo presidente di origine indio, dove i nativi non vengono trattati con il rispetto dovuto agli esseri viventi. In Ecuador il “socialista” Correa offre ai cinesi parte della foresta amazzonica come riscatto del debito contratto, a discapito delle comunità autoctone.

In Brasile, a ridosso dei tanto glorificati mondiali di calcio, non si attenuano le tensioni alimentate dall’opera di “bonifica” esercitata dalla polizia nelle centinaia di favelas del Paese, solo a Rio de Janeiro sono 16. Dopo l’uccisone di un ventenne ballerino, scambiato per un trafficante di droga, e i conseguenti scontri con le forze dell’ordine, trasformatisi in guerriglia urbana che hanno causato la morte anche di un dodicenne, il clima esasperato non lascia spazio alla gioia di una competizione calcistica organizzata anche per celebrare un governo che dovrebbe essere il paladino del popolo, ma che dimostra solo una grande volontà di modernizzare un “continente” dalle grandi diseguaglianze.

Non sono solo gli scontri e gli scioperi all’ordine del giorno, ma un’impennata di omicidi e di saccheggi per il Brasile dove la stessa polizia sciopera e dove imperversa la “distrazione” di ingenti fondi per le strutture sportive e di accoglienza per la priorità di una migliore qualità di vita. Un investimento che, com’è stato dimostrato in Sudafrica, non porterà benessere ai brasiliani, ma solo ai ricchi.

Un assioma quello che una manifestazione sportiva che impegna tanti soldi non porti un duraturo benessere per la vasta popolazione brasiliana che indios sembrano condividere profondamente con le nuova protesta che hanno inscenato a Brasilia. Non solo lo spreco d’ingenti fondi in un paese grande quanto un continente e con una diseguaglianza imperante è motivo dello scontento dell’indio, ma anche per il poco interesse che i parlamentari stanno dimostrando nel mettere in calendario la discussione del progetto di legge che prevede modifiche alle regole di demarcazione delle loro terre.

Proteste pacifiche e agguerrite che hanno visto gli indio fronteggiare le cariche della polizia, non per nulla fatte a cavallo, con frecce e sassi, il tutto per chiedere terre alla capitale quello che gli è dovuto per nascita. Una posizione energica quella del Governo nello smorzare ogni forma di protesta che è costato al Brasile, tanto per rimanere nell’ambito calcistico, il cartellino giallo di Amnesty International.

Anche l’Argentina ha praticato il “risanamento” forzato di zone elette dagli indigenti come rifugio e dove negli acquitrini galleggiano, per l’alto tasso d’inquinamento, anche i sassi.

In Cile e in Colombia la resistenza delle comunità indigene e campesina è riuscita a bloccare l’approvazione di leggi che proibivano agli agricoltori di conservare e scambiarsi diversi tipi di semi, così obbligandoli a diventare debitori delle multinazionali come la Monsanto, rivendicando il loro ruolo di custodi dei semi per conservare la biodiversità.

La prepotenza perpetrata sulle popolazioni native in Colombia è uno dei tanti impegni di Amnesty International per la difesa dei più deboli, organizzando, insieme agli attivisti del Gruppo 056, un recente incontro romano sulle continue violazioni dei diritti umani.

Una violenza che le comunità indigene della Colombia, contadine e afrodiscendenti, insieme ai difensori dei Diritti Umani, continuano a subire nel conflitto civile del loro Paese.

L’Uruguay ha Josè Mujica, un presidente dalle minime esigenze di sostentamento e dal burrascoso passato di guerrigliero, che devolve circa il 90% del suo stipendio di 12.000 dollari al mese, facendosi bastare 1.500 dollari, per il suo lavoro alla guida del paese, a favore di organizzazioni non governative e a persone bisognose. Il suo mezzo di trasporto non è una lussuosa limousine, ma un Maggiolino degli anni Settanta. Josè Mujica sembra la versione laica di Papa Francesco che apre alle libertà individuali: sostenendo la depenalizzazione dell’aborto, il riconoscimento dei matrimoni gay e la legalizzazione della marijuana, per scardinare il monopolio dei narcotrafficanti, evitando la piccola criminalità, e poter controllarne l’uso.

