La centrale idroelettrica di Kakhovka sul fiume Dneper (Nipro nei nostri vecchi atlanti) è stata gravemente danneggiata il 6 giugno scorso da un’esplosione, causando l’allagamento di vaste zone vasti allagamenti in vari insediamenti della regione di Cherson occupata dai Russi e mettendo a rischio lo stesso approvvigionamento idrico della Crimea. Gli effetti del disastro ambientale avevano subito portato gli analisti a pensare che l’operazione sia stata organizzata dall’esercito russo per impedire o rallentare la controffensiva ucraina. D’altro canto, non si segnalavano attacchi notturni di aerei o di droni o di artiglieria in zona. In più, il 9 giugno l’intelligence ucraina ha intercettato una conversazione tra militari russi, in cui si afferma che la centrale idroelettrica è stata fatta saltare in aria da un loro gruppo di sabotaggio «Nella notte del 6 giugno, gli invasori russi hanno fatto saltare in aria la centrale idroelettrica di Kakhovskaya , distruggendo la sala macchine e la diga, la centrale non può essere ripristinata”. A darne notizia è il giornale online ucraino “Ucraina Pravda”. L’11 giugno l’esercito russo ha poi fatto saltare in aria una diga sul fiume Mokry Yaly, nella regione di Donetsk, causando inondazioni su entrambe le sponde del fiume. Avendo rivendicato la distruzione della seconda diga, è istintivo pensare che anche la diga Kakhovskaya sia opera loro. Ora un’inchiesta del New York Times, affidata a ingegneri e tecnici, ha stabilito che inequivocabilmente sono stati i Russi a sabotare la propria diga.
Intanto, l’uso strategico dell’acqua ai fini difensivi non è una novità; Ravenna è stata capitale dell’Impero romano d’Occidente (402-476), del Regno ostrogoto (493-540) e dell’Esarcato bizantino (584-751) proprio perché circondata da paludi malariche. In tempi più recenti Cavour allagò nel 1859 le risaie del Vercellese per ritardare l’avanzata degli Austriaci nella seconda Guerra d’Indipendenza. Tutti poi ricorderanno se non il libro di James Holland (1951), almeno il film Dam Busters (I guastatori delle dighe, 1955), dov’è realisticamente ricostruito il raid del 16-17 maggio 1943 noto come Operazione Chastize (Castigo), l’attacco contro le dighe tedesche dei fiumi Eder, Ennepe, Sorpe e Möhne condotto dai bombardieri Avro Lancaster del 617° squadrone del Bomber Command della RAF. Impresa memorabile per vari motivi: l’alto tasso di rischio (8 aerei persi su 19, 53 piloti morti e 3 prigionieri su 133 totali) e l’uso di bombe speciali, che a vederle sembrano grossi bidoni di petrolio. Queste “bouncing bombs”, bombe a rimbalzo, dovevano essere sganciate in velocità dopo che le tre ondate dei Lancaster avrebbero navigato a 450 mt. di quota per evitare i radar tedeschi. Queste bombe, progettate apposta, pesavano 4 tonnellate circa, di cui 3 di esplosivo T4 e dovevano rimbalzare rotolando sull’acqua in modo da evitare le reti antisiluro e arrivare alla parete della diga, per poi esplodere a tempo ad alcuni metri di profondità. L’altezza giusta per lo sgancio – 18 metri – era calcolata collimando due fari puntati sullo specchio d’acqua. Come si vede, era un’impresa temeraria e infatti lo squadrone, assieme al suo comandante Guy Gibson, fu insignito della Victoria Cross. La distruzione delle dighe comportò danni enormi: due dighe distrutte, una terza danneggiata, almeno 1000-2000 annegati e 30 km² di territorio tedesco sommersi dall’acqua con almeno 125 fabbriche, 25 ponti e alcuni nodi ferroviari. Dalla sola diga del Möhne erano fuoriusciti 210 milioni di tonnellate d’acqua.
Questo nel 1943. Due anni prima – il 18 agosto 1941 – invece Stalin fece sabotare coscientemente la centrale idroelettrica del Dnepr vicino Zaporižžja, denominata ufficialmente Dniprovs’ka HES (DniproHES o Dneproges secondo le fonti) e fatta saltare in aria nel 1941. Restaurata in parte dai Tedeschi con l’aiuto di prigionieri di guerra sovietici, fu distrutta di nuovo nel 1943 durante la ritirata e rimessa in funzione nel 1947. Furono usati dai tedeschi 3 kg di tritolo e 500 bombe da 100 kg. ciascuna, il che è grosso modo un indicatore di quanto esplosivo è necessario per distruggere una diga, in questo coerente con la carica delle “bouncing bombs” inglesi prima descritte, anche se la centrale idroelettrica Kakhovskaya è molto più piccola del Dneproges e gli esplosivi moderni sono molto più efficaci della dinamite e del TNT usati nella seconda G.M. Riesce però difficile pensare che una squadra di incursori ucraini potesse portarsi dietro a spalla tanto peso e che un impianto del genere non fosse presidiato. E’ vero che nei mesi precedenti la diga era stata oggetto di lancio di missili Himars, ma l’Istituto di sismologia norvegese (Norsar) ha rilevato un’esplosione proveniente dalla regione della diga ucraina di Kakhovka prima del momento del crollo. Questo dato non attribuiva un’origine all’esplosione, ma supportava l’idea che la diga idroelettrica, situata in un’area sotto il controllo russo, non avesse ceduto a causa dei danni subiti durante i bombardamenti dei mesi precedenti. Almeno dalle foto aeree sembra che la sala macchine non è stata danneggiata dall’esplosione, la distruzione è iniziata con le valvole, e poi l’acqua ha spazzato via tutto ciò che incontrava. Si dirà che bastava aprire le valvole invece di metterci la bomba e i Russi ancora insistono con la loro versione. Ma va detto che i Russi sono convinti fin dai tempi di Napoleone se non prima ( Carlo XII di Svezia invase nel 1709 la Russia fino alla Poltava, un fiume dove si combatte anche oggi) che distruggere un paese arretrato – per giunta il proprio paese – sia grande strategia.