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Economia e globalizzazione: il gioco delle tre carte – Aprire il gioco

Economia e globalizzazione, vecchi e nuovi equilibri: non è facile predire i futuri assetti. Meglio lasciare l’azione divinatoria ai maghi dell’economia e concentrarsi sull’esame degli umori della partita mondiale.

La mano di Bretton Woods stabiliva, oltre all’egemonia del dollaro, la costituzione di due istituti: la Banca Mondiale (Bm) e il Fondo Monetario Internazionale (Fmi). La prima con il compito di sostenere la ricostruzione dei Paesi devastati dal conflitto mondiale, mentre il secondo come garante della stabilizzazione delle relazioni monetarie e finanziarie internazionali.

Tralasciando l’analisi sul ruolo effettivo dei due istituti, una volta esaurite le urgenze derivanti dalla seconda guerra mondiale, non si può non osservare che i giochi di forza geopolitici hanno finora assegnato il vertice del Fmi all’Europa e quello della Bm agli Usa. È ragionevole dunque il dubbio che la visione finora perpetuata da questi istituti sia fortemente orientata dai modelli economici occidentali, cosi come la gestione di specifici interventi sia indirizzata a favorire le rispettive aree d’influenza.

Tuttavia comincia a essere condivisa la linea che “nel nuovo mondo scosso dalla crescita di economie emergenti come quelle del Brasile, della Cina e dell’India però questo equilibrio molto “occidentale” risulta sempre più in crisi”.

Crisi già avvertita in Sud America nel 2003 con la necessità di costituire una Banca del Sud (Argentina, Brasile, Bolivia, Ecuador, Paraguay, Uruguay e Venezuela) seppur resa effettivamente operativa solo di recente. Lo scopo è di svincolarsi dalle condizioni poste dal Fmi e Bm, promotori del polo occidentale. Iniziativa sottolineata per la sua importanza, dal commento del premio Nobel per l’economia Josep Stiglitz giacché proprio “un’istituzione del genere” avrebbe potuto interpretare meglio del Fmi o della Banca mondiale le esigenze del Sud America.

Se può essere ritenuto un indizio dell’insufficienza dell’azione di Fmi e Bm anche il sorgere di altri istituti similari che suppliscono o/e intervengono in ambito regionale (Banca di sviluppo africana, Banca di sviluppo asiatica, Banca di sviluppo interamericana), risulta certamente emblematico del progetto che riguarda la Banca di Sviluppo dei Paesi Emergenti.
Tale progetto non solo conferma il peso dei nuovi attori nel panorama mondiale, ma sembra rappresentare anche un’alternativa di finanziamento più sostenibile e produttiva rispetto a quella proposta dal Fmi e la Bm.

L’attuale crisi permette di riflettere dunque sull’opportunità di ripensare il mondo ridisegnando perimetri e ricomponendo aree d’influenza. Slogan ingenuo? È necessario il pragmatismo purché abbandoni schemi conosciuti. Se veramente siamo giunti a parlare di multipolarità di un sistema che sembra ancora essere governato dal mazziere in modo unipolare (Jacques Sapir), non sarà ora opportuno pensare di aprire un nuovo gioco con più attori?
Utilizzando l’aforisma di T. W.Adorno se si può pensare che “la libertà non sta nello scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta”, forse il vero coraggio sta nel cercare di avere una comprensione differente della realtà per individuare nuovi percorsi.

La crisi mondiale sembra ancora tutta da risolvere: che i grandi maghi dell’economia sappiano essere realmente visionari e che i governi abbiano la saggezza di accettare i cambiamenti!

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OlO Il gioco delle tre Carte 18 febbraio Banco-del-Sur

Economia e globalizzazione: il gioco delle tre carte – Il mazziere

In un sistema aperto e globalizzato ciascuna giocata avviene contemporaneamente su due tavoli, quello nazionale e quello internazionale. È necessario dunque ampliare il livello di osservazione per comprendere il gioco, i giocatori, ma soprattutto chi da le carte ed i suoi trucchi.

Nei mercati internazionali il tasso di cambio rappresenta una valvola per far affluire o defluire capitali: un tasso di cambio tendente al ribasso agevola le esportazioni a scapito delle importazioni e contemporaneamente scoraggia gli investimenti in valuta.

Con l’avvento della crisi e l’aumento del debito pubblico dei paesi industrializzati, le banche centrali e i governi, hanno adottato misure straordinarie di politica monetaria immettendo moneta, e abbassando di conseguenza il tasso di cambio (Rapporto ICE 2013).

