Archivi tag: Gianleonardo Latini

Una mostra non basta per promuovere l’Arte

Recentemente il Ministero dei beni ambientali culturali e turistici ha pubblicato un avviso, il terzo della serie, “per il finanziamento di progetti culturali finalizzati alla promozione, la produzione, la conoscenza, la disseminazione della creazione contemporanea italiana in Italia e all’estero nel campo delle arti visive”.

 

Il progetto, identificato come Italian Council, si focalizza sulla committenza più che ad un’idea di promozione e conoscenza dell’arte italiana, rendendo l’iniziativa sterile, nel suo appiattirsi su di una semplice richiesta per un progetto di esposizione in una sede prestigiosa, di una o più opere commissionate a degli artisti, per essere apprezzate solo dalle solite persone frequentatrici di musei e mostre, mancando l’occasione di ampliare la platea di spettatori interessati ad interagire con l’arte.

 

L’iniziativa del Ministero sembra entusiasmare forse per l’utilizzo della terminologia anglosassone Italian Council per lanciare l’arte italiana nel firmamento internazionale con lo slogan “bringing our contemporary art to the world” (portando la nostra arte contemporanea nel mondo).

 

Forse agli estensori dell’avviso non è ben chiaro in concetto di promozione, in compenso hanno la creatività linguistica che porta a concepire il termine disseminazione come un vocabolo ponderato, che viene integrato in un progetto, ma disseminare è disperdere e non necessariamente si configura in un’intenzione che possa dare frutti.

 

L’arte contemporanea, che non sia la raffigurazione, può avere un futuro nella quotidianità delle persone solo se la si rende avvicinabile e non irraggiungibile con il suo avvolgente e criptico snobismo.

 

È sicuramente raggiunto lo scopo degli estensori dell’avviso se era quello di stimolare il mercato, ma così facendo si promuovono sempre gli stessi nomi e non si agevola l’inserimento di nuove creatività.

 

La premessa di promuovere la produzione per incrementare le pubbliche collezioni potrebbe essere raggiunta, ma non quella della conoscenza, anche perché le opere vengono “disseminate” in luoghi istituzionali e prestigiose sedi.

 

Per avvicinare l’arte alla quotidianità di ognuno di noi forse l’idea di ” prestare” un’opera d’arte come fosse un libro risulterebbe accattivante.

 

Come nelle biblioteche si può trovare la narrativa, i gialli, la fantascienza e altro ancora, così da Magis si potrebbe trovare il figurativo e l’astratto, il paesaggio e l’informale, in opere di piccolo formato per rendere il trasporto e la collocazione agevole.

 

La Fondazione Magis e il Collettivo degli Artisti Oltre i Confini

mettono a disposizione, nell’ambito di Arte Solidale, oltre cento opere di artisti contemporanei, per lo più dell’area romana, da poter prendere in prestito – come se fosse un libro – per tre mesi e rinnovabile per un altro. L’iniziativa vuole far circolare l’arte delle idee e delle forme, per valorizzare la ricchezza creativa dei singoli artisti e per ampliare i circuiti di fruizione dell’arte.

 

I fondi raccolti con le offerte di iscrizione a PrestArte saranno utilizzati dal MAGIS per acquistare kit didattici (matite colorate e blocchi da disegno, etc.) per i figli delle mamme sieropositive del Centro Esperance Loyola in Togo, centro che si occupa di prevenzione dalle infezioni da Hiv per giovani, donne e famiglie; progetti di formazione e di rafforzamento delle capacità familiari dei malati; di advocacy per i diritti delle persone sieropositive, di ricerca e sensibilizzazione sui problemi etici e pastorali legati alla pandemia; di sostegno psicologico a tutta la famiglia (genitori e figli).

 

Solidarietà anche come lavoro

Mario Giro, l’oramai ex-Viceministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale non ha mancato occasione di ribadire nei vari incontri pubblici, come nell’incontro “Cooperazione internazionale – Il nostro futuro nel mondo” all’Università Roma Tre del novembre 2017, che il Terzo settore è l’ambito lavorativo del futuro.

Un’affermazione confermata da Gentiloni durante la Conferenza Nazionale della Cooperazione allo Sviluppo (Auditorium Parco della Musica, 24 – 25 gennaio 2018).

Oltre il 10% della popolazione è impegnata nel sociale, per non lasciare solo il prossimo, e gran parte di queste persone sono organizzate in associazioni, rappresentando il 4% del Pil.

