Secondo l’Economist è la Francia di Emmanuel Macron ad essere scelta come il paese del 2017. Con lo scegliere la Francia di Macron, con il suo movimento La République En Marche, il settimanale britannico mescola paese, parola e personaggio. Una Francia che ha superato il Bangladesh capace di accogliere 600.000 rohingya in fuga dall’esercito birmano, per non essere violentati e massacrati, o l’Argentina del presidente conservatore Mauricio Macri, forse per evitare polemiche sul drastico taglio alle spese “superflue” come sulle pensioni. Una “riforma” quella del sistema previdenziale, fiore all’occhiello dei governi Kirchner, che sta suscitando tante proteste nel paese, ma ritenuta necessaria dal presidente per sistemare la situazione finanziaria ed economica e sicuramente in linea con il credo liberale dell’Economist.
Un’altra istituzione britannica che si è adoperata nell’eleggere un simbolo del 2017 è l’Oxford Dictionaries, indicando come parola dell’anno “youthquake”, per sintetizzare il “cambiamento significativo culturale, politico o sociale, creato dall’azione dei giovani”. Uno “scuotimento”, un terremoto che resta difficile da percepire guardando una gran massa di individui con il naso incollato al display dei smartphone e tablet, il più delle volte per messaggiare o giocare e certamente non per cambiare il Mondo. In Europa sono la minoranza i giovani, in un continente che sta decisamente invecchiando, giovani che si dedicano ai cambiamenti e lo fanno lontano dai riflettori. Ma il più grande cambiamento che i britannici si possono aspettare potrà venire dal settantenne Jeremy Corbyn, come negli Stati uniti le speranze di rinnovamento erano state affidate a Bernie Sanders. Forse l’Oxford Dictionaries ha visto Macron in Francia o l’ascesa della destra austriaca del trentenne Sebastian Kurz come un positivo cambiamento.
Meglio la scelta del settimanale Time che ha designato “Persona dell’anno” le donne, le cosiddette “Silence Breakers”, che hanno rotto il silenzio sulle molestie sessuali nell’ambito lavorativo.
Interessante è la scelta fatta dal Courrier International sugli eventi del 2017 attraverso i cartoon mensili, partendo da gennaio con la strage di capodanno ad Istanbul con 39 persone uccise e 79 ferite per mano di un fanatico Daesh, per arrivare all’impossibilità per gli atleti russi di partecipare sotto la propria bandiera alle Olimpiadi, ma per partecipare individualmente dopo le accuse alle autorità sportive russe, da parte del Comitato Olimpico Internazionale (CIO), per aver coperto un sistema di doping istituzionalizzato, senza dimenticare l’ascesa all’Eliseo di Emanuel Macron.
In questo calendario degli eventi troviamo la svolta autoritaria del presidente turco Erdogan con lo stato d’emergenza instaurato dopo il colpo di stato fallito nel luglio 2016, che dopo purghe, arresti e restrizioni sull’informazione, è stata varata la riforma costituzionale, firmata a febbraio e convalidata dal referendum del 16 aprile, consentendo di concentrare tutti i poteri nelle mani del presidente, ma abbiamo la Brexit, la repressione in Venezuela e la proclamazione dell’indipendenza della Catalogna.
Mentre il settimanale cinese Beijing Review non si limita a celebrare le prodezze del presidente Xi Jinping con la nuova Via della Seta o il rapporto instaurato con il presidente statunitense Donald Trump e le sue varie scelte dalla migrazione al clima, ma sottolinea la sconfitta dell’Isis dichiarata dal governo iracheno, la crisi nella penisola coreana per i test balistici condotti dalla Repubblica democratica popolare di Corea, la Brexit, la verifica dell’esistenza delle onde gravitazionali, il boicottaggio diplomatico ed economico promosso dall’Arabia saudita alle spese del Qatar per i suoi migliorati rapporti con l’Iran. A concludere l’elenco dei 10 eventi rilevanti per il settimanale cinese sono le dimissioni del Presidente dello Zimbabwe Mugabe.