Ora, nell’attuale sistema economico, la maggior parte dei paesi avanzati (diciamo l’Occidente) vive al disopra delle proprie possibilità e consuma più di quanto produce. Ciò implica che una parte dei beni consumati sono importati e in genere, dai paesi in via di sviluppo.

Con l’abbassamento del tasso di cambio tende a ridursi però la convenienza da parte dei paesi avanzati di importare beni e, a loro volta, i paesi in via di sviluppo vedono contrarre la loro attività commerciale verso l’estero (esportazioni).

Dunque giocando al ribasso con il tasso di cambio, si può operare un’alterazione “impropria” nella competizione dei mercati internazionali: migliora la bilancia di pagamenti e si crea una sorta di effetto beggar-thy-neighbor verso l’esterno. Si, proprio qualcosa di similare a quanto avveniva nella Grande Depressione del ‘30!

Sintesi: gioco sporco!: i paesi avanzati fanno pagare la crisi finanziaria ai paesi emergenti. Nel 2012 la presidentessa brasiliana Dilma Rousseff, lamentava l’assenza di soluzioni allo tsunami monetario (Rapporto ICE 2013), proprio a Washington dove, in visita ufficiale, sembrava voler richiamare il mazziere (gli Stati uniti d’America) sugli andamenti del dollaro.

Perché si è giunti a questo punto?

Ritorniamo al primo giro di carte.

Con gli accordi di Bretton-Woods del primo dopoguerra (1944) si posero le regole di politica monetaria internazionale: stabilizzazione dei tassi di cambio rispetto al dollaro (gold exchange standard), a sua volta agganciato all’oro.

Ma già nel 1971 il presidente Richard Nixon annunciò unilateralmente la sospensione della convertibilità del dollaro in oro, avviando implicitamente l’era della libera fluttuazione dei cambi. L’esplosione della spesa pubblica americana per la guerra del Vietnam, richiedeva una tale immissione di liquidità da rendere impossibile la convertibilità del dollaro in oro!
Bluff: gli Stati uniti potevano continuare a trarre vantaggi dal dollaro, moneta ormai mondiale, senza più preoccuparsi del deficit strutturale della bilancia dei pagamenti e della conseguente immissione di moneta.

Tornando a oggi, si può senza dubbio affermare che gran parte del debito pubblico degli Stati Uniti è detenuto dalla Cina, fortemente interessata a non far deprezzare le sue riserve monetarie in dollari.

Carta truccata: gli Stati Uniti d’America oggi vorrebbero continuare a dare le carte, ma il ruolo del mazziere sembra fondarsi sulla potenza del sistema politico-economico del gigante cinese più che sulla solidità reale dell’economia americana.

In realtà, i paesi emergenti, Cina in testa, stanno introducendo nuove variabili in gioco e sembrano poter profilare un diverso assetto degli attuali blocchi geopolitici: saranno i nuovi equilibri a favorire la guarigione del sistema infermo o ne decreteranno la fine? Quel che è certo è che ormai non si può più prescindere da questa consapevolezza.

(2 puntata)

02 OlO Il gioco delle tre Carte 23 gennaio Banche riforma Wall Street con la Volcker Rule obama-wall-street-134034

02 OlO Il gioco delle tre Carte 23 gennaio Economia Bretton woods us-gold

Economia e globalizzazione: il gioco delle tre carte

La Crisi economica è profonda, globale e per il suo prolungarsi è evidente il rischio che da “ciclica” possa trasformarsi in “cronica”. Cosa si sta facendo per risolverla? Obama, dopo quattro anni di braccio di ferro con la lobby di Wall Street, sta ottenendo l’attuazione della Volker Rule, l’Unione Europea bastona i paesi membri già in ginocchio: solo la regola del “si salvi chi può”è comune e condivisa.

Il Miserere cominciò circa 6 anni fa con il fallimento di Lehman Brothers, precursore dei successivi crack finanziari di portata mondiale. In questo tempo, una parte del mondo, quella sviluppata, si è persa nel processo agli untori. In concreto sono stati individuati solo palliativi temporanei: un maquillage per eludere “inopportuni” cambiamenti strutturali. Questi ultimi, infatti non possono convenire a governi, non a politici e certamente neppure alle multinazionali quando l’unico obbiettivo è il mantenimento del potere. L’altra parte del mondo, i “lontani paesi in via di sviluppo” (latinoamericani inclusi), memore dei contraccolpi economici già ricevuti, cerca di rimanere a galla evitando gli schiaffi dell’imperialismo del terzo millennio.

La globalizzazione attuale alimenta il sistema a scapito dei più deboli, non solo in termini sociali a livello nazionale, ma anche a livello geopolitico.

È come il Gioco delle Tre carte, Carta vince Carta perde: a parte rare eccezioni, vince sempre colui che dà le carte sia perché la probabilità statistica è matematicamente a suo favore, sia perché molto spesso la aiuta imbrogliando.