Su questi presupposti si può comprendere come l’aiuto al prossimo possa rappresentare non solo un impegno del volontariato, ma anche un’ipotesi di lavoro anche nell’ambito della Cooperazione Internazionale che non può essere racchiusa nello slogan “Aiutiamoli a casa loro”, ma usato come titolo della puntata di PresaDiretta di lunedì 29 gennaio 2018 su Rai Tre, “Aiutiamoli a casa loro”, nella quale si afferma che l’Italia ha stanziato nel 2016 quasi 5 miliardi per sostenere progetti in gran parte nei paesi africani, distribuiti all’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e ai vari progetti presentati dalle diverse organizzazioni.

Fondi che annualmente sono stanziati non solo dall’Italia, per “Aiutarli a casa loro”, ma anche dagli altri paesi “industrializzati”, secondo le loro possibilità e generosità. Una pratica che per il Center for Global Development, con il documento Deterring Emigration with Foreign Aid, fa sorgere una domanda: “can development assistance deter emigration?” (l’assistenza allo sviluppo può scoraggiare l’emigrazione?) dandosi la risposta negativa basata su di un’analisi economica, basata sull’assioma: ho qualcosa e voglio di più.

L’economista africana Dambisa Moyo già nel 2011 aveva portato sul banco degli imputati la pratica degli aiuti nei libri “La follia dell’occidente” e “La carità che uccide”, perché foraggiavano la corruzione invece di portare benessere alle popolazioni.

Non basta inviare soldi, bisogna sapere cosa si vuol fare per rendere meno disagevole vivere in comunità con scarsità d’acqua potabile e difficile accesso all’istruzione, bisogna poter seguire i progetti e intervenire nei casi di improvvise difficoltà come la sostituzione di una parte meccanica o il mancato corso di formazione.

È necessario non far cadere dall’alto gli “aiuti”, ma lavorare con la popolazione per conoscere le difficoltà e le loro aspirazioni, varando dei progetti condivisi.

Realizzare delle strutture produttive può essere un primo passo, ma non può evitare la migrazione se sono in atto conflitti o carestie e pacificare le aree sul condividere la terra e l’acqua.

Ma per ora un terzo dei miliardi italiani vengono utilizzati per la cosiddetta accoglienza nei vari centri d’identificazione (Cara, Cas, Sprar) e alle cooperative che dovrebbero garantire dei posti letto, un’assistenza sanitaria, corsi di italiano e fornire del denaro per le piccole spese (pocket money).

Un’accoglienza organizzata, con risorse pubbliche, piramidalmente, ben diversa da quella fornita da organizzazioni come la Caritas Italiana, il Centro Astalli e la Comunità di Sant’Egidio, per limitarsi a quelle più conosciute, che non si limitano ad offrire assistenza ai profughi, ma anche alle persone in povertà, anzi alcune sono nate proprio per dare supporto agli indigenti italiani per poi soccorrere anche lo “straniero”.

Organizzazioni, Comunità di sant’Egidio e Caritas, che occupano anche un posto nell’intervento all’estero, tanto da essere impegnate anche nell’ambito diplomatico tra fazioni belligeranti.

La Comunità di sant’Egidio è anche tra i promotori, insieme ad alcune chiese protestanti, dei canali umanitari che il Ministero degli affari esteri ha sponsorizzato, un’iniziativa che potrebbe subire le prospettive individualistiche del prossimo governo.

Il panorama del Terzo Settore è ricco di esempi di solidarietà, dove il volontariato occupa una posizione fondamentale, perché altrimenti non si potrebbe portare aiuto a costi bassi.

Ogni organizzazione, grande o piccola, ha un gruppo di “impiegati”, alcuni collaboratori e tanti volontari. Più grandi sono le organizzazioni e più è difficile il controllo sulla moralità dei componenti, come recenti notizie stanno portando alla luce, diventando per alcuni un vero lavoro, mentre per altri una missione.

Amref Health Africa è impegnata a formare medici e personale sanitario sul luogo, mentre altre organizzazioni internazionali come: The Save the Children, Medici Senza Frontiere Italia o Oxfam, si adoperano per proteggere l’infanzia, garantire le cure mediche o colmare le diseguaglianze. Emergency realizzando ospedali in Asia e in Africa, ma interviene anche per garantire in Italia il diritto alla cura per tutti , mentre il CISOM (Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta), oltre a svolgere attività di protezione civile, è presente sui mezzi della Guardia costiera, con un medico e un infermiere, per il soccorso in mare, garantendo l’assistenza ai migranti.