Fatidico Ottobre 2017: cent’anni dopo la Rivoluzione Russa, a Barcellona si profila la Rivoluzione Catalana. Un nuovo modello rivoluzionario, non fondato sulle ideologie politiche conosciute nel XX secolo, ma su un nuovo nazionalismo che si potrebbe chiamare anti-sistema: avverso al sistema degli Stati nazionali che, definiti nella loro forma attuale generalmente nell’800, dopo le due grandi guerre mondiali hanno dato luogo agli organismi internazionali incentrati nell’Organizzazione delle Nazioni Unite.
Col voto del 27 ottobre 2017 il Parlamento catalano, una volta usciti per protesta tutti i partiti di opposizione (Ciudadanos, Partito Socialista di Catalogna e Partito Popolare) tranne Podemos, ha stabilito: “Oggi la Catalogna restaura la sua piena sovranità”. L’affermazione è priva di senso: la Catalogna non ha mai avuto sovranità — infatti prima della costituzione dello stato unitario spagnolo faceva parte della contea, poi regno di Aragona — quindi semmai il proclama avrebbe dovuto dire non “restaurare”, ma “conquistare” la sovranità. Comunque, sono stati settanta coloro che hanno detto “Sì” a tale risoluzione, tramite voto segreto: i membri del gruppo parlamentare Junta pel Sí e di Candidatura de Unidad Popular (CUP)-Llamada Costituyente. Il primo è erede del partito principe del movimento indipendentista catalano, Convergencia i Unió (CiU) del famigerato Jordi Pujol (che primeggia tra i grandi esportatori illegali di capitale dal territorio ispanico nonché tra i bustarellari taglieggiatori delle attività pubbliche) e di Esquerra Republicana de Catalunya (partito che ebbe tra i suoi leader storici Josep Tarradellas, fautore della rinascita della Generalitat catalana dopo la guerra civile spagnola, e Luis Companys, leader di Esquerra all’epoca della guerra civile, vittima del franchismo). Esquerra Republicana per tradizione era catalanista ma non necessariamente indipendentista: lo è divenuta in questi ultimi anni, in particolare sotto l’impulso del suo dirigente attuale, Oriol Junqueras, anche per via degli accordi da questi stabiliti col successore di Pujol al fronte di CiU, Artur Mas.
Dunque settanta parlamentari su un totale di 135 rappresentati nel Parlamento catalano, dei quali solo 92 hanno partecipato al voto. Una maggioranza non certo schiacciante, che tuttavia s’è arrogata il diritto di prendere una decisione di rilevanza tale da scuotere tutto il sistema politico istituzionale spagnolo.
Il voto è stato segreto come misura cautelativa, volta a cercare di evitare che i singoli parlamentari possano esser assoggettati ai rigori della legge: trattandosi di voto anticostituzionale possono essere accusati dalla magistratura di sedizione e ribellione. La segretezza è stata complementata da due voti in bianco e da dieci degli undici deputati di Catalunya Sí Que Es Pot (la sezione locale di Podemos) che hanno scelto di partecipare al voto, ma mostrando che votavano “No” alla risoluzione.
Subito dopo la votazione, il Presidente del governo spagnolo, Mariano Rajoy, sulla base dell’articolo 155 della Costituzione spagnola ha dichiarato decaduto il governo catalano avocandone le funzioni e ha contestualmente indetto nuove elezioni per il 21 dicembre 2017.
Intanto nelle strade antistanti alla Generalitat si son viste persone abbracciarsi in lacrime, felici che finalmente si fosse raggiunta l’agognata libertà. Anna Gabriel, portavoce del partito CUP (ritenuto l’erede del movimento anarchico catalano) ha annunciato che nel giorno stabilito da Rajoy per le elezioni, promuoveranno una grande “paellata” nelle città catalane, in ciò evidenziando la vocazione al paradosso della situazione generatasi. La Gabriel nei suoi discorsi pubblici usa solo il femminile: non vi sono deputati, ma solo deputate. A manifestare la sua rivolta contro quanto è stata usanza dominante sinora, generalizza il genere femminile di contro alla sinora dominante generalizzazione del genere grammaticale maschile: fa parte anche questo (lei direbbe questa) della marcia per la rivolta contro l’esistente.
