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La Valletta: migliaia in piazza contro la politica dell’omertà

Rispondendo agli allarmati quesiti della stampa internazionale, a ridosso dell’assassinio di Caruana Galizia, il premier maltese Muscat aveva promesso solennemente di far luce sull’efferato delitto. Quindi invitava i familiari ad aver fiducia nella giustizia. Sdegnata e ferma era giunta la risposta dei figli Mattew, Andrew e Paul. In un comunicato diffuso tramite i social media chiedevano le dimissioni del primo ministro e del suo staff, chiosando: “Chi per tanto tempo ha cercato il silenzio di nostra madre non può ora offrire giustizia”. E ancora: “Non siamo interessati a una giustizia senza cambiamenti. Il governo pensa solo a una cosa: la sua reputazione e ha bisogno di nascondere il buco dove son finite le istituzioni. Non è questo il nostro interesse, né era quello di nostra madre. Un governo e una polizia che hanno fallito nella difesa della vita di nostra madre, falliranno anche nell’indagare sulla sua morte”. Ieri una parte della società maltese ha ribadito il concetto manifestando in strada, come avevano già fatto venerdì scorso i colleghi di Daphne. Un corteo composto, ma determinatissimo s’è diretto sotto il quartier generale della polizia a La Valletta. Ha richiesto a gran voce e, poi leggendo un comunicato, le dimissioni dell’attuale capo della polizia, Lawrence Cutajar, e l’elezione di un nuovo rappresentante per dirigere le indagini assieme alla magistratura.

Fra la folla c’era anche la presidente maltese Marie-Louise Coleiro Preca, in carica dal 2014, anche lei, come il premier, aderente al partito laburista. In una dichiarazione aveva bollato l’omicidio della giornalista come un attacco codardo e osceno allo stesso Stato maltese. Ieri ha fatto richiamo a forza, coraggio e solidarietà popolari per rintuzzare un disegno che punta a impaurire le persone e a destabilizzare i rapporti civili. In realtà una parte della società locale è destabilizzata proprio dalla sequela di affari oscuri e criminali su cui Caruana Galizia indagava; su tali questioni le Istituzioni che vogliono difendere la propria credibilità e la solidità della storica nazione devono attuare quel cambiamento di rotta auspicato dai figli della giornalista. Il cui assassinio, come nella peggiore tradizione terroristica e mafiosa, rappresenta la risposta malavitosa a chi richiama legalità e rispetto delle leggi. Considerazioni fatte ieri anche dal segretario generale di Reporter senza frontiere Christophe Deloire che concordava con l’intervento d’un collega di Daphne, James Debono. Quest’ultimo, oltre a piangere la scomparsa d’una cronista d’indagine considerata una grave perdita per il Paese, ne rammentava anche il grande cuore: “Abbiamo bisogno di riflettere. Abbiamo bisogno di risposte politiche perché la questione morale strangola Malta”. Lo dice esplicitamente chi sa che una parte di quella società è avida e pensa solo agli affari.

E’ il risaputo comune: il piccolo Stato è assediato da traffici illeciti, corruzione, lavaggio di denaro sporco di tanta criminalità globale. Tutto è reso possibile dalla compiacenza che scivola nella collusione di alcuni uomini della politica presenti nelle Istituzioni, della polizia e finanche della magistratura. Una vera piovra mafiosa, con legami internazionali più vari. Per ora le piste potrebbero seguire gli affari legati alle tangenti versate dalla famiglia del presidente azero Aliyev sul conto della Pilatus Bank, aperto a nome della moglie del premier maltese, o la questione del contrabbando del petrolio libico che, tramite petroliere russe, giunge proprio in Italia. E ancora la miriade di società (ne sono state calcolate oltre cinquantamila) che per evadere il fisco nel proprio Paese s’iscrivono alla Camera di commercio dell’isola mediterranea, che ha funzione di paradiso fiscale dietro l’angolo, con buona pace del presidente Juncker e di tutta la prosopopea di rigore e regolamenti trasparenti del Parlamento di Bruxelles che ha voluto Malta, e non solo, nella grande famiglia. In un’Unione Europea per ora ben poco attenta alla vicenda, come del resto diverse sue nazioni cardine, a muoversi è proprio il Belpaese che con Rosi Bindi porta oggi la Commissione antimafia a discorrere con rappresentanti e magistrati della nazione assediata da criminali e dai metodi criminali che hanno tacitato la giornalista scomoda. Magari salta fuori anche una pista italiana.

Articolo originale
lunedì 23 ottobre 2017