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In giro con Robinson

Le ultime produzioni della compagnia (Il giro del mondo in ottanta giorni e Impressions d’Afrique) hanno attraversato l’esotismo letterario e il romanzo d’avventura per far affiorare un luogo contemporaneo abitato sia dal performer che dal turista occidentale. Ci è sembrato inevitabile approdare al paesaggio senza umani abitato dal naufrago Robinson, turista definitivo e archetipo dell’occidente colonizzatore. Innanzitutto per osservare la sua strategia di sopravvivenza del sé attraverso la rifondazione della propria identità di uomo (un gesto eminentemente teatrale). E poi per comprendere lo sgretolamento dei propri limiti e progetti causato dalla mancanza di quel termine di paragone che fonda e giustifica ogni figura: un’altra figura, chiunque, un non-io. Infine per abbandonarsi alla visione di una reinvenzione attraverso l’incontro con l’altro da sé. Il nostro Robinson scavalca la progettualità amministratrice conferitagli da Defoe ed entra contraddittoriamente nella zona di metamorfosi dell’individuo di fronte alla possibilità dell’innocenza originaria, come accade nel romanzo di Michel Tournier, Venerdì o il limbo del Pacifico, punto di partenza testuale di questa indagine. Lo spazio della coreografia dunque risolve i conflitti in quanto agisce sul luogo di approdo delle differenze e non sul punto di origine delle stesse. La danza si definisce tale quando permette ad un’altra danza di esistere nei pressi. Ecco forse possibile adottare un linguaggio eminentemente coreografico e rendere evidente che esso non necessita di alcuna interpretazione per essere compreso; è semplicemente un linguaggio adottato per l’incontro. L’ambiente reale, l’habitat, in cui viene inserita la struttura coreografica dello spettacolo, subisce dei mutamenti durante le repliche, in termini che sono sia territoriali che culturali; lo spettacolo si evolve toccando tre diversi luoghi geografici – Kinshasa, Shanghai, Bucarest – che sono anche tre modi diversi di organizzare la comunità e lo spazio.

Questo spettacolo vuole inventare estetiche differenti, non ancora digerite dalla comunità perché frutto di negoziazioni delle quali è impossibile prevedere gli esiti formali. La società regolata dai più recenti flussi migratori pullula di nuovi tentativi di meticciato estetico; la nostra idea dell’esotico è a sua volta un indefinibile processo proiettivo di desideri e paure, affastellati in maniera disorganica.

L’isola di Robinson è insomma il laboratorio della fine del post-moderno, l’affollatissimo luogo della solitudine sottesa ad ogni vera trasformazione. L’origine e la fine di ogni danza nello spazio esterno

del mondo.

Oltre ai danzatori storici della compagnia e a nuovi giovani performer, è previsto un casting presso le comunità congolese, cinese e rumena della capitale.

Dalla presentazione di Michele Di Stefano

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Teatro Argentina Robinson Robinson_Michele-di-StefanoROBINSON

6 – 9 febbraio 2014

DI mk

Con Philippe Barbut, Biagio Caravano, Laura Scarpini & guests

Coreografia Michele Di Stefano

Musica Lorenzo Bianchi Hoesch

Disegno luci Roberto Cafaggini

coproduzione

in progress

Con il Contributo Mibac

In coproduzione con Teatro di Roma

Teatro Argentina

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 Teatro Argentina Robinson robinsonh

Teatro Argentina

Largo di Torre Argentina, 52

00186 – Roma

Tel. 06/684000311 – 14

Teatro India

Lungotevere Vittorio Gassman (già lungotevere dei Papareschi), 1

00146 – Roma

Tel. 06 684 00 03 11 / 14

Ingresso di servizio per gli artisti e i disabili: via Luigi Pierantoni, 6

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Non ti sfiora neppure

Composizione brillante che si legge tutta d’un fiato,
non solo in virtù di ritmi veloci e disinvolto fraseggio
ma per sapiente agilità di tocco e insolito montaggio.
Una forma spregiudicata che coinvolge dall’inizio
sfuggendo a consuete classificazioni … e anche questo ci piace.
All’apparenza infatti l’opera non si presenta come romanzo
e neppure come sceneggiatura cinematografica,
malgrado costruisca una storia attraverso 279 pagine di dialoghi
ai quali si alternano brani di narrativa: belle pause di grande respiro.
Né si tratta di un poema, pur avendo spesso l’essenzialità spezzata
e certe cadenze della sintesi poetica, struggente quando parla delle voci.
E nemmeno si presenta come saggio, lasciando tuttavia trasparire qualcosa…
di oggettivo e razionale, che porta a riflessione attraverso detto e non detto.
Allora ci sovviene che la Conti è anche saggista, come informa la quarta di copertina.
Si potrebbe perfino presentare il libro come una fiaba,
avendone apparentemente l’innocenza e nascostamente la saggezza…
comunque si tratta di un Giallo, come ogni storia d’amore a vasto raggio.
E dunque non sveleremo più di tanto, però usando una chiave a doppio senso,
possiamo ben dire di Carla Conti: ”Suo pane…è la musica”.
Ma oltre la coppia di eterni innamorati che cerca, vive e rivive avidamente l’istante,
tra un fugace 20 agosto e un imprevedibile 17 aprile da gran finale in minore,
oltre i nomi celati tra innocenti sigle di strumenti musicali in controcanto,
climi e passioni condivise, flash che richiamano attimi folgoranti del genio:
brividi sublimi della creazione mai disgiunti dal linguaggio d’amore…
oltre pagine e pagine di bellezza che Lei e Lui ricreano nel sogno:
alfabeto cifrato dell’inconscio, evocazioni galeotte, attese d’amorosi amplessi,
a ritardare, come nota sospesa, l’incontro carnale degli amanti…
oltre il dramma della parola impotente a tradurre cosmiche armonie,
ritmi e melodie dell’anima e oltre la verità folgorante del colpo di scena…
trionfa ancora e sempre l’ARTE : protagonista assoluta, tra suono, forma e colore, 
Dea d’ineffabile bellezza che ci supera e ci continua,
voce incredibile, dove l’umano si perde e si ritrova… all’infinito.

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Libro Non ti sfiora neppureTitolo: Non ti sfiora neppure
Autore: Carla Conti
Introduzione di Valery Voskobojnikov

Editore: Homo Scrivens, 2013
ISBN: 8897905153
ISBN-13: 9788897905158
Pagine: 280