Va evidenziato che quella del 27 ottobre non è stata una vera a propria dichiarazione di indipendenza, ma una dichiarazione di intendere dichiarare l’indipendenza, secondo la strategia seguita da Carles Puigdemont, il presidente della Generalitat (destituito da Rajoy): dire e non dire, fare e non fare, affermare e assieme negare.
Tali eventi potrebbero portare un osservatore esterno a perdersi nei meandri di questo neo bizantinismo catalano, e a ritenere i fatti che hanno commosso la Spagna nell’ottobre 2017 una specie di evento folklorico.
La questione è complicata in realtà, e ha dimensioni e potenzialità maggiori, nell’ambito dell’attuale mondo in subbuglio.
Si consideri ad esempio l’intervento svolto da Marta Rovira, segretaria generale di Esquerra Republicana, durante il dibattito al Parlament previo alla votazione della risoluzione indipendentista: tra l’altro la Rovira ha accusato la leader del principale partito di opposizione, Ines Arrimada (Ciudadanos), di mandare la polizia a minacciare mamme con bambini che si recavano a votare il 1 ottobre nel referendum anticostituzionale per l’indipendenza catalana: affermazione singolare che rivela la condizione psicologica entro la quale si muovono gli indipendentisti. Si sentono oppressi da una Spagna nella quale ravvisano la continuazione del franchismo, come se non vi fosse in realtà una democrazia parlamentare: loro ci credono davvero.
Tale atteggiamento paranoide alimenta e giustifica la pretesa di indipendenza come ideale ambizione a un nuovo Eden. Il circuito di televisioni, radio, organi di stampa, ambiti di discussione, siti Internet entro il quale il verbo indipendentista si è andato rafforzando negli anni mentre il resto della Spagna, a partire dal governo nazionale, sembrava non veder nulla, ha generato una vera e propria cultura che si è radicata nelle coscienze.
Per questo si son viste persone piangere di gioia per le strade di Barcellona dopo la dichiarazione di indipendenza; per questo i deputati indipendentisti dopo aver votato il 27 ottobre 2017 si son messi a cantare assieme con commossa devozione, a voce spiegata, l’inno catalano, Els Segadors, col sicuro fanatismo della massa che domina l’individuo. Sono sinceramente convinti di aver compiuto un gesto storico, e si preparano a portare avanti la loro battaglia.
La cosa non finirà nell’evento folklorico. Volontà dichiarata di tutte le parti in causa è di muoversi secondo i principi democratici, ma il fatto di sentirsi oppressi da potenze ostili – la condizione di paranoia autoindotta – rende gli indipendentisti disposti al sacrificio.
Per parte loro gli indipendentisti sono spaventati dall’invadenza dello stato spagnolo che sulla base della Costituzione del 1978 si muove per far rispettare la legge. Mentre invece gli spagnoli si sentono minacciati dall’indipendentismo e dal modo in cui questo si è mosso, imponendo il volere di una minoranza, per quanto cospicua, sulla maggioranza dei cittadini catalani (in virtù del sistema elettorale i partiti che formano la coalizione che ha governato la Generalitat sino alla sua destituzione hanno bensì vinto le elezioni, ma senza rappresentare la maggioranza). Anche a causa di questo, in molti in Spagna ritengono che la dichiarazione di indipendenza catalana sia assimilabile al tentativo di colpo di stato portato avanti nel 1981 dal generale Armada con il colonnello Tejero e il generale Milans del Bosch contro la democrazia parlamentare ancora giovane dopo la morte di Franco.
