Come in ogni narrazione, articolo o romanzo che sia, sono le prime righe a definire ciò che si sta leggendo ed il libro di esordio di Claudia Bellocchi non è esente.
“Precipito nel baratro, cerco di arrestare la discesa afferrandomi alle immagini del passato che mi vengono incontro, non riesco, rimbalzo tra le rocce, all’improvviso nuove epifanie mi trattengono nella loro rete, mi fermo e tento la risalita.”
Un incipit che sintetizza la voglia di vivere della protagonista Frankie, facendo tesoro del passato (di cui ricorda solo parte) per vivere il presente, nonostante le difficoltà della vita, e scegliere la strada del futuro. Il tema della memoria e dei ricordi rimossi affiorano in tutto il romanzo come fossero epifanie che la protagonista accoglie seppur dolorosamente per proseguire nella sua evoluzione identitaria.
È un romanzo visuale, quello di Claudia Bellocchi, e non solo per le sacrificate illustrazioni da una riduzione intransigente che non gli rende giustizia, ma anche per la cura di scegliere, di evidenziare quelle parole piuttosto di altre, il tipo di font da utilizzare, nello scegliere le ambientazioni.
Claudia Bellocchi si confronta con il tempo e lo spazio, scrive applicando le amare e gioiose regole della vita, per chi si rinchiude su se stessi o si apre agli altri.
Frankie, il personaggio principale, entra nel romanzo definendosi un mostro quasi una serial killer “Ho dovuto uccidere poi ho voluto uccidere e ho ucciso di nuovo.” senza fiducia verso il prossimo e la vita. Rinchiusa in se stessa e nel suo mondo: l’“altrove”. “Solo chi cade può risorgere”, come Humphrey Bogart nel film del ‘46, ed ecco che in questo turbinio di sentimenti si fa largo Frankie comunque curiosa di conoscere per scoprire la sua identità. Inizialmente appare come un involucro che riempirà poi di contenuti e di sostanza grazie all’incontro di altre figure femminili e maschili.
Personaggi femminili soprattutto le fanno da contro-altare negativo o positivo e fronteggiano le apparizioni maschili, prevalentemente negative, creando dei luoghi protetti, delle “terre di nessuno” dove poter vivere in tranquillità. Frankie nella sua crescita apprende da tutti e, nonostante il passato, riesce a cogliere la positività o negatività delle persone a prescindere della loro identità di genere.
Frankie, senza voler essere blasfemi, è come Agilulfo, de “Il cavaliere inesistente” di Italo Calvino, che agisce con un’armatura vuota, ma grazie alla coscienza, arricchendosi delle esperienze del viaggio intrapreso verso la verità.
E’ dunque un viaggio nel realismo fantastico, dove il fantastico serve a narrare la realtà di un’umanità perseguita e persecutrice, in cerca di un’identità e di un luogo che Frankie possa chiamare casa. Una ricerca che accomuna Frankie ad altre persone che vagano su questa Terra, lontano dal “Regime” che sovrasta le vite di ognuno, in un viaggio di formazione e nelle tematiche di genere.
In questo romanzo Claudia Bellocchi riesce a sintetizzare l’esperienza dell’artista visuale e della performer che ha investigato l’animo umano per poi addentrarsi nell’essenzialità dell’espressività infantile, alternando l’immagine alla parola, trovando nella tradizione dei cantastorie una curiosa fonte da cui a tratto ispirazione per percorsi più articolati e profondi come questa opera prima.
Non chiedermi chi sono di Claudia Bellocchi Editore: Robin, 2022, pp. 256 Prezzo 14,00 € EAN: 9791254672914 ISBN: 1254672915
Una giornata d’immagini, parole e suoni per testimoniare la forza negativa della guerra e la proposta di risolvere i conflitti con il dialogo, ma fermare la guerra significa fermare gli aggressori o arrendersi a la prepotenza. È difficile pensare che un popolo aggredito possa rinunciare alla libertà e che gli altri popoli ignorino le grida di aiuto e non far mancare gli aiuti non solo sanitari e alimentari. Le armi non sono la soluzione ma un mezzo per non soccombere e portare i prepotenti a trattare.
Attualmente nel mondo sono attivi un centinaio di conflitti perché una parte possa prevalere sull’altra.
Più che un ERRORE, l’aggressione dell’Ucraina è un ORRORE, come sono degli orrori ogni prepotenza.
Bertolt Brecht, nella poesia “La guerra che verrà” (conosciuta anche come “Breviario tedesco”), scriveva “La guerra che verrà non è la prima. Prima ci sono state altre guerre. Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti. Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente.”