Il Continente Latino Americano cerca di ritrovare un posto nella crescita mondiale fuori dall’ingerenza statunitense, con il rischio di diventare vittima della neo colonizzazione cinese.

******************************

02 OlO Dalla A alla V l'insofferenza di un Continente chavista02 OlO Dalla A alla V l'insofferenza di un Continente Venezuela 02 OlO Dalla A alla V l'insofferenza di un Continente scontri-venezuela-4

 

La rivalsa del “Che”

L’arrivo sulla scena delle economie emergenti segna la fine della politica coloniale moderna nella quale gli Stati Uniti d’America erano i dominatori. Povero Zio Sam! Nonostante provi a cambiare stile nelle relazioni con l’estero, la sua mentalità non è cambiata e non ci sta a guardarsi allo specchio vedendo ridimensionato il suo grande cappello. Ecco che dunque, a volte, scivola su una buccia di banana utilizzando vecchi metodi e vanifica gli sforzi diplomatici intrapresi.

Così è avvenuto nei confronti del Sud America per il caso Snowden. Evo Morales, presidente della Bolivia, di ritorno nel suo paese da un viaggio a Mosca, è rimasto bloccato per oltre 12 ore a Vienna. Francia, Portogallo, Spagna ed Italia hanno negato l’autorizzazione al sorvolo dell’aereo, a causa del sospetto che il veivolo, oltre al presidente della Bolivia, trasportasse proprio Snowden. Lo sdegno dei fratelli Latinoamericani ha rifocalizzato gli incerti sulla necessità d’indipendenza dallo Zio americano; mentre Morales inveiva chiedendo retoricamente se in Europa comandassero i governi locali o la Cia, il presidente ecuadoriano Rafael Correa ribadiva: “Consideriamoci delle colonie o rivendichiamo la nostra indipendenza sovranità e dignità. Siamo tutti Bolivia”.

Chiara la lettura degli ultimi eventi in Nicaragua che, come tanti altri paesi dell’America latina, preferisce aprire le porte alla Cina come alleato economico commerciale. Il previsto grande miglioramento nella modesta economia di un piccolo paese come il Nicaragua da sempre antiamericano, potrebbe non attirare le preoccupazioni dello zio Sam se non fosse per l’oggetto dell’accordo: la costruzione di un Canale Interoceanico che collega appunto l’Oceano Atlantico al Pacifico. Il canale permetterà il transito di navi di stazza tripla rispetto a quella delle navi che transitano per Panama consentendo alla Cina di ridurre drasticamente il costo del trasporto di materie prime energetiche dall’America Latina. Tema quello della Cina, spinoso per lo zio Sam già che quest’ultima ha aumentato in maniera esponenziale i  suoi rapporti con l’America Latina. Principale partner commerciale di Brasile e Cile, il secondo in Perù e Argentina, la Cina, negli ultimi anni, ha offerto e continua ad offrire, forte del suo enorme potere finanziario, fondi ed accesso a finanziamenti anche ai paesi sudamericani,  che hanno recentemente subito un default, come Ecuador e Venezuela.

Una partita a scacchi, quella tra la Cina e gli Stati Uniti, non può far stare più tranquillo lo zio Sam nel momento in cui vede razzolare il Dragone in quello che ancora ritiene il suo giardino di casa. Peraltro, lo Zio Sam non ha più la sicurezza che la Cina mantenga l’anomalia finanziaria, derivante dall’acquisto del debito pubblico americano. Alcuni analisti cominciano a ventilare la possibilità cinese di disancorarsi dal debito pubblico Usa al fine di stabilire una propria posizione autonoma: se il valore delle riserve dovesse arretrare per il deprezzamento del dollaro, il sacrificio verrebbe ritenuto compensato dalla maggiore indipendenza della Cina, quella di non rimanere prigionieri a lungo dei propri debitori.

All’interno del Brics poi, il Brasile ha già siglato accordi con la Cina per realizzare transazioni commerciali nelle rispettive valute nazionali rendendosi così, reciprocamente indipendenti alle condizioni finanziarie internazionali. Se non bastasse, i paesi emergenti stanno concertando di fondare entro il 2015, una propria Banca per rafforzare la loro posizione ed i propri obbiettivi all’interno degli equilibri macroeconomici mondiali: l’egemonia finanziaria americana esercitata tramite la Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale sarà indubbiamente compromessa.

