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Istanbul a Milano, con un frammento del Museo dell’Innocenza

Istanbul a Milano, con un frammento del Museo dell’Innocenza

La scarpa e il cucchiaino, insieme alla saliera e il bottoncino d’una camicetta. L’amore immenso, appassionato, ossessivo di Kemal per la cugina Füsun, descritto in uno dei classici romanzi del Nobel della letteratura, lo scrittore turco Örhan Pamuk, un amore diventato impossibile per stato sociale, omologazione con la tradizione, destino pregresso e iniziale passività del giovane, promesso sposo alla pur avvenente Sibel, diventarono simboli esposti. Pamuk rilevò quella casa, frequentata dai protagonisti dell’avvincente storia, in un angolo della Istanbul storica. Si trova sotto il decumano, trasformato negli ultimi tempi dell’Impero e anche nell’epoca di Atatürk nella vetrina della metropoli sul Bosforo: Istiklal Caddesi. Masumiyet Müzesi è a metà del percorso, scendendo nell’area di Çukurcuma, che fra i Settanta e gli Ottanta quando un fremente Kemal l’attraversava di sera, aveva i suoi vicoli chiassosi desertificati dal coprifuoco dei militari. Oggi la casa-museo ha un bel colore rosso mattone. Non solo per la ristrutturazione riservatole dal progetto della memoria voluto dall’intellettuale, che ha preso spunto dalle vicende di Kemal Basmacı per lasciare nell’amata città una testimonianza che lega la vita sentimentale al più grande amore per la vita, ma per la passione totalizzante verso la storica metropoli cui ha dedicato l’affresco del romanzo omonimo.

Da oggi fino al 24 giugno il Museo Bagatti Valsecchi di Milano, in seno alla mostra “Amore, musei, ispirazione”, ospita alcuni pezzi del museo istambuliota. Sono ventinove vetrine che ricreano scampoli dell’atmosfera magica che si può respirare dentro l’edificio di Çukurcuma Caddesi, ma vale la pena accarezzarli. Soprattutto per chi ignora la spirale degli eventi di quella storia e può essere stimolato a tuffarcisi. Una storia ferocemente fatale per i protagonisti, ma egualmente romantica pur nell’assurdità di risvolti ossessivi, come l’accettazione d’un destino che appare insormontabile e viene lenito dal raccattare, dapprima segreto col tempo palese, dei mille frammenti capaci di mantenere un legame precedentemente vissuto con energico vigore e travolgente sensualità. Lettura del romanzo e visita della mostra meneghina potranno fare da trampolino per un futuro ingresso nel Museo dell’Innocenza nel quartiere di Beyoğlu. Perché, per chi non l’avesse mai fatto, può diventare l’occasione per gustare quegli angoli popolari della città che sopravvivono al tempo, alle mode e alle manìe amministrative (ma questo, purtroppo, accade ovunque) di snaturarli. Certo, le case di legno tipiche della tradizione locale, che pure erano presenti finché Kemal correva ansimante verso l’adorata Füsun, sono quasi del tutto scomparse. Eppure la magìa del Bosforo resta e Masumiyet Müzesi le fa da sentinella.

Enrico Campofreda, 19 gennaio 2018

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dal blog Incertomondo
nel settimanale Libreriamo

Turchia: il dramma di essere donna

Turchia: il dramma di essere donna

Trecentosassentacinque donne in undici mesi. Tutte uccise da uomini in Turchia, in un 2017 che non si è ancora chiuso. Sono i dati agghiaccianti offerti in una documentazione redatta dall’associazione dei diritti “We will stop feminicide”. Il 15% di queste donne stava chiedendo il divorzio, l’11% cercava una vita indipendente dal partner, il 7% prima di cadere vittima della violenza di genere lo era sul fronte finanziario, il 4% si era rifiutata di accettare una riconciliazione, un altro 4% era in contrasto sulla prole. Dell’altro 60% di casi di omicidio non si hanno notizie particolari se non quelle del machismo assassino imperante. Il 75% delle donne assassinate per richiesta di divorzio hanno un’età compresa fra il 25 e i 35 anni. Come spesso accade, molti degli eventi delittuosi avvengono fra le mura domestiche o in situazioni in cui i coniugi o le coppie si ritrovano soli: in strada, in un parco pubblico, in auto o in luoghi appartati.

Fra gli assassini non si annoverano solo i mariti, compagni abituali o occasionali, padri e fratelli della donna vestono anch’essi il macabro ruolo, secondo un copione purtroppo globalizzato al di là di culture, fedi e coordinate geografiche. Il rapporto presentato è meticoloso, riferisce gli stessi sistemi utilizzati per le uccisioni e le aree dove i delitti sono più ricorrenti: sulle sponde del Mar Nero, nella zona mediterranea di Mersin e Atalya, nella provincia kurda di Şırnak. Sull’ennesimo libro macchiato di sangue che riguarda l’Anatolia, già colpita da infinite violenze politiche, pesa pure l’altra forma di maschilismo: lo stupro e l’abuso sessuale. Quest’ultimi, spesso, trovano le vittime incapaci e impossibilitate a denunciare i fatti, anche perché la famiglia d’origine e l’ambiente dove vivono tendono essi stessi a colpevolizzarle. Questo sentirsi doppiamente abusate conduce parecchie donne al suicidio.