Ma non ci possiamo accontentare di essere liberi dentro, per ottenere un pezzo di pane, essere liberi anche fuori è meglio, per garantire una dignità nel vivere, perché non si può soccombere ai prepotenti per non trovarsi in un’epoca distopia.
Una visione tendenzialmente tragica del futuro, come quella descritta in “1984” da George Orwell, è distopia, termine coniato nell’800 dal filosofo ed economista britannico John Stuart Mill, per contrapporsi a quella ottimistica dell’utopia.
È sulla distopia che a 25 anni David Foster Wallace pubblicava “Infinite Jest”, uno di quei libri di cui si parla tanto, ma che ben pochi hanno letto, come il sottoscritto che non lo ha neanche sfogliato e non ne va fiero, ma bisogna fare delle scelte, per riflettere sul vivere o meglio sopravvivere alle peggiori catastrofi che potranno avvolgere la Terra.
Anche i disegni di Moebius, attualmente in mostra presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, si addentrano nella distopia, in una visione arcaica protesa nel futuro, con personaggi robotici, ma anche grottescamente umani.
Di Prince, a 5 anni dalla sua morte, viene proposto il suo “Welcome 2 America” una visione distopica della vita, trovando in George Orwell le risposte su una realtà informativa manipolata.
Coincidenze o forse solo la maturazione dei tempi per riflettere sulle distorsioni climatiche e sui mutamenti genetici, su questi temi interviene Claudia Bellocchi con una serie di lavori esposti nello spazio di Villino Corsini (Villa Pamphilj).
Niente paesaggi, unica ambientazione della tragedia per questi personaggi in mutazione è la tela di canapa grezza.
Luigi M. Bruno, nel suo scritto di presentazione alla mostra, afferma che “l’antiutopia dell’artista Bellocchi denuncia senza remore e abbellimenti la febbre nascosta, le latenti mostruosità che si nutrono dei peggiori sentimenti di un’anima malata che tenta coi sorrisi spavaldi alla don Rodrigo di celare il bubbone della peste! Ma solo affrontando l’anima nera che si ciba dei rifiuti ai margini di una umanità pur disumana, crudele e cieca nella sua folle indifferenza, solo guardando fino in fondo l’abisso che è sotto i nostri passi, senza sogni gratificanti e ingannevoli, forse troveremo l’uscita.”
Un’antiutopia dalla quale nascono personaggi come Madame o Ominide, Anatomopatologia o Franz, con un’esuberanza capace di rievocare quel prof. Kranz grottescamente vissuto da Paolo Villaggio, tracciati con il carboncino e avvolti da un’atmosfera tetrobronzea.
Un mondo dove l’eloquenza sarà una di quelle capacità che verranno meno in un futuro distopico basato sul conflitto e non sul dialogo, sulla prepotenza del grido e non sulla pacatezza.
Una distopia che minaccia il futuro dell’Afghanistan, perversa sugli abitanti di Hong Kong e sulle comunità LGBTQ non solo in Polonia e Ungheria.
Una mostra quella di Claudia Bellocchi capace di far riflettere, raffigurando la distopia come una deformità di sinistro futuro capace di condizionare negativamente la società se l’individuo rimane indifferente alle altrui tragedie.
Claudia Bellocchi Distopika Dal 4 al 19 settembre 2021
Quest’anno la prudenza mi ha dettato un tipo di vacanza differente da quella scelta negli ultimi tempi. Per impegni artistici ed affinità elettive, in genere ho sempre preferito i paesi dell’America Latina. Gli aeroporti hanno bloccato la mia solita avventatezza e costretta a riflettere su una meta che univa la passione per storia, natura e curiosità. Ho scelto la Basilicata, destinazione sempre rimandata, che mi appariva ora quanto mai appetibile perché meno colpita dal Covid. Dunque, vacanza prudente ‘on the road’, con varie tappe verso paesi all’interno della Basilicata e un paio di puntate sulla Puglia per Castel del Monte, Grotte di Castellana, e passaggio sulla via di ritorno a Lesina. In realtà non ho meriti circa l’attenta programmazione del viaggio, effettuata dalla mia compagna di viaggio e amica, alla quale ho aderito ciecamente, nonostante ella abbia tentato di condividere con me, tabella di marcia e dettaglio delle tappe. Non so se per il suo studio attento, o per l’amore per le scienze naturali nelle quali vanta una laurea o la passione per l’archeologia, è risultato un viaggio low cost e pieno di ogni tipo di meraviglia. A legarci era la conoscenza della nostra dinamicità, e un paio di destinazioni che, cercando di impostare il viaggio, sembravano ad entrambe interessanti.
