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Tiro Incrociato

LMB adN arteSpesso e volentieri non ho potuto reprimere la mia insopprimibile contrarietà (leggi: disgusto!) per i guasti e le insopportabili cialtronerie da cui siamo sommersi da decenni nel campo cosiddetto artistico.

Occupandomi di critica d’arte da molti anni su diverse riviste cartacee e non mi sono sempre chiesto perché. per prassi acquisita, è “verboten” denunciare in modo netto e inequivocabile i limiti e le assurdità di certa “arte” esposta.

Tra le tante rubriche che ho avuto più di una volta chiesi alle varie redazioni di avere uno spazio preciso e consacrato dove mettere a nudo dietro seria e approfondita analisi (ognuno merita un giusto processo) i limiti e le nullità di tanti concettosi “artisti” rampanti.

Non l’aperto dilettantismo, badate, ma quello ammantato dell’alibi “contenutistico”, arte povera, poverissima, ecc…. Ebbene, questo spazio mi è stato sempre precluso. Perché?… Eppure esiste ed è accettata una critica spietata cinematografica, teatrale, televisiva, financo letteraria, ma per le arti visive la battuta ricorrente è: “Qui non si spara! Se un artista, un’opera è inadeguata alla pur minima valenza estetica, ebbene, passa oltre, ignorala!”… E così è sempre stato.

Un atto di umana e generosa carità?… Ma siamo sicuri che tanta colpevole benevolenza alla fine non dia nulla osta e ossigeno a tanti “eventi” e “avventi” invece meritevoli di feroce e necessaria censura?… Aspetto ancora che mi si dia il mio spazio “a tiro incrociato”.

La cosa peggiore è che nel frattempo, lo confesso, è toccato anche a me talvolta di contrabbandare colpevolmente senso e valori pur inesistenti su spazi, oggetti e proposte nemmeno meritevoli d’essere spazzatura da riciclo!…. Continuiamo a farci del male.

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L’Arte nei suoi sviluppi

Il Profeta dell’Arte “famola strana”

Luci in fondo alla notte

Il sentimento della Realtà nella pittura

L’immateriale della materia

Kounellis: “pittore che non sa disegnare”

L’opera totale nella ricerca di Ugo Bongarzoni

Arte Astratta- Arte Distratta 2

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Il Profeta dell’Arte “famola strana”

“E’ del poeta il fin la meraviglia, / chi non sa far stupir vada a la striglia!”…. Questo celeberrimo distico dell’altrettanto celebre poeta secentista cavalier Giovan Battista Marino, ai suoi tempi ritenuto e ammirato come il più rappresentativo artista del barocco in Italia e fuori d’Italia, non potrebbe ancora oggi essere l’antesignano, il filosofo di certa “arte” la cui prima e decisiva necessità è appunto “stupire”, anzi “scandalizzare”?

“Epatér le buorgeois”, stupire il bravo benpensante borghese era la bandiera, l’imperativo categorico dell’estetica rivoluzionaria ottocentesca: rompere con la tradizione, le buone maniere accademiche, il “tran tran” dell’artista di regime, imperativo tuttavia di tanta avanguardia anche novecentista, basterebbe ricordare i proclami incendiari dei “futuristi” per non parlare delle scandalose provocazioni dadaiste.

Va tutto bene quando le barricate e gli assalti sono motivati da una necessità legittima di rinnovamento, e soprattutto quando dopo i proclami e le barricate ci sono poi gli artisti veri a dare senso e valore alle bestemmie buttate in piazza!

Dall’Impressionismo in poi, fino alla Pop-art, artisti in vena di novità si sono divertiti a scandalizzare schiere di critici “ufficiali” e “pompier” … Necessità sacrosanta quando dalla palude stagnante si vuol riuscire in mare aperto.

Ma, badate, quando sedicenti artisti in vena di rivoluzioni cialtrone e immotivate, solo per giustificare il vuoto creativo che li affligge, riprendono la frase bandiera del buon cavalier Marino (stupire, stupire a tutti i costi!) senza poi suffragare le loro “rotture” con la buona sostanza della vera poesia, allora tutto il vuoto, il chiasso e lo strepito di questi pionieri del nulla è solo starnazzare di oche che girano intorno all’aia!

