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Figures du Fou: la mostra che ci interroga sulla follia oggi

La Mostra Figures du Fou. Du Moyen Âge aux romantiques al Louvre si interroga e ci interpella sulla figura del Folle presentandocelo nell’arte e nella cultura occidentale dalla sua comparsa nel Medioevo fino ai romantici. Chi è il Folle?
Anzitutto occorre precisare che con il termine Fou si vuole intendere una varietà di significati che sottendono differenti complessità che vanno dalla malattia mentale allo stolto, dal buffone deforme al giullare.
Ma chi è il Folle e come viene rappresentato?

Ecco, dunque, la premessa da cui si sviluppa l’esposizione in un percorso cronologico dove trecento opere tra sculture, oggetti d’arte, medaglie, miniature, disegni, incisioni, tavole, arazzi (appartenenti al contesto dell’arte nordeuropea – inglese, fiamminga, tedesca e soprattutto francese) esprimono una molteplicità di immagini derivanti dalla percezione e dal ruolo assegnato al Folle dalla cultura dominante nelle varie epoche storiche.
Fu il Medioevo, a dare corpo alla figura eversiva del pazzo che affonda le sue radici nel pensiero religioso, successivamente però la sua immagine fiorì nel mondo secolare per diventare, alla fine di quel periodo, un elemento essenziale della vita sociale urbana.
Nel XIII secolo la nozione di follia era indissolubilmente legata all’amore e alla sua misura o eccesso, prima nell’ambito spirituale, poi in quello terreno. Dalle figure bizzarre, creature grottesche e ibride dei marginalia che sembrano mettere in discussione l’ordine della Creazione del mondo o sdrammatizzare l’importanza del testo che accompagnano, giungiamo alle rappresentazioni derivanti dalla tradizione biblica che fanno del pazzo un personaggio inquietante. L’ insipiens rifiuta Dio (Salmo 52: “Lo stolto disse in cuor suo: Dio non esiste”. Accanto all’insipiens però viene rappresentato anche il pazzo di Dio (la follia agli occhi degli uomini è sapienza agli occhi di Dio – S. Paolo) come San Francesco d’Assisi, che ribalta i valori attribuiti dal suo rango sociale e dalla sua famiglia di origine per avvicinarsi proprio a Lui. Nelle rappresentazioni legate all’amore terreno, invece il pazzo sembra mettere in guardia dai vizi della lussuria facendo da specchio alla follia degli uomini.
Il pazzo diviene “politicizzato” e “socializzato” nel XIV secolo. Il buffone di corte è la figura istituzionalizzata dell’inversione dei valori del potere. Il giullare è colui a cui è permesso prendersi gioco delle debolezze della corte. Viene messa in atto una nuova iconografia e riconosciamo il buffone dai suoi attributi: berretto, mantello rigato o mezzo busto, cappuccio, campanelli. Il pazzo diviene una moda di corte: viene ritratto e addirittura riportato nelle monete con la sua effige come quella di Triboulet, il giullare di René, duca d’Angiò. Applauditi e temuti a corte, vivono un quotidiano comunque segnato dalla solitudine e condannato al disprezzo della società.
Il XV secolo vide la straordinaria espansione della figura del pazzo, legata alle feste di carnevale e agli scritti di Brant ed Erasmo. Associato alla critica sociale, il pazzo funge da veicolo delle idee più sovversive. Ha un ruolo anche nei tormenti della Riforma: in questo contesto il pazzo è l’altro (cattolico o protestante). A cavallo tra Medioevo e Rinascimento, la sua figura divenne onnipresente, come dimostrano l’arte di Bosch e poi quella di Bruegel dove diventa testimone della follia degli uomini.
La figura del Folle comincia ad essere meno presente a partire dal Seicento, mentre nel Settecento, il secolo dei Lumi, «con il trionfo della ragione» tende a sparire ma le prime ondate del romanticismo, esaltando sentimenti e passioni, ispirano alcuni artisti, come Johann Heinrich Füssli, che propongono opere segnate dalla bizzarria e dalla paura. Questi artisti si affidano a riferimenti letterari o alla propria esperienza di dolore psicologico, come nel caso degli autoritratti dello scultore Messerschmitt (1736-1783).
All’alba dell’Ottocento, il Folle è «resuscitato» dalle opere di Gustave Courbet, Jan Mateyko e di Francisco Goya, con «Il cortile del manicomio» (1794) dove “il volto del folle finisce con l’identificarsi con quello dell’artista, in lotta con la sua angoscia e con la sua stessa follia”. Questa opera fu successivamente reinterpretata da Vincent Van Gogh.
Nella prima metà dell’Ottocento, con la figura del “pazzo” ci si riferisce soprattutto al malato mentale recluso in manicomio; tale visione pian piano si trasformerà: la follia non verrà considerata esclusivamente come totale irragionevolezza ma indicherà comunque figure ai margini della società come i mendicanti, i delinquenti, i dissoluti.
Chi è stato dunque il Folle? In ogni epoca il Folle è stato segno di inciampo, di ribaltamento dei valori dominanti e per questo fonte di attrazione e repulsione nel percepito comune. Il Folle, dunque, è stato destinato ad essere nella sostanza emarginato, stigmatizzato dove il rispetto della norma è il segno determinante dell’accettabilità.
Chi sarebbe il Folle oggi? Sotto la spinta della globalizzazione e dell’omologazione, forse il Folle sarebbe colui o colei che riuscisse a mantenersi individuo mantenendo la speranza di una collettività che ritorni ad essere umana.


Figures du Fou
Du Moyen Âge aux Romantiques

Dal 16 ottobre 2024 al 3 febbraio 2025

Musée du Louvre
Rue de Rivoli, Paris 1e
Parigi (Francia)

A cura di Élisabeth Antoine-König e Pierre-Yves Le Pogam