Cosa succederà in futuro? A quasi 50 anni di distanza risuonano ancora le parole del Che Guevara presso l’Assemblea Generale dell’ONU: “È suonata ormai l’ultima ora del colonialismo e milioni di abitanti d’Africa, Asia e America latina si sollevano per conquistare una nuova vita ed impongono il loro insopprimibile diritto all’autodeterminazione e allo sviluppo indipendente delle loro nazioni.” Altri tempi, altri contesti, altre economie ma l’ideale forse, ha continuato a permeare  sognatori e ad ispirare anche i politici più cinici. Si verrà a creare un equilibrio democratico o lo zio Sam verrà sostituito con il nonno XiXi Pyng o con el hermano Pancho?

02 OlO La rivalsa del Che nicaragua BRICS

Americhe: Tensioni di Pace

Il dialogo politico tra alcuni paesi Sudamericani ha inserito la retromarcia e sembra modificare i “blocchi” di alleanze politiche ed economiche nei confronti degli Yankee (nordamericani). Fenomeno strutturale o marginale? Troppo presto per dirlo, determinanti alcuni eventi di politica nazionale come le  negoziazioni di pace tra presidente Santos e le FARC in Colombia, la necessità di legittimazione del  neopresidente venezuelano Nicolas Maduro ed i fermenti continui delle coalizioni intragovernative come UNASUR (Unione delle Nazioni Sudamericane), ALBA (Alleanza bolivariana per le Americhe) e MERCOSUR (Mercosur Mercado Común del Sur). La conciliante politica estera di Obama, più disposta al dialogo rispetto al suo predecessore, e l’influenza del nuovo Papa Latinoamericano dai valori bolivariani, del resto, ha contribuito a trasformare l’antico e sottile gioco di scacchi tra Nord e Sud America come un grande “Risiko” dove, invece di avanzare con dei piccoli carri armati di plastica, si procede a colpi di Twitter.

Con un messaggio di Twitter è stata annunciata dal ministro venezuelano delle Relaciones Interiores, Justicia y Paz, Miguel Rodríguez Torres la liberazione del “gringo Timothy Hallet Tracy”, documentarista statunitense arrestato in Venezuela poco dopo le elezioni presidenziali con l’accusa di aderire al piano di destabilizzazione del paese. Un gesto di conciliazione caldamente raccomandato da Obama, segno tangibile dell’avvio di una “relazione più costruttiva” tra Venezuela e Stati Uniti, ristabilita con l’incontro in Guatemala tra il Segretario di Stato americano, John Kerry, con il suo pari venezuelano Elías Jaua. La ripresa dei dialoghi tra gli Stati uniti e il Venezuela e la possibilità di ristabilire i reciproci ambasciatori non solo ha ricomposto la frattura di epoca Chavista, ma ha implicitamente dato l’Ok degli Stati Uniti all’insediamento di Maduro, come presidente del Venezuela.

Nel frattempo Maduro in tour Europeo, ha ricevuto la benedizione di Papa Francesco. Nella nuova atmosfera di “cordialità” ricreata dopo le invettive di Chavez, Papa Francesco da buon padre di famiglia ha auspicato distensione tra i suoi figli Maduro e Santos (presidente della Colombia), che si erano accusati reciprocamente di cospirazione: è necessaria l’armonia e l’appoggio dei bolivariani venezuelani per proseguire con il lungo processo di pace tra il governo Colombiano di Santos e le FARC (Las Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia).

Infatti dopo oltre sei mesi di trattative nelle quali Norvegia e Venezuela hanno fatto da garanti, le Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane (Farc) e il governo di Juan Manuel Santos hanno raggiunto un primo accordo che va definendo il quadro di una riforma agraria, il primo dei sei punti sul tavolo del negoziato. Santos ha definito con un colpo di Twitter questo come un “paso fundamental” per porre fine a 5 decadi di conflitto armato.