Ma stiamo attenti a riderne solo un po’… Ahimé, si dovrà penosamente dire che non solo intrusi e dilettanti dell’arte giocano al “bluff” ripetuto e noioso, essi si accodano dietro la bandiera di ben altri artisti, notissimi e pregiati, che imperversano incoronati dalla critica ufficiale come i Maestri del Nuovo e del Profondo.

Così i piccoli, coperti e giustificati dagli esempi glorificati dalla ribalta internazionale, non si peritano di prodursi in installazioni ed eventi che fanno della originalità a tutti i costi (stupire!) la maschera immotivata della loro solenne incapacità tecnica e creativa.

Se lasciare stupita e allibita la spaesata umanità che è chiamata ad ammirare le ormai scontate performance è l’unica ragione d’essere di tanta presunta e pretesa arte contemporanea be’, devo dire che siamo messi proprio male! Avallare le più curiose e impensabili “trovate” come importante rinnovamento estetico è un ricatto stupido e infantile… Si dica pure, una volta per tutte, senza inutili pudori:” Ma il re è nudo!”… Povero cavalier Marino! Caposcuola di tanto eccessivo e “sorprendente” barocco, siamo ancora in braccio alla sua estetica. Solo che i contenuti dei cassonetti e le cianfrusaglie dei rigattieri si sono sostituiti ai ghirigori e alle spirali barocche!

 

Scatole di ricordi

Scatole di ricordi che riportano alla luce le storie taciute di coloro che dovettero migrare e non ebbero la forza di raccontare e di coloro che non ebbero la fortuna di sopravvivere per poter raccontare. Il ricordo vivo o rimosso del nostro passato si presentifica nel nostro vissuto, nella vita familiare e sociale, o nella dimensione territoriale. Come un carico sulle spalle portiamo la nostra storia, i nostri legami, le nostre consegne. Migrando, l’individuo porta con se, dentro la sua memoria emotiva, la speranza di una vita migliore ma anche le frustrazioni e i traumi vissuti nel passato. Tutto ciò è ancora più accentuato quando si parla di diaspora, di esilio – pena massima per i Greci, equivalente per la civiltà contemporanea, alla condanna a morte. Nella diaspora la pena del migrare rivive e la morte è come addormentata, anestetizzata per la nostalgia interminabile della terra d’origine.

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Idee Migranti

LA DIASPORA: LE SCATOLE DEI RICORDI

di Salomón Adrian Levy Memún

Dal 29 gennaio al 4 marzo 2013

Roma

Museo Nazionale Preistorico Etnografico

“Luigi Pigorini”