Enrico Campofreda, 22 dicembre 2017

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dal blog Incertomondo
nel settimanale Libreriamo

La ferita di Gerusalemme

La ferita di Gerusalemme

Ha sedici anni Fawzi al-Junaidi, è stato catturato dai militari israeliani durante gli scontri dei giorni scorsi avvenuti a Gerusalemme est. Una foto lo ritrae circondato da una quindicina di soldati, sballottato e condotto di forza, a occhi bendati, su un blindato per essere trasferito in caserma. Per ora è arrestato, seguirà un processo dov’è accusato di lancio di pietre. Il ragazzo nega di aver partecipato alle proteste, era in strada per raggiungere una rivendita alimentare al posto di sua madre malata, ma testimoni ebrei l’accusano di lancio di pietre. La sentenza, prevista per il 18 dicembre, potrebbe condurlo in una delle prigioni dove negli ultimi due anni sono finiti mille ragazzi palestinesi fra i 10 e 18 anni. Parecchi fra loro, dichiara la struttura Internazionale di difesa dei giovani palestinesi (DCIP), reclusi in “detenzione amministrativa” che Israele applica pur in assenza di accuse e di processo, basata su “evidenze secretate” per ragioni di sicurezza.

Avvocati dei diritti che seguono questi prigionieri denunciano un meticoloso ritorno di pestaggi e torture nel periodo detentivo. “Nel corso degli arresti è tornata l’infame rottura delle ossa, quella teorizzata e praticata dalle forze della repressione durante il governo Rabin, in occasione della prima Intifada” ha dichiarato in un’intervista Amad al-Najjar portavoce dei prigionieri palestinesi di Hebron. E ha aggiunto: “Oggi si colpiscono prevalentemente ginocchia e gomiti, così da lasciare i giovani in uno stato di disabilità permanente”. Accade anche questo nella diatriba su chi deve vivere a Gerusalemme, la città santa di tre religioni monoteiste, che da cinquant’anni Israele strappa alle altre due perché musulmani e cristiani sono palestinesi e i palestinesi agli occhi dello stato ebraico sono “terroristi” cui si riservano trattamenti extra legali e illegali.  Anche se hanno sedici anni e se protestano gettando pietre. E pure se non l’hanno fatto.

Enrico Campofreda

Pubblicato 15 dicembre 2017
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dal blog Incertomondo
nel settimanale Libreriamo

Turchia: in barca alla Biblioteca di Celso

Turchia: in barca alla Biblioteca di Celso

Fare della spianata di Efeso un’oasi archeologica collegata al Mar Egeo è uno dei sogni da Terzo Millennio della cangiante Turchia di Erdoğan. Il governo del premier Yıldırım, tramite l’apposito ministero che cura acque e foreste, ha lanciato un concorso per la realizzazione di un canale che porti direttamente dalla costa il turismo in visita allo storico sito. E’ previsto lo scavo di poco più di sei chilometri di canale e un’apposita commissione dovrà scegliere fra 35 progetti. Afferma un comunicato ufficiale: “Un ingresso della lunghezza di seicento metri, in struttura di pietra locale, permetterà l’accesso di yacht e imbarcazioni con una zona di ancoraggio. Accanto sorgerà un ponte per veicoli e pedoni, e mentre le perforazioni geologiche sono terminate ci si appresta a decidere chi eseguirà i lavori”.  L’idea non è nuova, circolava sin dagli anni Novanta, lanciata dal partito repubblicano della municipalità di Selçuk, cui appartiene il distretto. E’ stata rispolverata e inserita nei mega progetti di modernizzazione che hanno caratterizzato i governi dell’Akp da quando Erdoğan, da sindaco di Istanbul è diventato primo ministro, quindi presidente di una nazione che, sulla sua spinta, ha trasformato la Costituzione in un presidenzialismo fortemente accentratore. Secondo i sostenitori un innovatore, restauratore invece – e non in senso architettonico – per i detrattori Erdoğan si è speso moltissimo per trasformare il volto del Paese anche attraverso grandi opere. Tutto è partito da Istanbul, metropoli-simbolo della rinnovata Turchia, cui il presidente tiene in particolar modo, considerandola naturale proscenio della sua ascesa al potere.