È plausibile che Santos con l’intenzione di ricandidarsi alle prossime elezioni del 2014, stia tentando di acquisire consensi mettendo velocemente in rete questo goal; scommette sulla posta contraria l’ex presidente colombiano Álvaro Uribe, anch’esso probabile candidato delle prossime elezioni, che nel duello a colpi di Twitter afferma “il governo premia i terroristi”.

Anche nella politica estera, la Colombia o meglio il governo di Santos, cerca un avvicinamento con gli Stati Uniti e la Nato: il ministro della Difesa colombiano Juan Carlos Pinzón firmerà il primo accordo di cooperazione tra Colombia e la NATO (Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord).

Per questo Bolivia, Nicaragua e Venezuela hanno già ritenuto di convocare d’emergenza il Consiglio di Sicurezza del blocco costituito dall’UNASUR.

Pericolo imminente o estremizzato antimperialismo? Forse lo scopriremo più velocemente dai messaggi Twitter, che non dalle notizie riportate dai giornali.

La sostenibilità dello Sviluppo

Nella corsa allo sviluppo e nel tentativo di emancipazione dall’influenza nordamericana, archiviando la cosiddetta dottrina Monroe, i paesi sudamericani hanno spinto sulla crescita economica attraverso processi di industrializzazione e di costruzione di grandi opere nei quali, spesso, si sono manifestate evidenti contraddizioni in termini di violazioni ambientali e di diritti umani.

Stiamo parlando di un territorio – quello sudamericano – che concentra in sé quasi la metà delle foreste tropicali e sette dei venticinque ecosistemi più ricchi del mondo. È popolato da oltre cinquecentoventidue gruppi indigeni rappresentanti però, solo il 6% della popolazione totale, che invece si riversa negli agglomerati urbani (dopo il 1960 il tasso di urbanizzazione passa dal 50% al 75%) posizionando quindi tale Continente come il più urbanizzato del terzo mondo (il 30% della popolazione concentrata nelle periferie).

La costruzione di accessi di comunicazione terrestri o per acqua, il disboscamento, l’urbanizzazione, l’estrazione delle materie prime (minerali e idrocarburi), la coltivazione dei campi con monocolture intensive, la pratica della caccia (47 % delle specie animali sono catturate illegalmente), la promozione del turismo o la creazione di impianti industriali, se non affrontati in un’ottica ecosostenibile, creano danni non solo al territorio circostante ma di seguito al paese e conseguentemente all’equilibrio ecologico mondiale.

Ciò è facilmente intuibile soprattutto nel caso della deforestazione, che ha causato nel continente latinoamericano tra il 1990 e il 2000 la perdita  di 46,7 milioni di ettari di foreste e avanza, con una percentuale annuale doppia rispetto alla media mondiale, contribuendo così in modo sostanziale al cambio climatico e all’effetto serra.

Necessita invece di una maggiore riflessione l’analisi delle conseguenze relative allo sfruttamento dei campi per le monocolture e per i biocarburi, come avviene nel primo caso, nel “blocco” costituito da Argentina, Brasile, Paraguay e Bolivia che rappresenta il 68% dell’esportazione mondiale complessiva della soia e si sta affermando come il maggiore esportatore mondiale di questo cereale (“Mercosoya 2006”) e nel secondo, con la coltivazione della canna da zucchero in Brasile.

La monocultura, agroecologicamente parlando, nega la possibilità dello sviluppo di un’agricoltura adattata al ciclo biogeochimico terrestre comportando, quindi, un alto supporto di fertilizzanti, erbicidi, fungicidi i cui residui contaminano ed inquinano il territorio coltivato. L’intensificazione delle monoculture e dell’allevamento bovino in zone ecologiche,  come  ad esempio quella del  “Cerrado” e del “Chaco”, hanno causato la perdita delle caratteristiche ecologiche del territorio e delle riserve naturali di biomassa. All’impatto ecologico si aggiunge quello sociale derivato dalla riduzione dei campi disponibili per la produzione di alimenti.

La costruzione dell’autostrada trans-amazzonica e dell’idrovia Paraguay-Paranà hanno anch’essi influito sulla perdita della biodiversità.