Vi sono altri fatti da considerare. Se il tentativo di colpo di stato del 1981, esauritosi nel giro di una giornata, fu un fatto eminentemente interno spagnolo, malgrado la Comunità Europea e una pluralità di Stati nel mondo abbiano reagito agli eventi dell’ottobre 2017 ritenendo anche questi un fatto interno spagnolo, in realtà si tratta di un fenomeno inquadrabile entro il più vasto contesto di imbarbarimento diffusosi in tutto il mondo occidentale e può avere conseguenze più ampie.
Innanzi tutto i secessionisti dispongono di un programma di lungo termine e da tempo hanno preso in considerazione che sarebbe potuto accadere quanto accaduto (che lo Stato spagnolo attivasse le misure volte a ristabilire la legalità costituzionale in Catalogna) e hanno preparato quel che la stampa spagnola ha presentato come una “hoja de ruta”, una tabella di marcia che prevede organismi in grado di funzionare in condizioni di illegalità e di segretezza cospirativa.
Da tempo esiste una rete internazionale non solo istituzionalizzata ma rappresentata nel Parlamento europeo, di partiti localisti, la Alianza Libre Euopea, o European Free Alliance, o Alliance libre européenneo Partido Democrático de los Pueblos de Europa (PDPE)che, costituitasi nel 1981, raccoglie partiti da diversi paesi europei (Germania, Belgio, Bulgaria, Austria, Danimarca, Repubblica Ceca, Francia, Croazia, Finlandia, Grecia, Spagna, Italia, Estonia, Regno Unito, Slovacchia, Polonia, Paesi Bassi), in cui particolarmente forte è l’Alleanza Neo-flamenca che ambisce separare le Fiandre dal Belgio, e in Spagna conta su indipendentisti anche nei Paesi Baschi, in Aragona, nella Comunità Valenziana, nelle isole Baleari, nelle Canarie, in Navarra, in Galizia. Sono movimenti che spesso si rifanno a momenti storici di effettiva oppressione subita da minoranze a opera di Stati invadenti. Un movimento occitano ha offerto di ospitare in Francia, in rifugi protetti, i membri dell’ipotetico nuovo governo indipendentista catalano qualora questi dovessero andare in clandestinità.
Nel suo impegno a ricostruire l’impero russo ex sovietico, Vladimir Putin sostiene questi movimenti, soprattutto in funzione anti Unione Europea: si tratta di un supporto il cui valore in ambiente Internet è stato messo in rilievo da quanto accaduto con l’elezione di Trump negli USA.
L’ondata di rivolta anti globalizzazione, ben giustificata dal fatto che questa abbia assunto in gran parte il volto dei grandi potentati finanziari (i pochi ricchi contro i tanti, se non poveri, almeno impoveriti, ovvero le classi medie che più hanno subito le conseguenze della crisi del 2008) ovviamente gioca a favore di tali movimenti.
Ecco che la rivoluzione catalana del 2017 potrebbe benissimo finire come tutti gli altri momenti di fermento indipendentista catalano del passato, ma potrebbe, proprio grazie alla globalizzazione, divenire il germe di un nuovo fenomeno politico.
Un fenomeno “glocale”, in cui il rischio maggiore è dato dall’incontro tra la finanziarizzazione ingiusta da un lato e le condizioni paranoidi che, dall’altro, spingono gli indipendentisti verso la chiusura entro ristetti limiti locali, rifiutando il sistema di legalità internazionale che ha preso piede col movimento storico che portò alla costituzione delle Nazioni Unite.
Grazie Carles Puigdemont, presidente della Generalitat, il governo regionale – o nazionale diresti tu – più assurdo del mondo. Grazie per aver interpretato con tanta devozione il tuo mandato in quella seconda patria del surrealismo (dopo la Francia) ch’è la Catalogna. Certo Dalí e Miró avrebbero fatto meglio di te: più navigati, più intellettuali forse, certo più capaci di comunicare e avvincere.