Forse non c’è un segreto per fare buone vacanze, non ho mai cercato solo lo stupore degli occhi né il buon cibo ed il movimento che ho trovato a Venosa, ai laghi di Monticchio, a Melfi o nella murgia materana, a Castelmezzano o a Pietrapertosa, a Lagopesole, o nel Metaponto.
Il mondo è bello e passerei la vita a viaggiare per scoprire meraviglie e popoli. Appena ho avuto tempo e un po’ di soldi l’ho sempre fatto, ma dentro di me ho cominciato a cercare di più e ho compreso solo negli ultimi anni cosa fosse. Il ‘di più’, era l’incontro con le persone che si rivelavano nel viaggio, oltre la possibilità di condividere lo stupore con qualcuno che fosse, nella diversità, in sintonia con te.
Non parlo della propensione all’apertura dei viaggiatori costretti in tour ad una temporanea convivenza o alla gentilezza mostrata dagli abitanti in alcuni luoghi turistici per procedere con i loro affari. Non parlo neppure dell’educazione che dovrebbe essere comunque data per scontata, mi riferisco invece a quella caratteristica dell’umanità, per cui ora non riesco neppure a trovare un termine che la definisca precisamente, che fa sì che due persone si incontrino e si ascoltino, non perché c’è alla base un negozio, ma solo perché l’uno, in questo caso il visitatore ignaro, chiede maggiori delucidazioni o aiuto ad una persona del luogo che è consapevole che l’altro, forestiero, non riuscirebbe a muoversi o a conoscere con la medesima speditezza.
È successo, ad esempio per gli affreschi rupestri di Carpinihttps://www.prolocofiliano.it/Filiano/Luoghi-di-interesse/Visita-il-Museo-Carpini-e-le-Pitture-rupestri, dei quali si fa menzione sulle guide e su internet, ma per i quali mancano chiare indicazioni per la visita. A Lagopesole, oltre all’accoglienza in un delizioso B&B ristrutturato, pulito e curato con l’attenzione di chi vuole accogliere l’ospite, la proprietaria, alla richiesta di informazioni, ci ha messe in contatto con un’amica che ci ha dato un altro riferimento tramite il quale, grazie a due volontari della protezione civile, siamo riusciti a visitare gli affreschi altrimenti inaccessibili. I ragazzi ci hanno accompagnato sul luogo, al momento non visitabile, attualmente gestito dalla protezione civile insieme al Museo dedicato ma chiuso in epoca Covid. Un’escursione interessante con due ‘autoctoni’ con cui abbiamo scambiato non solo impressioni generali, dove ci sono state mostrate sia pitture rupestri che la sedia dei briganti, ma anche parlato delle iniziative realizzate o future post Covid. Ci siamo confrontati sulla vita locale rispetto a quella della Roma tentacolare. È stato un momento di conoscenza e comprensione delle differenti problematiche della realtà in cui vivevamo.
A quell’iniziale slancio della signora di Lagopesole che cercava di aiutarci ed alla notizia che avevamo ben due accompagnatori, la mia amica ed io, per un momento ci siamo guardate con sorpresa, forse perchè sconosciuti, forse perché abituate alle continue tragiche notizie divulgate dalla stampa o forse perché semplicemente non abituate a quanto tutti gli abitanti in un modo o nell’altro ci fossero venuti incontro. Ci siamo fidate, non detectando intuitivamente nulla di anomalo. Inconsciamente nel viaggio eravamo partite con una scelta di fiducia e umanità, rinunciando a ricorrere alle prenotazioni on line, e preferendo parlare telefonicamente con i proprietari di ogni B&B low cost, che ci hanno tolto anzitutto le commissioni che avrebbero dato agli intermediari, ma soprattutto dai quali fin da subito abbiamo avuto maggiori indicazioni sulle migliori ore in cui arrivare nei paesi per ovviare alle ZTL, per feste locali che interrompevano percorsi tracciati, oppure che ci hanno ricontattato per avvisarci di problematiche sorte sul momento nella zona.
A Lesina, il proprietario dell’appartamento che affittavamo, è stato così gentile da dedicarci una mattinata per mostrarci con il suo 4×4, luoghi non solo inaccessibili alla mia macchina ma anche sconosciuti a un forestiero. Abbiamo visto gli aironi, i bufali che facevano il bagno ed avuto l’opportunità di assaggiare la salicornia, prelibatezza dei luoghi salmastri. Abbiamo scoperto molto della vita del paese, della sua storia e delle difficoltà dovute al non essere incluso nelle classiche rotte turistiche del Gargano.
Ugualmente ci ha riempite di entusiasmo l’opportunità creata per tutti i visitatori del Metaponto al fine di richiamare post Covid, l’interesse sul sito archeologico più importante della Basilicata. In prima persona il direttore con il vicedirettore si sono occupati di guidarci nella visita e di parlarci dei resti del parco archeologico, che, grazie a loro, hanno preso vita raccontandoci molto più di quello che le rovine stesse avrebbero potuto fare.