Nella ricerca di fonti di energia alternative, obiettivo di per sé pregevole, il Brasile ha progettato di costruire una diga per la quale verrà modificato circa l’80% del corso del fiume Xingu, danneggiando di conseguenza gli abitanti di quell’area che verranno a trovarsi senza acqua. Peraltro, secondo studi dell’ INPA (Istituto amazzonico nazionale di ricerca), l’inondazione della foresta causerà la dispersione in atmosfera di enormi quantità di metano, un gas serra che è venticinque volte più dannoso dell’anidride carbonica.

Il rispetto ambientale è negato di fronte al miraggio dei profitti anche quando si parla di multinazionali nordamericane o europee operanti in territorio sudamericano. Alla luce del fenomeno già ampiamente dibattuto “del nuovo colonialismo economico” perpetuato dalle multinazionali, queste ultime hanno praticamente invaso i paesi in via di sviluppo, per sfruttare nuovi giacimenti minerari e d’idrocarburi e godere di enormi vantaggi, sia di tipo economico che tecnico: come la deregolamentazione sulle tematiche ambientali. Questo ha portato, proprio in America Latina, ad un aumento esponenziale della presenza di industrie estrattive che non hanno avuto scrupoli ad usare metodi poco ortodossi, a volte anche all’oscuro dei governi, e che molto spesso restano impunite.

Ma alcuni casi vengono alla luce: come quello della  lunga battaglia legale tra Chevron e gli ecuadoriani. Fortunatamente la Corte Suprema statunitense ha respinto la richiesta della Chevron per l’annullamento della sentenza ecuadoriana che richiede un risarcimento di 18,2 miliardi di dollari, emessa nel 2011 dopo 8 anni di indagini nella città  petrolifera di Lago Agrio. L’Ecuador ha dimostrato che erano stati versati più di 16 miliardi di galloni di greggio, fanghi e rifiuti tossici in Amazzonia, gravemente inquinanti per sorgenti, falde e corsi d’acqua e, a causa dei quali, sono state decimate tribù indigene della regione.

Una battaglia è stata vinta “penso che sia stata fatta giustizia”, afferma il presidente dell’Ecuador Rafael Correa, anche se come ha affermato la Corte d’appello “nessuna somma sarà sufficiente a riparare tutti i crimini che hanno fatto nella nostra zona, né sarà sufficiente a portare i morti in vita.”

Lo stesso Correa che intende affidare lo sfruttamento di una zona della foresta amazzonica ai cinesi, disinteressandosi degli indios che vi abitano.

La Cina è bramosa di ricchezze naturali e dopo l’Africa è la volta del continente latinoamericano ad essere visto solo come uno smisurato supermercato per soddisfare tutte le nessità di una popolosa nazione protesa ad acquisire il monopolio di ogni risorsa, in una sorta di Capitalismo di Stato autoritario globale.

Un’avidità che ha portato la Cina alla devastazione di parte del suo territorio e di quello africano per impegnarsi anche sul suolo sudamericano.

Nel caso della Famatina (Argentina, estremo nord della provincia di La Rioja) è la piccola comunità e non il Governo a lottare contro la corporation canadese Osisko Mining sensibilizzando l’intero paese fino a mobilitare manifestazioni davanti all’ambasciata canadese di Buenos Aires. La comunità della Famatina è riuscita, per il momento, a bloccare l’estrazione di oro nella megaminiera a cielo aperto: la multinazionale canadese utilizzava 10 tonnellate di cianuro al giorno per separare l’oro dalla roccia, con effetti devastanti non solo per la contaminazione dell’acqua della zona ma anche per tutto il territorio.

Come afferma Gustavo Carrasquel, ambientalista venezuelano: ”Oggi non c’è un governo in America Latina che stia realmente costruendo un progetto per il miglioramento delle condizioni ambientali nel proprio paese”.

C’è comunque da dire che ripercorrere il tema ambientale ed i principi dello sviluppo sostenibile, creando obiettivi di miglioramento ambientale, economico, sociale ed istituzionale, implica il tenere in considerazione le minacce o gli impatti ambientali in eco-regioni (178 “ecoregioni” identificate in America Latina e Caraibi) per lo più sovranazionali.