Tu in fondo non hai fatto altro che cercare di portare alle estreme conseguenze quanto ti sei trovato in mano già cucinato dai tuoi predecessori, Jordi Pujol e Artur Mas: anche loro ben più navigati di te e consci di quel che la politica vera è: avvincere le folle con scintille di demagogia, mentre pian piano vengono derubate dei loro denari e delle loro illusioni.
Tu, come un qualsiasi votante, sei caduto nella trappola: hai creduto che quel che avevano preparato i tuoi predecessori dovesse veramente essere compiuto. Che veramente l’indipendenza catalana dovesse essere raggiunta: che fosse un mandato storico, una vocazione le cui radici affondano nei secoli e che ora, proprio ora, sotto la tua illuminata guida, potesse attuarsi, in ciò concretando i sogni di generazioni passate.
Sembra che tu ci abbia fermamente creduto: a differenza di quanto fecero i tuoi predecessori, intenti da un lato ad agitare manifesti politici e dall’altro a compiere quel che fanno, se non tutti, certo moltissimi tra coloro che raggiungono posizioni di potere: accumular denari in conti esteri e garantirsi un blasone di nobiltà da passare alle future generazioni della propria famiglia. È quanto han fatto i tanti mercanti di schiavi arricchiti, i cui successori oggi sono “leader”: tra questi, appunto l’ineffabile Artur Mas.
Tu invece, piccolo Puigdemont, emerso da qualche scantinato di Girona, hai creduto davvero alla politica. Pensavi di riscrivere la storia, di fare giustizia dei soprusi avvenuti nei secoli. Hai ravvisato tale giustizia nella separazione: grandiosa idea, che hai evidentemente poppato sin dall’asilo politico frequentato al tempo delle prime amministrazioni catalane postfranchiste guidate da Pujol, quando questi si impegnò a imporre il verbo catalanista nelle scuole: l’idea che l’essere catalani fosse meglio che esser spagnoli; e che la Catalogna fosse la grande derubata dallo stato centrale a detrimento dei livelli di vita dei poveri catalani – mentre lui, Pujol, imboscava nei suoi conti in Andorra milioni su milioni prima di pesetas, poi di euro.
Tu ci hai creduto, piccolo Puigdemont: in questo sei stato grande. Hai fatto politica come uno che veramente ci crede. Questo già di per sé è un grande merito – anche se è di quelli scivolosi, pericolosi, che nella storia han dato luogo a tante catastrofi: a partire dai comunismi di varia sorta che hanno tempestato il XX secolo, tutti sorti sull’onda di commozioni giustizialiste, tutti affogati al meglio nell’infamia di burocrazie inefficaci e corrotte, o alla peggio annaspanti nel sangue e nella violenza.
Ma il tuo più grande merito, con l’assurdità surreale del referendum illegale dai risultati privi di senso che hai voluto svolgere il 1 ottobre 2017 anche se era stato dichiarato incostituzionale – in cui ha votato poco più del 40 percento degli aventi diritto, esprimendo voti contati chissà come e chissà da chi, in una specie di festa popolare dove sembrava che ognuno dicesse la sua mentre la polizia nazionale a sua volta assurdamente mobilitata da Rajoy all’ultimo istante cercava con mossa insensata di chiudere quei seggi elettorali che tali non erano, quasi a darvi una legittimità che comunque non avrebbero avuta… Il tuo più grande merito, si diceva, è stato di aver compiuto un gesto politico: di aver fatto qualcosa, e così di aver provocato qualcos’altro: un altro gesto politico importante.