Poi ci sono delle strutture di “supporto” come AGIRE (Agenzia Italiana Risposta alle Emergenze), autore del rapporto 2017 sul Valore dell’aiuto, impegnate a raccogliere fondi e fanno attività di promozione per altre organizzazioni grandi e piccole (ActionAid. Amref. Cesvi. Coopi. Gvc. Oxfam. Sos villaggi bambini Italia. Terre des hommes) e come la Fondazione Magis (Movimento e Azione dei Gesuiti Italiani per lo Sviluppo), che oltre a sostenere l’attività di varie associazioni (Associazione Amici di Deir Mar Musa, Centro Astalli, Compagnia del Perù, CSJ Missioni, Gruppo India, Operazione Africa, etc.), promuove progetti o assiste alle esigenze delle comunità come nella recente emergenza in Kiscina, sperduto villaggio in fondo al Sahel ciadiano, dove le donne hanno avuto necessità di una rete metallica per difendere i loro minuscoli orti dalle bocche voraci dei cammelli.

Organizzazioni umanitarie che intervengono, spesso collaborano con gli organismi dell’Onu (Unicef e Unhcr), nelle crisi per aiutare le persone in emergenza, colpite da conflitti e catastrofi naturali, nonostante le decisioni di Donald Trump di tagliare gli stanziamenti statunitensi.

Anche le prospettive italiane nei confronti della cooperazione e dell’accoglienza non appaiono rose con un possibile Governo che perseguirà una politica di ulteriore chiusura verso flussi migratori e una restrizione ai fondi.

****************************

Qualcosa di più:

Africa: le Donne del quotidiano
Le loro Afriche: un progetto contro la mortalità materno-infantile
Africa Solidarietà: il lato nascosto delle banche
Africa: i sensi di colpa del nostro consumismo
Cause Umanitarie
Cibo per molti, ma non per tutti
Le scelte africane
Solidarietà: il lato nascosto delle banche
Un promemoria sul mondo in conflitto
Cellulari per delle cucine solari

****************************

Trump: I buchi del Distruttore

 

Il Mondo, dopo un anno dall’elezione di Trump a presidente della nazione leader, ha subito dei cambiamenti geopolitici, prospettando per gli Stati uniti una incredibile retrocessione.

Il presidente si è dato molto da fare nel distruggere l’eredità di Obama che lo ha preceduto, senza limitarsi alle innovazioni nella politica interna, definito dalla BBC US government shutdown: How did we get here again? uno “scontro tra bande” che dalla disputa sulla sanità e il clima ha coinvolto non solo la situazione migrante islamica ma che con i Dreamers è arrivato a coinvolgere lo shutdown nel confronto politico nell’era dell’amministrazione Trump, anche nel rapporto con le altre nazioni.

Con Obama il rapporto con islam era in evoluzione e con l’accordo sul nucleare iraniano aveva contrariato i paesi arabi sunniti e gli israeliani, mentre con i russi era un muro contro muro, ma tutto era delineato senza ambiguità.

Un panorama confuso se non nel fatto che tutto sembra ricondurre ad una forte volontà di svolgere il tradizionale ruolo di veditore di armi, ma anche in quest’ambito non sembra fare grandi affari se la Turchia, secondo esercito della Nato, preferisce fornirsi di sistemi missilistici russi, come anche i sauditi, riuscendo a mettere in crisi, non solo con le sue dichiarazioni “isolazioniste”, il rapporto con gli aderenti all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord. Con l’enunciazione della sua personale dottrina nucleare basata sulle mini bombe, capaci di scatenare tsunami radioattivi si disattiva l’impegno di Obama contro la proliferazione nucleare e la Russia risponde con un missile dalla traiettoria “imprevedibile”.

Trump è ambivalente nel suo lusingare la Turchia e armare i curdi, rafforzare i legami con i sauditi senza rinunciare ai rapporti con il Qatar, dichiara Gerusalemme capitale di Israele facendo infuriare i paesi islamici, andando incontro alle critiche dell’Onu e ai rimproveri degli alleati europei.

Con il mancato blocco degli insediamenti ebraici Trump fa sospettare il reale disinteressa di Israele per i colloqui di pace con i palestinesi.