Dal 2007 sono sorti: il secondo aeroporto (Sabiha-Gökçen nella Istanbul asiatica), ulteriori ponti sul Bosforo e il tunnel sotterraneo, il secondo canale che smaltisce il traffico navale da e verso il Mar Nero. La smania di cambiamenti che lasciano il segno ha rappresentato la delizia e la croce per il suo propugnatore. Le accuse di tangenti che hanno seguìto certi lavori rappresentano uno dei problemi politici con cui Erdoğan s’è scontrato negli ultimi anni. Ne è coinvolto il clan familiare, col figlio, fratello e cognato dello statista nel sospettato ruolo di collettori dei guadagni straordinari, e depositi bancari ben celati nel paradiso fiscale dell’isola Man. Solo i gravosi problemi che il coriaceo politico turco ha dovuto affrontare nelle crisi internazionali (guerra in Siria) e interne (ripresa dello scontro coi kurdi, tentato golpe contro di lui, attacchi terroristici) hanno messo in secondo piano la vicenda della presunta corruzione, che egli taccia di  congiura politica. Attualmente il progetto del canale verso Efeso non è implicato in nessuno scandalo, però trova perplessità in alcuni  studiosi che temono lo squilibrio di un sottosuolo che si è conservato per millenni. Geologi fanno notare come l’intera regione su cui insiste il sito archeologico sia un terreno di riporto. E c’è chi lancia quest’allarme: con la creazione del naviglio i tratti più invasivi del traffico turistico, che ora si svolgono a Kuşadası (dal controllo passaporti alla presenza di botteghe di souvenir) si riverserebbe sulle banchine dell’area archeologica, facendo perdere al luogo la magìa di un’estatica apparizione. Eppure non contenti, sfrenati sostenitori dell’innovazione sotto braccio a focosi impresari prevedono un ulteriore “servizio”: l’aeroporto di Efeso. Rombante, presso le colonne della mitica Biblioteca.

Enrico Campofreda

Pubblicato 1 dicembre 2017
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dal blog Incertomondo
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Gaza, l’età del bronzo sacrificata alle case

Gaza, l’età del bronzo sacrificata alle case

Il bisogno di case opposto al desiderio di cultura. Su questo discutono gli uffici del Ministero per le abitazioni e un gruppo di archeologi che ha lavorato in un sito risalente all’età del bronzo scoperto venti anni addietro. Accade nella Striscia di Gaza, 360 chilometri quadrati divisi in cinque aree: Rafah, Khan Yunis, Deir al-Balah, Gaza city, Nord di Gaza, dove si addensano 1.700.000 abitanti, cioè 4.570 abitanti per ogni quadrato di chilometro. Con un’autodeterminazione periodicamente soffocata da aggressioni armate di Israele che mietono vittime soprattutto fra i civili, tre devastanti nell’ultimo decennio: Piombo fuso, Pilastro di Difesa, Margine di protezione con circa 4000 morti. E il noto stato di perenne aiuto internazionale dovuto al controllo delle frontiere, operato sul confine egiziano e su quello israeliano dalle Forze Armate di Tel Aviv che spesso impediscono alle merci di entrare e uscire, contraendo o azzerando le poche attività produttive interne. Bloccare il lavoro e creare disoccupazione è una delle strategie usate da Israele per piegare i gazawi, aggravandone le condizioni esistenziali, mentali e fisiologiche. Dati dell’Onu segnalano come l’80% di quella popolazione vive in condizione di estrema necessità o di palese povertà.

Questo panorama conduce gli stessi amministratori a trattare quasi esclusivamente temi primari: sicurezza, nutrizione, abitazioni. Così Ibrahim Radwan, il ministro che s’occupa del problema della casa, questione in continua emergenza, viste le reiterate distruzioni del territorio operata dall’aviazione d’Israele, afferma: “Il nostro bisogno abitativo è enorme, per la sovra popolazione e le distruzioni attuate dai sionisti. Ovviamente teniamo in considerazione la storia, che è anche vita e cultura dei palestinesi, ma dobbiamo cercare un compromesso fra le due necessità”. Più che al compromesso il governo di Hamas pensa a offrire un tetto agli sfollati. E poiché talvolta le demolizioni di edifici ampiamente devastati non è resa possibile dalla mancanza di grandi pale meccaniche o di esplosivo per abbattere le armature di cemento, gli scheletri restano e si cercano nuovi spazi per le costruzioni, cui non sfuggono aree d’interesse archeologico. Chi ha lavorato agli scavi ha recuperato anfore e altri reperti, conservati in appositi magazzini per l’archiviazione prima di essere esposti. Comunque sottolinea che un luogo simile può offrire chissà quante altre sorprese, sacrificarlo per delle costruzioni è un sacrilegio. Un comitato di cittadini ha anche manifestato per preservare la zona da ruspe e sbancamenti, però la burocrazia e il realismo socio-politico incombono e per ora non si fermano.

Enrico Campofreda

Pubblicato 3 novembre 2017
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dal blog Incertomondo
nel settimanale Libreriamo

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