Come spiegare il gioco? Il tema è più complicato di quello che sembra se lo si osserva da vicino: si incontra la grande ragnatela intricata di variabili economiche; a distanza invece lo si può semplicemente ricondurre al Gioco delle Tre Carte.

Da vicino la trama include soprattutto i processi di finanzilizzazione e internazionalizzazione avviati negli anni ’90 dagli Stati Uniti e conseguenti al pensiero neoliberista, culminante nell’abrogazione della Glass-Steagall (1999), legge che separava le banche commerciali da quelle d’investimento. Questa linea si diffuse con diversi gradi di libertà in Europa e in gran parte del Mondo.

La nascita della banca universale o mista infatti ha permesso soprattutto alle più grandi banche, le multinazionali, di effettuare attività ad alto rischio utilizzando per lo più i depositi dei privati (cioè i debiti a breve). La deregolamentazione dei derivati e l’abbassamento dei controlli hanno ulteriormente agevolato la nascita di un “sistema bancario ombra” e gonfiato la bolla speculativa. Ma le bolle speculative sono sempre destinate a scoppiare determinando il collasso dell’economia e, di seguito, una compensazione di segno opposto, diciamo depressiva. Le Aziende falliscono, aumenta la disoccupazione, è difficile far fronte ai debiti, si contraggono consumi e investimenti e l’economia reale precipita in caduta libera: non c’è più liquidità! Le banche che hanno giocato d’azzardo, sicure perché “too big to fail” (troppo grande per fallire) sono state “risanate” dai governi compiacenti pur di salvare il salvabile.

Per questo ora si è avviato un dibattito mondiale sul neoliberismo economico. Ma tornare indietro in tutto o in parte su leggi che hanno fatto da detonatore alla Crisi – come ad esempio prova a fare Obama con la Volker Rule – servirà veramente?

Ma poi chi da le carte?

(Prima parte)

Il gioco delle tre Carte capitolo 1 Banche riforma Wall Street con la Volcker Rule 18063-wall-st

La barca è piena

In Europa, modificando l’antico adagio, si può affermare che nessuna notizia è una cattiva notizia per la sempre più incipiente mancanza di unità. Sull’Economist di fine maggio svettava il titolo The sleepwalkers (I sonnambuli) riferito all’incapacità di reagire nella zona euro. Questa apatia non ha solo attecchito nei 17 paesi che adottano la stessa moneta, ma ha contagiato anche gli altri dieci non solo per una energica ripresa economica, ma anche per la sempre più evidente incapacità di avere una comune posizione in politica estera, come dimostra la recente non decisione rispetto all’embargo per le armi all’Opposizione siriana, alla quale l’Europa sembra alquanto simile per la sua frammentazione e la sua incapacità di trovare una leadership. La crisi dell’Europa non è solo dell’euro, ma della comunione di intenti: assodato che tutti vogliono stare bene, non si comprende come e a spese di chi.

La Commissione europea ha aperto con cautela una discussioni sull’immigrazione e le possibili correlazioni con la povertà. Bruxelles vuole prove concrete di fatti e cifre prima di addossare tutta la colpa della crisi sulle spalle di chi attraversa deserti e mari in cerca di un luogo dove poter vivere. Il legame più evidente tra immigrazione e povertà è che chi fugge dai propri luoghi nativi per poter continuare a vivere non ha la possibilità di portarsi dietro il poco che possiede. Lascia tutto e diventa un indigente in un paese libero che vuol chiudergli le porte in faccia solo perché vuol usufruire fraudolentemente degli stessi benefici del cittadino legalmente riconosciuto in quel paese.

In Gran Bretagna aumenta l’indigenza con oltre 500mila persone costrette a utilizzare banche alimentari e il governo limita l’accesso ai servizi sociali ai soli possessori del passaporto britannico.

La Germania accusa l’Italia di distribuire permessi di soggiorno e denaro ai profughi africani perché scelgano di vivere altrove. Migranti che poi vengono respinti e condannati a vagare.

La libera circolazione di persone e merci sarà rivista e corretta per limitare la circolazione anche degli stessi cittadini europei, sulla cui testa incombe la spada di Damocle di un foglio di via per il proprio luogo d’origine. Se questo è il possibile futuro che si prospetta per gli europei meno abbienti, si può immaginare quale destino aspetterà a chi proviene dall’altra parte del Mediterraneo. Più che sonnambuli appaiono sempre più simili a degli zombi affamati del loro individualismo, gridando sempre più veementemente “IO” e utilizzando il “noi” solo quando c’è da spartire i resti della dignità.