Hai svegliato la gente della Spagna che s’è come scossa dal torpore e s’è resa conto – foss’anche per qualche breve istante – che pur con tutto il mastodontico marchingegno di burocrazie e di voti di cui si ricoprono le democrazie, era stata spodestata, tradita, ingannata, abbandonata… e s’è mossa: contro di te, perché tu, piccolo Puigdemont, hai fatto la scemenza…
Forse hai pensato che dopo Brexit, dopo l’assurda elezione dell’assurdo Trump negli USA, dopo le vittorie dei tanti partiti tipo AFD di antieuropeisti, antisistema, antigoverno, antitutto, dietrologi che pensano si divenire chissà chi per gridare a squarciagola nelle asettiche trame dei social contro questo e contro quello, supponendo di trovare verità nascoste e mai rivelate prima che Internet desse a tutti una voce: forse hai pensato che dopo tutto questo avesse molto senso che la Catalogna si separasse alfine dalla Spagna, anche se tale volontà sarebbe stata espressa, secondo i conti che tu stesso hai presentato al mondo (ove non si tien conto di quelli che han votato tre o quattro volte) da circa il 36 percento degli elettori catalani. Ovvero da una decisa, netta, evidente minoranza.
Che fosse una minoranza esigua non ha fatto vacillare il tuo cuore di democratico indipendentista, ma soprattutto di interprete surrealista di una realtà immaginata: da buon ideologizzato ti basta la tua convinzione: avresti dichiarato subito l’indipendenza come cosa fatta. Anche se non hai la minima idea di come si gestisce un paese, di come si fan funzionare i trasporti pubblici, gli ospedali, il sistema bancario, la moneta, le scuole, le fabbriche, il sistema impositivo… Ti sembrava che tutto sarebbe stato semplice, che tutto il mondo ti avrebbe seguito, come in un sogno…
Piccolo Puigdemnt, da buon surrealista hai pensato che la realtà fosse quella che dipingi nei quadri assurdi di una piazza barcellonese piena di bandiere urlanti. Non è così che funzionano gli stati. E anche se da anni la Catalogna spende cifre non indifferenti per foraggiare pseudo diplomatici propri, non avresti trovato sostegno in alcuna delle cancellerie degli altri paesi, per non dire delle organizzazioni sovrannazionali…
Anche se i giornalisti che si sentono progressisti (i tanti che come Concita de Gregorio arrivano a Barcellona all’ultimo minuto e pensano di capire tutto probabilmente senza sapere nulla di quel che accade), per qualche giorno ti hanno presentato al mondo come la vittima di uno stato-padrone, cattivo e violento che manda i poliziotti a manganellare anziché blandire con dolci e coccole chi vuol secedere, tu in realtà di progressista proprio non hai nulla. Sei esponente dei più retrogradi tra i retrogradi – un tempo si sarebbe detto di “destra”, fascisti o qualcosa del genere, ma oggi è difficile appiccicare etichette, visto che tutto s’è confuso. Il secessionismo catalano ha origini, tra l’altro, carliste: solo a metà ‘900 è stato traghettato nel campo progressista dal fatto che si oppose al centralismo franchista. Ma è quanto di più reazionario ci sia, e non per questi motivi ormai appartenenti a una storia passata, che in fondo lasciano il tempo che trovano: è quanto di più reazionario perché appartiene esattamente allo stesso fenomeno rappresentato da Trump, da Brexit e dal tedesco AFD: demagoghi che raccolgono il malcontento e vi danno forma di rivolta contro la tendenza sorta nel secondo dopoguerra a rendere sempre più stretti i rapporti tra i Paesi del mondo, e a evitare gli egoismi nazionalisti che sempre nel corso della storia han dato luogo a disastri bellici.
Ma hai il grande merito di esser sostanzialmente innocuo, o meglio, di esserlo diventato perché la stragrande maggioranza degli spagnoli, e probabilmente anche la stragrande maggioranza dei catalani, s’è svegliata di fronte alle tue mosse maldestre e ora ti addita come traditore.
Non ti arresteranno né ti metteranno in carcere, come accadde al tuo predecessore Luís Companys: non dovrai andartene in esilio. Speriamo solo che riescano ad esorcizzare i fantasmi nazionalisti che hai voluto a tutti i costi tirare fuori dalla boccetta, e riescano a rimetterli dentro senza far troppo casino; poi tu scenderai in una meritata oscurità: speriamo (perché l’altra soluzione passa attraverso il caos per la Spagna e quindi di riflesso per l’Europa).