Veri e propri conflitti tra gli interessi del Capitale e quello delle comunità, non solo indigene, custodi di aree preziose a preservare le biodiversità, evidenziati nel sito della CDCA (Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali).

Le logiche dello sviluppo sostenibile seguono un’intricata rete di attori e problematiche, difficilmente rappresentabili in un quadro organico. Da qui la grande complessità e la necessità di promuovere un Piano di Azione Sovranazionale con un Fondo monetario ad esso univocamente destinato per bilanciare economie e diseconomie. È importante, altresì, una maggiore sensibilizzazione non solo a livello nazionale (pensiamo semplicemente alla gestione dei rifiuti nel territorio urbano), ma anche internazionale.

Nell’ambito delle Istituzioni a tutela o dei tavoli aperti dalle varie organizzazioni, l’approccio latinoamericano è caratterizzato da forme di integrazione sub-regionale e da una marcata tendenza al metodo intergovernativo, piuttosto che allo sviluppo di istituzioni sovranazionali.

Organizzazioni “storiche” come il Mercosur, la Comunità Andina delle Nazioni (CAN) e il Sistema dell’Integrazione Centroamericana (SICA), ma anche le nuove come l’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR) e l’Alternativa Bolivariana per l’America (ALBA), coinvolgono aree più limitate rispetto alle grandi aggregazioni geografiche: un quadro composito di integrazione nel quale coesistono diversi raggruppamenti di paesi che rende difficile il perseguimento di politiche che coinvolgano efficacemente anche dimensioni extra regionali.

In questo panorama si inserisce la Conferenza sulle strategie per l’uso delle risorse naturali (Conferencia de la Unión de Naciones Suramericanas sobre Recursos Naturales para el Desarrollo Integral de la Región) che riunirà dal 27 al 30 maggio nella capitale venezuelana i membri dell’UNASUR. Una riflessione collettiva sull’importanza di un migliore utilizzo delle risorse naturali e del territorio, per uno sviluppo sostenibile in ambito sociale, economico, culturale, tecnologico e industriale.

I governi sudamericani saranno sufficientemente lungimiranti nelle scelte?

 

Ambiente contra-monsanto-0OlO Sviluppo sostenibile_ AmericaLatina Conferenza strategia sudamericana per l'uso delle risorse naturali conferencia_recursosOlO Sviluppo sostenibile_ Argentina Miniere a cielo aperto repressione e impunità arton1607-de288OlO Sviluppo sostenibile_ Argentina Miniere a cielo aperto repressione e impunità artonOlO Sviluppo sostenibile_ articolo Monsanto-e1357340561745

OlO Sviluppo sostenibile_ Argentina Miniere a cielo aperto repressione e impunità andalgala-resiste-90abb

La coerenza dell’umanità

”Fratelli e sorelle buonasera, voi sapete che il dovere del conclave era di dare un vescovo a Roma e sembra che i miei fratelli cardinali sono andati a prenderlo alla fine del mondo, ma siamo qui”: queste le prime parole di presentazione di Papa Francesco alla folla dei fedeli che dopo l”Habemus Papam lo acclamava in piazza San Pietro.

Il nuovo Papa Francesco viene dall’altra parte del mondo: dal continente Latinoamericano, esattamente da Buenos Aires, dove è nato e ha vissuto gran parte della sua vita. Gesuita argentino anche se di origini italiane, Padre Jose Mario Bergoglio ha scelto di chiamarsi Francesco evocando la figura San Francesco di Assisi nella quale riconosce attitudini intimamente vicine alla sua sensibilità.

Così si esprime ai giornalisti spiegando la scelta del nome:” .. E’ per me l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato; ….. E’ l’uomo che ci dà questo spirito di pace, l’uomo povero … Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri! .. Vi voglio tanto bene, vi ringrazio per tutto quello che avete fatto…..”

Mentre l’Europa osserva con curioso stupore il suo disattendere il protocollo, l’America Latina lo accoglie con gioia e speranza: riconosce in Padre Jose Mario Bergoglio, nell’autenticità e spontaneità del suo agire, lo stile di un uomo di chiesa, ed ora è già stato nominato il “Papa Humilde” (Papa umile).

