I tre giorni di terrorismo perpetrati a Parigi hanno rivelato all’Europa cosa è la Francia: una Nazione che non si piega al terrore e sono gli oltre due milioni di persone di ogni età, religione e nazione che scendendo in piazza ne hanno dato dimostrazione.
La Francia non si è chiusa a riccio, ma ha gridato di non aver paura, una partecipazione quella dell’11 gennaio che non si è riscontrata all’indomani degli attentati dell’11 marzo 2004 a Madrid o di quelli del 7 luglio 2005 a Londra, ma neanche in occasione dei quattro assassinati alla scuola ebraica di Tolosa nel marzo 2012 e gli altrettanti al museo Ebraico di Bruxelles nel 26 maggio 2014.
Quelli madrileni e londinesi sono stati degli attentati ben più cruenti per il numero dei morti e per aver portato il terrore nella quotidianità di ogni abitante che era in quei giorni sui trasporti pubblici.
Attentati in mezzo agli abitanti intenti a vivere le consuetudini di una città, come da anni avvengono quotidianamente nei mercati o davanti alle scuole in Iraq o Pakistan, in Nigeria o in Libia, mentre a Parigi a essere colpita è stata la libertà d’espressione nel suo contesto informativo, ma anche religioso. Due comunità ben definite, quella del magazine satirico Charlie Hebdo e quella ebraica che ha risvegliato nei francesi gli echi non assopiti dell’occupazione nazista.
Anche i francesi che non condividono l’irriverente sarcasmo dei vignettisti di Charlie Hebdo o non sono religiosi, ma sono figli di quell’Illuminismo, hanno portato in piazza con lo slogan “Je suis Charlie” e nel parlamento gli onorevoli di ogni schieramento hanno cantato l’inno francese.
È bello pensare che Voltaire abbia affermato: «Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire».
Uno spirito illuminista così ben radicato, capace di coniugare un individualismo anarchico pur con il senso collettivo dello Stato, che non permette a nessuno di imporre un’univoca visione del Mondo.
Una partecipazione di massa “guidata” per una ventina di minuti da leader europei e internazionali che non sempre, nel miglior dei casi, hanno brillato come difensori della libertà d’espressione e vivono tutt’ora un’insofferenza cronica verso le critiche espresse in parole e immagini.
Ogni Potere soffre della libertà d’opinione, guardandola con circospezione, desiderando un’omologazione del pensiero per non andare incontro a fastidiose critiche e faticosi confronti, ma quando al Potere subentra la dogmatica certezza di una schiera di persone in cerca d’una sicurezza esistenziale, ogni possibile canale di dialogo è precluso e la convivenza diventa un miraggio, l’unica soluzione appare la separazione, l’innalzamento di un muro, se una delle parti non sceglie lo scontro, sperando che nella mente delle persone si possa fare spazio al dubbio.
Proprio il dubbio è il nocciolo che apre la strada alla comprensione dell’altrui pensiero, è ciò che permette l’evoluzione dell’umanità, raggiungibile anche attraverso le provocazioni tracciate con i segni e le parole della satira irriverente di un magazine come Charlie Hebdo.
L’irriverenza satirica non dovrebbe offendere la sensibilità altrui, perché la libertà d’espressione non può trovarsi in rotta di collisione con le altrui libertà, anche se l’altro ha sempre la possibilità di girare lo sguardo altrove, e fomentare proteste nei paesi musulmani al grido di “Je suis Muslim”.
Sarcastico verso ogni Potere e ogni nostra quotidianità, Charlie Hebdo mette in discussione non solo le certezze dettate dai leader, ma anche quelle che cerchiamo individualmente per sentirci parte di un gruppo che può trasformarsi in gregge.
Un magazine quello di Charlie Hebdo, pur colpito dall’intolleranza, continuerà a scardinare le certezze con altri vignettisti dissacratori della quotidianità, grazie anche a un milione di euro raccolto con le donazioni di 14.000 persone in tutto il mondo e sul cui settimanale in molti hanno cercato di fare soldi all’indomani dalla strage.
L’Istituto francese per la proprietà intellettuale (Inpi, analogo alla nostra Siae) ha ricevuto oltre 50 richieste per registrare il logo “Je suis Charlie” e sono molte le persone che si sono ingegnate a lucrare su un evento drammatico con t-shirt commissionate da enti e organizzazioni, ma anche con adesivi e spille in vendita su bancarelle siti web.