- di Luigi M. Bruno e Gianleonardo Latini –
Ho messo qualche “Mi piace” e “Wow” per esprimere il mio disappunto sulle pretestuose critiche di un manifesto che lancia un messaggio, “We are all in the same boat” (Siamo tutti nella stessa barca), ben visibile nel contesto creativo di fratellanza, sulla bandiera bianca tenuta dalla stessa Abramovic ed è triste mettere delle limitazioni all’espressività se non si offende alcuna persona.
Tante parole da politici impreparati che pensano ad un attacco alle loro posizioni e questo mi ha fatto pensare che Marina Abramovic non ha bisogno di essere difesa, la sua arte parla da sola ed è il mercato che si prende cura del suo lavoro.
È l’arte e gli artisti che non vivono sotto i riflettori della notorietà che semmai hanno bisogno di essere difesi come specie a rischio di estinzione, nel ritenerli marginali.
Anche la scelta dell’arcivescovo Antonio Buoncristiani di non benedire il Drappellone per il Palio dell’Assunta che si è corso il 16 agosto a Siena fa riflettere sul ruolo ecumenico della chiesa cattolica verso il dipinto del 70enne artista, di origini ebraiche, Charles Szymkowicz che raffigura la Madonna con in braccio un cavallo invece del bambin Gesù. Un rifiuto motivato dal fatto che non rispetta l’iconografia mariana, ma è in carattere con il Palio.
Quando un’opera viene commissionata, come nel caso di Marina Abramovic, è il committente che deve essere soddisfatto, magari sotto ricatto, e non si può mettere in discussione il gusto quando, come nel caso di Charles Szymkowicz, il dipinto deve passare per l’approvazione di chi si ritiene custode di una verità.
La confusione nell’ambito dell’arte è tanta ma con la grande pubblicità sulla mostra fiorentina per molti è importante che palazzo Strozzi abbia aperto alle artiste, tanto da riaprire, grazie anche alla Rete, il dibattito sull’Arte contemporanea, ed ecco la richiesta di Luigi M. Bruno: “Marina Abramovic. Posso onestamente e spudoratamente rivolgere un onesto interrogativo agli amici di FB?… In breve: cosa ne pensate, con assoluta sincerità dell’artista serba e delle sue performance degli ultimi cinquant’anni? Non voglio assolutamente né infierire né assecondare giudizi negativi o positivi che potrebbero sembrare precostituiti…
La vostra preziosa opinione potrà portare chiarezza nella definitiva analisi di un fenomeno (ormai annoso per non dire “datato”) relativo alla Body-art e nella fattispecie relativo alle esperienze della Abramovic. Grazie.”
Seguita dalla riflessione di Giulia Sargenti (aka Giulia Lich): “Nella mia ignoranza (soprattutto nell’arte contemporanea) credo che questi movimenti abbiano avuto un senso quando nacquero (come rottura dal passato e ricerca di nuove espressioni artistiche, in linea con un mondo che si trasformava velocemente), ma che oggi siano ormai semplici repliche, ottime per fare “cassa” , ma fini a sé stesse. Nelle ultime performance mi sembra che ci sia più la ricerca di essere Abramovic, di non deludere il pubblico (cosa questa comune a molti altri, basta pensare alle provocazioni di Cattelan fatte tanto per essere Cattelan), accreditandosi sempre più come icona dell’arte. Inoltre, senza voler troppo infierire, constato come, paradossalmente, queste personalità femminili, che hanno messo il proprio corpo al centro della loro ricerca artistica, non siano sfuggite dalla trappola del botox come strumento di fuga dalla vecchiaia (vedi anche Yoko Ono), cadendo nel più banale conformismo.”
Ma anche Giovanni Gini Art ha espresso una sua perplessità: “Semmai sono loro a doverci spiegare quali sono i criteri e le logiche per cui si accosta la parola “Arte” a certi personaggi che dovrebbero invece essere catalogati come “illusionisti”, “imbonitori”, “fachiri” o al limite “performers”…”
In seguito Luigi Massimo Bruno non ha trovato altri commenti, oltre a quello di Claudia Bellocchi che è un flash emotivo e lampante e quello Giorgia Kokkini, commenti necessari per aprire un confronto sul suo post e rimanendo spiazzato dalle numerose analisi elogiative, sulle varie testate, delle “performance” della Abramovic afferma: “ora, io non penso di avere una mente retriva e limitata da squallido “pompier”, laddove vedo o intravedo una esperienza creativa legata alla trasformazione della materia in pura emozione lo riconosco senza attestarmi a superate maniere. Io penso che tutte le “esperienze” della Abramovic possono interessare magari la psicanalisi o qualsiasi terapia legata alla corporeità,magari anche alla filosofia naturista ed altro ancora,magari la meditazione trascendentale. Ma se l’opera d’arte è la presentazione, più o meno brutale e narcisistica, più o meno masochista, del proprio corpo come elemento risolutivo di materia estetica, io credo che possa essere tante cose ma non arte.”
Probabilmente i numerosi attestati elogiativi del valore come esperienza profonda e creativa, anche da chi non si è mai occupato di arte, è dovuto dal timore di esporsi ai sedicenti “addetti ai lavori” ed essere bollato come incompetente.
Negli ultimi decenni si è evidenziata l’arte come atto effimero già con Rothko, con i colori che si deteriorano e non hanno la stabilità delle tele dei precedenti maestri, poi c’è Christo con il suo impachettamento di elementi urbani e della natura a conferire all’opera l’esistenza programmata fino alle performance, lasciando dell’evento una documentazione sulla progettazione e la registrazione del compimento, ergendosi a rappresentazione laica del malessere contemporaneo, una sorta di immagine della devozione popolare, ben diverso dalle rappresentazioni sacre.
Sarà difficile che personaggi come la Abramovic o Cattelan possano lasciare una lezione atemporale che non sia legata a questa epoca di scontri e disagi, ma non si può fare a meno di rilevare che spesso sono i titoli l’opera stessa, e tutto si contiene e giustifica nel concetto o “messaggio” come si chiamava una volta. Comunque è eccessivo, se non ridicolo, infervorarsi per un evento del quale rimane una cartolina nel bookshop che non restituisce il disagio della performance, differenziandosi dalle pitture, anche se “classiche” di Charles Szymkowicz.
Il problema di una certa arte contemporanea è una sua sovraesposizione che rende certi artisti sopravvalutati tanto da ergerli ad artefici incontrastati del gusto e della moda, pretendendo del resto un solido e intoccabile piedistallo in contrasto stridente con l’effimero e il “consumo” della loro azione.
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Marina Abramović. The Cleaner
Dal 21 settembre 2018 al 20 gennaio 2019
Palazzo Strozzi
Firenze
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