Installazione – Soppalco Oceania

Disincantata riflessione su certa arte contemporanea

Sì, è davvero curioso che proprio un contenutista—espressionista, un romantico depravato come me debba rivendicare alla debita forma il suo necessario dovuto. Una volta si tacciava di formalismo l’accanito artefice che lisciava fino all’adorazione la superficie, la pelle o se preferite la scorza della sua opera. Artigiano? Mestierante? Accademico? E sia. Operaio rifinito della forma diciamo, ma con tutti i limiti e i meriti consentiti di chi conoscendo e amando il suo lavoro, si prodiga nella qualità tecnica dei suoi “manufatti”. La forma non è tutto, d’accordo, ma è anche a ben riflettere la concreta e necessaria proiezione nella materia indefinita e caotica di un’idea, un’emozione, un racconto, un dramma o quel che sia. La forma adeguata quindi al suo contenuto, anima e corpo: il collegamento è inscindibile, un matrimonio indissolubile. Ecco quel che distingue l’artista dal valente artigiano: la ricerca e l’elaborazione di una forma, una pelle, una e sola, irripetibile, per l’idea che in essa si realizza felicemente e poeticamente. Vi par poco? Tutta la storia dell’arte è in questa decisiva coniugazione idea— materia. Ora, svilire la forma a comodo balbettante aforisma o a materia volutamente sciatta o peggio contrabbandare rozzezza e superficialità tecnica per improrogabili e “significative” necessità espressive son solo goffi giochi di prestigio che definisco semplicemente cialtroneria gratuita. L’ho detto! Adesso crocifiggetemi, se volete, al patibolo del bieco e tetro formalismo! Ma ragionate: la forma è per il contenuto e il contenuto è per la forma: coppia perfetta, fusione amorosa di idea e materia. Così è stato sempre, per secoli, almeno fino all’altro ieri, da quando un esercito di belve aggressive e velleitarie, barando sull’equivoco contenutistico hanno alluvionato il mondo dell’arte coi loro proclami arroganti sulla presunta poetica della miseria formale. Badate, intendo miseria e non scarna essenzialità: nessuno qui osanna trionfi formali che sarebbero altrettanto altezzosi. Può bastare una traccia, un accenno, un presentimento,se è calzante e appropriato; niente virtuosismi! Ma noi sappiamo distinguere tra poetica essenzialità e miserevole sciatteria. L’inondazione del presuntuoso “concettuale”, ludico, grottesco o drammatico che sia poggia i suoi piedi ingombranti e maleodoranti sull’ormai annoso pretesto, antenato oltretutto dell’odierna fumosa e pulciosa “arte povera” (mai attributo fu più adeguato!), pretesto databile ai primordi della “pop art” laddove si caricò la gobba innocente di utensili e oggetti di uso comune, solo perché scelti e messi in vetrina,di profondi e poetici contenuti esistenziali. L’idea non era peregrina (i dadaisti l’avevano già usata per rompere i vetri del sussiego benpensante e anche per divertirsi un po’) e qualche risultato artistico talvolta ne era conseguito. Amen. Ma era il concetto in sé ad essere pericoloso perché armava di motivazioni e pretese “serie” fior di tangheri e ultra— dilettanti lanciandoli fuori dal ghetto dove giustamente illanguidivano sulla cresta dell’onda di uno scandalismo da pattume. Così oggi come oggi eserciti di guerrieri ad oltranza del “concettuale”, trincerati nelle munite posizioni fortificate da drappelli di deliranti critici, sparano a raffica ovunque e comunque eventi ed avventi di invasiva pretestuosità pseudo—filosofica alla faccia della vessata e malmenata forma. E in arte diciamolo, non c’è niente di peggio del teorico—filosofo che presume per il fatto di pensare di appartenere a una categoria superiore all’artefice, e quindi giustificato a maltrattare qualsivoglia superficie “formale o anche solo in odore di pestifera formalità. Ma, miei cari, la forma, la forma! Lo sapevano bene i greci, solo la forma miracolata e risorta ai fasti della qualità espressiva può dar vita e significato al concetto in essa contenuto e che per essa si dilata e illumina. Non basta ammucchiare degli stracci o lasciar marcire un cespo d’insalata per esprime re la transitorietà della condizione umana; allora anche un rivendugliolo di Porta Portese o un camion dell’AMA sono poetici! Ogni concetto, per nobile e profondo che sia se non ha la stampella che lo giustifichi e lo realizzi della sua veste corporea, è solo soffio e fritto misto d’aria! Il resto, l’idea in sé, geniale o banale che sia, nuda e abbandonata a sé stessa è solo arido cifrario intellettuale, esercitazione per filosofi da circolo domenicale intenti a proclami ingenui e rumorosi di giacobini in ritardo senza baionette e ghigliottina, convinti di rifare il mondo con una frase gettata nel piatto. Riflessioni Disincantata riflessione su certa arte contemporanea

Magazine di Spunti & Riflessioni sugli accadimenti culturali e sociali per confrontarsi e crescere con gli Altri con delle rubriche dedicate a: Roma che vivi e desideri – Oltre Roma che va verso il Mediterranea e Oltre l’Occidente, nel Mondo LatinoAmericano e informando sui Percorsi Italiani – Altri di Noi – Multimedialità tra Fotografia e Video, Mostre & Musei, Musica e Cinema, Danza e Teatro Scaffale – Bei Gesti