Il presidente statunitense sta creando dei buchi nella politica estera che la Russia, la Cina e la Turchia si stanno impegnando a colmare, creando delle alleanze ambivalenti. Tanto ambivalenti che hanno portato la Turchia a chiedere il permesso alla Russia per intervenire nella zona siriana di Afrin per cacciare i curdi con l’operazione “ramoscello d’ulivo”, mentre i curdi trattano con Damasco per arginare l’avanzata turca in Siria e Trump sta a guardare gli alleati che si rivolgono agli avversari per risolvere un conflitto atavico, mentre Bashar Assad rade al suolo Ghouta Est alla periferia della capitale siriana.

Una resa dei conti “incrociati”, con alleanze variabili che nascono e muoiono sul batter di un interesse.

Un presidente impegnato, con lo sfilarsi dall’accordo di Parigi sul clima, nell’attivare le miniere di carbone, dare autorizzazioni di trivellazione ovunque si ritiene utile, che vuol completare i lavori dell’oleodotto progettato per transitare sul territorio della riserva dei nativi americani nel North Dakota.

Periodicamente lancia messaggi di distensione per un possibile rientro nell’accordo sul clima di Parigi, per poi manifestare tutto il suo scetticismo sui cambiamenti climatici, come sulle tematiche dell’evoluzionismo e creazionismo.

Mentre la Cina diventa il capofila per l’impegno ambientalista e rafforza la sua presenza in Africa. Un continente quello africano che ha colto interesse turco. La Turchia gareggia con la Russia e l’Iran anche per un posto d’onore nello scacchiere mediorientale.

Un presidente che appare confuso senza una chiara politica economica che probabilmente ha portato la “Trumphoria” a sbattere contro il muro delle fluttuazioni finanziarie, conducendo alla crisi dei mercati e al ridimensionamento della crescita, con la fine dell’era del denaro a poco, in attesa di un’impennata nei tassi di interesse.

All’interno della stesso staff non mancano i contrasti come in occasione dei dazi promossi da Trump sull’acciaio e l’alluminio senza confrontarsi con i suo consigliere economico, come aveva fatto in precedenza con altri consiglieri sui più disparati ambiti.

Trump è un presidente che si muove senza alcuna remore, creando non solo scompiglio e sconcerto tra gli avversari, ma anche tra alleati e collaboratori.

È probabile che Trump potrà fare “meglio”, nel peggio, del presidente Zuma nel distruggere il miracolo sudafricano e rendere gli Stati uniti soli.

 

****************************

Qualcosa di più:
Trump: un confuso retrogrado
Trump Il commesso viaggiatore tra i sauditi e gli israeliani
Trump: un elefante nella cristalleria del Mondo
Trump: un uomo per un lavoro sporco
Trump: Quando l’improbabile è prevedibile

****************************

 

Il Mondo dell’Arte perde Lea Mattarella e Tito Amodei

In un mese il mondo dell’Arte perde la cinquantenne critica d’arte e docente Lea Mattarella e il novantenne artista che fu uno dei promotori dello spazio Sala 1, oltre che padre Passionista, Tito Amodei.

Due facce dell’Arte: chi la produce e chi cerca di farla capire e diffondere alla contemporaneità che tutto fagocita  senza avere il tempo di riflettere e capire che le immagini sono un veicolo di comunicazione e le parole aiutano a comprenderle nel loro divenire.

La scrittura di Lea Mattarella rendeva accessibile l’opera d’arte al gran pubblico con gli articoli sui giornali, mentre offriva occasioni di riflessione, in quanto critico, a storici e artisti.

 

L’Arte di Tito Amodei poteva essere figurativa o astratta, come le affascinanti strutture totemiche e minimaliste in legno, ma Lui riteneva che «l’artista o che presume di esserlo – come aveva dichiarato in un’intervista ad Avvenire – fa le cose indipendentemente dal soggetto.».

 

Africa: Il Sahel italo-francese non «combat»

Di un intervento italiano nel Sahel si parlava già dal maggio scorso con l’Operazione “Deserto Rosso”, ma la Difesa aveva smentito, ora è una realtà la presenza dei militari italiani nel Niger affianco delle truppe francesi, ma non per combattere, come ha tenuto a specificare il capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Claudio Graziano, ma limitandosi ad «addestrare le forze nigerine e renderle in grado di contrastare efficacemente il traffico di migranti ed il terrorismo».

Ma la preparazione dell’intervento si potrebbe far risalire all’ottobre del 2016, con la decisione presa dal Consiglio dei ministri dell’allora presidente Matteo Renzi, con Paolo Gentiloni ministro degli Esteri, di istituire, nella capitale nigerina Niamey, una rappresentanza diplomatica che verrà aperta nel febbraio nel febbraio 2017 e successivamente (ottobre 2017), nell’ambito dell’accordo di cooperazione tra Italia e Niger, seguito dall’invio di una decina di addestratori  italiani.