Voglio essere chiara: ho studiato e molto spesso mi sono avvalsa di guide. In genere approfondisco dopo la visita, perché voglio far risuonare dentro di me non solo la semplice curiosità intellettuale. In questo caso però è successo altro: la passione trasmessa, sotto la canicola, mentre veniva spiegato ciò che era visibile e ciò che il tempo aveva portato via con sé, ha superato grandemente la mera esecuzione del compito di una guida qualificata. Siamo giunte a tutto questo quando al museo archeologico, mentre pagavamo l’entrata al costo di un caffè, e ricevendo il biglietto cartaceo che riportava ancora il valore in lire, con sorpresa, alla nostra richiesta di informazioni sul timing per accedere al parco, ci viene riportato che se eravamo interessate, si poteva accedere gratuitamente alle visite guidate in determinate ore.
Questi sono solo gli esempi più eclatanti ma posso dire che tutto il viaggio è stato così. Personalmente ricordo con calore una piccola trattoria gestita unicamente da due persone che, nonostante avessero il pienone, hanno fatto di tutto per soddisfare per le particolari necessità alimentari, o il pizzaiolo rustico che magari ci ha risposto autenticamente in linea con suo carattere, ma comunque attento alle nostre esigenze.
Ciò che sto descrivendo non voglio definirlo accoglienza, parola ormai abusata, forse per me questo è quello che definisco l’incontro tra persone. Per assurdo, Matera, meravigliosa, ma la più turistica dei paesi che abbiamo visitato, mi ha delusa in termini di umanità: già si va trasformando.
Ma la trasformazione la guidiamo sempre noi esseri umani e, come in quest’ultimo caso, a volte non è positiva.
Che dire, abbiamo fatto foto per ricordare, per condividere con i nostri amici, e personalmente anche un po’ per vanità. Quelle stesse foto ancora mi riempiono gli occhi, ma ora le sento più distanti mentre quei volti, quello scambio di umanità, mi è rimasta dentro e mi ha fatto capire che forse quella stessa umanità, non è ancora destinata ad estinguersi.
Quattro artisti
italiani sono stati coinvolti e sollecitati ad interpretare attraverso la loro
poetica i temi, le problematiche e l’operatività del contemporaneo, attraverso
il dialogo con gli spazi di azione ed esposizione in un luogo così lontano e
difficile come è Mazatlàn in Messico.
Un’iniziativa
quella di Resistencia, pensata dal direttore artistico del Centro Culturale
indipendente MADE (MutacionesArtesDidácticasExperimentaciones) Cristiano
Gabrielli, che non si limita ad esplorare la contemporaneità degli eventi ma
anche l’arte italiana con i lavori di: Francesca Vitale, David Fagioli, Claudia
Bellocchi, Daniele Villa Zorn.
Ora i quattro
artisti, dopo le personali al Made, saranno presenti al Museo Cittadino di Casa
Haas per delle contemporanee personali in altrettante stanze.
Stefania Severi
ci tiene ad evidenziare, nel testo critico, che Claudia Bellocchi “vuole
catturare a ogni costo e con ogni mezzo il fruitore per indurlo all’empatia ed
alla condivisione.” ed inoltre Cristiano Gabrielli, curatore dell’iniziativa,
riflette sui disegni in “Rosso e nero su quel bianco che si fa schermo per la
memoria, per sopravvivere e sfuggire all’inganno delle finte risoluzioni e dei
ricordi agghindati e messi in posa o in prosa.” E poi “Claudia ci suggerisce e
ci strattona durante il percorso, agghinda e poi distrugge le case di bambola e
di marzapane grottesche in cui la dispercezione e compressione propria e
soprattutto la mistificazione altrui possono trasformare il vissuto e la sua
rappresentazione.” Per concludere con “Perché ciascuno ascolti, si ascolti e si
racconti, e viva pienamente, e risolva autogenamente e con unicità, insieme al
dolore dell’abuso subito, l’enigma irripetibile e folle che rappresenta.”
Il susseguirsi dei disegni appare come la scenografia del cantastorie o la parete dedicata agli ex voto, per narrare una cruenta storia o chiedere la grazia per superare una difficile situazione.
Resistencia
Francesca Vitale, David Fagioli, Claudia Bellocchi, Daniele Villa Zorn
Dal 6 settembre al 6 ottobre 2019
Museo Cittadino di Casa Haas MADE A.C. Miguel Alemàn 927 Mazatlàn, Sinaloa Messico
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