Dalle grandi speranze dickensiane della Cop di Parigi del 2017 alla conferenza egiziana, si è consolidato l’impegno dei ricchi a pagare piuttosto che prevenire e gli oltre 100 paesi vulnerabili, svantaggiati, quelli che subiscono maggiormente gli effetti dei cambiamenti climatici, si trovano a “far buon viso a cattivo gioco” nell’affermare di essere soddisfatti, ma non contenti con l’istituzione di un fondo per il risarcimento derivante dai danni dei cambiamenti climatici.
Un fondo che non potrà risarcire la perdita delle terre e delle vite umane, dell’estendersi delle malattie respiratorie, ma soprattutto nel non permettere ai profughi climatici di accedere ai paesi ricchi, per avere una possibilità di costruirsi una vita lontano da carestie ed alluvioni, perché bollati come emigranti economici e non in fuga da guerre e da persecuzioni.
Sembra sia più tranquillo e facile vivere nella gelida tundra che nei luoghi temperati o caldi, dove se non è il deserto a divorare la terra è l’acqua a sommergerla e l’avidità delle persone a rendere difficile la vita al prossimo. A quegli altri di noi, sfortunati nell’essere nati nei luoghi sbagliati.
L’Umanità che cerca un luogo per vivere non può essere discriminata dal motivo della loro fuga, una guerra con le armi non è differente da una contro una natura inospitale. Entrambe possono essere sconfitte se ognuno è interessato a vincere.
In questo contesto si evidenzia la presenza di cinque gruppi di paesi:
quelli industrializzati che discutono come il senato a Roma
quelli industrializzati ai quali non basta e vogliono di più
quelli che provano ad industrializzarsi ma non glielo si vuol permettere
quelli che l’industrializzazione la fanno i governanti nelle loro tasche
quelli che non ambiscono ad industrializzarsi
Un Fondo di “solidarietà” con dei donatori aleatori, la Cina vorrebbe far pagare solo l’Occidente, basato sull’elargizione di soldi per compensare le perdite ed i danni, il Loss and damage, alle persone e all’ambiente che non mette tutti d’accordo.
Un impegno finanziario che a lungo sarà veramente costoso con i cambiamenti climatici dirompenti.
Un fondo sarà istituito dai governi ricchi per il salvataggio e la ricostruzione delle aree vulnerabili colpite dal disastro climatico, una richiesta chiave delle nazioni in via di sviluppo negli ultimi 30 anni di colloqui sul clima.
I paesi ricchi, come gli Stati Uniti e il Canada, temono una serie di richieste di risarcimento miliardarie, quindi non sono risarcimenti, ma aiuti, per escludere ogni forma di “responsabilità” e “compensazione” per i danni dovuti al riscaldamento globale.
Ma il risultato è stato ampiamente giudicato un fallimento negli sforzi per ridurre l’anidride carbonica, dopo che i paesi produttori di petrolio e quelli ad alte emissioni hanno indebolito e rimosso gli impegni chiave sui gas serra e l’eliminazione graduale dei combustibili fossili. Una abolizione resa difficile dai sussidi energetici dati indiscriminatamente alla produzione con gli idrocarburi e con le rinnovabili, rendendo faticosa la transizione ecologica.
Molti gridano che il Mondo è “sull’orlo della catastrofe climatica” o ancora “Il nostro pianeta è ancora al pronto soccorso” (António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite).
Avvertimenti, tante parole, ma la Terra e gli esseri viventi che la abitano sono in balia dei caprici dell’industria dei combustibili fossili.
Nell’articolo di Damian Carrington, “The 1.5C climate goal died at Cop27 – but hope must”, sul Guardian https://www.theguardian.com/environment/2022/nov/20/cop27-summit-climate-crisis-global-heating-fossil-fuel-industry?CMP=Share_AndroidApp_Other si lascia intravvedere un filo di speranza, non è sufficiente ridimensionare timidamente l’utilizzo del carbone se non si intensifica l’impegno a non utilizzare il petrolio e nell’industria.
Anche se alla Cop27 è naufragato l’impegno di mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5°C, ciò non significa arrendersi.
Esiste ancora una speranza, anche se le maggiori economie devono impegnarsi ad ulteriori tagli alle emissioni di carbonio.
I combustibili fossili sono l’ostacolo alla sopravvivenza del genere umano, perché la Terra si riprenderà dopo un Mabul, un diluvio universale, con la scomparsa di molte persone, con una nuova flora rigogliosa e con una diversa fauna e degli umani temprati agli habitat sfavorevoli. Sarà la soddisfazione darwiniana di quello che rimarrà degli 8 miliardi di persone su questa Terra. Forse non sarà necessario un nuovo Mabul, saranno le persone a maledire la Terra.
Quando si deciderà a concentrarsi sulla prevenzione potrebbe essere tardi e una delle prossime generazioni, dopo alternanze repentine delle temperature, potranno fronteggiare un’alluvione di dimensioni bibliche e la natura si difenderà dalla presenza Antropocenica.
Se la Cop egiziana è stata influenzata dalle alleanze regionali, ancor di più quella che si svolgerà a Dubai, uno tra i maggiori esportatori di petrolio al mondo, senza tener dell’indifferenza che entrambi i paesi hanno per i Diritti umani.