Ma il mondo, almeno ora, ti deve essere grato: perché hai dato uno scossone alla politica. Questa sonnecchiava infatti nel tran tran della burocrazia. Anche il grande Brexit in fondo non è stato altro che un enorme gesto burocratico: perché l’han fatto bene, con tutti i crismi della votazione democratica fatta come si deve. E anche quel buffone di Trump è venuto a noia: la sceneggiata dello scontro con Kim Yong-un dopo qualche settimana ha perso interesse – s’è capito che né i cinesi, né l’apparato militare americano l’avrebbe lasciato fare: il suo ruolo è semplicemente ridotto a quello di intrattenersi coi Twitter e di deliziare il numero sempre più esiguo di suoi sostenitori. E non diciamo dell’Italia, dove politica e burocrazia da sempre o quasi fanno tutt’uno. E del tormentone di che cosa farà Renzi, e di quanto ancora potrà dividersi la sinistra, o se e quanto potrà ricompattarsi la destra, e di come cambiare il sistema elettorale per favorire questo piuttosto che quello schieramento… uno spettacolo stantio in cui non si nasconde altro che noia: un andirivieni destinato a non finire mai di dichiarazioni soppesate parola per parola per non dire mai niente. Perché l’Italia è finita tempo addietro, con Tangentopoli: quando doveva finire la corruzione e invece questa s’è generalizzata, poiché s’è inteso che non v’è altro che fa testo da queste parti; ed è tanto più finita quando la ‘ndrangheta e la Camorra hanno preso il sopravento sulla Mafia (o con la Mafia?) nel controllare i flussi di droga e di profughi e gran parte dell’economia del paese: malgrado tutte le votazioni e i tanti partiti, non è con votazioni e partiti che si governano Mafia, ‘ndrangheta, Camorra e le altre organizzazioni consimili che sembrano le uniche capaci di esprimere ordine e risolutezza nel nostro paese.
E anche Brexit è in fase di stanca: discussioni che si protraggono senza condurre a nulla. La dinamica tra occidente e Russia s’è pietrificata attorno allo stucchevole dibattito su quanto i troll russi sappiano influire sulle opinioni pubbliche occidentali. E in Russia tutto ruota attorno a Putin e a quelli che vogliono fargli le scarpe e finiscono regolarmente in galera.
Ormai sa un po’ di noia anche che la Cina avanzi e sarà ben presto la maggiore superpotenza: l’hanno capito tutti, e lì gli apparati burocratici funzionano, ameno per ora, perfettamente e senza scossoni (con buona pace delle migliaia di giustiziati all’anno).
Solo tu, giovane Puigdempont, tenerello con quella frangetta che ricorda quella di tanti amici dell’uomo (ma tu ti distingui perché hai gli occhiali), hai dato uno spettacolo politico degno di questo nome: hai tenuto l’Europa per qualche giorno col fiato sospeso: tu che con la tua aria sparuta e sperduta celebri Companys e ti dichiari pronto a far la sua fine (fu giustiziato dal regime franchista ma, come si diceva sopra, la Spagna democratica neppure ti metterà in galera, lo sai bene), come se vivessimo due secoli fa e in novelli impeti quarantotteschi dovessimo ancora gettarci nella mischia brandendo le Ultime Lettere di Jacopo Ortis e Le Mie Prigioni, stracciandoci le vesti per cacciare il barbaro invasore.
Grazie Puigdemont: ci hai fatto divertire per un paio di settimane. Ora non ci resta che aspettare che qualche pietoso letterato, tra i tanti che si trovano in giro di questi tempi, sceneggi fantasiosamente le tue gesta. Se lo si troverà, forse avrei modo di passare anche tu alla storia, con frangetta, occhiali, aria sparuta e tutto.
Per ora abbiti la nostra gratitudine: sarai piccolo, maldestro, retrogrado e assurdo, ma ci hai fatto divertire: un poco di surrealismo in fondo sei riuscito a popparlo, pure tu.
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