Ora la prospettiva è di un contingente di poco meno di cinquecento militari che sembrano troppi per addestrare e pochi per contrastare efficacemente i trafficanti e i terroristi.

Nel Niger operano ben cinque gruppi terroristici tra Isis, al Qaeda e Boko Haram che alimentano il terrore. Pochi i nostri militari, troppi, o forse è il numero giusto per affiancare i militari francesi e statunitensi nel “difendere” gli interessi occidentali sulle risorse nigerine che non comprende solo l’uranio, ma anche petrolio, oro e diamanti.

Sicuramente per il governo italiano operare nel Niger significa bloccare il traffico di esseri umani per non fare intraprendere ad un’umanità disperata un viaggio pericoloso, ma anche perché scegliere il paese africano in posizione centrale (a nord l’Algeria e la Libia, a est con il Ciad, a sud con la Nigeria e il Benin e a ovest con il Burkina Faso e il Mali), e perché istruire i militari quando sarebbe più efficace un controllo sul malaffare e la corruzione che riducono permeabili e inefficaci le frontiere?.

Che cosa mai possono fare di più i nostri militari dell’addestramento francese alle truppe nigerine?

L’idea di intervenire in Africa nasce con il summit tenutosi il 13

dicembre 2017 presso La-Celle-Saint-Cloud, vicino a Parigi, dove il presidente francese Emmanuel Macron ha invitato non solo i paesi del G5 Sahel (Mali, Mauritania, Niger, Ciad e Burkina Faso), ma anche Italia, Germania, Arabia saudita ed Emirati Arabi Uniti.

Precedentemente il Consiglio di sicurezza dell’Onu (giugno 2017) aveva approvato all’unanimità la nascita del G5 Sahel e il 30 ottobre scorso, gli Stati Uniti hanno promesso di fornire 60 milioni di dollari che vanno ad aggiungersi ai 58 milioni di dollari donati dall’Unione Europea e al contributo saudita di 100 milioni che permettono di avvicinarsi all’obiettivo di 492 milioni.

La scelta del governo italiano di spostare una parte dell’impegno militare italiano dall’Iraq al nord, nell’ambito della coalizione anti-Daesh, all’affiancamento del Corpo antiterrorismo G5-Sahel ha fatto sorgere delle sarcastiche critiche nel vedere i militari italiani come i pochi aiutanti dei soldati francesi, ma l’impegno è sotto l’egida dell’Onu che coinvolgerà non solo l’Italia e la Francia, già presente nell’area del Sahel con gli oltre 3mila militari dell’operazione «Barkhane», nell’affiancare i 5 paesi del Sahel, ma anche i soldati statunitensi e tedeschi.

L’impegno italico per contare di più in Europa si va a scontrare con l’attivismo Macron – Merkel nel rinverdire i fasti franco-tedesco degli accordi di amicizia del 1963 tra Charles de Gaulle e Konrad Adenauer, ma Gentiloni non si arrende e propone a presidente francese, nell’ambito del vertice Med-Set dei Paesi del Sud Ue, il «Trattato del Quirinale» e l’invio dei militari italiani in Niger è parte della strategia perché l’Italia non sia esclusa dalla prima fila europea.

Da sinistra si fa presente che i campi di concentramento libici continuano ad essere il teatro di stupri e torture, mentre dalla Lega si sollecita di sigillare i nostri confini, invece di chiudere i passaggi altrui, ma c’è anche l’articolo 11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”

La presenza di militari fuori dal territorio nazionale è da ritenersi uno strumento di offesa o di prevenzione? È difficile instaurare un rapporto dialettico per la risoluzione delle controversie quando la controparte opera con le armi e non con le parole.

****************************

Qualcosa di più:

Migrazioni, cooperazione Ue-Libia | L’ipocrisia sovranazionale
Migrazione | Conflitti e insicurezza alimentare
Migrazione in Ue: il balzello pagato dall’Occidente
Africa: una scaltra “Democrazia”
Migrazione: Un monopolio libico
Africa: attaccati al Potere
Africa: le Donne del quotidiano
Le loro Afriche: un progetto contro la mortalità materno-infantile
Africa: i sensi di colpa del nostro consumismo
Solidarietà: il lato nascosto delle banche
I sensi di colpa del nostro consumismo
Le scelte africane

****************************