Padre Jose Mario Bergoglio è conosciuto in patria per la sua semplicità e naturalezza: lo hanno incontrato girare per la sua diocesi anche in metropolitana e con gli autobus. Ha rinunciato ai privilegi della curia scegliendo di abitare in un appartamento e di prepararsi la cena da solo commentando: «La mia gente è povera e io sono uno di loro».

Jose Mario Bergoglio, continua a vivere e a sentire nella stessa maniera soprattutto ora, nella grande avventura spirituale del Papato.

Nel Giovedì Santo per la cerimonia della lavanda dei piedi ha scelto il carcere minorile di Casal del Marmo; del resto, Padre Jose Mario Bergoglio arcivescovo di Buenos Aires, era solito celebrarla in un carcere, in un ospedale o in una casa di accoglienza per poveri o emarginati.

“Come prete e come vescovo devo essere al vostro servizio” ha detto “Ma è un dovere che mi viene dal cuore: lo amo. Amo questo e amo farlo perché il Signore così mi ha insegnato. Ma anche voi, aiutateci: aiutateci sempre. L’un l’altro. E così, aiutandoci, ci faremo del bene…..”

Davanti ai Capi di Stato e di Governo, alle Delegazioni ufficiali (132 le delegazioni straniere presenti sul sagrato della Basilica vaticana) di tanti Paesi del mondo e al Corpo Diplomatico, durante la cerimonia d’insediamento, Padre Jorge Mario Bergoglio ha ribadito la loro responsabilità degli uomini al potere nei confronti del prossimo: “..il vero potere è il servizio..” e soprattutto quello rivolto ai poveri.

Tra i presidenti, in prima fila Cristina Fernández Kirchner alla quale ha concesso la prima udienza privata, nonostante le relazioni difficili durante il suo ministero a Buenos Aires, con la delegazione argentina, Dilma Rouseff (Brasile), Sebastián Piñera (Cile), Rafael Correa (Ecuador), Enrique Peña Nieto (Méssico).

“Lottare contro la povertà sia materiale, sia spirituale; edificare la pace e costruire ponti”. Questo l’impulso che Papa Francesco vuole dare alla Chiesa.

Ma per costruire i ponti ovviamente si deve incontrare l’altro qualunque sia la sua confessione religiosa o il suo stato, uscire dalla propria “autoreferenzialità”, dal “narcisismo teologico”, per andare verso le periferie “esistenziali” oltre che quelle geografiche.

“Siamo molto contenti della scelta di Papa Francesco. Per la prima volta è stato eletto un pontefice Latinoamericano e questo porterà la Chiesa ad uscire fuori dal suo Eurocentrismo. La sua elezione rappresenta anche una sfida. Ci sono molte cose da fare per il mondo e non solo per l’Argentina…” ha affermato dopo il colloquio personale avuto con Papa Francesco, Adolfo Maria Pérez Esquivel argentino  premio Nobel per la Pace (1980).

“Relativamente al tema dei diritti umani Papa Francesco ha sostenuto che è importante arrivare alla verità e alla giustizia sui reati commessi in Argentina, ma che non c’è da considerare solo l’omicidio perpetuato nella dittatura; i diritti umani devono essere intesi in una maniera integrale e quindi includere la lotta contro  “la povertà , la tutela dell’ambiente e della vita delle persone…. Quello che più preoccupa il Papa è “la povertà, la fame, l’emarginazione nel mondo.

E’ proprio in questi valori del messaggio papale che i Paesi del continente Sudamericano si sono riconosciuti. La ricerca di una vera democrazia che combatta le disuguaglianze, la possibilità di unificazione Sud Americana nel comune intento di combattere la povertà o il consolidamento e l’estensione della rivoluzione bolivariana hanno ricevuto nuovo entusiasmo per l’avvento di una Chiesa rinnovata, grazie alla nuova “onda spirituale” di Papa Francesco.

La Giornata Mondiale della Gioventù è alle porte: a luglio Papa Francesco è atteso in Brasile, l’emozione coinvolge tutto il Sud America e già i paesi confinanti, Venezuela e Colombia, sono pronti ad accoglierlo nel suo primo viaggio come pontefice nel suo continente “alla fine del Mondo”.

NICARAGUA PAPA